Tag: unione europea

  • L’ho detto ieri, non bisogna toccare Schengen, lo chiede il buon senso e, soprattutto, anche le generazioni future.

    Ieri, in Germania, il gruppo conservatore Pregida ha messo in scena una manifestazione contro l’islamizzazione dell’Occidente, a cui ha partecipato – secondo i giornali tedeschi – un numero record di persone.

    In Francia si aggira, ormai da tempo, lo spettro del nazionalismo. E se, prima, ad alimentare lo sconforto (e il bacino elettorale di questi partiti) era la crisi economica, ora si aggiunge la paura, una paura costruita su misura dagli stessi nazionalisti e xenofobi, con dichiarazioni ad hoc e una lettura distorta della realtà.

    In Italia, il bambacione Salvini prova a fare altrettanto, rispolverando motti e dichiarazioni contro le moschee e contro gli “stranieri in casa nostra”. Ha fatto breccia nel cuore degli italiani? Ancora no. Forse, se i giornali e le tv continueranno a dar peso e visibilità a tali affermazioni, il rischio c’è.

    Ma gli attentati di Parigi hanno risvegliato, nella maggior parte dei cittadini europei, il senso di appartenenza ad una comunità oltre le Nazioni? Quel sentirsi cittadini di un’Europa unita, e non più solo del proprio Paese? No. La risposta è assolutamente negativa.
    Mi hanno colpito le parole di Romano Prodi, il giorno della Marche Republicain, il quale rispondendo alla domanda se, per l’appunto, tali eventi avessero svegliato il senso di cittadinanza europea, la sua risposta è stata categorica ed era pressappoco questa:

    “Non credo che quello che sta succedendo in questo momento, a Parigi, sia simbolo dell’Europa unita e quindi di cittadinanza europea.
    Penso che, in questo momento, ci troviamo dinanzi ad un evento drammatico che ha stretto, solidalmente, le popolazioni degli Stati europei in risposta alla paura, ma siamo lontanissimi dal poter considerare questo come rappresentazione dell’unione dell’Europa.”

    C’è altro da aggiungere?

  • burki-schengen

    Dopo gli ultimi attentati di Parigi, alla sede di Charlie Hebdo e ad un supermercato nel quartiere ebraico della capitale francese, la politica europea si interroga su quali possano essere le misure da adottare per rafforzare la sicurezza nel Vecchio Continente e soprattutto nei paesi membri dell’Ue.

    Marine Le Pen, leader del Fronte Nazionale francese, assieme ad altri esponenti dei partiti nazionalisti d’Europa, puntano il dito contro l’accordo di Schengen, siglato nel 1985 a Schengen (Lussemburgo), per l’appunto, inizialmente solo da Francia, Belgio, Lussemburgo, Germania, Paesi Bassi e Principato di Monaco.
    Dopo un’evoluzione e assestamento dell’accordo e delle modalità di attuazione, che vede come punto di arrivo/partenza il 19 giugno 1990 (con la firma degli stessi Stati iniziali, più altri) e l’entrata in vigore nel 1995, ha visto nel corso del tempo l’adesione di tutti gli altri Paesi membri (l’Italia ha aderito nel 1990, con entrata in vigore nel 1995) con, tuttavia, due grandi assenti – il Regno Unito e l’Irlanda, che hanno mantenuto il controllo di frontiera.

    Quali sono gli obiettivi di tale accordo?

    • Abolizione dei controlli sistematici delle persone alle frontiere interne dello spazio Schengen.
    • Rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne dello spazio Schengen;
    • Collaborazione delle forze di polizia e possibilità per esse di intervenire in alcuni casi anche oltre i propri confini (per esempio durante gli inseguimenti di malavitosi);
    • Coordinamento degli stati nella lotta alla criminalità organizzata di rilevanza internazionale (per esempio mafia, traffico d’armi, droga, immigrazione clandestina);
    • Il rafforzamento della cooperazione giudiziaria mediante un sistema di estradizione più rapido e una migliore trasmissione dell’esecuzione delle sentenze penali;
    • Integrazione delle banche dati delle forze di polizia (il Sistema di informazione Schengen, detto anche SIS).

    Insomma, l’accordo di Schengen è simbolo dell’integrazione europea, abbattimento delle frontiere interne e sostegno alla libera circolazione dei cittadini in tutto il territorio dell’Unione europea. Eliminarlo o rivederlo significherebbe gettare nella spazzatura il progetto di una Europa unita e libera, lasciando in piedi solo l’economia comune che, a dirla tutta, è ben poca cosa rispetto a quello che immaginarono i Padri e le Madri fondatori. Come lo stesso Manifesto di Ventotene testimonia.

    Rivedere Schengen significa, per essere schietti, far vincere i fondamentalismi, quelle ideologie che vedono nel progetto europeo un muro invalicabile tra la pace e la guerra tra popoli tanto voluta.

  • La prima visita ufficiale di Lady PESC, Federica Mogherini, si è tenuta a Gaza. Le sue parole aprono uno spiraglio sulla risoluzione della crisi di quei territori. Che finalmente l’Occidente riconosca lo Stato palestinese?

  • Slegati da dietrologie senza senso, ormai al passo con i più vecchi sistemi di pensiero, aggrappate ad una (finta) religiosità che, per niente, professa l’uguaglianza.

    Alfano ha stancato. Il Ministro ordinerà questa mattina ai prefetti di annullare le trascrizioni dei matrimoni gay contratti all’estero. A parte una rispolverata di diritto internazionale e del riconoscimento delle sentenze, soprattutto per i paesi membri dell’Unione Europea, la questione si fa seria proprio perché a parlare è un ministro del Governo Renzi, un governo a guida PD, il mio partito, di centrosinistra (l’animo…del partito). Renzi aveva promesso la civil partnership ma non c’è l’ombra n’è di civil n’è di partnership. In Italia le uniche coppie di fatto riconosciute, sono quelle politiche. Vedi Renzi e Alfano, ad esempio. Oppure a Taranto, tra PD e Forza Italia.

    Quanto tempo ancora dovrà passare affinché, nel nostro Paese, centrodestra e centrosinistra si svincolino da queste inettitudini e posizioni da medioevo? Forse è giusto ricordare che in Gran Bretagna (dove dal 2005 esiste la civil partnership), David Cameron – leader dei Tory (conservatori), nonché Primo ministro – ha rilasciato una dichiarazione che profuma di normalità.

    Perciò, lo ripeto: Alfano, hai stancato. “È l’ora che tu vada a giocare con la balena bianca sotto il porticato di casa tua” (cit.)

    In contemporanea, il compagno Ballini ha lanciato una petizione su Change.org e dirvi di firmarla mi sembra il minimo.

  • Due sentenze, di aprile e maggio scorso, hanno aperto un varco nella Rete, dalla quale potrebbero entrare i diritti umani che, nel libero mondo virtuale, non vengono rispettati. Dalla staticità del Web 1.0, alla dinamicità del Web 2.0, ora passeremo alla costituzionalità del Web 3.0?

    Come tutti voi sapreste, in questo momento ci troviamo nel Web 2.0 che, a differenza del 1.0, ha sostituito alla staticità, al tecnicismo, alla bassa accessibilità a servizi di editing e condivisione, tecnologie avanzate, in grado di garantire anche all’utente meno evoluto (sul piano tecnico) la fruibilità di servizi ormai ben noti a tutti, come i blog, la tecnologia wiki (vedi la filosofia di Wikipedia) o, esempio per eccellenza, la nascita dei social network hanno, di fatto, abbattuto i muri della presenza di miliardi di utenti sparsi per tutto il mondo. Da grandi numeri di utenti, derivano grandi problemi, come quello della privacy, messa a dura prova a causa di Facebook (esempio tra tutti), nel quale chi si iscrive è tenuto ad inserire informazioni personali, oltre alle proprie foto e video. Ma la grandissima presenza di dati personali sul web, pone un problema serio che andrebbe affrontato a livello europeo, non da un pinco pallino qualsiasi, ma da esperti del diritto e da politici illuminati, capaci di dare una sterzata positiva ed innovativa ad una regolamentazione delle informazioni presenti su internet, senza cadere nella censura “senza se e senza ma”, ma creando una prospettiva ben precisa, chiara, ma soprattutto utile. Questo problema se l’è posto il Prof. Stefano Rodotà, già Presidente dell’Autority sulla Privacy, prendendo spunto da due casi giuridici recenti.

    Possiamo dire che comincia a prendere forma una costituzione per la Rete, un vero Internet Bill of Rights? Alcuni fatti recentissimi giustificano questa domanda. In aprile e maggio la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha pronunciato due importanti sentenze in materia di diritto alla privacy: una ha dichiarato illegittima una direttiva europea che, per motivi di sicurezza, prevedeva modalità sproporzionate di raccolta e conservazione dei dati personali; l’altra, su richiesta di un cittadino spagnolo, ha imposto a Google di eliminare il link che rendeva liberamente accessibili alcuni dati riguardanti un suo debito non pagato.

    E ancora

    Ricordo sinteticamente i principi di finalità, proporzionalità, necessità e la norma della Direttiva europea 95/46, presente nelle legislazioni nazionali, che dà alla persona interessata il potere di opporsi, per “motivi legittimi”, al trattamento di dati personali che la riguardano, anche se raccolti in maniera legale. Proprio partendo da queste premesse, erano già state rivolte moltissime richieste ai motori di ricerca che potrebbero ora essere anche classificate come manifestazione del right to be forgotten.

    Il problema è serio e va di certo affrontato in sede Europea. Ecco, in risposta a chi non crede che l’UE giochi un ruolo fondamentale nelle nostre vite, credo che lì, in quelle sedi, può giocarsi una partita importante da non sottovalutare, poiché può portare a due scenari, uno catastrofico – cadendo in un principio di censura senza limiti e regole, e dall’altra uno innovativo, positivo per il web e per i cittadini europei (e di conseguenza di tutto il mondo) – con una costituzionalizzazione di internet, dando spessore e forma ai diritti sanciti nella Carta fondamentale dei diritti dell’UE, agli art. 7 e 8, oltre che a diverse direttive trattanti tale tema (una la citava poco più sopra lo stesso Rodotà). Perciò la domanda sorge spontanea: Siamo agli albori del Web 3.0? Il Professore risponde così:

    Qualcuno teme che, muovendo da queste premesse, si possa giungere a un Web 3.0 dominato dal potere dell’interessato di controllare i dati che lo riguardano. Questo è un modo per travisare la questione. A quel Web 3.0 si dovrà guardare come ad uno spazio costituzionalizzato, dove gli Over the Top o altri padroni del mondo non possano considerarsi liberi da ogni regola o controllo.

  • Avete presente quelle scene dei film in cui le secchiate d’acqua servono per svegliare le persone? Bene, immaginate che a dormire sia l’Italia e a buttare il secchio d’acqua sia l’Europa. Peccato per il sonno pesante del nostro Paese, perché a quanto pare non sia servito a nulla.

    Di cosa parlo? Dell’ennesimo schiaffone che noi italiani ci siamo presi in questo ultimo periodo. Uno schiaffone più che meritato, come sempre.

    L’Unione Europea tira le somme e rileva che la corruzione di tutti gli Stati membri costa, in tutto, 120miliardi € circa e a fare da capolista c’è proprio l’Italia, con i suoi 60miliardi (e pensare che abbiamo pagato l’IMU per racimolare due miseri miliardini).

    Bruno Manfellotto, su L’Espresso, riporta alcuni dati relativi alla percezione del fenomeno della corruzione da parte degli italiani: 97 su 100 sono convinti che la corruzione aumenti e si diffonda; 88 che senza raccomandazioni o spintarelle non sia possibile godere di alcun servizio pubblico; 64 che la politica sia lo strumento indispensabile per fare business (!!!).

    I dati sono drammatici, non c’è bisogno di analizzarli a fondo per capire quale sia la reale situazione del nostro Paese, certo è che sulla corruzione c’è stata e c’è molta retorica e non ho mai visto nessuno tentare il colpo grosso contro la corruzione e, poiché è strettamente legata a questa, l’evasione fiscale. Non saranno due blitz della Guardia di Finanza a Cortina a spaventare gli evasori o, peggio, due dichiarazioni in Parlamento per far abbassare la soglia del fenomeno da “dilagante” a “sporadico” o per di più il famigerato redditometro. C’è bisogno di un cambio di cultura, un cambio che passi dal piano politico, poi giuridico e successivamente si radichi nella quotidianità dei cittadini.

    Lunedì, durante Radio Locale, intervistando il Dott. Anastasia dell’Osservatorio “Antigone” di Roma, oltre a parlare della Fini-Giovanardi (peraltro dichiarata incostituzionale, poco fa), abbiamo approfondito la questione delle carceri e delle pene spropositate. Ecco, se c’è una cosa spropositata (al ribasso) è proprio il sistema punitivo per i corrotti, corruttori ed evasori. A dirlo non sono io, ma Stefano Livadiotti, giornalista de l’Espresso che, dal suo ultimo libro (che vi consiglio) “Ladri – gli evasori e i politici che li proteggono” (Bompiani, 2014) dice:

    In Italia un dato ufficiale sull’evasione neanche esiste. Ma secondo il britannico Richard Murphy, fondatore di Tax Justice Network e inserito da “International Tax Review” nell’elenco delle 50 persone più influenti al mondo in materia di fisco, i soldi sottratti ogni anno alle casse dello Stato sono 180,2 miliardi di euro. Una cifra al cui confronto il paio di miliardi necessari a far saltare l’Imu sulla casa, dei quali si è ossessivamente parlato per un anno, sono bruscolini. Ma in Italia la lotta all’evasione è solo una farsa Basta pensare che su quasi 5 milioni di contribuenti sospetti i controlli veri sono appena 200 mila, come ha rilevato la Corte dei Conti. Che i pochi colti con le mani nel sacco possono contare sul vantaggio di una giustizia tributaria ridotta a un colabrodo, dove per il primo grado di giudizio occorrono 903 giorni. Che anche chi viene riconosciuto colpevole alla fine la fa franca: solo l’1,7 per cento delle denunce per reati tributari porta a un arresto. Il risultato è che il fisco si è visto sottrarre in 12 anni 808 miliardi e di questi ne ha recuperati la miseria di 69. E la cifra forse è pure gonfiata.

    Perciò, quali sono i migliori strumenti per combattere e sconfiggere, veramente, la corruzione e l’evasione fiscale? Tutto ha un perno su cui poggia, tutto ha una colonna portante, l’evasione e la corruzione sono sorretti da una politica bigotta, pronta a minimizzare il dibattito sulla legge elettorale e a studiare, con la minuziosità degna di una squadra di statisti, a tutti gli escamotage possibili pur di farla franca su qualcosa, pur di ottenere un vantaggio rispetto al resto del Paese, con i privilegi e con l’ultimo scandaloso provvedimento che ha previsto l’abbassamento delle aliquote al 18,7% sugli stipendi parlamentari (un lavoratore, in media, si vede applicata una quota di 39,4%, praticamente più del doppio delle tasse!).

    Parlo così, come se fossi l’ultimo grillino o dissidente di non so quale linea politica, ma in realtà sono solo agguerrito. Crederete mica che la battaglia la si faccia a mani vuote! Io ho una sola arma a disposizione ed è la rabbia che porto con me e dentro di me, perché non accetterò mai di essere cittadino di uno Stato di corruttori e che cola a picco ogni giorno di più (checché ne dica Letta!). Ma la mia, è una rabbia positiva, lucida, piena di grandi propositi e intrisa di passione. Non andrò via dal mio Paese, ma se dovremo viverci, credo sia arrivata l’ora di sottrarre l’Italia da una caduta inevitabile verso la condanna a morte, con i suoi boia, i truffatori dello Stato e degli onesti cittadini. Non è retorica, ma realtà. Guardatevi le spalle (ed anche avanti).

    [GARD]
  • In Spagna la situazione si fa sempre più incresciosa. Lo vediamo sui giornali, in tv e sui vari siti sparsi nella blogosfera. Tutti raccontano la vicenda sulla legge anti-aborto che deve farci riflettere parecchio, perché è in gioco la libertà dell’individuo, un diritto fondamentale che nessun governo, nessun provvedimento può portare via.

    Le donne europee sono scese in piazza per protestare contro questa oscenità, una macchina del tempo che riporterebbe al Medioevo quella parte d’Europa, dove i matrimoni gay sono riconosciuti, dove questi possono adottare dei bambini. Un gigantesco passo indietro, non solo per la Penisola iberica, ma per tutta l’Europa e non solo.

    Gli europei non possono rimanere indifferenti davanti a questo pericoloso evento che scatenerebbe un effetto a catena in molti Stati del Continente, travolgendo, come un fiume in piena di idiozie, una civiltà fragile, piegata dalla crisi e da una confusione dell’opinione pubblica che desta serie preoccupazioni.

    Ma se di Europa vogliamo parlare, allora la soluzione non può che essere presa lì, nel cuore pulsante dell’UE, il Parlamento Europeo e le altre Istituzioni, tra cui, soprattutto, la Commissione Europea che si appresta ad essere rinnovata – con la speranza di far cambiare rotta ad un esecutivo, per molto tempo, con il freno a mano tirato su molte decisioni importanti, di vitale importanza, caratterizzanti lo spirito fondativo su cui regge l’UE.

    L’Unione Europea non può essere solo presente in materia economica, non può intervenire con tempestività solo per quanto riguarda default e rischi economici nazionali. L’Unione Europea deve intervenire per parificare gli ordinamenti interni degli Stati membri, attraverso un regolamento europeo (o una direttiva, dipende da cosa e come si vuole andare a regolare) che spazzi via gli ennesimi (storicamente parlando) attacchi alla libertà delle donne, alla loro dignità, al loro essere donne e proprietarie del loro corpo. Lo Stato non può sostituirsi a loro, per nessuna ragione al mondo.

    La Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), all’art.8 paragrafo 1 riporta:

    1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata
    e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.

    Leggere questa bellissima ed importantissima frase (che solo frase non è), più e più volte, riesce a parlarci da sola e porre in evidenza come il rispetto della vita privata sia un Diritto dell’Uomo, imprenscindibile e da tutelare.
    Se poi vogliamo fare i pignoli, al paragrafo 2 dice:

    2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica
    nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia
    prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società
    democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla
    pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla
    difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione
    della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle
    libertà altrui.

    Non credo che l’aborto sia un pericolo per la sicurezza nazionale, o alla pubblica sicurezza, al benessere economico (???), alla difesa dell’ordine ecc…ecc. Alla protezione dei diritti e delle libertà altrui? Credo lo sia il contrario: negare la possibilità di abortire è un attentato alla protezione dei diritti e delle libertà altrui, perché un organo dello Stato entra a gamba tesa nella vita privata di una donna e sceglie al suo posto. Sulle tempistiche ci potrà essere un dibattito e magari confermare la fase “90 giorni” e “post-90 giorni” con relative diversità di trattamento, o alternativamente, come lo è (ancora per poco, forse) nella stessa Spagna, fino alla 14ª settimana, oppure fino alla 22ª solo se ci sono complicanze per il feto (complicanze che, se la legge venisse approvata, non sarebbe più oggetto di possibile aborto, sul piano giuridico), o ancora, qualsiasi altro sistema degno di essere preso in considerazione e valutato.

    Tanti sono i percorsi che l’Europa dovrà ancora affrontare, ma la difesa dei propri cittadini da dei movimenti bigotti ed egoisti, che non hanno la minima concezione del significato di “convivenza” in una comunità, credo sia un passaggio dovuto, da porre in atto subito.

    Ricordiamo che una legge anti-aborto mette in grave pericolo le donne, perché queste se vorranno abortire lo faranno comunque e sarà aborto clandestino, con mezzi di fortuna e poco sicuri. Uno strazio. Fermiamo chi vuole fermare la civiltà e ridiamo alle donne la libertà che meritano.

  • Il PD annuncia l’impegno ad organizzare il Congresso del PSE di Febbraio 2014 a Roma, Fioroni minaccia di andarsene se il PD dovesse aderire ai Socialisti Europei. Qualcosa di buono accade. Prendiamo due piccioni con una fava.

    Fioroni è allarmato, preoccupato dalla sempre più vicina posizione del PD al Partito Socialista Europeo. Si ritiene offeso, oltraggiato dalla possibile organizzazione del prossimo Congresso del PSE a Roma, ad opera del Partito Democratico.

    Fioroni è allarmato, pronto a riesumare la Margherita, ormai appassita, con vecchie glorie sparse tra UDC, API, Scelta Civica e PD. Tutti quanti per un partito ormai del 3%.

    Fioroni è allarmato. Evviva!

    Il Partito Democratico non può tentennare minimamente sulla sua adesione al PSE. Uno dei danni peggiori di questo partito è stato quello di non aver avuto mai una posizione chiara, precisa, in Europa, come in molte altre cose.

    L’adesione al Partito Socialista Europeo non è una possibilità, ma l’unica via per dare una forte credibilità al partito nelle sedi europee. Le vie di mezzo non sono più ammissibili: ad oggi il PD risulta aderente all’Alleanza tra Socialisti & Democratici (S&D).

    Le elezioni al Parlamento Europeo si avvicinano, si terranno il prossimo Maggio, non possiamo più aspettare, dobbiamo necessariamente compiere questo passo importante, decisivo.

    Se Fioroni vuole riesumare la Margherita lo faccia, è giunta l’ora che il PD non sia più ostaggio di gente da percentuali da prefissi telefonici e soprattutto che non pongono la laicità al primo posto nelle loro scelte politiche.

    La non adesione del PD al PSE era una clausola risolutiva al momento della fondazione

    dice, sempre lui, Fioroni.

    Pronti a pagare il “prezzo” di questo mancato rispetto della clausola: di certo il PD non si scioglierà per la scissione con i tanti Fioroni, anzi, a mio modesto parere, si rafforzerà, perché finalmente raggiungeremo un obiettivo sperato: la chiarezza nelle nostre posizioni, non solo sul piano europeo. Vista la figuraccia sul testamento biologico (giusto per citarne uno).

    Ora o mai più. Il PD nel Partito Socialista Europeo. Subito.

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