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  • Walter Tocci intervistato da Radio Radicale.

  • Walter Tocci, senatore del Partito Democratico, ha annunciato le sue dimissioni da Palazzo Madama, subito dopo aver votato la fiducia al Governo, dando l’esempio sul rispetto delle decisioni del Partito, ma dando prova della sua pazienza e della sua dignità.
    Ti prego, non lo fare. Ma sappi che ti capisco e che ti sono vicino, con grande dolore per questa tua scelta che ti chiedo di rivedere
    Sei un barlume di speranza, un bagliore accecante di luce, nel buio pesto dell’attuale Parlamento. Non c’è stata una volta in cui abbia trovato un difetto in una singola parola dei tuoi tanti discorsi, dalla campagna congressuale fino ad oggi, per ultimo, quello tenuto in Senato, in occasione del dibattito sulla legge delega sul lavoro (vedi video).

    Con grande stima ed emozione, ho scelto uno stralcio del suo discorso sul Jobs Act, tenuto martedì. Il resto lo trovate qui.

    Si racconta ancora la bufala secondo cui nell’Italia di oggi un’impresa non può licenziare per motivi economici e disciplinari. Eppure, lo scorso anno ci sono stati circa 800 mila licenziamenti individuali, il 10% portati in tribunale e solo 0.3% annullati. Infatti,Il governo tecnico ha eliminato tutti i vincoli degli anni settanta, venendo incontro alle pressanti richieste degli imprenditori. Il reintegro è rimasto solo nel caso più estremo, quando cioè il magistrato constata la falsità della “giusta causa”. Se ora si cancella questa ultima garanzia un lavoratore potrà essere licenziato con l’accusa di aver rubato oppure con la giustificazione di una crisi aziendale, perfino se un processo dimostrasse che si tratta di falsità. In altre parole, per licenziare una persona diventa legittimo dichiarare il falso in tribunale. Non è flessibilità economica, ma barbarie giuridica che nega un principio generale del diritto: “Quod nullum est nullum effectum producit”. Una soglia mai varcata dal ministro Fornero – o forse dovrei dire dalla “compagna” Fornero, riconoscendo amaramente che il governo tecnico ha certo sbagliato sugli esodati ma ha difeso i diritti dei lavoratori meglio del governo a guida Pd.

    In seguito alle nostre critiche è stato riproposto il reintegro nei casi disciplinari fasulli, ma non per le false cause economiche. Questo diventerà il canale privilegiato per ottenere i licenziamenti ingiustificati. D’altronde, per svuotare un secchio d’acqua basta un solo buco, non ne servono due.
    In apparenza Renzi attacca la Camusso, ma nella realtà contesta la Fornero. Ed è curioso che l’ex-presidente del Consiglio, Mario Monti, presente in quest’aula come senatore a vita, non senta il bisogno di difendere la sua legge, che pure presentò in tutti i consessi internazionali come strumento per la crescita del Pil.

    Solo in Italia può accadere che dopo due anni si scriva un’altra legge sul lavoro, senza neppure analizzare gli effetti della precedente. È un film già visto, da venti anni la legislazione è in continua mutazione senza risolvere alcun problema, aumentando solo la burocrazia. Si attacca la magistratura per la varietà di giudizi su casi similari, a volte davvero troppo ampia, dimenticando che proprio l’eccesso di legislazione ha impedito il consolidarsi della giurisdizione sui casi esemplari. Ciò che allontana davvero gli investitori stranieri è proprio il susseguirsi frenetico di nuove regole.
    Se si riflette onestamente su questa anomalia italiana appare ridicola la retorica dei conservatori che hanno bloccato le riforme degli innovatori. È vero esattamente il contrario: sono state approvate troppe riforme, tutte purtroppo sbagliate. E questa proposta di legge persevera negli errori del passato:

    – Si continua a far credere che abbassando l’asticella dei diritti riprenda la crescita. L’esperienza dovrebbe averci convinto che la svalutazione del lavoro ha contribuito pesantemente alla crisi della produttività totale dei fattori perché ha ridotto la capacità di innovazione.

    – Si continua a contrapporre i garantiti e i non garantiti mentre è evidente che entrambi hanno perso diritti nel ventennio, come certifica ormai anche l’Ocse attribuendo all’Italia uno dei massimi indici di precarizzazione. La contrapposizione è ancora più falsa in questo disegno di legge poiché mantiene il reintegro per i lavoratori occupati e lo toglie ai giovani neoassunti.

    – Si continua nella politica dei due tempi – “ora aumentiamo la precarizzazione, e poi verranno gli ammortizzatori sociali”. Fin dalle leggi Treu la promessa non è mai stata mantenuta e anche stavolta il passo indietro nei diritti è certo e immediato mentre il sussidio di disoccupazione è incerto e insufficiente.

    – Si continua a denunciare il freno del sindacato, quando è evidente a tutti che non ha mai contato così poco nelle fabbriche. I politici, anche della vecchia guardia, hanno sempre polemizzato con i leader sindacali ma hanno sempre impedito l’approvazione di una legge di rappresentanza che desse voce ai lavoratori.

    – Si continua nell’illusione che basti incentivare il tessuto produttivo attuale per creare lavoro. Ma la ripresa non avverrà facendo le stesse cose di prima. Non suscita alcuna riflessione il fallimento dei bonus fiscali per le assunzioni e della Garanzia giovani, né la scarsa risposta alle offerte dei prestiti della Bce. Che altro deve succedere per capire che ormai le norme e gli incentivi sono strumenti inutili se non si innova la struttura produttiva?

  • Non leggo un intervento del genere da molto tempo, ma Walter Tocci ha saputo rimediare con le parole pronunciate all’assemblea dei senatori del PD. Vi riporto il testo e vi invito a leggerlo con molta attenzione.

    C’è un paradosso. Abbiamo successo in virtù dei nostri demeriti. Abbiamo fatto il governo a causa di uno sbaglio. Oppure abbiamo sbagliato per fare il governo. Rimane il dubbio che i 101 non fossero scavezzacolli indisciplinati ma lucidi strateghi che volevano fare il contrario di quanto avevamo raccontato agli elettori prima e dopo il voto.
    Già avevamo ottenuto il premio di maggioranza con una campagna elettorale sbagliata. Come ha detto il presidente Napolitano, quel premio lo abbiamo sprecato; forse proprio perché non lo avevamo meritato. Vincere per demerito può avere effetti devastanti se nell’euforia si dimenticano i propri difetti, ma può essere una fortuna se si dimostra di saper cambiare se stessi. Dovremmo farlo in tre direzioni: servizio per il Paese, sincerità tra noi, apertura verso gli altri.

    Servire il paese significa oggi volerlo cambiare. Adesso non ci sono più alibi, non è più consentita a nessuno la propaganda, ci troviamo sotto i riflettori in una competizione con la destra sulle soluzioni più efficaci per uscire dalla crisi. Qui si parrà la nostra nobilitate. Ci vuole cultura di governo, non a parole, ma nella capacità di entrare in connessione con la realtà del Paese, con i suoi drammi e con le sue risorse. Siamo ricorsi ossessivamente alle primarie, nascondendo la debolezza del nostro progetto per il Paese. Ce la siamo cavata dicendo “un po’ di equità e un po’ di lavoro”, ma non poteva bastare nel cuore della più grande crisi del secolo. I nostri 8 punti sono stati tardivi e sbrodolati in 80 microproposte tecniche; mi ha ferito ricevere dai nostri elettori mail che mi riscrivevano il testo in stile più leggibile. Berlusconi, invece, ha calato con chiarezza i suoi assi sul tavolo, che ci piaccia o no, dall’Imu all’attacco all’austerità europea, mentre noi facevamo la retorica dei compiti a casa.

    Ora dobbiamo fare meglio, elaborare proposte innovative e coraggiose nei diversi campi, sulla creazione di lavoro soprattutto. Dobbiamo essere in grado di coinvolgere grandi investitori, anche istituzionali, su progetti per la green economy, la mobilità, i servizi digitali, i beni culturali. Quando sento parlare in commissione i miei amici Santini e Sangalli, oppure quando leggo gli articoli di Mucchetti e Guerrieri, mi inorgoglisco di far parte di un gruppo così ricco di competenze. Ma spesso nel partito non vengono utilizzate tutte le risorse disponibili, e alla fine le proposte ufficiali escono flebili, incerte e difficili da comunicare. Proviamo, come gruppi parlamentari, ad aiutare il governo con iniziative di qualità. Vi ho inviato un disegno di legge sul finanziamento dei partiti elaborato con Pellegrino Capaldo, una personalità lontana dal Pd che ci ha dato il suo contributo con molto piacere. Modifichiamo come volete quel testo, ma non restiamo ancora in silenzio su una questione ormai cruciale per la nostra credibilità verso l’elettorato.La sincerità tra noi è quanto mai necessaria dopo lo smacco nella vicenda del Quirinale. Anche nelle famiglie più litigiose, di solito, dopo un lutto sgorga una franchezza imprevedibile, si sciolgono vecchie ruggini e si aprono i sentimenti a nuove solidarietà. Spero possa valere anche per noi. Dobbiamo guardare in faccia quello che è successo. C’è stato il collasso della classe dirigente del Pd. Con una sequela di scelte sbagliate negli ultimi sessanta giorni. A cominciare dalla prima, la madre di tutte le altre, cioè la pretesa di candidare premier Bersani pur avendo perso le elezioni. Ho detto a tempo debito che non ero d’accordo e molti in direzione la pensavano allo stesso modo, ma sono rimasti in silenzio; quanti guai ci avrebbe risparmiato un po’ di sincerità.

    Non ho condiviso questa catena di errori e non posso condividere neppure la scelta obbligata che da essi discende. Questo è il senso del mio voto contrario qui alla deliberazione del gruppo dei senatori Pd sul voto di fiducia. Poi domani voteremo insieme a sostegno del governo Letta. Non ho mai avuto dubbi su questo. È stato solo penoso dover sentire aitanti giovani che fanno la lezione proprio a me sul centralismo democratico per far vedere ai loro capi che hanno il pelo sullo stomaco. Non si possono accettare ramanzine dai professionisti delle sconfitte. Ci vuole sobrietà e modestia in questi tempi difficili. Chi è stato in prima fila ha perduto l’autorevolezza: dunque ci risparmi almeno l’enfasi autoritaria, si metta alla stanga umilmente, e ascolti più di quanto non abbia fatto prima. Se il governo è di servizio, tanto più devono esserlo le funzioni dirigenti nel partito. Chi si trova a ricoprirle – a tutti i livelli – deve essere consapevole della loro natura provvisoria, in vista di un congresso che dovrà cambiare radicalmente la classe dirigente. Stavolta secondo i meriti, per i giovani come per gli anziani. Si deve andare avanti in carriera per i risultati raggiunti e non per gli errori commessi.

    Siamo tutti responsabili, anche io assumo la parte che mi spetta. Ma ne hanno di più coloro che hanno comandato in questi due mesi, negli ultimi due anni e negli ultimi venti anni. Se siamo a questo punto, dobbiamo dirci la verità: Berlusconi ha mostrato un’intelligenza tattica superiore a quella del nostro stato maggiore. Non ha sbagliato una mossa: solo cinque mesi fa era nella polvere; ora i nostri errori lo hanno fatto rinascere come statista, ed è successo tante altre volte in passato.
    Purtroppo le dimissioni del Papa non sono l’unico pronostico azzeccato da Nanni Moretti. Quando venne alla memorabile chiusura della campagna elettorale, all’Ambra Jovinelli, volle aiutarci smentendo la profezia di dieci anni prima, che però si è avverata comunque: con questi dirigenti non abbiamo mai vinto.

    L’apertura verso gli altri sarebbe preziosa. Eppure, anche nella bufera, sopravvive ancora il bilancino Cencelli delle vecchie correnti DS e Margherita. È stato usato perfino nella composizione del governo in queste ore complicate, anche se i nostri ministri sono persone di grande qualità, alcuni anche carissimi amici, e colgo l’occasione per rivolgere a tutti loro un affettuoso augurio di buon lavoro. È importante la novità di competenze, di giovani e di donne. Forse chi ha armato la mano di un folle voleva oscurare la novità, almeno su questo, di un governo diverso dal passato. Il ceto politico Margherita e Ds ha capito che deve rinnovare le persone, ma vorrebbe conservare il suo monopolio nella gestione del partito. Queste tradizioni dovevano fondare il Pd e invece lo hanno impoverito, lo hanno rinchiuso in se stesso, estraniandolo dalle forze più vitali del centrosinistra.
    Siamo arrivati al punto in cui un fondatore come Romano Prodi e un costituente della Carta di Nizza come Rodotà sono ritenuti estranei, sbattuti fuori dalla porta di una casa sempre più angusta. Fino a quando potremo sopportare che un gruppo dirigente perdente conservi se stesso?

    Il Pd doveva andare oltre l’Ulivo e invece ha tagliato il suo tronco originario. Ma il ceppo è ancora vitale e la linfa spinge verso l’alto. Il progetto ha funzionato tra i militanti e nell’elettorato, che è appassionato e intelligente. Sarà anche imbattibile, quando troverà una classe dirigente all’altezza del compito. Ma di questo riparleremo al congresso.

  • Avevo promesso di fare una mia piccola analisi della Direzione Nazionale PD, preferisco invece sottolineare alcune cose, sempre inerenti a quell’appuntamento, ma che riguardano il concetto stesso di partito, ricollegamendomi ad uno degli interventi più autorevoli della Direzione, quello di Walter Tocci.

    È vero, perchè autolesionarsi in questo modo? Perchè non ammettere che c’è un problema di fondo nel Partito Democratico? Un problema che nessun uomo, nessun segretario potrà risolvere ma che un congresso culturale può definitivamente sistemare, con una rifondazione del concetto stesso del partito e del suo ruolo all’interno della scena politica italiana.

    Si può dare la colpa agli elettori? Assolutamente no. In Direzione Nazionale ho ascoltato per intero le 8 ore di interventi e devo dire che ho trovato molti di questi non in linea con la situazione in cui riversa il nostro Paese e la politica italiana. La presenza massiccia di elettori del Movimento 5 Stelle è la spia, per il PD, in primis, ma per l’intera classe politica italiana, che c’è un grande e grave problema in mezzo a noi: file e file di gente che ha fatto delle istituzioni il proprio lavoro a tempo indeterminato ed oggi, quando la consapevolezza nei cittadini è accresciuta soprattutto per le precarie condizioni in cui riversano centinaia di migliaia di famiglie (in continuo aumento), arrivati al conto dei fallimenti e delle vittorie, i primi sono molti di più (ma dico molto ma molto di più) delle seconde, innescando una reazione del tutto legittima.

    Il PD è stato ciò che ha sempre professato d’essere? Un grande partito popolare? Beh, io credo che le risposte a queste domande le troviate nel video qui sopra. C’è bisogno di uno scossone che faccia maturare l’idea che se le cose non cambiano, verremo tutti quanti spazzati via da una Storia che corre e che non sempre va per la strada giusta.