Categoria: Politica

  • Partendo dalle esperienze di tutti noi, la salute mentale può trovare la sua giusta narrazione. Bistrattata dai più, ritenuta come il “male del secolo” da altri o, peggio, una “devianza” da combattere con lo sport e le attività culturali.

    L’idea che abbiamo delle cose può condizionare il nostro approccio con loro, e questo vale anche rispetto ai problemi del nostro tempo.

    Vorrei provare a raccontare la salute mentale partendo dalle esperienze di chi la vive quotidianamente, nella sofferenza o nel più generale disorientamento che un disturbo psichico può generare. Sia chiaro, dobbiamo intendere come disturbo psichico qualsiasi cosa che contrasti con il nostro benessere psicologico: dall’ansia agli attacchi di panico, dalla depressione all’hikikomori, dalle fobie ai disturbi alimentari.

    Ringrazio, sin d’ora, chi vorrà partecipare a questa indagine. Non potrò sapere chi sarete (è anonimo e tale restarà). Ma se parteciperete in molti, mi sarà possibile realizzare un progetto editoriale che spero possa essere di aiuto a moltissime persone. Alcune vostre storie, infatti, potrebbero diventarne protegoniste, cercando di analizzare alcuni aspetti che potrebbero essere utili a chi, allo stesso modo, vive un’esperienza simile. Perché anche il convincere una singola persona a rivolgersi ad un professionista della salute mentale, per me significherebbe molto.

  • Sabato scorso, a Roma, abbiamo ridato dignità alla Politica. Eravamo più di 600 persone, tutti con le nostre esperienze e le nostre passioni sulle spalle. Ho avuto il grande onore di contribuire alla sua riuscita, prima con l’organizzazione e poi con il mio intervento sul tema di cui mi occupo da più tempo: la comunicazione politica.

    Il Partito Democratico ha sempre avuto una relazione difficile con la comunicazione, ma cospargersi il capo di cenere non ci porterà da nessuna parte. Bisogna ricostruire tutto, anche il modo con cui decidiamo di pensare e comunicare. Serve approfondire i problemi, studiarli a fondo.

    Bisogna ponderare ogni parola perché le parole sono lo strumento fondamentale per raccontare l’idea di Paese che immaginiamo e per la cui realizzazione ci candidiamo ad ogni livello.

    Nelle mie parole troverete un po’ di emozione. Quell’emozione che mi ha portato a commettere – beffardamente – due errori di comunicazione: l’esempio non era “dinamico” ma “virtuoso” (vai a sapere la mia mente come li ha associati tra loro) e l’uso del termine “patologie” al posto di “disturbi” in relazione alla salute mentale. È giusto chiamarli disturbi e non altro, perché le patologie sono altra cosa e le parole servono anche a riconoscere la vera natura delle cose.

    Grazie a tutti. Mi sono sentito a casa mia. #CoraggioPD

  • Oggi sono a Napoli, per il primo incontro nazionale dei Giovani Democratici.
    Che bello ritrovarsi dopo tutto questo tempo. Il COVID ci ha impedito di rivederci di persona. Oggi, quella condizione è definitivamente caduta.
    La nave dei GD ha navigato in acque agitate, negli ultimi 2 anni ed oggi siamo arrivati in un porto che non può dirsi sicuro se non in presenza dell’impegno di tutti.
    Da oggi, quell’impegno conta e ognuno di noi sarà fondamentale.

    Da ultimo, ma non certo per importanza, un grazie di cuore a chi ci sta ospitando: i Giovani Democratici. A loro e ad Ilaria Esposito e Francesco Yuri Forte il nostro grazie. A Caterina Cerroni e Raffaele Marras l’augurio di buon lavoro.

  • Ho iniziato a collaborare con un nuovo progetto editoriale. Si chiama FAUNA ed è una creatura di RAW festival, un incubatore culturale.

    Qui lo potete sfogliare, accarezzare con gli occhi e, se volete, potete anche leggere il mio contributo (pag. 62 del magazine).

  • Li capisco quelli che si fanno i selfie dopo aver fatto il vaccino. Ancor di più, li capisco dopo oggi, giorno in cui – dopo alcune necessarie procedure burocratiche – sono riuscito a prenotare il vaccino anche io (lo farò a Roma, allo Spallanzani, luogo simbolo della lotta al Covid-19, dove la battaglia contro questo virus ebbe inizio, grazie ai suoi valorosi ricercatori e medici).

    Da quando ormai avere uno smartphone in tasca è cosa di tutti (o quasi), il selfie è un’azione tanto quotidiana quanto spontanea, soprattutto nei momenti di felicità, in cui siamo con persone a cui vogliamo bene o quando stiamo bene noi, a prescindere da chi ci circonda. Ecco, allora perché non farci un selfie mentre ci somministrano il vaccino, momento così importante per riprendere in mano la nostra vita? E, soprattutto, perché non possiamo immortalare un momento che ci rende davvero felici?

    Scettici e brontoloni a parte, per tutti coloro che hanno deciso di vaccinarsi – soprattutto per le ragazze e i ragazzi che hanno affollato gli HUB – ricevere una dosa di vaccino anti-Covid significa dare un calcio in culo al ricordo terribile dell’ultimo anno e mezzo. Ma allora, perché non immortalarlo?

    Ecco, forse per la prima volta, i social network ci permettono di amplificare un nostro grido di felicità: finalmente ci siamo! Ce l’abbiamo fatta! L’incubo sta finendo! Viva la scienza, il progresso tecnico-scientifico e tutti coloro che hanno permesso, in così breve tempo, di ottenere dei vaccini efficaci contro un nemico che non dimenticheremo mai!

    Senza dimenticare, infine, che viviamo in un Paese libero, dove ognuno può fare quel che vuole: farsi un selfie dopo il vaccino; non farselo; o scriverne a riguardo un post sul blog.

    In ogni caso, vacciniamoci e siamo felici per questo.

  • Non è la prima volta che parlo, sul blog, del Congresso dei Giovani Democratici, l’organizzazione giovanile del Partito Democratico. Chi segue quello che scrivo sa che ad inizio anno avevamo avviato il III Congresso nazionale che avrebbe portato, di lì alla prima metà del 2020, al rinnovamento di tutte le cariche politiche, dai circoli al nazionale. Poco dopo, la catastrofe del Covid-19 e il tanto obbligato quanto necessario arresto delle operazioni congressuali, in linea con le disposizioni delle Autorità competenti.

    Passata la tempesta della pandemia – che di certo non ha risparmiato nessuno in termini di tensione, fatica e difficoltà di ogni tipo – eccoci con il desiderato tentativo di recuperare la normalità che avevamo lasciato fuori dalle nostre case, durante la quarantena. Qualcuno, però, ha pensato bene che la normalità dovesse coincidere con l’ansante tentativo di tutelare gli interessi di una piccola parte e che le esigenze di un’intera comunità politica fossero meno importanti di quella di assicurare un posto al sole a chi, in questi anni, ha sempre riflesso di luce non propria. Parlo di coloro che sono seduti comodamente negli uffici di partito, nelle segreterie di qualche istituzione locale o nelle stanze dello staff di presidenti, onorevoli, assessori e ministri. Parlo di coloro che in questi anni hanno dimostrato di non sapere assolutamente cosa significasse guidare una comunità politica. Gli stessi che hanno preso in faccia la porta girevole della Storia, incapaci di conoscerne il meccanismo anche dopo anni da uscieri. Insomma, la solita vecchia trama che tanto ci indigna quando ha come protagonisti gli altri, ma che diventa parte del nostro agire quotidiano quando fa il pari con qualche interesse da dover tutelare. Soprattutto se il nostro.

    Sia inteso, “nostro” è un plurale utilizzato ai fini del racconto. Ripudio tale metodo e di certo non ne ho mai accarezzato neanche l’idea di servirmene.

    Per rendere più chiara e definita la vicenda di cui vi parlo, tenete presente questo piccolo particolare: l’emergenza non è ancora finita e alcuni territori sono ancora circondati da grandi incertezze e necessità che vanno ben oltre quelle di un congresso politico. Ovviamente, queste rientrerebbero in quelle “esigenze di un’intera comunità” di cui parlavo poc’anzi e che di certo non sono state prese in considerazione dall’attuale dirigenza del Partito Democratico che, invadendo il campo come uno scellerato durante una partita di calcio con la maglia “guarda mamma sono in TV”, sguinzagliando qualche segugio ha pensato bene di rendere il III Congresso nazionale dei Giovani Democratici una mera formalità, svilendo non solo l’essenza politica dello stesso, ma contraddicendo le teorie che la medesima dirigenza del Partito Democratico ha utilizzato come testa d’ariete fino a qualche tempo fa, volendo puntare tutto sulle idee e sui programmi. Ve lo ricordate il “Congresso delle idee” tanto voluto da Zingaretti? Ecco, il segretario qualche mese fa, nel lanciare ufficialmente l’iniziativa del congresso straordinario, esordiva con queste parole:

    Ci serve un partito plurale, ricco di aree di pensiero, solidale, che dia valore e dignità agli iscritti, che li renda protagonisti dei processi decisionali. È un processo che deve fare dei passi avanti. Anche questo nuovo partito non può bastare. Il Pd deve avere una vocazione maggioritaria e indicare una direzione, senza avere una tendenza onnivora, cannibalizzando gli altri.

    Che dia valore e dignità agli iscritti. Valore. Dignità. Agli iscritti. Per non parlare del tanto teorizzato obiettivo di renderli “protagonisti dei processi decisionali“. Ecco, io sono d’accordo con Nicola Zingaretti. Ecco perché l’ho sostenuto fermamente durante l’ultimo congresso del PD ed ecco perché sono convinto che lo stesso ascolterà quello che io oggi qui riporto ma che è la sintesi della sintesi della voce di tutti coloro che, invece, nei Giovani Democratici ci credono e che nel Congresso in corso puntano per ridare dignità e valore alla propria Comunità, tanto da riportare i GD ad essere protagonisti dei processi decisionali.

    Ma come possono i Giovani Democratici tornare protagonisti se costretti a celebrare i propri congressi in due settimane (entro la prima settimana di agosto), senza discussioni, con l’affanno di finire tutto in tempo e pregando che qualcuno sia ancora in città e che non sia – legittimamente – andato in vacanza, dopo un anno così duro? Come è possibile che, ancora oggi, circolino telefonate e missive che abbiano il solo obiettivo di vituperare i Giovani Democratici, impedendone il regolare processo democratico di selezione del proprio gruppo dirigente? Come è possibile che, nel 2020, una donna come Caterina Cerroni, che è storia umana nella storia della nostra comunità politica, debba fronteggiare ostacoli di questo tipo che le impediscano di raccogliere il consenso grandissimo che proviene da tutti i territori del Paese? Perché, ancora oggi, ciò accade? Perché nella nostra Comunità? Perché nei GD? Perché nel PD?

    Ecco, caro Segretario, faccia solo una cosa: chiami chi deve chiamare e fermi chi ha deciso di occuparsi dei GD piuttosto che dei problemi del Paese, della propria regione o, molto più semplicemente, che ha smesso di occuparsi di ciò per cui viene pagato per intromettersi nella vita della più grande giovanile politica del Paese con il solo obiettivo di distruggerla, impedendo che si autodetermini e che scelga liberamente chi dovrà guidarla per i prossimi anni.

    Lo faccia, caro Segretario, altrimenti non potremo osteggiare il diffondersi dell’idea che, in un momento delicato ed importante per la Storia del PD e del Paese, qualcuno abbia deciso di distruggere un patrimonio inestimabile: la propria organizzazione giovanile.
    Sono convinto che, sul considerarla un patrimonio inestimabile, saranno d’accordo anche i Ministri, i Sottosegretari, gli Onorevoli e Senatori, gli Assessori e i Sindaci del Partito Democratico che dall’organizzazione giovanile hanno iniziato il loro percorso politico. Senza dimenticare che lei stesso proviene da questo mondo, avendo militato e guidato la Sinistra Giovanile. Sono certo che il Nicola Zingaretti dell’epoca avrebbe protetto, da qualche burocrate di partito, la comunità di cui faceva parte e a cui ha dedicato una parte importante della propria vita.

    Caro Segretario, sono convinto che la sua sensibilità è tale da riconoscere come vere le mie parole e come giusto il mio ragionamento. Sono convinto che saprà proteggere i Giovani Democratici da quella piccolissima parte del Partito Democratico che scambia la politica per una partita di Risiko!

  • “Questa casa non è un ‘porto di mare’!”. Quante volte abbiamo sentito questa frase, pronunciata dalle nostre madri, magari durante una situazione di “via vai” frenetico.
    Ecco, nell’immaginario collettivo la figura del porto è associata a quella dell’apertura totale e del cammino di tante persone, di nomi e di vite.

    Pensare, oggi, che di fronte alle difficoltà della Storia, un Paese possa negare il proprio porto a gente disperata che fugge da guerre, morte e da assassini, mi fa riflettere sul senso di solidarietà che molti di noi hanno e che hanno sviluppato in momenti tragici come questi.
    Dichiararsi “Paese non sicuro” per impedire che vi possano essere sbarchi di immigrati, provenienti dall’altra parte del Mediterraneo, getta una coltre sulla dignità del nostro Paese.

    L’Italia è più di quanto viene raccontata e di quanto qualcuno vorrebbe rappresentare.

    Mentre molti di noi soffrono, perdono i propri cari e si disperano per la propria libertà messa in quarantena, dobbiamo avere il tempo di pensare a quelle vite oggi sospese sulla superficie dell’acqua, in barche di fortuna, con gli occhi pieni di salsedine e il volto scalfito dalla sofferenza, una sofferenza non meno importante e insopportabile della nostra.

    Da martedì riaprono le librerie, riaprono alcune attività. Il Paese prova a rimettersi in moto. Ma oltre a questo, dovremmo aprire i nostri cuori più di quanto non abbiamo fatto sino ad ora, per accogliere chi sa che l’alternativa alla terra ferma è il fondo del mare o una prigione intrisa dell’odore acre della morte.

  • Serve rispettare un metro di distanza tra parlamentari. Okay.
    Serve tutelare la salute dei parlamentari, come di tutti gli altri cittadini. Cosa sacrosanta.

    Palazzo Madama e Palazzo Montecitorio non riescono a garantire spazi utili per garantire le misure di sicurezza? Troviamo una soluzione alternativa.

    Il Parlamento si riunisca nei padiglioni della Fiera di Roma, di un palazzetto dello sport, in Piazza del Popolo con Fico e la Casellati su un palchetto ed un megafono.

    Insomma, si riunisca ma lo faccia al completo. No categorico ad una diminuzione arbitraria dei parlamentari attivi (pare 316). Chi li sceglie? Chi rappresenteranno? Saranno rappresentati tutti i territori in egual modo? Oppure ci sarà un criterio che tenga conto dell’incidenza del contagio in alcuni territori? Sulla base di quali principi costituzionali si effettuerebbe tale scelta?

    Diamoci da fare.

    Viva la Democrazia! Viva la Costituzione! Viva il Parlamento!
    Viva l’Italia!