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  • Walter Tocci intervistato da Radio Radicale.

  • Lello Ciampolillo, Senatore pugliese del Movimento 5 Stelle, come un cane da tartufo, ha scovato una magagna ad opera di un senatore di Forza Italia, il quale assente (probabilmente bloccato in bagno, dovrei supporre con ottimismo) aveva dato facoltà di voto ad una pallina di carta, messa a contrasto nella fessura del banco – che ospita i tre pulsanti di voto – in modo da poter risultare non solo presente (con tessera inserita) ma votante, un pianista di ultima generazione, per intenderci.

    Se guardate bene il video, dall’alto del suo scranno, assiste con divertimento Scilipoti, il senatore più responsabile degli ultimi 150 anni.

    In tutto questo, il Sen. Ciampolillo ha egregiamente bloccato un abuso da voltastomaco. Speriamo non si ripeta, soprattutto con le riforme attualmente al vaglio del Senato.

  • Ancora una volta, il nostro Paese si è infilato in un tunnel, dopo aver guardato il cielo e sperato di poter toccare la Luna.

    Il nostro Prodotto Interno Lordo, secondo l’ISTAT, ha il segno meno, – 0,2%. Tradotto in denaro, 3 miliardi di euro mancano all’appello.

    Il PIL, in questo momento, ha svolto un ruolo fondamentale, negativo sotto diversi aspetti, positivo in altri, a mio avviso. All’Italia, negli ultimi due giorni, è come se qualcuno le abbia tirato un pizzicotto e ricordato di non essere in un mondo virtuale, dove priorità e problemi sono ben altri rispetto a quelli che hanno accerchiato i governi precedenti.

    Riforma costituzionale? Sì, d’accordo, ma proprio ora? Come lessi da qualche parte, credo che Renzi stia cercando di lasciare il segno del suo passaggio, costi quel che costi. Vuole far vedere che lui qualcosa l’abbia fatta, non importa se era prioritaria o meno, ma qualcosa che faccia ricordare agli italiani che Matteo Renzi sia passato di qui. Un po’ come quel ragazzo che nei bagni della stazione, penna alla mano, scrive sul muro “Big G è stato qui“, rovinando il muro. Una cosa del genere.

    Sarò ripetitivo, ma credo che la riforma costituzionale sia importante, non sono, invece, dell’idea che debba essere al primo posto nell’agenda del Governo e, soprattutto, del Parlamento. Importanti riforme strutturali andrebbero poste in cima alla Top 10 delle riforme. Il Job Act, per esempio, o le tasse. Ci siamo bloccati sugli 80 euro in entrata per qualche famiglia, ma non ci siamo impegnati più di tanto sulle uscite per tutte le famiglie. Ecco, probabilmente quanto abbia detto poc’anzi sia stato già inserito dal Governo nella sua agenda, ma non so fino a che punto convenga, a tutti, tenere in ostaggio il Senato a discutere di emendamenti su emendamenti alla riforma del Senato e del Titolo V. Non credo sia una priorità, anche perché come ho cercato di spiegare, non è che mi convinca molto questo Senato di nominati.

    Se determinati temi siano stati presi sottogamba da parte di qualcuno, non lo so, ma se la situazione italiana è come l’estate 2014, stando alle parole di Renzi, credo ci sia poco da sorridere.

    Io ad agosto mi sono raffreddato. Mai successo prima.

  • Ieri, su La Stampa, Federico Geremicca ha scritto un articolo interessante che vi propongo e che, spero, possa suscitare in voi una serie di domande e/o considerazioni, augurandomi di vederle postate sui social network o su questo blog, come sempre a vostra disposizione.

    Che la migliore notizia ricevuta nelle ultime settimane sia l’assoluzione in appello di Silvio Berlusconi – cioè del leader della coalizione che tenterà di batterlo alle prossime elezioni – la dice lunga su quanto si sia fatto agitato il mare intorno a Matteo Renzi.

    Lo sgradevole stop alla nomina di Federica Mogherini, gli ammonimenti del neo Commissario agli Affari economici Katainen, la drastica riduzione al ribasso della crescita del Pil ipotizzata da Bankitalia e il faticoso cammino in Parlamento della riforma del Senato, sono lì a confermare il momento di evidente difficoltà.

    In un quadro a tinte così fosche, altri premier e altri governi si sarebbero forse ritrovati a un passo dalla crisi: e invece nulla, per ora, sembra intaccare la popolarità e il consenso che circondano l’ex sindaco di Firenze, visto l’alto gradimento di cui continua a godere secondo ogni sondaggio. E’ come se accanto al mondo reale – quello segnato appunto dalle difficoltà di cui si diceva – Matteo Renzi fosse riuscito a costruirne, almeno in Italia, un altro virtuale: un pianeta fatto di ottimismo, di forza della volontà, di promesse di cambiamento, di fiducia nel futuro.

    Nella creazione di questa sorta di «pianeta parallelo», molto ha contato e conta l’abilità comunicativa del giovane premier. Ma c’è, naturalmente, dell’altro: e fingere di non vederlo potrebbe costituire il secondo errore capitale (il primo è stato la sottovalutazione del fenomeno-Renzi) degli stati maggiori dei partiti avversi al premier e degli stessi «malpancisti» all’interno del Pd. Se una fetta assai ampia di italiani – a dispetto delle difficoltà crescenti – continua ad aver fiducia e ad esprimere sostegno all’azione del Presidente del Consiglio, è perché ancora troppo vivo è il ricordo di quella che per comodità qui definiamo «la vecchia politica».

    La memoria del passato, anche recente, non stimola certo un desiderio di ritorno all’antico e la rapida archiviazione di una leadership che comunque – assieme a tante promesse – segnali di cambiamento effettivo li ha lanciati: dal governo meno affollato degli ultimi decenni alla nomina di donne alla guida di aziende di Stato, dal tetto agli stipendi dei manager pubblici alla rivoluzione nella pubblica amministrazione, fino alle fermissime prese di posizione a fronte di fenomeni corruttivi, da qualunque parte provenissero. Molti italiani, dunque, pensano: la situazione è difficile, ma almeno ora c’è qualcuno che si è rimboccato le maniche e ci sta provando davvero.

    Matteo Renzi, insomma, ha vinto e governa con ancora largo consenso grazie alla promessa e poi alla realizzazione (parziale, certo) di un radicale cambiamento: è evidente, allora, che chi intenda sconfiggerlo non potrà che farlo sfidandolo su questo stesso terreno. Cominciando, ovviamente, a cambiare esso stesso: partito, leader o approccio a una «nuova politica», che dir si voglia. Per ora, onestamente, segnali in questo senso non se ne scorgono: né a destra, né al centro e nemmeno a sinistra…

    E’ questa, in fondo, la maggiore e più importante «rendita di posizione» su cui può contare Matteo Renzi: l’estrema difficoltà degli altri – intendiamo le classi dirigenti nel senso più ampio del termine – ad imboccare la via di un visibile e credibile cambiamento. Per altro, finché in campo ci sono «quelli di prima» con gli argomenti di prima, è fin troppo facile per il premier rispondere alle critiche che gli vengono mosse: avete governato per decenni senza fare nulla di quel che ora imputate a me di non fare o di fare male… Argomento, oggettivamente, difficile da liquidare.

    Ma anche le rendite di posizione, perfino le più cospicue, sono destinate ad esaurirsi: ed è per questo che, al di là della debolezza dei suoi avversari (interni ed esterni) Matteo Renzi ha un disperato bisogno di centrare risultati: a cominciare – almeno sul piano dell’immagine – dalle «riforme politiche» (bicameralismo e legge elettorale) enfatizzate fino al punto da legare alla loro realizzazione addirittura il suo futuro in politica. «Settimana decisiva» ha infatti annunciato ieri il premier, riferendosi alla riforma del Senato. E’ da augurarsi che sia così e che le cose vadano nel verso giusto, perché un rinvio all’autunno dell’approvazione almeno in prima lettura, sarebbe uno smacco assai forte. Certo non compensabile col pur apprezzabile avvio del così decantato piano «scuolebelle»…

  • Vorrei capire diverse cose. Prima di tutto dove si voglia arrivare con questa situazione di disagio che io sto provando (e credo molti altri) su una situazione politica difficile – che va risolta quanto prima per non trasformare ogni volta il dibattito interno come uno strappo – e, anche, per la battuta infelice di Mineo. Seconda cosa, per quale assurda ragione tutte le volte che c’è un dissenso si sente nell’aria puzza di scissione. Io lo dico chiaro e tondo: il PD è il mio partito e lavoro per cambiarlo in meglio. Sarà difficile, sarà un sogno, sarà, forse, ingenuo credere di poterci riuscire? Io da quando faccio politica non ho mai preso posizioni strumentali, che mi abbiano reso più facile la vita nel partito.
    Vivo la mia vita da membro di una comunità politica con la consapevolezza che ci sono persone mature, per bene, disponibili al dialogo e alla condivisione. Nei Giovani Democratici così come nel PD. Per questo credo che serva il rispetto di un principio fondamentale: il rispetto della dignità delle persone. Questo rispetto non lo hanno portato ne Mineo, ne Renzi. Da qui ripartiamo, dai nostri errori, per migliorarci. Deve essere questa la nostra forza. Non un cognome.

  • Quello che sta succedendo, in queste ore, è tragico, molto tragico.

    Corradino Mineo e Vannino Chiti, senatori del Partito Democratico, sono stati sostituiti in Commissione Affari Costituzionali del Senato, perché portatori di una differente visione della riforma del Senato, rispetto a quella Boschi-Renzi, e perché entrambi avevano intenzione di far pesare nella discussione in commissione i loro emendamenti, proiettati verso la salvaguardia dell’elettività dell’Aula.

    Bum! Un colpo di spugna e Mineo e Chiti non sono più membri della commissione, in alternativa verrà posto qualcuno più propenso all’idea di un Senato non elettivo e che, magari, non si ponga tante domande sulla questione. So per certo che in Commissione si rappresenta il gruppo, ma se da un lato c’è stata una forzatura, dall’altra è stata lanciata una bomba a grappolo.

    Quando ho appreso questa notizia, devo esservi sincero, ho avuto un sussulto di rabbia, ma dopo aver riflettuto con calma e attentamente, credo che il problema più che numerico o di posizionamento, sia politico (come spesso capita).

    La questione che dovremmo porci è se sia giusto considerare i parlamentari come delle pedine da spostare a proprio piacimento, senza dare un minimo valore alla persona, in quanto essere umano, in quanto essere pensante, con una propria dignità, con una propria intelligenza. Governare non è come giocare a Dama.

    Non sto facendo retorica, ma credo che questo non sia risolvibile con delle semplici parole. Cosa vogliamo raggiungere in questo modo? Qual è l’obiettivo? Se Renzi crede che una riforma costituzionale passata in questo modo sia utile al Paese, si sbaglia. Crede sia conforme ai principi della Costituzione? Crede che questa sia una legge come tutte le altre?

    L’Assemblea Costituente scelse un iter abbastanza complesso per la modifica della nostra Carta, probabilmente perché sua intenzione era di blindare la Costituzione nei confronti di partiti che, in modo unilaterale, avrebbero voluto modificare la Costituzione a proprio piacimento. Ma non mi fermerei qui: la Costituzione va rivista e modificata con una larghissima maggioranza, simbolo di una mediazione tra diversi punti di vista, simbolo di una collaborazione tra le forze politiche che, oggi, non vogliono collaborare e che quindi il Governo potrebbe finire schiantato contro un muro e portarsi con se anche il PD.

    Pensando con malizia, potrei immaginare un disegno di Renzi, un po’ alla House of Cards o, in chiave nostrana, un disegno paradalemiano, con l’intento di far “scoppiare” il gruppo parlamentare e il partito, facendo allontanare esponenti della minoranza (autonomamente, come è successo con l’autosospensione dei 13 senatori), ormai rimasta da sola (nel senso di una sola, visto che delle due iniziali, una di queste è in una fase di osmosi verso il renzismo dell’undicesima ora, lasciando pochi superstiti).

    Forse mi sbaglio, forse credo in un partito che sta svanendo, nella sua accezione più alta, nella sua natura di casa, di polis dove poter discutere, potersi confrontare e poter essere ognuno alla pari di tutti.

    Per l’ennesima volta voglio ribadire un concetto, mi sembra ridicolo farlo ma, a quanto pare, è una necessità: il PD ha preso il 40% alle Elezioni europee, 11 milioni di voti, 11 milioni di elettori che non hanno votato il PD “perché c’è Renzi”, ma perché c’è un progetto che riesce a convogliare la speranza degli italiani, un progetto in cui Renzi è parte integrante, ma non sostanza unica. L’arroganza con cui si afferma che è più importante il voto degli italiani a quello dei parlamentari mi rattrista molto, poiché la voce grossa non la facciamo con i nostri alleati di governo (di destra), ma contro quella parte a sinistra del PD che, con tutta franchezza, cerca di porre alternative alla discussione e che, a mio avviso, ha portato alla posizione di Mineo e Chiti, proprio perché manca qualcosa di fondamentale all’interno del PD, in questo momento: la calma.

    Sia ben chiaro, non la calma intesa come immobilismo, ma come strumento per instaurare una discussione equilibrata, composta, con le dovute riflessioni, senza rincorrere la lepre, ma cercando di lasciar perdere questa voglia matta di soddisfare la pancia della gente, vogliosa di “fatti”. I fatti arrivano comunque, se non in 2 giorni, ma in 3, arrivano comunque e magari migliori di quelli presentati, perché frutto di una discussione più strutturata.

    Credo che il Partito Democratico abbia grandi potenzialità, indipendentemente dalle persone, ma per la concezione stessa di partito che rappresenta. Proprio per questo credo che si debba confrontarsi nel merito, migliorare i momenti di discussione, non trasformarli in semplici passerelle, dove ognuno dice la sua e alla fine della fiera si fa come si era detto in partenza.
    Certe volte, credo che la Direzione Nazionale sia un po’ una giostra, dove molti salgono sul cavallo, fanno il loro giro (discorso), fino a quando il giostraio non decide di staccare la spina e spegnere tutto.

    Sono convinto che, se si fosse strutturata una discussione monotematica sul tema della riforma del Senato, focalizzandosi sui contrasti, sulle sfumature e sui diversi progetti sul tavolo, probabilmente non avremmo raggiunto questa crisi interna così forte.

    Se poi vogliamo essere proprio democratici e vogliamo valorizzare i nostri iscritti (non elettori, ma iscritti), lo strumento dei referendum interni al partito sono cosa buona e giusta. Su questo blog ne ho discusso abbastanza sull’argomento e credo sia sempre il miglior strumento per porre fine ai dissidi tra dirigenti e lasciare che la base dia il suo parere in merito. Poi, sono certo che anche i parlamentari (tutti) ne trarrebbero le dovute conseguenze.
    Un segretario dovrebbe comportarsi in questo modo. Dovrebbe.

  • MontyBis è solo su RadioJusoPirata.

    4ª puntata per MontyBis, il format condotto da Davide Montanaro SOLO per RadioJuso Pirata http://www.rjp.altervista.org/?cat=4.

    Ospite in studio: Ezio Antonacci direttamente da Bath (UK).

    A breve tutte le puntate di MontyBis anche su Spreaker!

    TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI © RADIOJUSOPIRATA – 2013

  • Una simulazione su cosa accadrebbe in Parlamento con l’ultima proposta di legge elettorale avanzata in Commissione.

    L’11 ottobre il Senato della Repubblica ha licenziato una proposta di modifica dell’attuale legge elettorale,  il cui testo può essere scaricato qui.

    Per sommi capi e’ una legge elettorale proporzionale, basata sulmetodo d’Hondt  con una soglia variabile di accesso alla ripartizione dei seggi indicativamente del 5% a livello nazionale e un premio di maggioranza del 12,5%.

    Vediamola piu’ in dettaglio.

    Alla Camera, tolti i seggi del premio di maggioranza (76) e quelli assegnati dalle circoscrizioni estere (12), rimangono da assegnare 541 seggi.

    Questi seggi vengono ripartiti con metodo d’Hondt tra le liste nazionali che

    1. hanno superato il 5% a livello nazionale
    2. qualora coalizzate con altre liste hanno superato il4% a livello nazionale
    3. hanno superato il 7% in un insieme di circoscrizioni elettorali che assommino almeno 1/5 dell’elettorato
    4. siano liste rappresentative di minoranze linguistiche conosciute, presentatesi in una circoscrizione in una regione a statuto speciale che preveda la loro presenza

    Alla coalizione col maggior numero di voti vengono assegnati poi i 76 seggi del premio di maggioranza e quindi il totale dei seggi viene ripartito in maniera proporzionale nelle singole circoscrizioni.

    Il medesimo metodo si applica al Senato della Repubblica che ha un premio di maggioranza di37 seggi, con la particolarità pero’ che il calcolo delle liste ammesse alla ripartizione dei seggi su base regionale avviene su base nazionale e il calcolo dei seggi da assegnare viene fatto con il metodo proporzionale classico. Per esemplificare: se SEL ha più del 5% a livello nazionale ma il 4% nel Veneto, viene comunque ammessa alla ripartizione dei seggi al Senato in Veneto.

    Da sottolineare anche come il metodo d’Hondt in caso di ripartizione di pochi seggi favorisca il primo partito a scapito dell’ultimo, producendo alla Camera un lieve effetto distorsivo a favore del PD.

    Utilizzando questo metodo abbiamo simulato una tornata elettorale considerando le medie da noi calcolate a inizio settimana. Abbiamo, per semplicità, accorpato i piccoli partiti di centrosinistra e centrodestra, che vanno sotto la voce Altri, al PD e al PDL, mentre abbiamo ipotizzato che le liste del Terzo Polo si unirebbero, come pare, in una lista unica. Abbiamo infine considerato una coalizione PD+SEL e una seconda contenente PDL e La Destra.

    Fatte queste assunzioni si può subito notare che La Destra i Radicali e la FdS non raggiungono la soglia di sbarramento e quindi non avrebbero accesso al parlamento.  Inoltre, nonostante la coalizione di centrosinistra vinca facilmente le elezioni e si aggiudichi il premio di maggioranza non ottiene la maggioranza dei seggi in nessuna delle due camere, costringendo quindi i vincitori delle elezioni a cercare un accordo in parlamento o con il Terzo Polo o con l’IDV o con il movimento di Beppe Grillo per garantire un governo al paese.

    [Fonte: TermometroPolitico.it]