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    Che sia in atto una nuova Costituente, è qualcosa che dovrebbe riempirci di orgoglio, perché quando nell’immaginario collettivo cresce la necessità di avere una Costituzione, significa che c’è il bisogno di affermare diritti fondamentali, fissare le regole della convivenza civile.

    Ed è un po’ quello che sta succedendo adesso: la Costituzione della Rete è stata redatta. La commissione voluta dalla Presidente della Camera, Laura Boldrini, presieduta dal Prof. Stefano Rodotà ha partorito 14 articoli – 14 principi a tutela della persona, dell’internauta.

    1. RICONOSCIMENTO E GARANZIA DEI DIRITTI
    Sono garantiti in Internet i diritti fondamentali di ogni persona riconosciuti dai documenti internazionali, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, dalle costituzioni e dalle leggi.
    Tali diritti devono essere interpretati in modo da assicurarne l’effettività nella dimensione della rete.
    Il riconoscimento dei diritti in Internet deve essere fondato sul pieno rispetto della dignità, della libertà, dell’eguaglianza e della diversità di ogni persona, che costituiscono i principi in base ai quali si effettua il bilanciamento con altri diritti.

    Articolo della migliore scuola: contemperare i diritti assumendo come principio guida l’universalità di leggi di ordine superiore riconosciute a livello europeo e internazionale.

    2. DIRITTO DI ACCESSO
    Ogni persona ha eguale diritto di accedere a Internet in condizioni di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e aggiornate che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale.
    Il diritto fondamentale di accesso a Internet deve essere assicurato nei suoi presupposti sostanziali e non solo come possibilità di collegamento alla Rete.
    L’accesso comprende la libertà di scelta per quanto riguarda sistemi operativi, software e applicazioni.
    L’effettiva tutela del diritto di accesso esige adeguati interventi pubblici per il superamento di ogni forma di divario digitale  –  culturale, infrastrutturale, economico  –  con particolare riferimento all’accessibilità delle persone con disabilità.

    L’intervento qui riguarda il ruolo delle istituzioni nel ridurre il divario tra gli “information rich” e gli “information poor” in maniera fattuale, a cominciare dalle dotazioni per connettersi in rete fino al superamento delle sperequazioni esistenti tra uomini e donne, normodotati e diversamente abili, ricchi e poveri, alfabetizzati e non alfabetizzati. L’accesso alla rete equivale all’accesso al sapere e quindi al lavoro ed è precondizione per l’esercizio di altri diritti come quello alla partecipazione democratica.

    3. NEUTRALITA’ DELLA RETE
    Ogni persona ha il diritto che i dati che trasmette e riceve in Internet non subiscano discriminazioni, restrizioni o interferenze in relazione al mittente, ricevente, tipo o contenuto dei dati, dispositivo utilizzato, applicazioni o, in generale, legittime scelte delle persone.
    La neutralità della Rete, fissa e mobile, e il diritto di accesso sono condizioni necessarie per l’effettività dei diritti fondamentali della persona. Garantiscono il mantenimento della capacità generativa di Internet anche in riferimento alla produzione di innovazione. Assicurano ai messaggi e alle loro applicazioni di viaggiare online senza discriminazioni per i loro contenuti e per le loro funzioni.

    La net neutrality è il vero campo di battaglia per una Internet paritaria e inclusiva che rispetti il principio secondo cui “tutti i bit sono nati uguali”. Essa è un freno al tentativo degli oligopoli delle telecomunicazioni di creare corsie preferenziali per chi paga di più e uno stop ai governi che potrebbero voler ispezionare i dati in rete per decidere chi passa, quando e con quale priorità. La negazione di questo principio è il cavallo di troia di ogni tipo di censura. Manca un riferimento ai diritti delle imprese che affrontano l’onere dell’innovazione delle infrastrutture di rete al contrario degli Over The Top (Google, FB, Amazon, etc.) che le sfruttano.

    4. TUTELA DEI DATI PERSONALI
    Ogni persona ha diritto alla protezione dei dati che la riguardano, per garantire il rispetto della sua dignità, identità e riservatezza.
    I dati personali sono quelli che consentono di risalire all’identità di una persona e comprendono anche i dati identificativi dei dispositivi e le loro ulteriori elaborazioni, come quelle legate alla produzione di profili.
    I dati devono essere trattati rispettando i principi di necessità, finalità, pertinenza, proporzionalità e, in ogni caso, prevale il diritto di ogni persona all’autodeterminazione informativa.
    I dati possono essere raccolti e trattati solo con il consenso effettivamente informato della persona interessata o in base a altro fondamento legittimo previsto dalla legge. Il consenso è in via di principio revocabile. Per il trattamento di dati sensibili la legge può prevedere che il consenso della persona interessata debba essere accompagnato da specifiche autorizzazioni.
    Il consenso non può costituire una base legale per il trattamento quando vi sia un significativo squilibrio di potere tra la persona interessata e il soggetto che effettua il trattamento.
    Sono vietati l’accesso e il trattamento dei dati personali con finalità anche indirettamente discriminatorie.

    Su questo i Garanti della Privacy italiani che si sono succeduti, hanno detto già tutto. Importante il tema dell’”opt-in” cioè del consenso, revocabile, precedentemente dato ad ogni forma di trattamento dei propri dati personali (telefoni, indirizzi, dati economici e professionali) e di quelli sensibili come le condizioni di salute e l’orientamento sessuale, filosofico, politico e religioso. Di importanza capitale il principio dell’autodeterminazione informativa, cioè la decisione di quali aspetti della propria vita rendere conoscibili a terzi. Nel caso di una asimmetria di potere il soggetto forte deve fare un passo indietro. Non è presente nessuna ipotesi sulla gradazione del livello di privacy o “intimacy” gestibile dall’individuo.

    5. DIRITTO ALL’AUTODETERMINAZIONE INFORMATIVA
    Ogni persona ha diritto di accedere ai propri dati, quale che sia il soggetto che li detiene e il luogo dove sono conservati, per chiederne l’integrazione, la rettifica, la cancellazione secondo le modalità previste dalla legge. Ogni persona ha diritto di conoscere le modalità tecniche di trattamento dei dati che la riguardano.
    Le raccolte di massa di dati personali possono essere effettuate solo nel rispetto dei principi e dei diritti fondamentali.
    La conservazione dei dati deve essere limitata al tempo necessario, tenendo conto del principio di finalità e del diritto all’autodeterminazione della persona interessata.

    La legge italiana sulla privacy già lo prevede, e tuttavia viene ribadita la “proprietà dei dati personali” e il divieto alle raccolta massiva di dati. Richiamo più che evidente allo scandalo Datagate svelato da Edward Snowden, e alla sorveglianza massiva da parte di agenzie governative e “imprenditori dei dati” – come le agenzie di direct marketing e perfino i social network e i motori di ricerca – che ne fanno commercio e/o li cedono ai governi ai fini di sorveglianza e controllo senza avvisarne i titolari.

    6. INVIOLABILITÀ DEI SISTEMI E DOMICILI INFORMATICI
    Senza l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, nei soli casi e modi previsti dalla legge, è vietato l’accesso ai dati della persona che si trovino su dispositivi personali, su elaboratori remoti accessibili tramite credenziali da qualsiasi elaboratore connesso a Internet o simultaneamente su dispositivi personali e, in copia, su elaboratori remoti, nonché l’intercettazione di qualsiasi forma di comunicazione elettronica.

    Richiamo chiaro e senza possibilità di fraintendimento alla necessità dell’autorizzazione della magistratura per ogni tipo di indagine effettuata sulla “vita dentro lo schermo”. Una tutela importante per chi esercita il diritto/dovere all’informazione, alla critica, alla satira, alla condivisione di dati, informazioni e conoscenze, che talvolta si è cercato di limitare a favore dei diritti di proprietà, per esempio considerando lecito da parte di soggetti privati violare la privacy dei cittadini per tutelare il diritto alla proprietà intellettuale.

    7. TRATTAMENTI AUTOMATIZZATI
    Nessun atto, provvedimento giudiziario o amministrativo, decisione comunque destinata ad incidere in maniera significativa nella sfera delle persone possono essere fondati unicamente su un trattamento automatizzato di dati personali volto a definire il profilo o la personalità dell’interessato.

    Il sè digitale non può precedere il sè reale. L’articolo rinvia al rischio di manipolazione, degrado e inattualità dei dati informatici che ci definiscono come buoni o cattivi cittadini, consumatori, lavoratori, vicini di casa, e da una loro collazione parziale e artificiosa che possa pregiudicare il diritto alla dignità e libertà della persona, all’accesso al welfare e alle cure, alla giusta difesa e a un equo processo.

    8. DIRITTO ALL’IDENTITÀ
    Ogni persona ha diritto alla rappresentazione integrale e aggiornata della propria identità.
    La sua definizione riguarda la libera costruzione della personalità e non può essere sottratta all’intervento e alla conoscenza dell’interessato.
    L’uso di algoritmi e di tecniche probabilistiche deve essere portato a conoscenza delle persone interessate, che in ogni caso possono opporsi alla costruzione e alla diffusione di profili che le riguardano.
    Ogni persona ha diritto di fornire solo i dati strettamente necessari per l’adempimento di obblighi previsti dalla legge, per la fornitura di beni e servizi, per l’accesso alle piattaforme che operano in Internet.
    La definizione di un’identità in Internet da parte dell’amministrazione pubblica deve essere accompagnata da adeguate garanzie.

    L’articolo potrebbe essere fuso coi precedenti visto che riguarda il diritto ad essere lasciati in pace, all’autodeterminazione informativa, al corretto trattamento automatizzato dei dati personali e all’inviolabilità di sistemi e domicili informatici, e ne costituisce uno dei presupposti.

    9. ANONIMATO
    Ogni persona può comunicare elettronicamente in forma anonima per esercitare le libertà civili e politiche senza subire discriminazioni o censure.
    Limitazioni possono essere previste solo quando siano giustificate dall’esigenza di tutelare un interesse pubblico e risultino necessarie, proporzionate, fondate sulla legge e nel rispetto dei caratteri propri di una società democratica.
    Nei casi previsti dalla legge e con provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria l’autore di una comunicazione può essere identificato quando sia necessario per garantire la dignità e i diritti di altre persone.

    Anche qui, considerato superiore l’interesse pubblico, viene enfatizzato il valore di una particolare declinazione della privacy. Per capirci: una donna che denuncia una violenza su un blog ha diritto a rimanere anonima se serve a evitare rappresaglie, lo stesso vale per chi denuncia i mafiosi o per i cooperanti in paesi autoritari. Potrebbe essere la base del riconoscimento alla protezione dei whistleblower, gli “spioni” che denunciano malaffare, corruzione, collusioni tra potere politico ed economico.

    10. DIRITTO ALL’OBLIO
    Ogni persona ha diritto di ottenere la cancellazione dagli indici dei motori di ricerca dei dati che, per il loro contenuto o per il tempo trascorso dal momento della loro raccolta, non abbiano più rilevanza.
    Il diritto all’oblio non può limitare la libertà di ricerca e il diritto dell’opinione pubblica a essere informata, che costituiscono condizioni necessarie per il funzionamento di una società democratica. Tale diritto può essere esercitato dalle persone note o alle quali sono affidate funzioni pubbliche solo se i dati che le riguardano non hanno alcun rilievo in relazione all’attività svolta o alle funzioni pubbliche esercitate.
    Se la richiesta di cancellazione dagli indici dei motori di ricerca dei dati è stata accolta, chiunque ha diritto di conoscere tali casi e di impugnare la decisione davanti all’autorità giudiziaria per garantire l’interesse pubblico all’informazione.

    Anche qui pare contemperato il diritto a essere dimenticati con il diritto alla storia e alla memoria. Con un’eccezione già esistente nelle leggi sulla privacy: non vale per i personaggi pubblici alla cui conoscibilità e coerenza i cittadini affidano il governo delle istituzioni collettive. Un’altra via praticabile è considerata quella della definizione di un”termine temporale” prima di poter esercitare il diritto all’oblio.

    11. DIRITTI E GARANZIE DELLE PERSONE SULLE PIATTAFORME
    I responsabili delle piattaforme digitali sono tenuti a comportarsi con lealtà e correttezza nei confronti di utenti, fornitori e concorrenti.
    Ogni persona ha il diritto di ricevere informazioni chiare e semplificate sul funzionamento della piattaforma, a non veder modificate in modo arbitrario le condizioni contrattuali, a non subire comportamenti che possono determinare difficoltà o discriminazioni nell’accesso. Ogni persona deve in ogni caso essere informata del mutamento delle condizioni contrattuali. In questo caso ha diritto di interrompere il rapporto, di avere copia dei dati che la riguardano in forma interoperabile, di ottenere la cancellazione dalla piattaforma dei dati che la riguardano.
    Le piattaforme che operano in Internet, qualora si presentino come servizi essenziali per la vita e l’attività delle persone, favoriscono, nel rispetto del principio di concorrenza, condizioni per una adeguata interoperabilità, in presenza di parità di condizioni contrattuali, delle loro principali tecnologie, funzioni e dati verso altre piattaforme.

    Pare evidente il riferimento ai social network e ai motori di ricerca che oggi fungono da provider delle identità digitali e le cui condizioni d’uso conservano – nonostante i cambiamenti intervenuti nelle privacy policies – una forte asimmetria di potere dei fornitori rispetto ai contraenti. Oggi è difficile per un cittadino rifiutarsi di accettare la licenza d’uso di Facebook, come già accade per certe clausole bancarie e datoriali. La soluzione caldeggiata da molti riguarda l’equiparazione dell’uso dei social a quello del telefono come diritto universale.

    12. SICUREZZA IN RETE
    La sicurezza in rete deve essere garantita come interesse pubblico, attraverso l’integrità delle infrastrutture e la loro tutela da attacchi esterni, e come interesse delle singole persone.
    Non sono ammesse limitazioni della libertà di manifestazione del pensiero; deve essere garantita la tutela della dignità delle persone da abusi connessi a comportamenti negativi, quali l’incitamento all’odio, alla discriminazione e alla violenza.

    Qui si riecheggia il triste fenomeno dell’hate speech e degli hate crimes. I siti dell’odio che inneggiano alla discriminazione sessuale, razziale, religiosa o che sono veicoli di pregiudizio anti-ebreo, anti-rom, anti-arabo, anti-africano. L’articolo sottende anche la piaga del cyberbullismo e dello stalking in rete. Contempera il diritto alla libertà d’espressione con la tutela da comportamenti diffamatori e violenti (minacce e linciaggio mediatico) che dalla rete possono tracimare nel mondo fisico.

    13. DIRITTO ALL’EDUCAZIONE
    Ogni persona ha diritto di acquisire le capacità necessarie per utilizzare Internet in modo consapevole e attivo. La dimensione culturale ed educativa di Internet costituisce infatti elemento essenziale per garantire l’effettività del diritto di accesso e della tutela delle persone.
    Le istituzioni pubbliche promuovono attività educative rivolte alle persone, al sistema scolastico e alle imprese, con specifico riferimento alla dimensione intergenerazionale.
    Il diritto all’uso consapevole di Internet è fondamentale perché possano essere concretamente garantiti lo sviluppo di uguali possibilità di crescita individuale e collettiva; il riequilibrio democratico delle differenze di potere sulla Rete tra attori economici, istituzioni e cittadini; la prevenzione delle discriminazioni e dei comportamenti a rischio e di quelli lesivi delle libertà altrui.

    Si potrebbe aggiungere: con l’obiettivo di favorire lo sviluppo del pensiero critico, la tutela e la promozione di valori, principi, codici e convenzioni minoritari nella società. Per un’educazione al rispetto delle diversità biologiche e culturali.

    14. CRITERI PER IL GOVERNO DELLA RETE
    Ogni persona ha diritto di vedere riconosciuti i propri diritti sia a livello nazionale che internazionale.
    Internet richiede regole conformi alla sua dimensione universale e sovranazionale, volte alla piena attuazione dei principi e diritti prima indicati, per garantire il suo carattere aperto e democratico, impedire ogni forma di discriminazione e evitare che la sua disciplina dipenda dal potere esercitato da soggetti dotati di maggiore forza economica.
    La costruzione di un sistema di regole deve tenere conto dei diversi livelli territoriali (sovranazionale, nazionale, regionale), delle opportunità offerte da forme di autoregolamentazione conformi ai principi indicati, della necessità di salvaguardare la capacità di innovazione, della molteplicità di soggetti che operano in Rete, promuovendone il coinvolgimento in forme che garantiscano la partecipazione diffusa di tutti gli interessati.
    Le istituzioni pubbliche adottano strumenti adeguati per garantire questa forma di partecipazione.
    In ogni caso, l’innovazione normativa in materia di Internet è sottoposta a valutazione di impatto sull’ecosistema digitale.
    La gestione della Rete deve assicurare il rispetto del principio di trasparenza, la responsabilità delle decisioni, l’accessibilità alle informazioni pubbliche, la rappresentanza dei soggetti interessati.
    L’accesso ed il riutilizzo dei dati generati e detenuti dal settore pubblico debbono essere garantiti e potenziati.
    La costituzione di autorità nazionali e sovranazionali è indispensabile per garantire effettivamente il rispetto dei criteri indicati, anche attraverso una valutazione di conformità delle nuove norme ai principi di questa Dichiarazione.

    L’articolo riassume quindici anni di dibattito in sede Onu sull’importanza di regole e principi condivisi per la governance “multiequal-stakeholder” della rete. Cioè, la necessità di un governo partecipato della gestione di Internet da parte di soggetti pubblici e privati, a ogni livello: infrastrutturale, tecnico, legale e contenutistico. Un approccio di cui l’Italia è pioniera, a dispetto della capacità dei suoi governi di riconoscerlo e sostenerlo.

    Fonte: La Repubblica

  • Due sentenze, di aprile e maggio scorso, hanno aperto un varco nella Rete, dalla quale potrebbero entrare i diritti umani che, nel libero mondo virtuale, non vengono rispettati. Dalla staticità del Web 1.0, alla dinamicità del Web 2.0, ora passeremo alla costituzionalità del Web 3.0?

    Come tutti voi sapreste, in questo momento ci troviamo nel Web 2.0 che, a differenza del 1.0, ha sostituito alla staticità, al tecnicismo, alla bassa accessibilità a servizi di editing e condivisione, tecnologie avanzate, in grado di garantire anche all’utente meno evoluto (sul piano tecnico) la fruibilità di servizi ormai ben noti a tutti, come i blog, la tecnologia wiki (vedi la filosofia di Wikipedia) o, esempio per eccellenza, la nascita dei social network hanno, di fatto, abbattuto i muri della presenza di miliardi di utenti sparsi per tutto il mondo. Da grandi numeri di utenti, derivano grandi problemi, come quello della privacy, messa a dura prova a causa di Facebook (esempio tra tutti), nel quale chi si iscrive è tenuto ad inserire informazioni personali, oltre alle proprie foto e video. Ma la grandissima presenza di dati personali sul web, pone un problema serio che andrebbe affrontato a livello europeo, non da un pinco pallino qualsiasi, ma da esperti del diritto e da politici illuminati, capaci di dare una sterzata positiva ed innovativa ad una regolamentazione delle informazioni presenti su internet, senza cadere nella censura “senza se e senza ma”, ma creando una prospettiva ben precisa, chiara, ma soprattutto utile. Questo problema se l’è posto il Prof. Stefano Rodotà, già Presidente dell’Autority sulla Privacy, prendendo spunto da due casi giuridici recenti.

    Possiamo dire che comincia a prendere forma una costituzione per la Rete, un vero Internet Bill of Rights? Alcuni fatti recentissimi giustificano questa domanda. In aprile e maggio la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha pronunciato due importanti sentenze in materia di diritto alla privacy: una ha dichiarato illegittima una direttiva europea che, per motivi di sicurezza, prevedeva modalità sproporzionate di raccolta e conservazione dei dati personali; l’altra, su richiesta di un cittadino spagnolo, ha imposto a Google di eliminare il link che rendeva liberamente accessibili alcuni dati riguardanti un suo debito non pagato.

    E ancora

    Ricordo sinteticamente i principi di finalità, proporzionalità, necessità e la norma della Direttiva europea 95/46, presente nelle legislazioni nazionali, che dà alla persona interessata il potere di opporsi, per “motivi legittimi”, al trattamento di dati personali che la riguardano, anche se raccolti in maniera legale. Proprio partendo da queste premesse, erano già state rivolte moltissime richieste ai motori di ricerca che potrebbero ora essere anche classificate come manifestazione del right to be forgotten.

    Il problema è serio e va di certo affrontato in sede Europea. Ecco, in risposta a chi non crede che l’UE giochi un ruolo fondamentale nelle nostre vite, credo che lì, in quelle sedi, può giocarsi una partita importante da non sottovalutare, poiché può portare a due scenari, uno catastrofico – cadendo in un principio di censura senza limiti e regole, e dall’altra uno innovativo, positivo per il web e per i cittadini europei (e di conseguenza di tutto il mondo) – con una costituzionalizzazione di internet, dando spessore e forma ai diritti sanciti nella Carta fondamentale dei diritti dell’UE, agli art. 7 e 8, oltre che a diverse direttive trattanti tale tema (una la citava poco più sopra lo stesso Rodotà). Perciò la domanda sorge spontanea: Siamo agli albori del Web 3.0? Il Professore risponde così:

    Qualcuno teme che, muovendo da queste premesse, si possa giungere a un Web 3.0 dominato dal potere dell’interessato di controllare i dati che lo riguardano. Questo è un modo per travisare la questione. A quel Web 3.0 si dovrà guardare come ad uno spazio costituzionalizzato, dove gli Over the Top o altri padroni del mondo non possano considerarsi liberi da ogni regola o controllo.

  • Questa mattina ho presentato la mozione “Civati per L’Italia“, con emozione e soprattutto un risentimento forte, dentro di me, dovuto a questa battaglia congressuale, che poteva e può essere svolta sui temi cari al PD e al Paese, ma che invece si sta dimostrando una battaglia a suon di legnate interne. Ed io mi incazzo, perché sogno un partito diverso. Lo sogniamo in molti.

    Cosa voglio dire è molto semplice: la situazione nei circoli pare incresciosa, una falsa competizione pre-primarie, dove gli interessi di corrente vengono prima di qualsiasi altro tipo di obiettivo comune. Queste convenzioni sono una pagliacciata. Sapete perché? Perché è l’occasione per i notabili locali di procedere ad una conta e ad una strumentalizzazione del voto.

    Ho forse esagerato nell’enfasi, oggi, ma credo e spero di aver spiegato per filo e per segno quale sia il progetto di partito che con Pippo stiamo portando in giro nei circoli. Non possiamo accettare che il partito rimanga nelle mani dei soliti noti, gente che dovrebbe andare a lavorare e lasciare che il partito sia gestito da persone che credono fino in fondo in quel simbolo, così tanto schernito da chi è fuori i nostri circoli e che invece dovrebbe conoscere il vero valore di un progetto riformista come quello che dovrebbe oggi raffigurare il Partito Democratico.

    Quanti possono permettersi di dire che i 101 devono essere presi e cacciati dal partito? Quanti? Nessuno può permettersi di dirlo, perché tutti hanno qualche 101 come sponsor. Tutti tranne uno. Colui che può permettersi di fare una battaglia aperta contro l’inciviltà politica che ha investito il nostro partito, a difesa delle persone per bene che, mi dispiace per tutti i commentatori da salotto o da tastiera, ci sono nel PD, ci sono e ci saranno sempre fino a quando qualcuno avrà il coraggio di pensarla diversamente dagli strateghi che ci hanno portato al governo delle larghe intese.

    La battaglia contro i 101 è una questione di civiltà. Aumento il tiro e dico che i 101 sono ovunque, che in realtà non sono solo 101 ma sono più di mille e anche più. Sono presenti ovunque ed ogni giorno pongono interessi di potere a quelli collettivi. Ci sono e sono ovunque e non possiamo arrenderci all’idea di dover abbandonare la nave. Chi abbandona o volta le spalle al PD è come un capitano che lascia la propria nave mentre affonda.

    Ipocrisia allo stato puro. Ecco cosa sento nell’aria dei congressi locali, nelle votazioni per le varie convenzioni. Come si possono permettere queste persone di ritenere il partito un oggetto di loro proprietà? Come? È vergognoso. Luridamente presente e individuabile.

    Chiedetevi cosa state facendo e perché appoggiate l’uno anziché l’altro candidato. E se tra le prime 3 motivazioni vi balza alla mente il “perché è giovane”, sappiate che non siete niente di nuovo e il rinnovamento non arriverà da lì, non arriverà da quella scelta, perché è la base di quella scelta che è sbagliata.

    Se Matteo Renzi è giovane, io cosa sono? A 38 anni si è adulti e si deve essere responsabili delle proprie azioni e di cominciare a capire che la coerenza delle proprie idee viene prima di qualsiasi tipo di marketing politico e di camicie con maniche arrotolate e jeans all’ultimo grido. A 38 anni si deve comprendere che non si può far politica facendo giravolte ogni giorno, sui temi più importanti: governo sì, governo no. Cancellieri sì, Cancellieri no.
    Se si è convinti che queste larghe intese debbano finire quanto prima, non si annuncia la propria disponibilità a ricandidarsi a Sindaco. Non abbiamo mica scritto in fronte “giocondo”. Eddai su!

    Ha fatto bene Pippo ad annunciare la presentazione, nell’assemblea dei parlamentari PD di martedì prossimo, del documento per la mozione di sfiducia a carico del Ministro Cancellieri. Così testeremo fino in fondo e con chiarezza la coerenza dei nostri parlamentari, visto che si rifiutano di votare la mozione presentata dal Movimento 5 Stelle, non perché c’è una motivazione politica a riguardo, ma perché è stata presentata dal M5S. Un fatto di principio. Diciamo che è una replica della votazione del Presidente della Repubblica: Rodotà no, non perché non è di sinistra, ma perché è stato presentato e supportato dal movimento di Grillo e quindi non possiamo piegarci e seguire, una volta tanto, con umiltà. Poi no anche a Prodi, perché non avrebbe mai permesso un governo PD-PDL e sarebbe svanito il sogno feticista di molti leaderini e vice-leaderini di poter compiere il gemellaggio a spese degli elettori (presi per il culo, alla stragrande). Quindi in barba ad una prassi assodata dalla nascita della Repubblica Italiana, abbiamo rieletto l’arbitro delle crisi di governo che più di tutti giustifica questo valzer di coppia tra democratici e berlusconiani (oggi anche con i nuovi alfaniani). Diciamo che era giusto farlo riposare, ha la sua età e il Paese e le Istituzioni devono avere un ricambio di personalità, con diversi modi con cui approcciarsi ai problemi.

    Continuiamo la nostra battaglia e non fermiamoci davanti a nulla. Chi ha paura degli ostacoli prima o poi si bloccherà. Noi dobbiamo cambiare le cose, cambiandole, non con il sorriso, ma con la serietà e la coerenza che deve contraddistinguerci.

  • Non leggo un intervento del genere da molto tempo, ma Walter Tocci ha saputo rimediare con le parole pronunciate all’assemblea dei senatori del PD. Vi riporto il testo e vi invito a leggerlo con molta attenzione.

    C’è un paradosso. Abbiamo successo in virtù dei nostri demeriti. Abbiamo fatto il governo a causa di uno sbaglio. Oppure abbiamo sbagliato per fare il governo. Rimane il dubbio che i 101 non fossero scavezzacolli indisciplinati ma lucidi strateghi che volevano fare il contrario di quanto avevamo raccontato agli elettori prima e dopo il voto.
    Già avevamo ottenuto il premio di maggioranza con una campagna elettorale sbagliata. Come ha detto il presidente Napolitano, quel premio lo abbiamo sprecato; forse proprio perché non lo avevamo meritato. Vincere per demerito può avere effetti devastanti se nell’euforia si dimenticano i propri difetti, ma può essere una fortuna se si dimostra di saper cambiare se stessi. Dovremmo farlo in tre direzioni: servizio per il Paese, sincerità tra noi, apertura verso gli altri.

    Servire il paese significa oggi volerlo cambiare. Adesso non ci sono più alibi, non è più consentita a nessuno la propaganda, ci troviamo sotto i riflettori in una competizione con la destra sulle soluzioni più efficaci per uscire dalla crisi. Qui si parrà la nostra nobilitate. Ci vuole cultura di governo, non a parole, ma nella capacità di entrare in connessione con la realtà del Paese, con i suoi drammi e con le sue risorse. Siamo ricorsi ossessivamente alle primarie, nascondendo la debolezza del nostro progetto per il Paese. Ce la siamo cavata dicendo “un po’ di equità e un po’ di lavoro”, ma non poteva bastare nel cuore della più grande crisi del secolo. I nostri 8 punti sono stati tardivi e sbrodolati in 80 microproposte tecniche; mi ha ferito ricevere dai nostri elettori mail che mi riscrivevano il testo in stile più leggibile. Berlusconi, invece, ha calato con chiarezza i suoi assi sul tavolo, che ci piaccia o no, dall’Imu all’attacco all’austerità europea, mentre noi facevamo la retorica dei compiti a casa.

    Ora dobbiamo fare meglio, elaborare proposte innovative e coraggiose nei diversi campi, sulla creazione di lavoro soprattutto. Dobbiamo essere in grado di coinvolgere grandi investitori, anche istituzionali, su progetti per la green economy, la mobilità, i servizi digitali, i beni culturali. Quando sento parlare in commissione i miei amici Santini e Sangalli, oppure quando leggo gli articoli di Mucchetti e Guerrieri, mi inorgoglisco di far parte di un gruppo così ricco di competenze. Ma spesso nel partito non vengono utilizzate tutte le risorse disponibili, e alla fine le proposte ufficiali escono flebili, incerte e difficili da comunicare. Proviamo, come gruppi parlamentari, ad aiutare il governo con iniziative di qualità. Vi ho inviato un disegno di legge sul finanziamento dei partiti elaborato con Pellegrino Capaldo, una personalità lontana dal Pd che ci ha dato il suo contributo con molto piacere. Modifichiamo come volete quel testo, ma non restiamo ancora in silenzio su una questione ormai cruciale per la nostra credibilità verso l’elettorato.La sincerità tra noi è quanto mai necessaria dopo lo smacco nella vicenda del Quirinale. Anche nelle famiglie più litigiose, di solito, dopo un lutto sgorga una franchezza imprevedibile, si sciolgono vecchie ruggini e si aprono i sentimenti a nuove solidarietà. Spero possa valere anche per noi. Dobbiamo guardare in faccia quello che è successo. C’è stato il collasso della classe dirigente del Pd. Con una sequela di scelte sbagliate negli ultimi sessanta giorni. A cominciare dalla prima, la madre di tutte le altre, cioè la pretesa di candidare premier Bersani pur avendo perso le elezioni. Ho detto a tempo debito che non ero d’accordo e molti in direzione la pensavano allo stesso modo, ma sono rimasti in silenzio; quanti guai ci avrebbe risparmiato un po’ di sincerità.

    Non ho condiviso questa catena di errori e non posso condividere neppure la scelta obbligata che da essi discende. Questo è il senso del mio voto contrario qui alla deliberazione del gruppo dei senatori Pd sul voto di fiducia. Poi domani voteremo insieme a sostegno del governo Letta. Non ho mai avuto dubbi su questo. È stato solo penoso dover sentire aitanti giovani che fanno la lezione proprio a me sul centralismo democratico per far vedere ai loro capi che hanno il pelo sullo stomaco. Non si possono accettare ramanzine dai professionisti delle sconfitte. Ci vuole sobrietà e modestia in questi tempi difficili. Chi è stato in prima fila ha perduto l’autorevolezza: dunque ci risparmi almeno l’enfasi autoritaria, si metta alla stanga umilmente, e ascolti più di quanto non abbia fatto prima. Se il governo è di servizio, tanto più devono esserlo le funzioni dirigenti nel partito. Chi si trova a ricoprirle – a tutti i livelli – deve essere consapevole della loro natura provvisoria, in vista di un congresso che dovrà cambiare radicalmente la classe dirigente. Stavolta secondo i meriti, per i giovani come per gli anziani. Si deve andare avanti in carriera per i risultati raggiunti e non per gli errori commessi.

    Siamo tutti responsabili, anche io assumo la parte che mi spetta. Ma ne hanno di più coloro che hanno comandato in questi due mesi, negli ultimi due anni e negli ultimi venti anni. Se siamo a questo punto, dobbiamo dirci la verità: Berlusconi ha mostrato un’intelligenza tattica superiore a quella del nostro stato maggiore. Non ha sbagliato una mossa: solo cinque mesi fa era nella polvere; ora i nostri errori lo hanno fatto rinascere come statista, ed è successo tante altre volte in passato.
    Purtroppo le dimissioni del Papa non sono l’unico pronostico azzeccato da Nanni Moretti. Quando venne alla memorabile chiusura della campagna elettorale, all’Ambra Jovinelli, volle aiutarci smentendo la profezia di dieci anni prima, che però si è avverata comunque: con questi dirigenti non abbiamo mai vinto.

    L’apertura verso gli altri sarebbe preziosa. Eppure, anche nella bufera, sopravvive ancora il bilancino Cencelli delle vecchie correnti DS e Margherita. È stato usato perfino nella composizione del governo in queste ore complicate, anche se i nostri ministri sono persone di grande qualità, alcuni anche carissimi amici, e colgo l’occasione per rivolgere a tutti loro un affettuoso augurio di buon lavoro. È importante la novità di competenze, di giovani e di donne. Forse chi ha armato la mano di un folle voleva oscurare la novità, almeno su questo, di un governo diverso dal passato. Il ceto politico Margherita e Ds ha capito che deve rinnovare le persone, ma vorrebbe conservare il suo monopolio nella gestione del partito. Queste tradizioni dovevano fondare il Pd e invece lo hanno impoverito, lo hanno rinchiuso in se stesso, estraniandolo dalle forze più vitali del centrosinistra.
    Siamo arrivati al punto in cui un fondatore come Romano Prodi e un costituente della Carta di Nizza come Rodotà sono ritenuti estranei, sbattuti fuori dalla porta di una casa sempre più angusta. Fino a quando potremo sopportare che un gruppo dirigente perdente conservi se stesso?

    Il Pd doveva andare oltre l’Ulivo e invece ha tagliato il suo tronco originario. Ma il ceppo è ancora vitale e la linfa spinge verso l’alto. Il progetto ha funzionato tra i militanti e nell’elettorato, che è appassionato e intelligente. Sarà anche imbattibile, quando troverà una classe dirigente all’altezza del compito. Ma di questo riparleremo al congresso.

  • Mi ero promesso di dedicare in questo blog, soprattutto in un momento così intenso per la mia Città, in vista delle Amministrative, spazio alle problematiche di Noci e a quelle che sono le nostre soluzioni, le nostre prospettive. Lasciatemi però fare delle piccole osservazioni su una notizia che mi ha lasciato sconcertato: la candidatura di Franco Marini a Presidente della Repubblica.
    Ora, siccome il mio pallino è sempre quello e siccome al Quirinale non possiamo metterci chiunque ci passi per la testa, ritengo che quello che raffigurò Sandro Pertini a suo tempo – ruolo da collante tra società fortemente delusa dalla politica e quest’ultima, immersa nel marcio – oggi spetti a qualcun altro, qualcuno che sappia, anche solo con la sua elezione, calmare le acque di questa politica becera e di questo ondata di ribellione scarna di contenuti e ricca di voglia di cambiamento.

    Il Pd così si spacca, ormai ce lo dicono tutti e un tentativo di autoconvincimento non fa mai male a nessuno, certo è che fa male alla storia del nostro Paese e al centrosinistra. Cosa sarà successo in quell’assemblea che ha partorito il nome del ex Presidente del Senato? Bersani avrà preso un colpo di sole? Certo è che non è benefico per il Paese, per la politica, per il Pd.

    Dopo la grande mossa Boldrini-Grasso, ci tocca un Franco Marini che tutto è tranne sinonimo di rinnovamento e soprattutto la risposta che l’Italia si aspetta, almeno da questa mini-legislatura, che io chiamo “di servizio”.

    Vorrei porre fine a questa storia, magari con l’obbligo di mettere in streaming questi “conclave” e cominciare a comprendere le ragioni di tali risultati raccapriccianti. Soprattutto per capire cosa si voglia raggiungere minando l’alleanza con Vendola.

    Cosa dirà la gente, cosa penseranno i cittadini? Queste elezioni politiche dovevano essere il segnale di fumo, per avvertire che le cose stanno per rivoluzionarsi, che la politica deve fare 4 passi in avanti e 2 di lato, perchè procedere non basta, serve dignità e ascolto verso i cittadini e i loro bisogni. In questo momento, l’ascolto sarebbe stato di notevole aiuto.

    Il Movimento 5 Stelle, dopo il rifiuto della Gabanelli, presenta Rodotà, un nome che se pur appartenente ad un’altra era politica, rimane pur sempre un soddisfacente candidato a cui bisognerebbe dar peso, senza pregiudiziali nei confronti di chi lo propone, ma sempre con un occhio di riguardo al Paese.

    Personalmente avrei preferito un Romano Prodi, pacato, molto attento ai problemi economici, una persona che per il suo carattere sarebbe riuscita nell’intendo di riportare la politica a quello status di dialogo e lavoro. Ma se le cose sono messe così, allora io credo che Stefano Rodotà sia la carta da giocare.

    Marini no! Faremmo 10 passi indietro e dopo il 9° c’è il burrone.

  • Servizio-Pubblico-Presidente-della-Repubblica

    Servizio Pubblico ci ha propinato per mesi la teoria del “governo tecnico = golpe”, che Monti era il nemico comune, per destra e sinistra, perchè la gente vedeva i tecnici con diffidenza ed era lì che bisognava scavare per ottenere consensi. Ma oggi è apparsa una cosa strana sui social network: un disegno, realizzato dalla redazione di Michele Santoro, di un possibile governo “tecno-piacione” che fa gola a molti e vomitare altri, che solletica la pancia dei nostalgici e dei delusi dalle lauree gianniniane.

    Una linea di principio tale disegno ce l’ha? Io non lo so, certo è che vedere, nella stessa squadra di governo, Zingales all’Economia e Landini al Welfare, mi lascia un po’ perplesso. Un Rodotà che di esperienza ne ha fatta molta e che immischiarsi in una poltiglia politica come quella attuale lo renderebbe vulnerabile da qualsiasi angolo e gli brucerebbe quelle probabilità (ancora non quantificabili) di correre per il Quirinale.

    Milena Gabanelli all’Istruzione è un azzardo voluto, forse perchè nessuno comprende la natura della scuola e di cosa realmente c’è bisogno. A parte che la giornalista di Report la vedrei più come Presidente RAI, di una RAI senza partiti (lo spero), e al MIUR una persona che dal punto di vista professionale e per scelta di vita si ritrova a contatto con il mondo della scuola, dell’istruzione, dell’università, della ricerca e dulcis in fundo degli studenti, magari lasciando perdere certi casi clinici (vedi Profumo).