E Nichi ci riprova. Il problema è sempre quello, nessuno vuole capire. Nessuno vuole ammettere che la sinistra, per essere (ri)costruita, deve bonificare il terreno su cui vuole ergersi.
Attualmente, in Italia, non c’è un solo esempio di una sinistra strutturata – anche nel suo piccolo – capace di dare risposte concrete e di saper fronteggiare la deriva della politica. Non c’è, perché è essa stessa parte di quella politica ormai in declino.
A dimostrazione di ciò, c’è un’intera schiera di vecchie glorie, ex-trombati e raccattapalle, sempre in prima fila, quando c’è bisogno di teorizzare un nuovo soggetto di sinistra, oppure quando c’è l’intenzione di sviluppare un progetto politico che con l’Italia non ha nulla a che vedere (vedi Syriza e Podemos) – su cui ci tornerò tra brevissimo.
Human Factor – il laboratorio lanciato da Vendola, dal 23 al 25 gennaio – non sarà certo il punto di svolta, né un punto di partenza. Non si può costruire nulla con questo cemento, perché spesse volte è solo sabbia e niente più. Serve altro e questo altro ancora non c’è, perché quella che abbiamo noi, in Italia, è una sinistra (in maggioranza) ultra-conservatrice, non solo nelle sue posizioni, ma anche e soprattutto nella scelta delle persone.
Il rispetto e la difesa delle origini è cosa buona e giusta, perché è da radici solide che prende vita un albero altrettanto forte, ma il punto è che queste radici ormai sono in putrefazione, hanno dimostrato, nel corso degli anni, di non essere all’altezza della situazione. Un partito di sinistra che non riesce a farsi capire dai cittadini e non riesce ad ottenere consensi, deve porsi delle domande centripete e non centrifughe. Molte volte si è vittima di se stessi e non di una incapacità da parte degli altri di ascoltare.
Il nostro Paese vive una sofferenza immensa e spazio politico per nuovi soggetti ce ne sarebbe pure, ma il punto è che non ottieni un progetto vincente, sommando progetti fallimentari. Non deve essere SEL a mettersi in gioco, ma un intero modo di pensare di sinistra.
Ho citato prima Syriza e Podemos, i due partiti di sinistra della Grecia e della Spagna. Il leader di Syriza è Alexis Tsipras, noto in Italia per essere stato la scotch che ha tenuto “unita” la sinistra extraparlamentare (+ SEL) in vista delle Elezioni europee, con il successivo siparietto sul seggio che Barbara Spinelli decise di tenersi stretto, scatenando l’ira di SEL e Rifondazione Comunista. Il meno noto è Pablo Iglesias, leader di Podemos.
I due partiti di sinistra, che in questi mesi hanno ottenuto e continuano ad ottenere consensi nei loro rispettivi Paesi, fanno brillare gli occhi ai leader usurati della sinistra italiana, lasciandoli sognare, a giorni alterni, di essere un po’ Podemos e un po’ Syriza, senza sforzarsi di intraprendere un percorso che prescinda da altri partiti, soprattutto stranieri. Un progetto spontaneo, insomma, niente di simulato o copiato. Perché è vero che Syriza e Podemos sono il risultato di una unione di altri partiti e movimenti di sinistra, ma è anche vero che la Grecia e la Spagna non sono l’Italia.
E se non si comprende questo, non si è (di) sinistra, ma solo una cozzaglia di personaggi in cerca di sbancare il lunario, priva di quella cultura aperta e propositiva. Per intenderci: a mischiare le minestre son bravi tutti. È nell’inventare una nuova ricetta che c’è la vera difficoltà.
Un quadro preciso l’abbiamo ottenuto durante la conferenza stampa di sostegno alla candidatura di Tsipras alle elezioni del 25 gennaio in Grecia. A vedere alcuni c’era solo da mettersi le mani tra i capelli.
Ma il punto è sempre uno: vogliamo ritornare a qualche anno fa? Con un centrosinistra frammentato, disorganizzato, capace di far cadere un governo dalla sera alla mattina? Oppure è forse il caso di farsi un esame di coscienza e trovare dentro di sé la ragione di una deriva centrista del centrosinistra italiano? Non è che si è troppo poco credibili?