di Davide Montanaro Presidente Parlamento Regionale Giovani Puglia
Il Sud non ha bisogno di nessuno, ma di credere in se stesso.
Non c’è scossa che tenga per un popolo che ogni giorno combatte su più fronti le proprie battaglie, si alza all’alba e da il suo contributo al Paese e ne esce sconfitto, perchè bollato come il responsabile della crisi e fautore della criticità in cui riversa l’Italia da tempo.
Il Sud non è quello che racconta chi, sentendosi Dio sceso in terra, pensa che l’intervento dall’alto possa far emergere quell’energia necessaria per accendere il motore del riscatto e ripartire.
Il Mezzogiorno d’Italia ha bisogno di credere nelle proprie capacità, nelle proprie risorse. Se oggi J.F.K. fosse qui, in Italia e si fosse trovato davanti ad una platea di meridionali, avrebbe sicuramente esordito dicendo: “non chiedetevi cosa possa fare l’Italia per il Mezzogiorno, ma chiedetevi cosa possa fare il Mezzogiorno per l’Italia” e da qui nasce l’intento di ricostruire, di sentirsi responsabili del futuro del proprio territorio, della propria nazione.
Dalla Puglia alla Sicilia, passando per la Campania e la Sardegna, un immenso laboratorio si estende nel Mediterraneo, piantando le radici nello sviluppo di nuove idee, sostenendo l’innovazione che riesce a coniugare territorio all’interesse generale del Paese. In Puglia, ad esempio, Principi Attivi e Bollenti Spiriti sono solo piccoli ma grandi esempi di come la buona politica possa rendere un’idea innovativa il modo per rivalutarsi e distruggere quell’idea malsana e poco realista di un Sud piegato dalla raccomandazione e dai favoritismi, focolaio di un sistema corrotto e corrosivo per l’intera Penisola.
Migliaia di ragazze e ragazzi sono lì, dove nessuno avrà mai il coraggio di essere, perchè nel Sud il riscatto è iniziato e la scintilla è arrivata dalla lotta alle mafie, fronteggiando a volto scoperto la criminalità organizzata.
Parlare di meritocrazia, oggi, significa non aver compreso che prima della meritocrazia c’è l’uguaglianza di base che in Italia non c’è, a partire dalle scuole e dalle università.
Io voglio poter studiare al Sud ed essere considerato preparato e pronto al mondo del lavoro quanto uno studente del Nord o di chi, meridionale, ha avuto la fortuna di poter frequentare una università del Nord.
Per l’ennesima volta c’è chi crede che il Sud sia un blocco unico, con stessi problemi, con un modo di agire e pensare che è insito dentro ogni singolo meridionale, ma in realtà la situazione è molto complessa nel suo modo di presentarsi.
Ora basta. Ecco perchè il Mezzogiorno d’Italia ha scelto Pier Luigi Bersani, perchè c’è bisogno di un messaggio netto, che parli di credibilità, orgoglio ritrovato e tanta voglia di crescere, partendo dalla formazione di una nuova classe dirigente che guardi negli occhi i problemi del proprio territorio e si sappia fronteggiare con il resto del Paese, perchè l’Italia parte dalle Alpi e finisce a Lampedusa e si è uniti nella buona e nella cattiva sorte, sempre.
In Europa ci sono 14 milioni di giovani che non studiano e non lavorano. Con la crisi il fenomeno cresce di anno in anno, assumendo i contorni di una vera emergenza sociale.
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Un giovane napoletano disoccupato da tempo; una ragazza madre della Sassonia-Anhalt; un liceale di Lelystad che ha abbandonato la scuola; e un depresso di Vilnius che poltrisce tutto il giorno. Sono tutti giovani a rischio, estranei al mondo del lavoro, e a causa del perdurare della crisi economica sono sempre più emarginati dall’Europa che lavora.
“Le cifre dell’aumento della disoccupazione giovanile sono sconvolgenti. Oltretutto, in genere in questi calcoli si tiene conto soltanto di coloro che sono pronti a lavorare e vogliono lavorare, mentre è in forte aumento il numero di coloro che sono senza motivazioni e si stanno estraniando dal mercato del lavoro”, ci dice a telefono Massimiliano Mascherini dellaFondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, un’agenzia dell’Ue.
Mascherini ha studiato i giovani che non lavorano, non studiano e non seguono alcuna formazione (“Not in employment, education or training”, Neet). Ha studiato il background e il comportamento di questi nullafacenti e ha calcolato quanto costano all’Europa. I risultati del suo studio sono preoccupanti. I giovani europei che non fanno nient’altro che guardare la televisione in pantofole sono 14 milioni, pari al 15,4 per cento dei giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni. Alcuni sono disoccupati per loro scelta, altri viaggiano, ma la maggior parte non fa niente. “Hanno scarsa fiducia nelle istituzioni e nel prossimo. Sono isolati socialmente e politicamente. E hanno anche maggiori probabilità di finire in reti malavitose”, dice Mascherini.
Bruxelles sta monitorando da vicino l’evolversi della situazione dei Neet, e vista la gravità della situazione è particolarmente preoccupata. Mascherini ha calcolato che la disoccupazione giovanile è costata agli stati membri 153 miliardi di euro nel 2011, mentre nel 2008 era costata “appena” 119 miliardi. Ma queste sono stime soltanto prudenziali, che tengono conto esclusivamente dei servizi sociali e non di altri aspetti quali la criminalità e l’assistenza sanitaria.
Tom Eimers, direttore del Knowledge Centre for Professional Education and the Labour Market (Kba) conosce fin troppo bene la realtà di questo gruppo problematico. “Si tratta spesso di giovani disabili, con difficoltà di apprendimento e/o complesse situazioni familiari”. Il sociologo apprezza l’utilità del nuovo studio: “Descrive l’abbandono scolastico e la disoccupazione come manifestazioni di uno stesso tipo di problema: i giovani rischiano di perdere contatto con la società. In tempi di crisi, i loro problemi aumentano”.
In particolare, colpisce molto il fatto che i giovani di varie regioni europee reagiscono alla propria situazione in maniera diversa. Nei paesi anglosassoni e dell’Europa centrale e orientale, i Neet sono passivi: sono delusi dalla società e dalle istituzioni e hanno la sensazione che nessuno voglia aiutarli. In reazione a ciò si allontanano dalla società, ritengono poco importante la politica e in buona parte non votano. Ciò che meglio li definisce è presto detto: guardare la televisione, isolarsi dalla società, starsene da soli.
Nei paesi del Mediterraneo, invece, questa difficile categoria di giovani èpoliticamente attiva. “Ci sono ottimi motivi per i quali i giovani scendono a manifestare in piazza in Spagna e in Grecia”, dice Mascherini. “Non sentono rappresentati i loro interessi dalla classe politica. Sono inclini all’estremismo. Se in quei paesi emergesse un blocco estremista, c’è il rischio non indifferente di un ampio supporto da parte di questi giovani”.
Benché si parli sempre della Spagna come di un paese dall’alto tasso di disoccupazione, la situazione in Italia e in Bulgaria è ben più preoccupante, dice Mascherini. “Gli spagnoli sono relativamente ben istruiti e hanno molta esperienza: la disoccupazione giovanile da loro è una conseguenza diretta della crisi. I problemi in Bulgaria e in Italia sono di natura più strutturale. Istruzione e formazione non sono conformi alle esigenze del mercato. In Italia i giovani se ne stanno tranquillamente a casa per anni, aggravando ancor più la situazione”.
Il sociologo Eimers preferisce spiegare la differenza tra insoddisfazione passiva e attiva in un modo diverso: “Penso che la frustrazione abbia maggiori probabilità di evolversi in rabbia nell’Europa del sud perché gli interessati sono molti di più. Se tutto a un tratto Nijmegen avesse un tasso di disoccupazione giovanile del 40 per cento, si vedrebbero anche qui i giovani sulle barricate. Ma se appartieni a un gruppetto esiguo, è più verosimile rinchiudersi in casa e provare vergogna”.
Eccezione scandinava
Secondo lo studio, l’unica regione europea nella quale i Neet non scenderanno esagitati in strada è la Scandinavia. “In quei paesi tutti i giovani sono coinvolti allo stesso modo nella società e nella politica, disoccupati e non, che abbiano lasciato la scuola o la continuino”, dice Mascherini. “Anche i paesi come Svezia e Danimarca vanno bene da questo punto di vista, dato che non c’è un grande divario tra la formazione e il mercato del lavoro. Le differenze rispetto alla Bulgaria e all’Italia non potrebbero essere maggiori”. E i Paesi Bassi? Mascherini crede che siano un paese esemplare. “Hanno pochi problemi strutturali, molti progetti e la situazione sotto controllo, anche se a causa della crisi il numero dei casi problematici è in aumento”.
Secondo Hennie van Meerkerk questo quadro è troppo roseo: è la presidente del consiglio di amministrazione di Scalda, una scuola di formazione vocazionale per chi ha abbandonato il liceo ed è disoccupato. Descrive la nuova categoria di giovani in questi termini: “Molti hanno problemi psicologici, soffrono di depressione e spesso entrano in contatto con le forze di polizia”.
La criminalità è una preoccupazione legittima, dice Mascherini: dal suo studio emerge infatti che questi giovani hanno maggiori probabilità di cadere vittime di tossicodipendenza e alcolismo. “Questo è allo stesso tempo causa e risultato dell’abbandono scolastico e della disoccupazione. I giovani nullafacenti che restano a casa dei genitori a lungo spesso cadono in depressione e cedono all’alcol e alle sostanze stupefacenti. E tramite la tossicodipendenza molti finiscono nel traffico di droga, mentre le ragazze spesso diventano madri single in giovane età”.
Van Meerkerk aggiunge: “I posti di lavoro a tempo indeterminato sono pochi. E a subirne maggiormente le conseguenze sono proprio questi giovani che non riescono ad esprimersi bene o hanno qualche difficoltà”. Anche Eimers lo conferma: “Il loro numero non sarà alto quanto in Spagna o in Italia, ma il numero di giovani che hanno problemi sta aumentando a causa della crisi. Si possono prevedere i problemi che incontreranno sul lavoro già quando vanno a scuola. Dovrebbe esserci più collaborazione tra autorità locali, agenzie che erogano sussidi e organizzazioni responsabili della frequenza scolastica obbligatoria. Per intervenire non bisogna aspettare che la situazione precipiti”.
Dal suo blog, il Vice Presidente dell’Europarlamento, Gianni Pittella, commenta così il salvataggio dell’Erasmus da parte della Commissione UE.
”Dopo le reazioni durissime contro la riduzione dei fondi per il programma Erasmus nel 2012 la Commissione europea ha annunciato che presentera’ un bilancio di rettifica con cui saranno integrate le disponibilita’ in modo da evitare danni agli studenti che rischiavano di perdere il contributo per le ultime mensilita’ dell’anno”. Lo rende noto il vicepresidente vicario del Parlamento europeo, Gianni Pittella. ”L’attacco e’ sventato ma questa e’ una nuova lezione da imparare – commenta l’europarlamentare del Pd – la linea dell’austerita’ cieca e indiscriminata di alcuni governi rischia di travolgere anche conquiste fondamentali e ormai consolidate dell’Unione europea come l’Erasmus per i giovani, e’ una politica che va profondamente corretta’
Neanche una università italiana tra le prime 100 della classifica della QS Star che trovatequi.
Le classifiche, se pur molte volte senza un criterio ben preciso di valutazione, certificano che in un modo o nell’altro l’Italia non può arretrare e non può farsi scavalcare nella cultura, pilastro fondante del nostro Paese. La formazione è importante, sia durante che dopo l’università. Tuttavia, la prima italiana, rimane quella di Bologna (vedi foto), che si posizione al 194° posto.
Test inutili, questo era poco ma sicuro. La cultura generale non ti servirà a salvare la vita delle persone, così come sono inconstituzionalmente considerabili, quesiti di biologia e chimica che trattano argomenti mai inseriti in programmi di insegnamento nazionali, ne tanto meno raggiungibili da uno studio attento tramite almanacchi e guide ai test, ormai molto diffusi per le preparazioni autodidattiche.
Il Codacons ha lanciato un messaggio ai responsabili dei test ed un invito agli studenti non ammessi. Di seguito il comunicato.
Roma – L’ inizio dell’ anno accademico riaccende la polemica nei confronti del numero chiuso per l’ ammissione ad alcune facoltà. Si comincia con il test di Medicina e Odontoiatria, mentre domani si continua con la stessa prova per coloro che vorranno frequentare il corso di medicina, ma in lingua inglese con la possibilità di sostenere la stessa prova in Italia e contemporaneamente in Germania, Gran Bretagna, India, Polonia e Stati Uniti. Nel rapporto tra numero di iscritti e posti disponibili si è stimato che solo un alunno su otto riuscirà ad aggiudicarsi l’ accesso ai corsi universitari: i posti disponibili sono 10.173 per Medicina e circa 900 per Odontoiatria, e a contenderseli saranno in 77 mila. Sui test di ammissione pende però il rischio che la Corte Costituzionale definisca incostituzionale il numero chiuso, come ricorda il Codacons che paventa la possibilità di una class action per i non ammessi. Il Codacons ha inoltre provveduto a diffidare il Ministero dell’ Istruzione chiedendo l’ eliminazione dei test di ammissione. Secondo il presidente del Codacons, la selezione dovrebbe venir fatta in corso di studi, con esami più selettivi e rigidi, invece che attraverso test di cultura generale che non necessariamente mettono in risalto il talento di medico di una persona. Intanto l’ unione degli universitari si organizza a modo suo e propone un flash mob davanti agli atenei dove intende esporre cartelli simili a quelli stradali di divieto d’ accesso, con la scritta ‘Universita’ nella striscia bianca.
Sale lo spread a 520 punti e a sorbirne le conseguenze non sono solo i mercati. Ritornando su un tema già trattato in precedenza, il Governo Monti, governo di accademici, ha pensato “bene” di scuotere un pochettino le tasche delle università, ma ancora di più, quelle degli studenti.
Il Professore (da non confondere con Prodi), europeista e reduce da incarichi di alto livello nell’UE, di internazionalizzare il sistema scolastico e universitario proprio non ne vuole sentir parlare. Per fare un esempio incisivo, mi viene da analizzare la situazione dei dottori di ricerca del nostro Paese: l’ex-ministro Gelmini, appena insediata, firmo un decreto che aumentò le borse per i ricercatori da 800€ a 1000€, non di certo per mano sua, ma grazie all’idea del precedente Ministro dell’Università e della ricerca Mussi, dell’ultimo Governo Prodi. Fu l’ultimo provvedimento positivo per la categoria, infatti subito dopo, con la Riforma Gelmini, una nube densa di tagli si abbattette su scuola, università e ricerca. L’Italia si allontanava sempre più dal resto d’Europa.
Oggi, la Comunità Europea è sinonimo di spread, btp, bund e eurobond, ma nulla e nessuno dirige l’attenzione verso una equa trasformazione degli apparati dello Stato in dinamici e sempre più simili servizi alla cittadinanza.
Non dobbiamo andare lontano, per avere esempi lungimiranti e molto attenti alle esigenze dei cittadini: la Francia è il paese dove si pagano tasse universitarie più basse – circa 300€ -, ma i dottorati di ricerca vengono salvaguardati con assegni che partono da 1600€ fino ad arrivare a 1900€ se accanto all’attività di ricercatore, vengono inserite attività didattiche comunque non superiori a 96 ore. MA ciò che rende effettivo questo sistema di distribuzione dei finanziamenti in base alle vere esigenze dei destinatari, sono i “comitè de pilotage“, veri e propri organi decisionali di dipartimento, con un rappresentante dei ricercatori con voce in capitolo per le spese inerenti il suo ambito, oltre che per la creazione di progetti. Isola irraggiungibile per l’Italia? Nulla è impossibile, pensando anche alla creazione di dipartimenti, grazie alla 240/2010, meglio nota come “Legge Gelmini”.
Ma tornando sulle tasse universitarie, la liberalizzazione delle stesse ci viene insegnata dalla Germania che lascia ai Länder la possibilità di gestire tasse, ovviamente in cambio di servizi migliori. Qual’è la via migliore per internazionalizzare l’Università? Il post-laurea deve essere, ovviamente, il “cavillo” principale da sbrigare, ma la “formazione non tradizionale”, ovvero Erasmus, Progetti Leonardo, per citarne due, devono essere considerati come tasselli fondamentali per la nuova classe dirigente, con una maggiore visione del mondo e soprattutto capace di confrontarsi e di essere competitivi in Europa e nel resto del Pianeta.
La sfida è dura, molto complesse, ma un’Università sempre più europea è necessaria, per il bene del nostro Paese, così come è necessaria una vera e ben strutturata cittadinanza studentesca, che garantisca diritti e servizi ai soggetti in formazione.
Mi sono chiesto quale sia la motivazione di base che dovrebbe spingere tutti gli studenti del nostro Paese a non lasciarsi trascinare da questa situazione devastante che travolge l’istruzione pubblica. Da una parte, la rivendicazione di un sistema di formazione pubblico, che abbraccia sia i percorsi di studi di ogni ordine e grado, ma anche la formazione professionale, essenziale per poter accedere al lavoro e quindi di essere competitivi sul mercato. Dall’altra parte, non può non esserci la rabbia nel vedere un diritto, quello di studiare, che di norma dovrebbe essere garantito, in un paese come il nostro, ma che viene deriso e preso di mira nel momento in cui c’è la necessità di tagliare fondi, per “il bene della finanza”. Come ci sentiremmo se qualcosa che ci appartiene venisse compromesso da un “esterno”, da chi ha usufruito, tempo addietro, delle stessa cosa, ma in modo più facile, perchè magari collocato in periodo storico meno travagliato e pieno di problemi, come quello attuale? Personalmente non riterrei quell’individuo autorizzato a condizionare la mia vita e il mio percorso. Stesso ragionamento deve essere fatto per la scuola e l’università: non possiamo più assistere alla distruzione di migliaia di speranze, di ragazze e ragazzi che vogliono studiare, che hanno la passione per quello che fanno, ma che purtroppo per una questione puramente burocratica, non riescono ad accedere a borse di studio, vedono la propria vita universitaria sconvolta da un drastico aumento delle tasse, a causa di un governo di professori universitari (precisiamolo), che hanno in testa una loro idea di università e di scuola pubblica totalmente distanti dalle esigenze degli studenti. L’idea che uno Stato possa mettere i bastoni tra le ruote alle proprie giovani generazioni è qualcosa di surreale. In Italia tutto è surreale, basta mettere a confronto il Bel Paese con gli altri stati europei. L’Europa non deve essere semplicemente oggetto di confronto in ambito economico, ma si deve osservare, comprendere e unificare un modo di intendere il diritto allo studio come necessaria condizione per considerare una nazione, democratica, fondata su principi di uguaglianza. Il feticismo politico sull’istruzione pubblica deve finire, non è possibile vedere stravolto l’assetto delle scuole e delle università ad ogni cambio di governo. I consigli di rappresentanza studentesca nazionali devono svolgere un ruolo fondamentale. Si abbatta quella impossibilità di dialogare con le istituzioni e si sviluppi un sistema per rendere le riforme importanti, condivise, frutto di collaborazione generazionale e non come una battaglia politica di “ultra-adulti” adepti all’idea che il sistema formativo sia il modo per condizionare intere generazioni a proprio favore. Sarà impossibile ottenere qualcosa di buono, senza l’intervento dei diretti interessati. Ecco perchè gli studenti medi e universitari devono unirsi per far fronte a questa mancanza della politica italiana. Le riforme devono essere frutto di un’unione di idee, progetti ed esperienze sul campo. Non fermiamoci e andiamo avanti. Il futuro ci attende, ma non possiamo vivere il presente da spettatori.
Sembrava un’ipocrisia da trofeo, la questione dei tagli all’istruzione pubblica che ha visto studenti, rettori e sindacati scagliarsi contro il Governo Monti, autore della famigerata Spending Review, al cui interno riportava 200 milioni di euro in meno nel capitolo di spesa del settore sopracitato.
La questione pare essersi risolta, se pur in parte: il “governo degli accademici” ha riflettuto e fatto dietrofront sulla sforbiciata che avrebbe messo ancora più in difficoltà le università pubbliche, già in ginocchio, soprattutto per l’incapacità di poter coprire le borse di studio e privi di fondi per la ricerca, snaturando il ruolo chiave degli atenei nel nostro Paese.
Ma la questione più sconcertante è l’ingente aumento delle tasse universitarie che, come le tasse ADISU (Agenzia Regionale per il Diritto allo Studio Universitario) aumenteranno da 77,47€ a 140€ (+80%), un dato significativo che non solo rende l’istruzione universitaria un privilegio, ma mette in serie difficoltà chi, per ragioni economiche e per altre spese rilevanti, vede allontanarsi una condizione tranquilla e indispensabile per una vita studentesca equilibrata e sinonimo di una focalizzazione dello studente verso l’impegno universitario, senza altri problemi in testa.
Il “regalo” che il Governo Monti ci consegna, a poco più di due mesi dall’inizio dell’università, è la percentuale di riferimento per il calcolo delle tasse universitarie, fino a ieri al 20% in riferimento al Fondo di Finanziamento Ordinario alle università (FFO) ma che con la Spending Review avrà come valore di riferimento il totale dei trasferimenti statali. Tutto questo verrà calcolato solo in riferimento agli studenti in corso, mentre per gli studenti fuori corso, circa il 40%, e gli studenti stranieri, 2%, si prevede un aumento senza tetti massimi, con l’impossibilità da parte degli studenti di poter fare ricorso, in quanto i fondi ricavati dalle tasse rientrano nel budget delle università, quindi inseriti nei capitoli di spesa, senza problemi. In riferimento all’Università di Bari, se prima l’ammontare dei fondi ricavati dalle tasse universitarie era di 37 milioni di euro, sul 100% di studenti contribuenti, ora, poiché non sarà più in riferimento al FFO, pari a 189 milioni €, ma al totale dei trasferimenti del MIUR, ovvero 250 milioni €, nessuno vieta al CdA dell’Ateneo di aumentare le tasse, raggiungendo così 50 milioni di € di entrate solo dagli studenti in corso, con il rischio di raggiungere circa 400€ di tasse per gli studenti in corso, e sicuramente superiore per i fuori corso e gli stranieri.
Il Governo Monti ha deciso, quindi, di seguire la linea dell’indebitamento studentesco, per coprire i numerosi tagli ai finanziamenti pubblici.
Un dato politico significativo, da tutto questo, è che, come al solito, in tempo di crisi nessuno comprende quale sia la “fonte di salvezza” e la base su cui costruire un futuro più solido e attento alle esigenze dei cittadini: l’istruzione, la ricerca e la formazione professionale.
In un contesto così devastato per l’intero Paese, le famiglie non possono addossarsi ulteriori spese per l’istruzione dei loro figli, è necessario un cambio di tendenza, bisogna bloccare questa “macelleria studentesca”, gli studenti si uniscano per dar vita ad una ferrea opposizione all’ennesima sopraffazione nei confronti dei soggetti in formazione e dell’istruzione pubblica. Si diminuiscano i fondi per gli istituti privati, come la stessa Costituzione Italiana cita nell’articolo 33: “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”.
Il nostro impegno e le nostre richieste, sono sintetizzate in un altro articolo della Carta Costituzionale, l’art. 34 comma 3 e 4: “I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.”.