Tutti i Giovani Democratici, non solo della Terra di Bari, ma di tutta Italia sono affranti per quanto accaduto a Barcellona, così come tutti gli attacchi terroristici avvenuti nel mondo negli ultimi anni.
Lo diciamo ogni volta: quando la morte colpisce le nostre sorelle e i nostri fratelli serve proprio l’unità e la fratellanza, poiché la divisione genera odio e l’odio genere distruzione.
Proprio per questo non comprendo gli attacchi perpretati nei confronti dei Giovani Democratici e di alcuni loro esponenti, solo per aver espresso un parere negativo sull’ennesimo atto di sciacallaggio ad opera dei soliti fascio-leghisti. Addirittura, qualcuno ha avuto lo stomaco di nominare Breivik – l’attentatore di Utøya – con l’augurio che si realizzi lo stesso scenario del 22 luglio 2011 dove persero la vita diverse persone, tra cui molti militanti dell’AUF, l’Organizzazione giovanile del Partito Laburista norvegese. Parole pericolose e difficili da passare inosservate.
Alcune forze politiche stanno agli attentati terroristici come alcuni palazzinari (quelli che ridevano al telefono) stanno ai terremoti? Dobbiamo pensare questo? Spero di sbagliarmi.
Alle compagne e ai compagni dei Giovani Democratici la solidarietà di tutta l’Organizzazione della Terra di Bari, consigliando loro di rispondere con l’educazione che ci contraddistingue e, allo stesso tempo, di denunciare alle Autorità i sopprusi.
Sull’8xmille da destinare alla costruzione delle moschee, ha ragione Massimo D’Alema. L’intervento pubblico nella costruzione di luoghi di culto è sinonimo di laicità, qualora lo Stato intervenga in modo paritario per le diverse religioni presenti sul suo territorio.
La religione cattolica è la prima religione in Italia (circa 51 milioni di fedeli), la religione islamica è la terza (1,2 milioni circa). Secondi sono gli ortodossi, con quasi 1,3 milioni di credenti.
I cattolici sono ben sostenuti dai sistemi di contribuzione, vedi l’8xmille alla Chiesa cattolica, che tutti quanti noi conosciamo. Per non parlare delle enormi agevolazioni fiscali su tasse e immobili.
Siamo sul filo del rasoio e lo spiega bene questo articolo su Linkiesta che vi prego di leggere, perché su questo è incentrato il mio post di oggi.
Il Belgio è il luogo cardine degli attacchi terroristici per errori commessi tempo addietro, circa il rapporto tra la Comunità islamica belga e lo Stato.
È così che il wahabismo e la sua visione dell’Islam allergica alle innovazioni e a tutto ciò che non è musulmano e propensa invece alla lotta armata contro i miscredenti e gli infedeli si sono affermati in Belgio, formando imam che sono poi andati a predicare nelle centinaia di moschee del Paese, facendo proseliti e trovando consenso in quartieri come Molenbeek, che è solo il più tristemente famoso ghetto del Paese, non certo l’unico: «Una scelta, quella fatta dal Belgio quarant’anni fa, criticata oggi anche dal ministro francofono belga Rachid Madrane, musulmano, – continua Meotti – che al giornale La Libre ha detto: “Il peccato originale del Belgio consiste nell’aver consegnato le chiavi dell’islam nel 1973 all’Arabia Saudita per assicurarci l’approvvigionamento energetico”».
Non penso serva altro da aggiungere, se non l’ennesima esortazione a leggere quell’articolo.
Con la reintroduzione della pena di morte, così come auspicato da una parte della politica francese, l’ISIS avrà raggiunto un altro obiettivo: imbarbarire l’Europa dei diritti umani, quella Europa che aveva detto ‘no’ alla pena di morte molti anni fa, diventando esempio nel mondo.
Non posso terminare questa giornata, senza fermarmi e raggiungere con il cuore i giovani socialisti curdi e turchi che stamane sono stati vittime di un attentato barbaro, contro ogni immaginazione, ad opera di una loro coetanea – 18 anni vicina all’ISIS – che si è fatta esplodere durante una manifestazione.
È difficile, in questi momenti, comprendere quale sia il danno più grande che l’attentato di ieri, a Charlie Hebdo, ha recato al mondo intero.
Ci sono 12 morti e 5 feriti gravi. C’è un danno umano, questo è inconfutabile, ma c’è un danno culturale che sta devastando tutto e tutti. L’intera Europa si ritrova, ora, a dover fare i conti con impulsi populisti e razzisti.
“Allahu Akbar!” hanno gridato gli attentatori, mentre sparavano all’impazzata, poi tutto il resto in francese perfetto.
“Musulmani!” ha gridato l’Occidente (per forza di cose), puntando i riflettori sul caso, mentre alle spalle i soliti populisti e razzisti si spalleggiavano per una lotta al diverso e alle moschee.
E se, anziché “Allahu Akbar”, fosse stato “Dieu est grand” il grido di guerra? Quali sarebbero state le reazioni? Si sarebbe chiesta la reintroduzione della pena di morte? Qualcuno avrebbe chiesto il monitoraggio delle chiese cattoliche?
“Not in my name“, questo è stato il nome della campagna portata avanti da molti musulmani, in giro per il mondo, in cui gridavano a gran voce che le stragi e le barbarie non sono compiute in nome di un popolo e di una religione, ma in nome della pazzia, della frenesia omicida di gruppi estremisti che fanno della religione un pretesto, ma che hanno come scopo primario quello di incutere timore e di estendere il proprio dominio politico.
Come dicevo all’inizio, credo che l’attentato abbia messo a nudo un problema grave che aleggia in Europa: la paura del diverso, questo timore che spesse volte è frutto di stereotipi, senza un effettivo riscontro.
Ed è per questo che ritengo Salvini una persona spregevole, non perché il suo partito sia diverso dal mio, non perché sia del Nord, ma perché non conosce la cultura del silenzio e del rispetto. Ho sempre pensato che principi del genere non fossero neanche presenti nel suo vocabolario, ma oggi è quanto più opportuno ribadirlo.
Costruire è difficile, serve pazienza, forza e ordine. Demolire non richiede molto, basta anche un po’ di dinamite e un intero palazzo, costruito in 1 anno, vien giù in 5 secondi, lasciando come testimoni solo macerie e poco più.
Costruire una cultura basata sul rispetto, sulla tolleranza e sulla laicità è difficilissimo, credo che esistano poche cose, se non niente, di più di difficile di questo, ma dobbiamo provarci, dobbiamo impegnarci affinché l’Europa, l’Italia possano essere forti dinanzi ad un kalashnikov, ma allo stesso tempo impenetrabili dinanzi alle teorie del terrore e della discriminazione.
Una frase spiccava ieri, nelle piazze francesi: not afraid. Non dobbiamo aver paura di chi non professa la nostra stessa religione, non dobbiamo aver paura dinanzi ad attacchi vili e crudeli.
Io ho paura e, come me, tutti quanti voi, ma sento di averne di meno quando esco dalla mia sfera personale e sento di essere parte integrante di una comunità. Se questa comunità – la mia, la nostra, quella di tutti – si baserà su quella cultura della tolleranza, allora riusciremo ad estirpare un male curabile, quello degli estremismi, puntando il dito verso i veri colpevoli, non chiamando chi uccide “musulmano” ma “omicida”. Non commettiamo sempre gli stessi errori, perché facendo di tutta l’erba un fascio gli unici che ci ringrazieranno saranno gli attentatori, non le vittime.