Tag: scuola

  • da “la Repubblica.it[clicca qui]

    di Davide Montanaro
    Presidente Parlamento Regionale Giovani Puglia

    Il Sud non ha bisogno di nessuno, ma di credere in se stesso.

    Non c’è scossa che tenga per un popolo che ogni giorno combatte su più fronti le proprie battaglie, si alza all’alba e da il suo contributo al Paese e ne esce sconfitto, perchè bollato come il responsabile della crisi e fautore della criticità in cui riversa l’Italia da tempo.

    Il Sud non è quello che racconta chi, sentendosi Dio sceso in terra, pensa che l’intervento dall’alto possa far emergere quell’energia necessaria per accendere il motore del riscatto e ripartire.

    Il Mezzogiorno d’Italia ha bisogno di credere nelle proprie capacità, nelle proprie risorse. Se oggi J.F.K. fosse qui, in Italia e si fosse trovato davanti ad una platea di meridionali, avrebbe sicuramente esordito dicendo: “non chiedetevi cosa possa fare l’Italia per il Mezzogiorno, ma chiedetevi cosa possa fare il Mezzogiorno per l’Italia” e da qui nasce l’intento di ricostruire, di sentirsi responsabili del futuro del proprio territorio, della propria nazione.

    Dalla Puglia alla Sicilia, passando per la Campania e la Sardegna, un immenso laboratorio si estende nel Mediterraneo, piantando le radici nello sviluppo di nuove idee, sostenendo l’innovazione che riesce a coniugare territorio all’interesse generale del Paese. In Puglia, ad esempio, Principi Attivi e Bollenti Spiriti sono solo piccoli ma grandi esempi di come la buona politica possa rendere un’idea innovativa il modo per rivalutarsi e distruggere quell’idea malsana e poco realista di un Sud piegato dalla raccomandazione e dai favoritismi, focolaio di un sistema corrotto e corrosivo per l’intera Penisola.

    Migliaia di ragazze e ragazzi sono lì, dove nessuno avrà mai il coraggio di essere, perchè nel Sud il riscatto è iniziato e la scintilla è arrivata dalla lotta alle mafie, fronteggiando a volto scoperto la criminalità organizzata.

    Parlare di meritocrazia, oggi, significa non aver compreso che prima della meritocrazia c’è l’uguaglianza di base che in Italia non c’è, a partire dalle scuole e dalle università.

    Io voglio poter studiare al Sud ed essere considerato preparato e pronto al mondo del lavoro quanto uno studente del Nord o di chi, meridionale, ha avuto la fortuna di poter frequentare una università del Nord.

    Per l’ennesima volta c’è chi crede che il Sud sia un blocco unico, con stessi problemi, con un modo di agire e pensare che è insito dentro ogni singolo meridionale, ma in realtà la situazione è molto complessa nel suo modo di presentarsi.

    Ora basta. Ecco perchè il Mezzogiorno d’Italia ha scelto Pier Luigi Bersani, perchè c’è bisogno di un messaggio netto, che parli di credibilità, orgoglio ritrovato e tanta voglia di crescere, partendo dalla formazione di una nuova classe dirigente che guardi negli occhi i problemi del proprio territorio e si sappia fronteggiare con il resto del Paese, perchè l’Italia parte dalle Alpi e finisce a Lampedusa e si è uniti nella buona e nella cattiva sorte, sempre.

    [column size=”1-5″]
    [/column] [column size=”1-5″] [/column] [column size=”1-5″] [/column] [column size=”1-5″] [/column] [column size=”1-5″ last=”1″] [/column]
  • In Europa ci sono 14 milioni di giovani che non studiano e non lavorano. Con la crisi il fenomeno cresce di anno in anno, assumendo i contorni di una vera emergenza sociale.

    da 

    Un giovane napoletano disoccupato da tempo; una ragazza madre della Sassonia-Anhalt; un liceale di Lelystad che ha abbandonato la scuola; e un depresso di Vilnius che poltrisce tutto il giorno. Sono tutti giovani a rischio, estranei al mondo del lavoro, e a causa del perdurare della crisi economica sono sempre  più emarginati dall’Europa che lavora.

    “Le cifre dell’aumento della disoccupazione giovanile sono sconvolgenti. Oltretutto, in genere in questi calcoli si tiene conto soltanto di coloro che sono pronti a lavorare e vogliono lavorare, mentre è in forte aumento il numero di coloro che sono senza motivazioni e si stanno estraniando dal mercato del lavoro”, ci dice a telefono Massimiliano Mascherini dellaFondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, un’agenzia dell’Ue.

    Mascherini ha studiato i giovani che non lavorano, non studiano e non seguono alcuna formazione (“Not in employment, education or training”, Neet). Ha studiato il background e il comportamento di questi nullafacenti e ha calcolato quanto costano all’Europa. I risultati del suo studio sono preoccupanti. I giovani europei che non fanno nient’altro che guardare la televisione in pantofole sono 14 milioni, pari al 15,4 per cento dei giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni. Alcuni sono disoccupati per loro scelta, altri viaggiano, ma la maggior parte non fa niente. “Hanno scarsa fiducia nelle istituzioni e nel prossimo. Sono isolati socialmente e politicamente. E hanno anche maggiori probabilità di finire in reti malavitose”, dice Mascherini.

    Bruxelles sta monitorando da vicino l’evolversi della situazione dei Neet, e vista la gravità della situazione è particolarmente preoccupata. Mascherini ha calcolato che la disoccupazione giovanile è costata agli stati membri 153 miliardi di euro nel 2011, mentre nel 2008 era costata “appena” 119 miliardi. Ma queste sono stime soltanto prudenziali, che tengono conto esclusivamente dei servizi sociali e non di altri aspetti quali la criminalità e l’assistenza sanitaria.

    Tom Eimers, direttore del Knowledge Centre for Professional Education and the Labour Market (Kba) conosce fin troppo bene la realtà di questo gruppo problematico. “Si tratta spesso di giovani disabili, con difficoltà di apprendimento e/o complesse situazioni familiari”. Il sociologo apprezza l’utilità del nuovo studio: “Descrive l’abbandono scolastico e la disoccupazione come manifestazioni di uno stesso tipo di problema: i giovani rischiano di perdere contatto con la società. In tempi di crisi, i loro problemi aumentano”.

    In particolare, colpisce molto il fatto che i giovani di varie regioni europee reagiscono alla propria situazione in maniera diversa. Nei paesi anglosassoni e dell’Europa centrale e orientale, i Neet sono passivi: sono delusi dalla società e dalle istituzioni e hanno la sensazione che nessuno voglia aiutarli. In reazione a ciò si allontanano dalla società, ritengono poco importante la politica e in buona parte non votano. Ciò che meglio li definisce è presto detto: guardare la televisione, isolarsi dalla società, starsene da soli.

    Nei paesi del Mediterraneo, invece, questa difficile categoria di giovani èpoliticamente attiva. “Ci sono ottimi motivi per i quali i giovani scendono a manifestare in piazza in Spagna e in Grecia”, dice Mascherini. “Non sentono rappresentati i loro interessi dalla classe politica. Sono inclini all’estremismo. Se in quei paesi emergesse un blocco estremista, c’è il rischio non indifferente di un ampio supporto da parte di questi giovani”.

    Benché si parli sempre della Spagna come di un paese dall’alto tasso di  disoccupazione, la situazione in Italia e in Bulgaria è ben più preoccupante, dice Mascherini. “Gli spagnoli sono relativamente ben istruiti e hanno molta esperienza: la disoccupazione giovanile da loro è una conseguenza diretta della crisi. I problemi in Bulgaria e in Italia sono di natura più strutturale. Istruzione e formazione non sono conformi  alle esigenze del mercato. In Italia i giovani se ne stanno tranquillamente a casa per anni, aggravando ancor più la situazione”.

    Il sociologo Eimers preferisce spiegare la differenza tra insoddisfazione passiva e attiva in un modo diverso: “Penso che la frustrazione abbia maggiori probabilità di evolversi in rabbia nell’Europa del sud perché gli interessati sono molti di più. Se tutto a un tratto Nijmegen avesse un tasso di disoccupazione giovanile del 40 per cento, si vedrebbero anche qui i giovani sulle barricate. Ma se appartieni a un gruppetto esiguo, è più verosimile rinchiudersi in casa e provare vergogna”.

    Eccezione scandinava

    Secondo lo studio, l’unica regione europea nella quale i Neet non scenderanno esagitati in strada è la Scandinavia. “In quei paesi tutti i giovani sono coinvolti allo stesso modo nella società e nella politica, disoccupati e non, che abbiano lasciato la scuola o la continuino”, dice Mascherini. “Anche i paesi come Svezia e Danimarca vanno bene da questo punto di vista, dato che non c’è un grande divario tra la formazione e il mercato del lavoro. Le differenze rispetto alla Bulgaria e all’Italia non potrebbero essere maggiori”. E i Paesi Bassi? Mascherini crede che siano un paese esemplare. “Hanno pochi problemi strutturali, molti progetti e la situazione sotto controllo, anche se a causa della crisi il numero dei casi problematici è in aumento”.

    Secondo Hennie van Meerkerk questo quadro è troppo roseo: è la presidente del consiglio di amministrazione di Scalda, una scuola di formazione vocazionale per chi ha abbandonato il liceo ed è disoccupato. Descrive la nuova categoria di giovani in questi termini: “Molti hanno problemi psicologici, soffrono di depressione e spesso entrano in contatto con le forze di polizia”.

    La criminalità è una preoccupazione legittima, dice Mascherini: dal suo studio emerge infatti che questi giovani hanno maggiori probabilità di cadere vittime di tossicodipendenza e alcolismo. “Questo è allo stesso tempo causa e risultato dell’abbandono scolastico e della disoccupazione. I giovani nullafacenti che restano a casa dei genitori a lungo spesso cadono in depressione e cedono all’alcol e alle sostanze stupefacenti. E tramite la tossicodipendenza molti finiscono nel traffico di droga, mentre le ragazze spesso diventano madri single in giovane età”.

    Van Meerkerk aggiunge: “I posti di lavoro a tempo indeterminato sono pochi. E a subirne maggiormente le conseguenze sono proprio questi giovani che non riescono ad esprimersi bene o hanno qualche difficoltà”. Anche Eimers lo conferma: “Il loro numero non sarà alto quanto in Spagna o in Italia, ma il numero di giovani che hanno problemi sta aumentando a causa della crisi. Si possono prevedere i problemi che incontreranno sul lavoro già quando vanno a scuola. Dovrebbe esserci più collaborazione tra autorità locali, agenzie che erogano sussidi e organizzazioni responsabili della frequenza scolastica obbligatoria. Per intervenire non bisogna aspettare che la situazione precipiti”.

  • Influencers, giornalisti e blogger volutamente ‘disattenti’ stanno scrivendo che il Pd avrebbe finanziato con 223 milioni le scuole private per i figli delle famiglie ricche. Eppure è vero il contrario: quei soldi finanziano anche i Comuni per tenere aperti i servizi per l’infanzia

    Questo che sto per raccontare è un esempio da manuale. In rete gira una notizia il cui senso può essere riassunto così: il Partito Democratico, in piena crisi economica e con le casse delle scuole vuote, finanzia le scuole private per i figli delle famiglie più ricche.

    Provate a leggere questo testo: è uno dei tanti articoli, che ci hanno segnalato, pescati nel web:

    Titolo: 223 milioni alle scuole private: l’emendamento del PD

    Testo: “Scuole occupate, migliaia di studenti in corteo in tutt’Italia, docenti in mobilitazione. Il mondo della scuola è in movimento, chiede risorse, rilancio della propria funzione sociale e del proprio carattere pubblico, il consenso popolare attorno a queste misure è altissimo. Nonostante ciò il parlamento ha approvato nella notte un emendamento alla legge di stabilità che stanzia 223 milioni di euro per le scuole paritarie: una beffa, che va nella direzione opposta alle proteste di questi giorni.

    Il governo aveva dato parere contrario all’emendamento, che è stato presentato dall’onorevole Simonetta Rubinato del Partito Democratico.

    Entusiasta la parlamentare democratica ha dichiarato: “i relatori hanno accolto il  mio suggerimento di far escludere questa somma dal patto di stabilità, trovando copertura nel fondo per la compensazione degli effetti finanziari, rendendola così effettivamente erogabile. E il governo è stato battuto. Una battaglia vinta a favore delle famiglie e in particolare della rete delle scuole paritarie che fa risparmiare allo Stato ogni anno, solo in Veneto, 500 milioni di euro”.
    Nel frattempo a Roma continua l’occupazione dello studentato di via De Lollis, dato che nel Lazio come nel resto d’Italia mancano le risorse per le borse di studio e gli alloggi per chi ne ha bisogno”.

    Chi legge, ha la conferma definitiva: il Pd finanzia le scuole private. Ma è vero? Come si manipola l’informazione in rete? A volte basta poco, perché se è vero che il web-journalism è democratico e permette a tutti di essere partecipi del dibattito, di condurre un giornalismo d’inchiesta a volte molto più ficcante del giornalismo professionista, è anche vero che la manipolazione e la falsificazione dell’informazione è molto più facile. Controlli inesistenti, verifica delle fonti inesistente, conoscenza della deontologia professionale inesistente, e al tempo stesso sicurezza di farla franca qualsiasi notizia falsa o diffamante si scriva.

    Quel testo è un falso, perché omette consapevolmente di scrivere una frase che spiegherebbe tutto: “scuole 3-6 anni”. Eppure non scrive falsità, perché usa i giusti termini. Ad esempio scrive “scuole”, ma omette di spiegare che non sono le scuole 6-16 anni anni, ma scuole 3-6 anni. Scrive “paritarie”, ma omette di spiegare cosa si intenda per scuole paritarie. E alla fine l’informazione è fuorviante.

    Infatti, il finanziamento votato non riguarda il percorso dell’obbligo scolastico, bensì le scuole dell’infanzia 3-6 anni. Perché per la legge italiana sono ‘scuole’ anche quelle e sono definite ‘paritarie’ tutte le scuole non statali, e quindi anche le scuole comunali; ma questo l’assai poco onesto articolista non lo scrive, non lo spiega, generando così il dubbio, anzi la certezza che quei soldi saranno destinati alle scuole private.
    Invece, la realtà è che quel finanziamento consentirà ai Comuni italiani di tenere aperti servizi educativi indispensabili. Senza quell’emendamento, senza quella restituzioni di soldi agli enti locali, il 40% dei bambini dai 3 ai 6 anni il prossimo anno sarebbe rimasto a casa.

    Spiega Francesca Puglisi, responsabile Scuola della segreteria nazionale PD:“La legge di parità è stata votata da tutto il centrosinistra di governo, dai Comunisti italiani all’Udeur. E’ stata emanata perché in precedenza i fondi alle scuole private venivano erogati senza alcun criterio preordinato.

    Ora possono ricevere fondi dallo Stato solo le scuole che svolgono una funzione di pubblica utilità .
    La gran parte di quei 223 milioni di euro (quasi il 90%) sono utilizzati dal sistema integrato delle scuole dell’infanzia, per garantire a tutti i bambini e le bambine di età compresa tra 3 e 6 anni un posto a scuola. Per la legge di parità, sono paritarie anche le scuole comunali dell’infanzia. Senza quei fondi, dopo i drammatici tagli ai bilanci degli enti locali, dovremmo chiudere le scuole dell’infanzia, lasciando a casa migliaia di bambini e bambine
    ”.

    Del resto basta aprire il sito di Simoetta Rubinato per accorgersi che nel testo giornalistico manca la cosa fondamentale: la spiegazione che quei soldi serviranno ai Comuni per tenere aperti asili e scuole materne.

    Nei giorni scorsi – spiega Simonetta Rubinato sul suo sito- avevo denunciato con forza in Commissione che per come era scritto il comma 17 dell’art. 8 le somme stanziate non erano utilizzabili mettendo a rischio la continuità del servizio pubblico erogato dalle scuole paritarie. Supportata dal parere del Servizio Studi della Camera e dal sostegno bipartisan dei colleghi che si sono uniti alla mia battaglia, avevo ottenuto l’impegno del sottosegretario Gianfranco Polillo a trovare una soluzione alternativa”. 

    Ma la soluzione prospettata nella notte dal Governo non ha convinto l’on. Rubinato: “Iscrivere i 223 milioni nel capitolo del Miur coprendoli con un ulteriore inasprimento del patto di stabilità alle Regioni, che già subiscono nel 2013 un taglio di 2 miliardi di euro, era inaccettabile. Per questo i relatori hanno accolto il mio suggerimento di far escludere questa somma dal Patto di stabilità delle Regioni, trovando copertura nel Fondo per la compensazione degli effetti finanziari, rendendola così effettivamente erogabile. E il Governo è stato battuto“.

    fonte: 

  • Borse di studio ridotte all’osso e ridotti all’osso anche gli studenti che si ritrovano tasse raddoppiate all’università e servizi dimezzati. L’Europa in tutto questo latita, anzi fomenta, perdendo la sua vera natura.

    L’Europa mi appassiona, sicuramente l’avrò detto più volte in qualche post del mio blog, ma la passione è direttamente proporzionale allo dispiacere, alla tristezza e alla preoccupazione, che provo quando la scuola pubblica, le università e l’intero sistema d’istruzione pubblica, cadono a pezzi.

    Se l’Istruzione cade a pezzi, cade a pezzi la Cultura. Se cade a pezzi la Cultura, cade a pezzi la Nazione. Se cade a pezzi la Nazione, cade a pezzi l’Europa. Un effetto domino incontrastabile, privo di qualsiasi modo alternativo di risoluzione, se non, quella di evitare che il primo step si concluda.

    Ma non sono solo parole, perchè queste hanno un riscontro, terribile per molti punti di vista e, per citarne solo due, basti guardare la bassissima copertura delle borse di studio, meno del 50% è la media nazionale, con esempi altrettanto peggiori: A.Di.S.U. Puglia, quest’anno, ha coperto economicamente solo il 30% delle borse di studio assegnate per l’anno 2012/2013, dopo che la tassa regionale è stata aumentata del 100% e dei fondi messi a disposizione dalla Regione.

    I L.L.P. (Lifelong Learning Programme, programma d’azione comunitaria nel campo dell’apprendimento permanente, che ha competenze su Comenius, Erasmus, Leonardo e Socrates) non bastano più. I Fondi Sociali Europei ormai sono diventati vitali per portare avanti attività fondamentali all’interno delle scuole. I corsi PON, laboratori e attrezzature sono ormai frutto di fondi europei, tanto desiderati e tanto richiesti dalle scuole, soprattutto, nel particolare, quelle italiane.

    Ovvio dirvi che io non ci sto e che dobbiamo essere uniti, negli intenti di ricostruzione e non nel lanciare le pietre e prendersi a bastonate con i poliziotti. Quello è vandalismo, non Rivoluzione.

    Rise UP!

  • Bandiere dell’UE e della Lombardia bruciate, atti da emarginare che mettono in cattiva luce le istanze che gli studenti portano nelle piazze del Paese.

    Leggo, con angoscia, che durante le manifestazioni di ieri, 12 ottobre, da parte degli studenti, si siano consumate vicende non da paese democratico e civile: bandiere bruciate, sia a Roma, che a Milano, rispettivamente, a finire al rogo sono state quelle dell’Unione Europea e a Milano soprattutto quelle della Regione Lombardia.

    La bandiera è un simbolo che va oltre un metro di stoffa e un’asta, la bandiera rappresenta un popolo, un progetto, a cui tutti apparteniamo e da cui non possiamo distaccarci, perchè sarebbe contro la cultura democratica e politica che sin dall’Assemblea Costituente venne delineata nel nostro Paese, per non parlare dell’importanza di un progetto comune tra gli stati europei, per una situazione di pace e collaborazione, risultato avidamente cercato nella Storia, dopo due conflitti mondiali che hanno devastato territori, popolazioni e dignità delle nazioni coinvolte.

    Che sia la bandiera dell’UE o quella della Regione Lombardia, non fa la differenza: pensare che il simbolo di una regione, dietro cui ci sono non Formigoni, Zambetti e gli altri inquisiti e condannati del Consiglio Regionale, ma cittadini che dietro quel simbolo si riconoscono. Si riconoscono, non come mero atto politico-scissionista (vedi Lega), ma come collettività che concorre allo sviluppo sociale ed economico della Nazione. Stessa cosa vale per quella Europea. C’è un Europa dell’austerity e c’è un Europa dello sviluppo, della cultura e dell’Erasmus “senza se e senza ma”. (altro…)


  • Mi sono chiesto quale sia la motivazione di base che dovrebbe spingere tutti gli studenti del nostro Paese a non lasciarsi trascinare da questa situazione devastante che travolge l’istruzione pubblica. Da una parte, la rivendicazione di un sistema di formazione pubblico, che abbraccia sia i percorsi di studi di ogni ordine e grado, ma anche la formazione professionale, essenziale per poter accedere al lavoro e quindi di essere competitivi sul mercato. Dall’altra parte, non può non esserci la rabbia nel vedere un diritto, quello di studiare, che di norma dovrebbe essere garantito, in un paese come il nostro, ma che viene deriso e preso di mira nel momento in cui c’è la necessità di tagliare fondi, per “il bene della finanza”. Come ci sentiremmo se qualcosa che ci appartiene venisse compromesso da un “esterno”, da chi ha usufruito, tempo addietro, delle stessa cosa, ma in modo più facile, perchè magari collocato in periodo storico meno travagliato e pieno di problemi, come quello attuale? Personalmente non riterrei quell’individuo autorizzato a condizionare la mia vita e il mio percorso. Stesso ragionamento deve essere fatto per la scuola e l’università: non possiamo più assistere alla distruzione di migliaia di speranze, di ragazze e ragazzi che vogliono studiare, che hanno la passione per quello che fanno, ma che purtroppo per una questione puramente burocratica, non riescono ad accedere a borse di studio, vedono la propria vita universitaria sconvolta da un drastico aumento delle tasse, a causa di un governo di professori universitari (precisiamolo), che hanno in testa una loro idea di università e di scuola pubblica totalmente distanti dalle esigenze degli studenti. L’idea che uno Stato possa mettere i bastoni tra le ruote alle proprie giovani generazioni è qualcosa di surreale. In Italia tutto è surreale, basta mettere a confronto il Bel Paese con gli altri stati europei. L’Europa non deve essere semplicemente oggetto di confronto in ambito economico, ma si deve osservare, comprendere e unificare un modo di intendere il diritto allo studio come necessaria condizione per considerare una nazione, democratica, fondata su principi di uguaglianza. Il feticismo politico sull’istruzione pubblica deve finire, non è possibile vedere stravolto l’assetto delle scuole e delle università ad ogni cambio di governo. I consigli di rappresentanza studentesca nazionali devono svolgere un ruolo fondamentale. Si abbatta quella impossibilità di dialogare con le istituzioni e si sviluppi un sistema per rendere le riforme importanti, condivise, frutto di collaborazione generazionale e non come una battaglia politica di “ultra-adulti” adepti all’idea che il sistema formativo sia il modo per condizionare intere generazioni a proprio favore. Sarà impossibile ottenere qualcosa di buono, senza l’intervento dei diretti interessati. Ecco perchè gli studenti medi e universitari devono unirsi per far fronte a questa mancanza della politica italiana. Le riforme devono essere frutto di un’unione di idee, progetti ed esperienze sul campo. Non fermiamoci e andiamo avanti. Il futuro ci attende, ma non possiamo vivere il presente da spettatori.

  • Dalle pagelle scolastiche on line al taglio dei finanziamenti agli enti di ricerca, passando per le tasse universitarie. La Spending review “colpisce” anche scuole, università e ricerca, ma non com’era previsto nelle prime bozze del documento. L’azione “sotterranea” dei sindacati e di singoli gruppi ha addolcito l’amara pillola della revisione della spesa che mira a razionalizzare le risorse dello stato ed evitare il default. Alcune delle misure più dure sono state cancellate o modificate nelle ore successive alla conclusione del consiglio dei ministri di ieri mattina ed ora è possibile fare, con il decreto pubblicato in gazzetta, un primo resoconto di tutti i provvedimenti che riguardano scuola università e ricerca scientifica. Alla fine, il ministro dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca, Francesco Profumo, è riuscito a limitare i danni.

    Scuola. La novità più importante per alunni e famiglie riguarda la pagella e l’iscrizione all’anno scolastico 2013/2014. A decorrere dal prossimo anno scolastico “le iscrizioni alle istituzioni scolastiche statali di ogni ordine e grado per gli anni scolastici successivi avvengono esclusivamente in modalità on line” attraverso un apposito applicativo che il ministero metterà a disposizione delle scuole e delle famiglie. Sempre da settembre, “le istituzioni scolastiche ed educative redigono la pagella degli alunni in formato elettronico”. Addio per sempre, quindi, alla vecchia pagella cartacea. “La pagella elettronica – recita il decreto – ha la medesima validità legale del documento cartaceo ed è resa disponibile per le famiglie sul web o tramite posta elettronica o altra modalità digitale”.

    I genitori che volessero comunque una copia cartacea del documento dovrà farne specifica richiesta alla scuola. Ma il processo di dematerializzazione lanciato dal governo riguarderà anche i docenti e gli alunni. “A decorrere dall’anno scolastico 2012/2013 le istituzioni scolastiche e i docenti adottano registri on line e inviano le comunicazioni agli alunni e alle famiglie in formato elettronico”. Non sarà più possibile per gli alunni somari nascondere i brutti voti e le assenze ai genitori né contraffare la firma in pagella. Per attuare questa mezza rivoluzione, le scuole dovranno organizzarsi “con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. Insomma, niente soldi in più per le scuole per la “rivoluzione on line”.

    Docenti in esubero. Novità in vista anche per i docenti esubero, per quelli permanentemente inidonei per motivi di salute, per i cosiddetti insegnanti tecnico-pratici e per gli insegnanti italiani che insegnano all’estero. Per i docenti che a seguito della riforma Gelmini hanno perso la cattedra ( in esubero) si aprono le porte delle supplenze anche di qualche giorno. In questo modo il governo intende evitare che qualcuno dei 10 mila insegnanti in esubero possa rimenare “disoccupato” ma ugualmente pagato dallo stato. A settembre, i docenti senza cattedra verranno utilizzati, in ambito provinciale, sulle supplenze che sarebbero dovute andare ai precari. Coloro che sono in possesso del titolo di specializzazione su sostegno o che hanno iniziato il percorso di formazione potranno avere accesso anche alle supplenze di sostegno.

    I docenti che per motivi di salute non possono più insegnare saranno “declassati” d’ufficio ad Ata: amministrativi e tecnici di laboratorio. I docenti tecnico-pratici, la cui figura è stata abilita nel 1994, e coloro che sono transitati dagli enti locali allo stato con una qualifica diversa da quelle previste dall’ordinamento statale, “transita (anche questi ultimi d’ufficio) nei ruoli del personale non docente con la qualifica di assistente amministrativo, tecnico o collaboratore scolastico, in base al titolo di studio posseduto”. Inoltre, il contingente del personale docente comandato presso il ministero degli Affari esteri verrà ridotto da 100 a 70 unità e i 1.400 insegnanti italiani in forza nelle scuole italiane all’estero vengono più che dimezzati: passeranno a 624.

    Con queste tre manovre, la scuola italiana avrà più docenti, amministrativi, tecnici e bidelli e potrà evitare di pagare supplenti per la copertura dei corrispondenti posti. Ma non solo. I bilanci delle scuole verranno tenuti sottocchio attraverso una disposizione di cassa che costringerà le scuole a versare presso la Banca d’Italia i propri fondi e a non intrattenere più singoli rapporti con singole banche. E le supplenze brevi – da un giorno a qualche settimana, ma in casi eccezionali anche tutto l’anno – saranno soggette ad un monitoraggio per scovare le “istituzioni che sottoscrivono contratti in misura anormalmente alta in riferimento al numero di posti d’organico dell’istituzione scolastica”.

    Un intervento “pesante” soprattutto quello sui docenti che insegnano all’estero “da sempre importante fattore di presidio della cultura italiana nel mondo”, a parere di Francesco Scrima, leader della Cisl scuola, che “manterrà comunque alta la vigilanza e l’iniziativa nella fase di conversione in legge del decreto, convinta che la concertazione con le parti sociali e le sedi negoziali devono essere fortemente valorizzate se davvero si vuole un’efficace revisione della spesa, e non un’ottusa e ingiusta politica di tagli lineari”. Per la Flc Cgil il decreto sulla spendine review è la solita “mannaia sui servizi pubblici” a carico dei cittadini e del lavoratori.

    Stretta sui compensi ai “vicari”. Infine, stretta anche sui compensi ai vicari dei dirigenti scolastici. Fino a quest’anno, i vicepresidi o i vicari delle scuole elementari e media, per assenze del dirigente scolastico superiori a 15 giorni, percepivano la cosiddetta retribuzione per “mansioni superiori”. E siccome il preside va in ferie in estate per più di due settimane, il compenso scattava per tutti e 10 mila vicari in forza nelle scuole italiane. Ma l’anno prossimo cambia tutto. Al vicario non spetterà più questo compenso, potrà essere remunerato per le sue fatiche aggiuntive soltanto con i soldi del fondo d’istituto. E per le visite fiscali, il ministero ha stanziato 23 milioni di euro che ripartirà alle regioni che non dovranno più chiedere alle scuole il pagamento delle visite di controllo in caso di malattia.

    Università. Anche l’università entra nella Spending review e gli studenti sono sul piede di guerra. Al centro della contesa, quelle università che sforano il tetto massimo di tassazione universitaria a carico degli studenti. Come anticipato da Repubblica alcune settimane fa, le università che sfornano il 20 per cento previsto dalla legge – fra “contribuzione studentesca” e fondo di finanziamento ordinario – sono tantissime – il 59 per cento – e in alcuni casi, come è avvenuto a Pavia, il giudice ha condannato l’ateneo a restituire il maltolto agli studenti. Ma dal prossimo anno le cose cambieranno.

    In futuro, il conteggio della “contribuzione studentesca” sarà effettuato prendendo in considerazione soltanto quello che verseranno gli studenti italiani e comunitari iscritti entro la durata normale dei diversi corsi di studio. Non verranno conteggiate le tasse versate i fuori corso, che oltre ad ammontare al 40 per cento del totale degli iscritti sono quelli che sborsano di più. Ma non solo. Il denominatore del rapporto tasse versate dagli studenti/Fondo di finanziamento ordinario cambierà con il più favorevole “trasferimento statale”, che include altre somme. Per gli studenti si tratta di “una truffa”. Perché limitando il conteggio delle tasse versate ai soli studenti in corso e dilatando il finanziamento complessivo sarà difficile che le università continuino a sforare il 20 per cento. E tutto “ritorna a posto”.

    Le università che dovessero comunque sforare saranno tenute a trasformare gli introiti “non dovuti” in borse di studio. Circostanza che viene definita dagli studenti come una “beffa”. “Una sanzione – spiega Luca Spadon, portavoce nazionale Link – Coordinamento universitario – che sa di beffa e che risulta essere  un ulteriore assist ai rettori per continuare a far pagare agli studenti gli effetti dei tagli operati dalla legge Gelmini e mai ristorati da questo Governo”. Ma almeno il paventato taglio di 200 milioni sul Fondo di finanziamento ordinario è sparito. Ma la nuova norma, secondo gli studenti, “apre ad una pericolosissima liberalizzazione delle tasse e dei contributi universitari, come già in passato richiesto e sostenuto dalla Crui e da alcuni partiti italiani”.

    Per l’Unione degli studenti, che hanno patrocinato decine di ricorsi al Tar per costringere gli atenei a restituire le tasse pagate in più, quello del governo Monti è un “omicidio premeditato dell’università pubblica”. “Siamo il terzo paese per tasse universitarie in Europa – dichiara Michele Orezzi – e nonostante questo il Governo punta a cancellare il limite della tassazione e consentire aumenti sconsiderati dei contributi pagati dagli studenti. La verità è che se fino ad oggi gli studenti potevano fare ricorso per bloccare gli atenei con tassazioni eccessive, ora l’unico vincolo per le università fuori legge sarà quello di destinare dei fondi a qualche borsa di studio, neanche necessariamente per studenti capaci e meritevoli ma privi di mezzi”.

    Assunzioni. E all’università sarà possibile assumere ma con parsimonia. “Per il triennio 2012/2014 il sistema delle università statali, può procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato e di ricercatori a tempo determinato nel limite di un contingente corrispondente ad una spesa pari al venti per cento di quella relativa al corrispondente personale complessivamente cessato dal servizio nell’anno precedente”. Una quota che sale al 50 per cento nel 2015 e al cento per cento nel 2016. Del previsto taglio del trasferimento alle università private non sembra esserci traccia nel decreto, mentre spuntano 90 milioni per il diritto allo studio universitario falcidiato dal governo Berlusconi negli anni precedenti.

    Ricerca. A guardare il testo definitivo del decreto-legge sulla revisione della spesa pubblica c’è da tirare un respiro di sollievo. L’ipotesi di sopprimere una serie di istituti di ricerca è stata al momento scongiurata. L’unico istituto che verrà soppresso è l’Inran (l’Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione). Le sue finzioni saranno assorbite dall’Cra: il Centro per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura. L’Inran fino ad oggi ha svolto “attività di ricerca, informazione e promozione nel campo degli alimenti e della nutrizione ai fini della tutela del consumatore e del miglioramento qualitativo delle produzioni agro-alimentari”, si legge nel sito internet. Ma, se parecchi istituti di ricerca restano in piedi, arrivano tagli – relativi ai soli istituti dipendenti dal ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – per 19 milioni nel 2012 e 102 milioni per il biennio 2013/2014.

    Sarà l’Istituto nazionale di Fisica nucleare (meno 9,1 milioni nel 2012 e 24,4 nel 2013 e nel 2014) il più penalizzato. Segue, nella classifica degli istituti di che contribuiranno di più al risanamento del bilancio dello stato, il Cnr che complessivamente 38 milioni di euro in tre anni. E i tagli ai budget colpiranno tanti istituti: l’Agenzia spaziale italiana, l’Istituto nazionale di astrofisica, l’Ingv – l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia – quello di Oceanografia e geofisica sperimentale e e anche l’Invalsi: l’Istituto nazionale per la valutazione del sistema d’istruzione. In tutto, il taglio sui bilanci dei centri di ricerca – anche quelli dipendenti da altri ministeri – ammonterà a 210 milioni.

    [da Repubblica.it]

  • La riforma sul merito, del ministro Profumo, ha molti aspetti oscuri: nella scuola superiore si vuole premiare il merito attraverso “l’elezione dello ‘studente dell’anno’”, con 30% di sconto sulle tasse del primo anno universitario con, in più, una card per sconti di diverso tipo. Come se non bastasse, premi per i docenti e ricercatori universitari. Le risorse passano dagli studenti ai docenti, già stipendiati. Mi chiedo cosa abbia intenzione di fare il Ministro in merito alle borse di studio ancora non consegnate e alla scarsissima copertura delle stesse, in riferimento al numero di studenti con diritto di borsa di studio. Ognuno faccia il suo dovere. Gli studenti sono il fulcro delle scuole e delle università, le riforme devono toccare i loro interessi, devono migliorare la loro vita studentesca, colpendo gli agenti frenanti e degradanti della stessa – assenteismo, poca professionalità, servizi scadenti, assistenza zero, poca preparazione del personale amministrativo.
    Le domande che mi pongo, inoltre, riguardano casi particolari: come interviene il Ministero, su un ragazzo, con problemi economici – che non gli fanno vivere la vita da studente con armonia e tranquillità necessari per concentarsi sugli studi -, ma soprattutto con dei genitori che superano di pochissimo il reddito minimo per accedere alle borse di studio? Ma non basta: e se a tutto questo aggiungiamo un ragazzo meritevole, ma che non raggiunge di un punto, la media richiesta per accedere al merito? Una riforma deve prevedere tutto, non solo i casi “eccellenti”, considerando che qualcuno di questi potrebbe essere fittizio.