• Quando Bari è diventata un’ossessione nazionale

    Il 19 aprile del 2000, a Bari, accade un fatto che scatena il folklore nazionale

    25 anni fa, precisamente il 19 aprile del 2000, a Bari è una sera di inizio primavera come tante altre. Non piove, ci sono all’incirca 13 gradi, ma l’umidità si fa sentire. Ho controllato.

    Nonostante la normalità climatica, se così vogliamo dire, a Bari l’aria è frizzante. E lo è da un po’ di tempo. Da qualche mese, quantomeno.

    A cavallo tra gli anni ‘90 e gli anni 2000, le persone partecipano con pathos a un rituale che li accumuna, dalle Alpi alle coste più a sud della Penisola. Il Gioco del Lotto. Un gioco con origini antichissime, che esiste da prima dell’Unità d’Italia.

    C’è pathos perché il Lotto lo si vede in TV. C’è un programma televisivo su Rai2 che si chiama Il Lotto alle Otto, con milioni di spettatori. Lo conduce prima Massimo Giletti, poi Tiberio Timperi, insieme a Francesco Salvi, Flavia Vento e Stefania Orlando. Tutti nomi che oggi appartengono al passato, al presente o al trash della TV generalista italiana. Fate voi gli abbinamenti che ritenete.

    Quel 19 aprile del 2000, con il clima timidamente primaverile, a Bari c’è la consueta estrazione del Lotto. Al Palazzo delle Finanze, in Piazza Massari, accanto al Castello Svevo, c’è una stanza tutta illuminata che si prepara a ospitare quel rito che, di lì a poco, renderà noti i nuovi numeri estratti sulla ruota di Bari.

    L’estrazione del Lotto si svolge in questo modo: c’è un’urna in acciao tutto dorato, su di un piedistallo, con ai piedi uno sgabello. Di fronte all’urna, delle poltrone. Per chi vuole assistere. Perché l’estrazione è pubblica e possono vederla tutti, con i propri occhi. A scanso di equivoci e complotti. A estrarre i bossolotti di acciaio freddo – che contengono i numeri fortunati – c’è un bambino. Bendato. Come la dea Fortuna. Scortato ai lati da due agenti della Guardia di Finanza e controllato a vista da funzionari e dirigenti dello Stato. Uno di questi ultimi, poi, ha una campanella che viene suonata per dare il via all’estrazione. E l’urna comincia a girare, il bussolotto estratto e il numero annunciato. Così per cinque volte.

    Quel giorno, il 19 aprile del 2000, a Bari l’aria è fresca. Quella frescura tipica di una primavera che si annuncia. Ma l’umidità è alta. 82% ho controllato. Fresca, ma anche frizzante. Perché da 167 estrazioni (cioè da 82 settimane, circa 1 anno e mezzo) c’è un numero che non si fa vedere. Lo chiamano “numero ritardatario” e, quando succede, comincia a dare nell’occhio e tutti corrono a scommettere sulla sua uscita.

    Quel numero è il 31. Il 31 sulla ruota di Bari. E tutta Italia è lì che aspetta e osserva e un po’ spera che quel numero finalmente esca. Perché dai, il calcolo delle probabilità varrà qualcosa!


  • La Fondazione

    C’è un libro, La Fondazione. Di Raffaello Baldini. Ecco. Questo libro, c’ho messo un secolo a trovarlo. Non si trovava da nessuna parte. E come faccio? Dove lo trovo? Cerca su internet, ma niente. Cerca nelle librerie, ma niente. Cerca nei mercatini, ma niente. Non si trova.

    Raffaello Baldini, foto di Simone Casetta (Tutti i diritti riservati)

    La fortuna di avere una compagna librovora, nel senso che i libri se li mangia proprio, più delle verdure senza dubbio, mi ha aiutato. Grazie a lei sono riuscito a trovarlo. Il libro. L’ho ricevuto e l’ho letto subito. Non c’era tempo da perdere, dopo tutto quello che avevo speso nel cercarlo. Che facevo? Lo tenevo sul comodino? Peggio, nella libreria? No. E poi è piccolino. Che ci vuole.

    Ecco, il libro è un’opera teatrale. Un monologo. Un flusso di coscienza di un uomo romagnolo che si trova a ragionare sulla vita e sulla morte, su ciò che c’è ora e ciò che rimane quando non si è più su questa terra. Ecco, io, le domande su ciò che è e ciò che resterà me le pongo. Anche adesso che c’ho 30 anni. 31, per l’esattezza. Quasi 32, per essere onesti. Mancano pochi mesi. Se Dio vuole.

    L’uomo, il protagonista, ha tratti di follia (chi non li ha?) e raccoglie oggetti, di qualunque tipo, ovunque. Casa sua è un deposito di cose. Cose che sono state raccolte con minuziosità. Con scientificità. Per riconoscere loro un valore, più di quello che viene riconosciuto con il loro uso quotidiano. E cosa succederà a queste cose, quando il suo collezionista/curatore non ci sarà più e magari si sarà reincarnato in una mosca o in una tigre? Tutto buttato. Eh no! Come si permettono a buttar via gli sforzi di una vita? Eh, no! Oh! Non scherziamo!

    Ecco. Il protagonista decide che, forse, è il caso di metter su una fondazione. A questo punto. Una fondazione che raccolga tutto ciò che è stato raccolto a suo tempo e lo preservi e che conservi la testimonianza della vita del suo donatore. Che lo faccia vivere dopo la sua vita.

    Raffaello Baldini (Sant’Arcangelo di Romagna, 24 novembre 1924 – Milano, 28 marzo 2005), che ho conosciuto grazie all’ultimo libro di Paolo Nori, Chiudo la porta e urlo (Mondadori, 2024), è stato un poeta e uno scrittore. Ecco. Baldini, tra le altre cose, ha scritto opere teatrali anche grazie alla spinta di Ivano Marescotti (Bagnacavallo, 4 febbraio 1946 – Ravenna, 26 marzo 2023). Marescotti, romagnolo anche lui, che la Fondazione l’ha portata a teatro.


  • Auguri!

    Che poi, una volta, gli auguri si facevano con gli sms o con una telefonata. Poi con i messaggi su WhatsApp. Auguri, vecchio! Quando offri?

    Facebook ci ha ricordato i compleanni di tutti, anche di quelli di cui c’eravamo completamente dimenticati. E ci ha salvato la faccia. Ammettiamolo.
    Ora non dobbiamo neanche più preoccuparci di scrivere il messaggio, di scegliere l’emoticon. Se metto la faccina che sorride troppo sembro stronzo? Meglio il sorriso stitico.

    Neanche più questo.

    Auguri, vecchio! 👴🏻 @mettere in evidenza


  • Meno male che ci sono gli altri

    Matteo Hallissey ha 21 anni. Segretario nazionale dei Radicali Italiani e dall’9 febbraio scorso è il nuovo Presidente nazionale di +Europa.

    A Matteo faccio i miei auguri di buon lavoro. Lo seguo da tempo e gli ho sempre riconosciuto una gran voglia di fare. Del resto, è una particolarità non tanto rara nelle ragazze e nei ragazzi che fanno politica per passione.

    Nel Partito Democratico, purtroppo, questa sarebbe (ed è) pura fantascienza. A 21 anni, nel PD, provano ancora a spiegarti che bisogna fare la gavetta. Che a quell’età bisogna sporcarsi le mani con la colla, prendere la mazza e il secchio e attaccare i manifesti. Quegli stessi manifesti che hai già cominciato ad attaccare da 6 anni prima, da quando avevi 14 anni ed eri – sì – appena entrato nel Partito.

    Ecco. È così. Che poi, se è i manifesti fossero i propri tanto bastava. Eppure no. Perché sono quelli del candidato che corre per la sua 3ª, 4ª o 5ª legislatura (e mi fermo qui nella progressione).

    Che dire. Noi guardiamo, mentre continuiamo a sentirci dire che “bisogna ascoltare le giovani generazioni”. E certo. Ascoltare. Mica coinvolgere. Mica responsabilizzare.

    Eeeeh! Guarda che di giovani candidati ed eletti ce ne sono nel PD!
    Pochi. Troppo pochi. Una rondine non fa primavera. Qui siamo ancora con le coperte e i fiori tardano a sbocciare. Eeeeh!


  • M

    Ho appena terminato la visione di M – Il figlio del secolo, la serie TV sull’ascesa di Benito Mussolini e del Regime fascista.

    Guardando alcune scene, ho avuto una sensazione terribile. Il linguaggio utilizzato non era molto diverso da quello che si sente e si legge oggi. Questo, per certi versi, lo sapevamo già. O almeno avremmo dovuto saperlo già. Oppure lo sapevamo ma ogni tanto ce ne dimentichiamo.

    La governabilità artefatta, la sicurezza millantata, la subalternità del Parlamento, l’inadeguatezza della classe politica. Chiudere gli occhi e ascoltare certi discorsi ti fa credere di star guardando una puntata di Dimartedì. Non una serie TV sul Fascismo. Eppure.

    Chissà se queste sensazioni facciano svegliare le coscienze o sé, come temo, si limiteranno a qualche enfasi davanti ad una birra. E poi nulla più.

    In ogni caso, un Marinelli magistrale. Attendiamo le altre stagioni. Anche se ne conosciamo già il finale.


  • Un paese ci vuole

    Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.

    Cesare Pavese (La luna e i falò)
    Rappresentazione in fumetto di un passo de "La luna e i falò" di Cesare Pavese.
    Marco D’Aponte & Marino Magliani – La luna e i falò • Tunué, Latina 2021

  • Un abbraccio lungo 80 anni

    In occasione delle celebrazioni del Giorno della Memoria, il Presidente della Repubblica ha conferito la medaglia d’onore ad Antonio Gnasso (101 anni), ex internato e deportato prima nel campo di prigionia a Meppen poi nel campo di lavoro di Neuhausen.

    E più della medaglia, vale questo abbraccio.


  • Immunocipresso

    Immunocipresso

    Questa mattina, per le strade del centro di Roma, due uomini passeggiano parlando tra loro:

    Persona 1: Comunque porello si è andato a cacciare in un bel guaio!
    Persona 2: Già! Che poi è pure…come si dice…
    Persona 1: Cosa?
    Persona 2: Quando non hai difese immunitarie
    Persona 1: Ah! Immunocipresso!
    Persona 2: Eh! Bravo, quello!

    Ecco, riporto questo breve scambio tra luminari solo per dirvi che forse – forse – torno. Perché uno spazio ci vuole. Pavesianamente.