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  • In Europa qualcosa sta accadendo. Di certo non per i mercati finanziari, che continuano a condizionare gran parte della politica del continente e del mondo intero, ma per un settore, molto importante (forse per l’Italia meno), quale quello della ricerca scientifica.

    L’Europa ha finanziato, premiando con 1.000.000.000 € due progetti campione, nel vero senso del termine, dislocati uno in Svezia e l’altro in Svizzera.

    Nel profondo Nord dell’Europa, si sta lavorando, infatti, ad un progetto rivoluzionario che trascina con se le progettazioni dei futuri prodotti tecnologici delle grandi case di produzione, americane, cinesi e sud-coreane, europee un po’ meno. Di cosa stiamo parlando? Del Graphene: un materiale composto da atomi di carbonio arrangiati su due dimensioni che, dopo aver fruttato il Nobel a due ricercatori dell’Università di Manchester, promette straordinarie e futuribili applicazioni industriali. La versatilità di questo materiale pare possa sostituire in toto il silicio nelle sue applicazioni industriali. Come già anticipato prima, molte delle principali aziende di produzione e sviluppo delle tecnologie ha già registrato un numero di brevetti a 4 cifre, in Cina 2204, in America 1754, in Corea del Sud 1160, mentre in Europa, lì dove è stato scoperto il graphene, meno di 500.

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  • La crisi dell’euro non deve farci dimenticare gli straordinari risultati ottenuti dall’Ue, come la pacificazione e lo sviluppo dell’Europa centro-orientale. Un esempio che dovrebbe ridarci fiducia nei cittadini e nella democrazia. Estratti.

    L’estate scorsa abbiamo attraversato le regioni orientali dell’Ue, da Vilnius a Bialystok, per poi seguire la frontiera in direzione di Bielorussia e Ucraina, ammirando le splendide piazze delle piccole città della Slovacchia orientale,  e dirigerci infine verso la Romania.

    È stato meraviglioso. Avevo già visitato in passato molte di quelle città e di quelle regioni, ma l’avevo fatto subito dopo la caduta del comunismo, avvenuta quasi venti anni fa. Davanti ai miei occhi, invece,  si è palesato  un autentico  miracolo sociale, economico e politico. I cambiamenti intercorsi sono equiparabili soltanto a quelli vissuti dall’Europa occidentale negli  anni compresi tra il 1945 e il 1970. Ma se la ripresa nell’Europa dell’ovest dipese dagli Usa, quella dell’Europa dell’est si deve soltanto alle forze dell’Ue.

    Mentre eravamo in viaggio continuavano ad arrivare notizie da Parigi, Bruxelles e Berlino di ulteriori meeting d’emergenza per salvare l’euro. Ma nelle calde serate trascorse nella piazza di Prešov, la crisi ci pareva lontana, parte di tutt’altro contesto. Per comprendere appieno quanto stava accadendo, avevo bisogno di spostarmi con la mente fino agli estremi confini geografici dell’Unione.

    L’oscurità europea si è fatta paralizzante. Chi capisce più in che direzione si sta orientando la politica, o dove sta andando l’Ue? Tutte le decisioni politiche più importanti ormai si prendono a porte chiuse. La crisi dell’euro sta portando inevitabilmente alla questione dell’Europa e della democrazia.

    C’è qualcuno che riesca ancora a non andare col pensiero al periodo antecedente allo scoppio della guerra del 1914? Nessuno capì il perché di una guerra, nessuno la volle, ma nessuno fece in modo da mettere in disparte il prestigio nazionale per scongiurarla.

    Adesso pare che si stia ripetendo uno schema assai simile nella partita sull’euro. Tutte le volte che il Parlamento europeo e la Commissione europea propongono una politica improntata alla responsabilità comune – gli eurobond, tanto per fare un esempio – i capi di governo le bocciano. I paesi più fortunati come Germania, Finlandia e Svezia badano ai propri interessi con un atteggiamento di auto-illusione conservatrice. Così facendo, però, spingono il continente e loro stessi verso l’abisso.

    Il nostro viaggio estivo si è trasformato in un pellegrinaggio europeo. Abbiamo visitato le zone periferiche delle grandi regioni che lo storico Timothy Snyder ha definito i “killing field” europei, il cuore geografico dei genocidi nazisti e comunisti dove tra il 1933 e il 1944 furono sterminati dodici milioni di esseri umani.

    È stato un viaggio che ci è servito a ricordare che il progetto europeo non è nato da un ingenuo ottimismo, bensì dalla paura di quello che il continente era diventato. Osservando i turisti gremire le sinagoghe vuote di Praga, Cracovia e altre città, ci si rende conto che l’autoconsapevolezza europea – che ha le sue premesse nella drammaticità degli eventi storici – sta iniziando ad assumere una sua forma più definita. Visitando Auschwitz si diventa europei.

    Per vent’anni l’Ue è stata tormentata da un’evidente crisi di legittimità. Da quando la Danimarca ha respinto il trattato di Maastricht nel 1992, la semplice  idea di un cambiamento ha ispirato richieste di nuovi referendum.  E il “non” e il “nee” dati rispettivamente da Francia e Paesi Bassi al referendum del 2005 sulla Costituzione europea sono stati quanto mai preoccupanti.

    Le élite politiche hanno sempre considerato le richieste di referendum come una maledizione. Invece farebbero bene a vederli come svolte significative per il progetto europeo. In definitiva,  la popolazione europea vuole poter dire la sua sulle questioni importanti che la riguardano. L’impegno profuso ha dimostrato che il dibattito politico in Europa è finalmente diventato europeo.

    Perché mai sembra che i politici considerino i principi di base della democrazia scontati sul piano nazionale, ma pericolosi a livello europeo? La tesi che adducono più di frequente è che il popolo europeo –  il cosiddetto demos – non si è ancora fatto vedere nella sfera politica e pubblica comune. E senza demos, la democrazia è solo una chimera.

    L’estate scorsa il socialdemocratico svedese Carl Tham ha espresso in un articolo la sua tesi in questi termini: “Un’unione politica vitale e democratica potrà venirsi a creare soltanto nel caso in cui  i popoli europei provino un forte senso di appartenenza e di solidarietà tra di loro, quando si riterranno parte di un unico popolo europeo e avranno fiducia nelle istituzioni politiche”.

    Non sarà che questa conclusione si regge su un malinteso? È molto opinabile che quando all’inizio del XX secolo si operò la maggior parte delle svolte democratiche nei vari stati-nazione esistesse tale “senso di appartenenza e solidarietà”. Di sicuro, a quel tempo “la fiducia nelle istituzioni politiche” non esisteva, e non c’era neppure una sfera politica e pubblica così sviluppata.

    Continuiamo a pedalare

    Un anno fa è iniziato un dibattito sugli intellettuali: dov’erano quando il progetto europeo era sul punto di implodere? Molti contributi a questo dibattito sono stati pubblicati sull’influente sito Eurozine. Ma la mancanza di un dibattito aperto e di esplicite opinioni da parte dei politici europei in realtà è ancora più preoccupante.

    È stato quindi rincuorante leggere la primavera scorsa un intervento di Gerhard Schröder sul New York Times. Uomo politico autorevole, che ha individuato un rapporto diretto tra la crisi dell’euro e la questione della democrazia, Schröder ha sintetizzato la propria opinione in tre punti: la Commissione europea deve evolversi in un governo eletto dal Parlamento europeo; il Consiglio europeo – formato dai capi di stato – deve cedere i propri poteri;  successivamente esso deve essere trasformato in una camera alta, con un ruolo analogo a quello del Bundesrat tedesco.

    Non è necessario essere d’accordo con tutte le proposte avanzate da Schröder, ma questa è la direzione da imboccare verso una possibile democrazia europea. Naturalmente, il suo intervento può essere criticato come un tentativo di imporre la democrazia “dall’alto”, ma potrebbe legittimamente  essere considerato un prendere atto della sfida posta dai cittadini europei negli ultimi vent’anni.

    La piazza di Cracovia è una delle più splendide del continente europeo. Sul campanile della cattedrale il passare del tempo è segnato da un uomo con la tromba. La storia getta ombre lunghe. Questo è un posto ideale per osservare l’Europa. Qui si può riflettere sul miracolo politico, il nuovo benessere e la democrazia civile.

    Molti europei in occidente temevano il caos quando caddero le dittature dell’est. Ma si sbagliavano. La gente si dimostrò giudiziosa, e questo dovrebbe darci speranza e fiducia. Ma a soli 30 minuti di auto dalla piazza si arriva in quello che è il più terribile ricordo del terrore delle tenebre  europee, quelle dalle quali nacque il progetto europeo: il campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau.

    È indispensabile espandere la democrazia di continuo, perché non appena ci si rilassa essa si ritrae. Nell’autunno del 1940, quando la situazione in Europa raggiunse il punto più oscuro della propria storia, la femminista svedese Elin Wägner paragonò gli ideali ai fari di una bicicletta: se non si pedala e non si va avanti non fanno luce.

    La missione socialdemocratica in Europa nell’autunno del 2012 può dunque essere sintetizzata dalla metafora della Wägner e da due sole parole: democratizzatevi  e politicizzatevi.

    Per Wirtén da Dagens ArenaStoccolma

    fonte: 

  • Ieri sono stato ospite di una conferenza pubblica, organizzata dal PD di Gravina in Puglia, sulle politiche giovanili e sullo sport. Ho parlato di Wi-Fi e di come le nuove tecnologie potrebbero dar vita ad un nuovo modello di sviluppo per i comuni. Il Wi-Fi è sinonimo di un cambiamento involontario, dovuto alla presenza massiccia di persone e di informazioni nel Web. I cavi sono ormai un optional ma non per questo bisogna arrendersi all’idea di vedere l’Italia cambiare le infrastrutture, a partire dalle connessioni. Internet, oggi, necessita di accessibilità universale e soprattutto di efficienza: basti pensare alla grande capacità che la fibra ottica ha di introdurre, nelle case degli italiani, una connessione veloce, efficiente e senza problemi di collegamento. Peccato, però, che nel nostro Paese, il Governo abbia deciso di dirottare 30 milioni di euro dallo sviluppo della banda larga (dei 100 destinati inizialmente) al digitale terrestre, attraverso un maxiemendamento al Decreto Milleproroghe. Sarebbe interessante scoprire le giustificazioni che gli autori di un gesto ignobile, contro lo sviluppo tecnologico in Italia, darebbero a tal proposito. Ma sull’internet “senza fili” c’è chi ci campa e fa propaganda, come il ministro su misura, Brunetta, il quale dichiara di voler inserire il Wi-Fi nelle scuole entro il 2012: ora, mettere il wi-fi nelle scuole è forse una delle priorità nello sviluppo di queste tecnologie, perchè è giusto avviare un nuovo modo di insegnamento e di apprendimento attraverso le nuove tecnologie, ma è anche vero che le scuole sono in pessime condizioni, dal punto di vista tecnologico e quindi è improbabile al 99% che ci possa essere un minimo passo in avanti in questo campo, ma del resto, la scuola non sfrutterebbe il Wi-Fi, perchè incapace di gestire la situazione con gli studenti, non concedendo ai ragazzi la possibilità di usufruire della rete (anche perchè nei compiti in classe accadrebbe di tutto), anche per una insufficienza di strumenti necessari per poter collegarsi al web tramite i nuovi router.
    I comuni devono essere i primi a sviluppare tecnologie di questo tipo, dando una possibilità in più allo sviluppo economico-sociale dei propri cittadini, perchè installare una rete Wi-Fi pubblica, significa gestire il settore dell’advertising e della comunicazione, garantire un servizio efficiente di informazione a livello comunale, mettere in diretto contatto istituzioni e cittadini in giro per le strade della città. Volete degli esempi? Internet gratis per delle vie piene di negozi significherebbe, da parte di questi, poter fare pubblicità e inserire offerte in tempo reale, così da attirare gente e far girare l’economia. Wi-Fi pubblico nelle strade e nelle piazze di una città? Se c’è un problema, il comune potrebbe inserire sul sito del comune un settore reclami o uno sportello informativo online diretto, dove il cittadino che è per strada può inviare informazioni dettagliate sul problema. Oltre questi piccolissimi suggerimenti c’è il crescente numero di utenti di internet e soprattutto l’aumento di lettori di e-newspaper, ovvero i quotidiani “stampati” su file e acquistabili ad una cifra dimezzata, rispetto al costo tradizionale.
    Lo sviluppo è importante, le politiche giovanili parlano per natura di questo argomento, ecco perchè è importante comporre, quanto prima possibile, un’agenda digitale per l’Italia, da sviscerare e mettere in atto in ogni singolo pezzo di questa Penisola.

  • Pare essere evidente. La questione dell’ecologia è associabile ad un concetto di ipocrisia pura. Per giorni abbiamo ascoltato i problemi dei lavoratori FIAT, ci siamo sentiti parte integrante, chi più chi meno, del mondo operaio, ci siamo preoccupati del futuro dell’azienda italiana per eccellenza, la Fabbrica Italiana Automobili Torino.

    Abbiamo sentito nostra la voglia di riscossa, abbiamo ascoltato, visto con estrema sensibilità e curiosità la vicenda. Chi criticava Marchionne, chi ne faceva una statua in suo onore. Ma di statua, al ricordo perenne, bisognerebbe farla all’ambiente e alla sua difesa.

    Di difesa dell’ambiente, nell’agenda politica ne vedo poca o niente. In questi quasi 3 anni di governo, di ecologia, di sviluppo del territorio e della salvaguardia della morfologia ne abbiamo sentito solo in campagna elettorale, durante questo triennio nulla.

    Si pensa a dar soldi e a puntare i riflettori sull’automobile, solo quando c’è un caso palesemente politico, ma non quando dovremmo parlare di ecosostenibilità e di mobilità.

    La mobilità dovrebbe essere al centro dell’interesse pubblico: la questione principale dell’avanzamento sociale ed economico di un paese, sta anche nel sapere creare nuove forme di vivere, nuovi modi di produrre energia, nuovi modi di progettare una città.

    La città è il cuore della civiltà, questo è poco ma sicuro. Il fulcro centrale del sistema umano, del mondo intero, è fondato sullo scambio di culture, di denaro e di idee, che passa da città a città, da provincia a provincia, da stato a stato.

    Come ci muoviamo nei centri abitati? Come affrontiamo uno spostamento da un punto ad un altro di una metropoli? Pensiamo, forse, basti costruire piste ciclabili e creare aree pedonali?

    Per nuovi modi di collegamento, dovremmo assolutamente prendere in considerazione internet, l’autostrada dell’informazione. Da molto tempo a questa parte, il lavoro telematico potrebbe essere la soluzione migliore ad una diminuzione del traffico nelle strade. Il lavoro tramite terminali, da casa, risulterebbe essere il modo migliore per decimare il traffico nelle ore di punta, per ridurre l’inquinamento.

    L’automobile deve essere bruciata, o almeno, progettata ex novo. E’ arrivato il momento di lasciare da parte il senso dell’auto come uno svago, come una bamboniera. La vettura deve avere una posizione strumentale e prettamente finalizzata ad uno spostamento semplificato. Dovremmo passare da una progettazione dissennata di interni con sedili di pelle rossa, verde, blu, nera, gialla, impianto audio “eccellente”, frigobar e televisioni attaccate allo schienale delle poltrone e chi più ne ha più ne metta, ad un parto strabiliante di strutture ecosostenibili, con due obiettivi principali: no-inquinamento e sicurezza.

    Un esempio è la macchina a impianto GPL, ad Idrogeno o la poco famosa, purtroppo, auto ibrida che fino ad un determinato numero di giri del motore funziona ad elettricità, per poi passare al benzina, mentre l’elettrico si ricarica dall’energia sprigionata dalla combustione del carburante.

    Ecco una parte importante della mobilità: progettiamo un nuovo modo di pensare lo spostamento, il viaggio, la viabilità.


  • Nell’800 si pensava che nel 2000 le macchine agricole avrebbero lavorato senza che l’uomo stesse alla guida, detto fatto, ci sono voluti 2 secoli per avere strumenti del genere. Siamo nel 3° millennio e di sviluppo ne abbiamo visto fino al collo, forse fin troppo, forse poco utile e poco indirizzato al miglioramento del nostro “vivere”. La crescita della medicina ha reso il campo sanitario pronto a qualsiasi malattia, a qualsiasi intervento. Per non parlare dello sviluppo delle biotecnologie o della zootecnica, che hanno dato vita a veri e propri salti di qualità del sistema produttivo del nostro Paese.

    Lo sviluppo però è sinonimo di costruzione, di progettazione, di creazione di interi spazi abitativi. Il piano di assetto idrogeologico viene poco considerato, basti vedere le catastrofi a Messina e altre parti d’Italia, in cui a causa di una pioggia, intere abitazioni sono state spazzate via dal fango e dai macigni. Per non parlare degli enormi crateri che si vengono a formare quando, chissà come, chissà perchè, interi palazzi spariscono del tutto, sprofondando nel sottosuolo. Lo sviluppo nel nostro tempo è sinonimo di cannibalismo del territorio, del gettare cemento su cemento e terra, di progettare strade, ponti, case, palazzi, luoghi che mai e dico mai, saranno utili alla cittadinanza e mai potranno essere associati ad un determinato servizio.

    Passando dalla questione logistico-sociale dello sviluppo, quella sulle tecnologie cybernetiche e web andrebbero sviscerate più attentamente.

    Internet è stata una delle conquiste più grandi del nostro mondo, il web è riuscito a garantire il sapere e soprattutto il poter sviluppare modi nuovi di sviluppo, una sorta di reazione a catena tra il cybernetico e il tangibile, il concreto. Esemplare tipologia di reazione collegata ad internet è la vendita online di prodotti, la catalogazione di prodotti, documenti e materiale vario direttamente sul web e con la possibilità per tutti di poter attingere notizie da quegli archivi, tipo gli archivi storiografici e sociologici del nostro Paese, sono visibili su internet e spesse volte sono ricchi di contenuti inediti ma anche di fotografie di documenti autentici, ottimi per poter sviluppare una tesi universitaria, uno studio approfondito su un determinato argomento storico, politico e culturale di un determinato arco di tempo.

    Beppe Grillo, famoso comico genovese, in un suo spettacolo teatrale, uno dei tanti in tutta Italia, prese a martellate un pc e tutti i suoi componenti, perchè diceva che queste nuove tecnologie ci avrebbero portato a diventare degli zombi, degli esseri dipendenti dalla rete e quindi incapaci di costruire rapporti umani “classici”. Tre anni dopo, diede vita al suo blog BeppeGrillo.it, uno dei più frequentati del mondo, infatti risulta essere il primo blogger d’Italia e tra i primi 10 del mondo.

    Tuttavia, la situazione utilitaristica delle tecnologie, specialmente quelle cybernetiche, risulta essere piena di flop, come ad esempio il famosissimo portale del turismo del nostro Paese (Italia.it) che, creando un nuovo record mondiale, è venuto a costare ben 30.000.000 di euro, cifra esorbitante che per quanto mi riguarda, essendo un webmaster e creatore di siti internet, oltre che giovane politico per passione e amore, mi risulta essere una cifra nemmeno di un sito complesso di un sistema di smistamento dati automatico internazionale, di un portale di archiviazione con criptaggio automatico di informazioni e di ricezione…, insomma un portale che per quello che rende, io lo valuterei per soli 2000€.

    Internet è formidabile, riesce ad essere un’arma a doppio taglio in modo estremamente semplice: da un lato può far cadere le giovani generazioni e anche qualcuno un po’ più vecchiotto, nel baratro del gioco online, dei siti porno, dei siti pseudo-ideologici con all’interno veri e propri strumenti di convincimento verso un determinato stile di vita, un determinato movimento politico e purtroppo, anche a favore di qualche setta.

    Dall’altra c’è però la possibilità di poter essere liberi. Su internet la libertà è fondamentale, ma soprattutto rende l’informazione una cosa seria. Wikipedia è l’esempio concreto di un’enciclopedia partecipata, se c’è qualcosa di non vero, qualcun’altro prenderà il testo e lo correggerà portandolo su base oggettiva e quindi descrivendo l’oggetto della ricerca in modo dettagliato e accettabile da tutti.

    Altro aspetto positivo del web è che permette ad ogni “navigante” di potersi informare liberamente e senza il filtraggio di notizie. Ormai ci sono cose, fatti e questioni che in televisione, sulla carta stampata e su tutti i sistemi al di fuori di internet, non riescono più a passare, senza prima essere modificati. I telegiornali, i giornali sono solo strumenti di convincimento anzi che di informazione, quasi il 90% delle volte, internet invece permette una visione a 360° delle notizie, ma la cosa più importante è che da la possibilità di poter creare all’interno di ognuno di noi una coscienza critica autonoma, capace di poterci guidare nella nostra vita, nelle scelte e nelle situazione che ci troveremo davanti.

    Se ogni ragazzo, a partire da 14 anni, spendesse 5 minuti del suo tempo a leggere almeno i titoli dei giornali-web, dei blog, di tutti i siti che garantiscono informazione, verso l’età di 17 anni risulteranno essere quotidiani fruitori delle diverse notizie su internet e proprietari di una loro coscienza critica che gli permetta di essere sempre pronti a combattere e a scegliere il meglio per la loro vita, senza influenze da parte di terzi.