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  • Assisto ad un dibattito surreale ormai da diverse settimane. Non vedo l’ora che finisca questa estenuante campagna elettorale che ormai di sano e costruttivo non ha più nulla.

    Romano Prodi ha reso noto che voterà sì al Referendum del 4 dicembre. Bene, ma a parte la consapevolezza di cosa voti il Professore, poco altro aggiunge ad un dibattito ormai finito in un vicolo cieco.

    Poca considerazione di Romano Prodi? Ma neanche per sogno. Facevo parte di coloro che lo volevano come Presidente della Repubblica e inveirono contro i 101 franchi tiratori del PD che fecero partire la giostra che ci vede oggi all’ennesimo giro.

    Sinceramente mi preoccupo di cosa voti la mia vicina di casa, di cosa voti il mio macellaio di fiducia, il mio barbiere, il mio salumiere, il mio compagno di corso. Che ci si aggrappi, come ho visto fare sui social, a dichiarazioni di voto di personalità note (e meno note) in Italia, getta il dibattito ancor di più nel surreale.

    Ma non doveva essere un referendum basato sui contenuti? Che travalicava le persone e andava al succo della questione, cioè la Costituzione? Ma allora cosa importa se Prodi o il Volo votino sì, mentre Camilleri e la Ferilli votino no? Me lo spiegate?

    Il 5 dicembre sapremo con assoluta certezza se avrà vinto il sì o il no. Una cosa che ormai mi sembra chiara: che, sin da ora, abbia perso la Politica. Quella che ha voglia di confrontarsi, di elaborare e di scontrarsi, genuinamente, sulle idee.

    In queste settimane di confronti e incontri ho notato un distacco enorme dalla realtà sia da parte di sostenitori del Sì che del No. E il mio partito è il principale responsabile.

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    Ah! Altra cosa fondamentale: con la filastrocca che la casta sono gli altri, avete rotto abbondantemente. E mi trattengo nei termini, ma sono davvero andato oltre il limite consentito dalla mia sopportazione.

    Renzi che dice “la Casta voterà no”, D’Alema controbatte “Renzi è il capo della Casta” (come vedete dall’immagine sopra). Tutto molto bello, bellissimo, molto bello. Lo dico a loro due per dirlo a chiunque: la Casta è presente in entrambi gli schieramenti, perché la Casta sa essere in entrambe le parti contemporaneamente in quanto esperta in sopravvivenza e trasformismo. Renzi e D’Alema sono facce della stessa medaglia. Sfatiamo questo tabù che ormai è presente in moltissimi ambienti della politica, con la paura di dire un’eresia.

    Così come molti di quella Casta – che Renzi demonizza e, aggiungo, demonizzava durante la sua ascesa alla leadership del partito – oggi sono renziani di ferro e fanno più danni che altro, soprattutto sui territori, lo stesso oggi sono sul Sì per convenienza e sul No per la stessa ragione.

    Perciò basta! Pensiamo agli ultimi giorni che ci distanziano dal sudato traguardo di domenica e terminiamo qua una delle peggiori campagne elettorali che abbia mai vissuto (e visto).

  • SEL e M5S, quasi sicuramente – stando a dichiarazioni provenienti da Montecitorio – voteranno sin dal primo scrutinio (29 gennaio) Romano Prodi, come successore di Giorgio Napolitano, al Quirinale.

    Una mossa che, se colta in tempo, potrebbe riequilibrare il Parlamento e tutte le Istituzioni, garantendo l’elezione di un Presidente della Repubblica a grande maggioranza (servono 672 voti), forte della sua elezione al primo turno. Perciò, PD, non pensarci due volte e basta 101.

    In questo caso, perdonatemi, ma Berlusconi lo lascerei sul ciglio della strada.

    Ps. Proponete Gianni Letta e mi incazzo.

  • L’ho detto ieri, non bisogna toccare Schengen, lo chiede il buon senso e, soprattutto, anche le generazioni future.

    Ieri, in Germania, il gruppo conservatore Pregida ha messo in scena una manifestazione contro l’islamizzazione dell’Occidente, a cui ha partecipato – secondo i giornali tedeschi – un numero record di persone.

    In Francia si aggira, ormai da tempo, lo spettro del nazionalismo. E se, prima, ad alimentare lo sconforto (e il bacino elettorale di questi partiti) era la crisi economica, ora si aggiunge la paura, una paura costruita su misura dagli stessi nazionalisti e xenofobi, con dichiarazioni ad hoc e una lettura distorta della realtà.

    In Italia, il bambacione Salvini prova a fare altrettanto, rispolverando motti e dichiarazioni contro le moschee e contro gli “stranieri in casa nostra”. Ha fatto breccia nel cuore degli italiani? Ancora no. Forse, se i giornali e le tv continueranno a dar peso e visibilità a tali affermazioni, il rischio c’è.

    Ma gli attentati di Parigi hanno risvegliato, nella maggior parte dei cittadini europei, il senso di appartenenza ad una comunità oltre le Nazioni? Quel sentirsi cittadini di un’Europa unita, e non più solo del proprio Paese? No. La risposta è assolutamente negativa.
    Mi hanno colpito le parole di Romano Prodi, il giorno della Marche Republicain, il quale rispondendo alla domanda se, per l’appunto, tali eventi avessero svegliato il senso di cittadinanza europea, la sua risposta è stata categorica ed era pressappoco questa:

    “Non credo che quello che sta succedendo in questo momento, a Parigi, sia simbolo dell’Europa unita e quindi di cittadinanza europea.
    Penso che, in questo momento, ci troviamo dinanzi ad un evento drammatico che ha stretto, solidalmente, le popolazioni degli Stati europei in risposta alla paura, ma siamo lontanissimi dal poter considerare questo come rappresentazione dell’unione dell’Europa.”

    C’è altro da aggiungere?

  • Ci siamo quasi, mancano pochissime ore e migliaia di gazebo apriranno in tutta Italia per celebrare le Primarie del Partito Democratico, per scegliere il futuro segretario e l’Assemblea Nazionale.

    Tra me e me, ho pensato a cosa potervi dire per convincervi, fino all’ultimo, a votare Pippo Civati, domenica. Non è semplice.

    Non è semplice, perché quando parlo del progetto di partito che vogliamo, mi sale la voglia di riscatto e di dignità che è rimasto, per un po’ di tempo, assopito dentro di me.

    Non è semplice, perché il nostro è un progetto grande, che guarda non solo al PD, ma a tutto il centrosinistra e a tutta l’Italia.

    Non è semplice, perché quando senti qualcosa come tuo, cerchi sempre di dirla al meglio e di non lasciare spazio ad errori.

    Non è semplice, perché ci crediamo. Crediamo in un partito che con un colpo di reni si rimette in piedi e ricomincia a camminare, forse, per la prima volta, con dignità e lungimiranza.

    Apprendo con molta felicità e con un grande senso di pace interiore, la notizia del ripensamento di Romano Prodi. Sono entusiasta che il fondatore del PD abbia deciso di ritornare sui suoi passi e di partecipare alle elezioni di questa domenica. Proprio su Prodi, vorrei incentrare il mio appello al voto.

    Il Professore, ha guidato il centrosinistra nelle due uniche tornate elettorali in cui la nostra coalizione, quella dell’Ulivo, ha battuto Berlusconi, nel ventennio che ci precede. L’unico che riusciva a dare al Paese una visione concreta, stabile, arrivando a sconfiggere il populismo che il suo avversario politico alimentava, di giorno in giorno. Una risorsa, un esempio da tenere bene a mente, ma che stavamo per perdere definitivamente, con tutte le nostre responsabilità, quando dichiarò di lasciare tutto e di voltare le spalle al metodo democratico che ha incoronato anche lui, alla guida del centrosinistra.

    Però Prodi ci lancia un messaggio importante, chiaro: non bisogna mai lasciar perdere. Il suo gesto non è stato assolutamente scontato, sia ben chiaro.
    Non è stato scontato perché il PD, quel famoso giorno di aprile, lo ha ferito a morte, con i 101 franchi tiratori che si sono presi gioco della Democrazia, degli elettori, dei militanti e della Storia.

    Ed è questo il mio appello: anche se siete schifati dalla politica, perché magari ha travolto negativamente le vostre vite, vi ha ucciso la speranza, il futuro, non demordete. Sappiate che la politica si occuperà sempre di voi, nel bene o nel male, ma sarà sempre e solo lei a poter migliorare le vostre vite, e a costruire il vostro futuro. Potete voltare le spalle alla politica, ma lei continuerà a decidere su di voi e chi, invece, continuerà a votare e a partecipare, sceglierà per voi.

    Mi auguro che ci possa essere un Prodi in ogni casa e che chi è sfiduciato dalla politica venga a votare questa domenica e lunedì si faccia la tessera del PD, una tessera speciale, la Deluxe.

    E in tutto questo, Pippo Civati cosa c’entra? Se ve lo siete chiesti, avete fatto una giusta osservazione ed io vi rispondo subito: c’entra alla grande e vi dirò di più, è l’unico che c’entra.
    Se volete sapere tutto sulla sua mozione, vi invito ad andare qui, così da poter leggere e riflettere sui temi a voi più cari, anche perché su questi ci si sta confrontando, non nel 100% delle volte, ma abbiamo avuto dimostrazione di come l’unico che ha qualcosa di concreto da dire, sui temi cardine, è Pippo.

    Mi piace pensare che Civati sia la chiave per sbloccare quel circolo virtuoso che ridarà moralità alla politica e senso di responsabilità ad una classe dirigente che di responsabilità non ne ha prese neanche un po’. Sono certo che la scelta su di lui sia una scelta calibrata, che ha fino in fondo la coerenza del cambiamento, cosa che, purtroppo, non c’è altrove.
    Lo accusano di essere radicale nelle sue affermazioni e nel suo progetto. Io mi chiedo che rivoluzione sia, quella che ha paura della radicalità, della forza travolgente della passione.

    Sono più che certo che le cose si cambiano, cambiandole. Senza sconti per nessuno. Per questo, mi appello a voi, affinché possiate votare e scegliere Pippo Civati come Segretario nazionale del Partito Democratico.

  • Pippo Civati, da tempo, racconta cosa farà quando vincerà le Primarie, l’8 dicembre.
    Nel mio piccolo, vi racconterò cosa farò io, quando Civati diventerà segretario, la settimana prossima.

    L’8, festeggiamo. Non ci sono alternative. Il 9, appena sveglio (non di buon mattino, a differenza di Pippo) faccio un giro di telefonate per sfottere, amichevolmente, un po’ di amici che in questa corsa stanno sostenendo Renzi e Cuperlo. Poi li invito, la sera, a prenderci una birra insieme, perché tra le ragazze e i ragazzi che fanno politica, nel Partito Democratico, c’è amicizia, prima degli ideali, e non può non essere un valore aggiunto, che ci aiuta a fare squadra.

    Poi, chiamo Gianclaudio Pinto e Adriano Bizzoco, due miei carissimi amici che condividono con me e con tutti i #civoti, il bellissimo progetto di partito che assieme a Civati stiamo portando in tutta Italia. Li chiamo perché dal 9 dicembre saranno membri dell’Assemblea Nazionale del PD.

    Non posso non chiamare un altro importantissimo e caro amico, Pierpaolo Treglia, segretario regionale della giovanile in Puglia, candidato capolista con Cuperlo a Bari Città. Lo chiamo per fargli gli auguri e per dirgli che da oggi (quell’oggi) sarà necessario costruire una rete fitta tra giovani parlamentari, membri dell’assemblea nazionale, segretari regionali, provinciali e di circolo di GD e PD, per far fruttare lo sforzo che ci accomuna tutti, senza dividerci a causa delle diverse posizioni all’interno del partito. Posizioni, per altro, che io rispetto e che ritengo tutte da valorizzare, perché un partito eterogeneo, se animato dal principio dello stare in una comunità e in una democrazia, saprà far valere le diverse posizioni, ma accettando il volere della maggioranza, con spirito di squadra e passione.

    Poi, mi fermo un attimo e mangio qualcosa, saranno arrivate le 14.

    Dopo pranzo chiedo ad alcuni miei amici scettici sul PD di incontrarmi, di poter parlare di quanto accaduto e li convincerò ad iscriversi al Partito Democratico, perché da quel giorno ci sarà bisogno di tutti, nessuno escluso. Ha ragione Civati quando dice che la prima tessera, dopo la sua vittoria, la farà a Prodi, che da tutto questo ne esce, ingiustamente, ferito. Ma aggiungo alle parole di Pippo che se la tessera Gold andrà al fondatore del PD, la tessera Deluxe dovrà andare a tutti i delusi e scoraggiati.

    Dal 9 dicembre, cominceremo a debellare la cultura dei 101, perché c’è una vera cultura politica dilagante che ha avuto il suo apice durante l’elezione del Presidente della Repubblica, ma che in realtà è presente da moltissimo tempo nel partito, a qualsiasi livello.

  • Questa mattina ho presentato la mozione “Civati per L’Italia“, con emozione e soprattutto un risentimento forte, dentro di me, dovuto a questa battaglia congressuale, che poteva e può essere svolta sui temi cari al PD e al Paese, ma che invece si sta dimostrando una battaglia a suon di legnate interne. Ed io mi incazzo, perché sogno un partito diverso. Lo sogniamo in molti.

    Cosa voglio dire è molto semplice: la situazione nei circoli pare incresciosa, una falsa competizione pre-primarie, dove gli interessi di corrente vengono prima di qualsiasi altro tipo di obiettivo comune. Queste convenzioni sono una pagliacciata. Sapete perché? Perché è l’occasione per i notabili locali di procedere ad una conta e ad una strumentalizzazione del voto.

    Ho forse esagerato nell’enfasi, oggi, ma credo e spero di aver spiegato per filo e per segno quale sia il progetto di partito che con Pippo stiamo portando in giro nei circoli. Non possiamo accettare che il partito rimanga nelle mani dei soliti noti, gente che dovrebbe andare a lavorare e lasciare che il partito sia gestito da persone che credono fino in fondo in quel simbolo, così tanto schernito da chi è fuori i nostri circoli e che invece dovrebbe conoscere il vero valore di un progetto riformista come quello che dovrebbe oggi raffigurare il Partito Democratico.

    Quanti possono permettersi di dire che i 101 devono essere presi e cacciati dal partito? Quanti? Nessuno può permettersi di dirlo, perché tutti hanno qualche 101 come sponsor. Tutti tranne uno. Colui che può permettersi di fare una battaglia aperta contro l’inciviltà politica che ha investito il nostro partito, a difesa delle persone per bene che, mi dispiace per tutti i commentatori da salotto o da tastiera, ci sono nel PD, ci sono e ci saranno sempre fino a quando qualcuno avrà il coraggio di pensarla diversamente dagli strateghi che ci hanno portato al governo delle larghe intese.

    La battaglia contro i 101 è una questione di civiltà. Aumento il tiro e dico che i 101 sono ovunque, che in realtà non sono solo 101 ma sono più di mille e anche più. Sono presenti ovunque ed ogni giorno pongono interessi di potere a quelli collettivi. Ci sono e sono ovunque e non possiamo arrenderci all’idea di dover abbandonare la nave. Chi abbandona o volta le spalle al PD è come un capitano che lascia la propria nave mentre affonda.

    Ipocrisia allo stato puro. Ecco cosa sento nell’aria dei congressi locali, nelle votazioni per le varie convenzioni. Come si possono permettere queste persone di ritenere il partito un oggetto di loro proprietà? Come? È vergognoso. Luridamente presente e individuabile.

    Chiedetevi cosa state facendo e perché appoggiate l’uno anziché l’altro candidato. E se tra le prime 3 motivazioni vi balza alla mente il “perché è giovane”, sappiate che non siete niente di nuovo e il rinnovamento non arriverà da lì, non arriverà da quella scelta, perché è la base di quella scelta che è sbagliata.

    Se Matteo Renzi è giovane, io cosa sono? A 38 anni si è adulti e si deve essere responsabili delle proprie azioni e di cominciare a capire che la coerenza delle proprie idee viene prima di qualsiasi tipo di marketing politico e di camicie con maniche arrotolate e jeans all’ultimo grido. A 38 anni si deve comprendere che non si può far politica facendo giravolte ogni giorno, sui temi più importanti: governo sì, governo no. Cancellieri sì, Cancellieri no.
    Se si è convinti che queste larghe intese debbano finire quanto prima, non si annuncia la propria disponibilità a ricandidarsi a Sindaco. Non abbiamo mica scritto in fronte “giocondo”. Eddai su!

    Ha fatto bene Pippo ad annunciare la presentazione, nell’assemblea dei parlamentari PD di martedì prossimo, del documento per la mozione di sfiducia a carico del Ministro Cancellieri. Così testeremo fino in fondo e con chiarezza la coerenza dei nostri parlamentari, visto che si rifiutano di votare la mozione presentata dal Movimento 5 Stelle, non perché c’è una motivazione politica a riguardo, ma perché è stata presentata dal M5S. Un fatto di principio. Diciamo che è una replica della votazione del Presidente della Repubblica: Rodotà no, non perché non è di sinistra, ma perché è stato presentato e supportato dal movimento di Grillo e quindi non possiamo piegarci e seguire, una volta tanto, con umiltà. Poi no anche a Prodi, perché non avrebbe mai permesso un governo PD-PDL e sarebbe svanito il sogno feticista di molti leaderini e vice-leaderini di poter compiere il gemellaggio a spese degli elettori (presi per il culo, alla stragrande). Quindi in barba ad una prassi assodata dalla nascita della Repubblica Italiana, abbiamo rieletto l’arbitro delle crisi di governo che più di tutti giustifica questo valzer di coppia tra democratici e berlusconiani (oggi anche con i nuovi alfaniani). Diciamo che era giusto farlo riposare, ha la sua età e il Paese e le Istituzioni devono avere un ricambio di personalità, con diversi modi con cui approcciarsi ai problemi.

    Continuiamo la nostra battaglia e non fermiamoci davanti a nulla. Chi ha paura degli ostacoli prima o poi si bloccherà. Noi dobbiamo cambiare le cose, cambiandole, non con il sorriso, ma con la serietà e la coerenza che deve contraddistinguerci.

  • Romano Prodi scrive al Corriere della Sera, spiegando le sue ragioni del mancato tesseramento al PD e della sua posizione in merito al prossimo Congresso Nazionale.

    Caro direttore, 
    vorrei rispondere ai tanti riferimenti che, anche sul vostro giornale, sono apparsi riguardo a mie presunte posizioni relative alla vita interna del Partito Democratico e al mio possibile sostegno a questo o quel protagonista. Ribadisco che ho definitivamente lasciato la vita politica italiana. Ad essa riconosco di avermi concesso esperienze fondamentali e non poche soddisfazioni personali, che spero abbiano offerto un positivo contributo al Paese.

    Ho affrontato due sfide importanti, battendo un opponente politico che ritenevo e ritengo non idoneo al governo del Paese. Da parte mia ho cercato di portare avanti una cultura politica moderna e solidale di cui l’Italia ha molto bisogno. Una battaglia non solo politica, ma etica e culturale. Credo che questi stessi obiettivi abbiano oggi bisogno di nuovi interpreti anche se, nel corso dei due periodi del governo da me presieduto, ci si è a essi avvicinati senza danneggiare, ma anzi migliorando sensibilmente il prestigio internazionale e la situazione debitoria del Paese.

    Le aggiungo che riguardo al Pd conservo non solo un senso di gratitudine, ma anche numerose e salde amicizie. Tuttavia in politica, come nello sport e forse in ogni attività, è preferibile scegliere il momento in cui finire il proprio lavoro, prima che questo momento venga deciso da altri o da eventi esterni. Questi sono anche i motivi per cui senza polemiche ho tralasciato di ritirare la tessera del Pd, il cui rinnovamento e rafforzamento sono tuttavia essenziali al futuro della nostra democrazia. Al vostro cortese giornalista che mi chiedeva se parteggiassi per l’uno o per l’altro dei potenziali candidati al congresso ho risposto semplicemente «my game is over» che, tradotto in italiano, significa che la mia gara è finita. Una gara riguardo alla quale posso elencare tante sfide vittoriose, tra le quali non mi fa certo dispiacere ricordare le due elezioni politiche nazionali del 1996 e del 2006.

    Riflettendo su tutto ciò voglio infine augurarmi che, anche chi è stato sconfitto nei due confronti diretti, possa meditare sul fatto che non dovrebbe essere solo la mia gara a una fine. Ora la saluto, perché sto partendo per New York dove dovrò discutere di fronte al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Uniti i progetti per lo sviluppo del Sahel. Perché, come Lei sa, gli esami non finiscono mai.

  • Non leggo un intervento del genere da molto tempo, ma Walter Tocci ha saputo rimediare con le parole pronunciate all’assemblea dei senatori del PD. Vi riporto il testo e vi invito a leggerlo con molta attenzione.

    C’è un paradosso. Abbiamo successo in virtù dei nostri demeriti. Abbiamo fatto il governo a causa di uno sbaglio. Oppure abbiamo sbagliato per fare il governo. Rimane il dubbio che i 101 non fossero scavezzacolli indisciplinati ma lucidi strateghi che volevano fare il contrario di quanto avevamo raccontato agli elettori prima e dopo il voto.
    Già avevamo ottenuto il premio di maggioranza con una campagna elettorale sbagliata. Come ha detto il presidente Napolitano, quel premio lo abbiamo sprecato; forse proprio perché non lo avevamo meritato. Vincere per demerito può avere effetti devastanti se nell’euforia si dimenticano i propri difetti, ma può essere una fortuna se si dimostra di saper cambiare se stessi. Dovremmo farlo in tre direzioni: servizio per il Paese, sincerità tra noi, apertura verso gli altri.

    Servire il paese significa oggi volerlo cambiare. Adesso non ci sono più alibi, non è più consentita a nessuno la propaganda, ci troviamo sotto i riflettori in una competizione con la destra sulle soluzioni più efficaci per uscire dalla crisi. Qui si parrà la nostra nobilitate. Ci vuole cultura di governo, non a parole, ma nella capacità di entrare in connessione con la realtà del Paese, con i suoi drammi e con le sue risorse. Siamo ricorsi ossessivamente alle primarie, nascondendo la debolezza del nostro progetto per il Paese. Ce la siamo cavata dicendo “un po’ di equità e un po’ di lavoro”, ma non poteva bastare nel cuore della più grande crisi del secolo. I nostri 8 punti sono stati tardivi e sbrodolati in 80 microproposte tecniche; mi ha ferito ricevere dai nostri elettori mail che mi riscrivevano il testo in stile più leggibile. Berlusconi, invece, ha calato con chiarezza i suoi assi sul tavolo, che ci piaccia o no, dall’Imu all’attacco all’austerità europea, mentre noi facevamo la retorica dei compiti a casa.

    Ora dobbiamo fare meglio, elaborare proposte innovative e coraggiose nei diversi campi, sulla creazione di lavoro soprattutto. Dobbiamo essere in grado di coinvolgere grandi investitori, anche istituzionali, su progetti per la green economy, la mobilità, i servizi digitali, i beni culturali. Quando sento parlare in commissione i miei amici Santini e Sangalli, oppure quando leggo gli articoli di Mucchetti e Guerrieri, mi inorgoglisco di far parte di un gruppo così ricco di competenze. Ma spesso nel partito non vengono utilizzate tutte le risorse disponibili, e alla fine le proposte ufficiali escono flebili, incerte e difficili da comunicare. Proviamo, come gruppi parlamentari, ad aiutare il governo con iniziative di qualità. Vi ho inviato un disegno di legge sul finanziamento dei partiti elaborato con Pellegrino Capaldo, una personalità lontana dal Pd che ci ha dato il suo contributo con molto piacere. Modifichiamo come volete quel testo, ma non restiamo ancora in silenzio su una questione ormai cruciale per la nostra credibilità verso l’elettorato.La sincerità tra noi è quanto mai necessaria dopo lo smacco nella vicenda del Quirinale. Anche nelle famiglie più litigiose, di solito, dopo un lutto sgorga una franchezza imprevedibile, si sciolgono vecchie ruggini e si aprono i sentimenti a nuove solidarietà. Spero possa valere anche per noi. Dobbiamo guardare in faccia quello che è successo. C’è stato il collasso della classe dirigente del Pd. Con una sequela di scelte sbagliate negli ultimi sessanta giorni. A cominciare dalla prima, la madre di tutte le altre, cioè la pretesa di candidare premier Bersani pur avendo perso le elezioni. Ho detto a tempo debito che non ero d’accordo e molti in direzione la pensavano allo stesso modo, ma sono rimasti in silenzio; quanti guai ci avrebbe risparmiato un po’ di sincerità.

    Non ho condiviso questa catena di errori e non posso condividere neppure la scelta obbligata che da essi discende. Questo è il senso del mio voto contrario qui alla deliberazione del gruppo dei senatori Pd sul voto di fiducia. Poi domani voteremo insieme a sostegno del governo Letta. Non ho mai avuto dubbi su questo. È stato solo penoso dover sentire aitanti giovani che fanno la lezione proprio a me sul centralismo democratico per far vedere ai loro capi che hanno il pelo sullo stomaco. Non si possono accettare ramanzine dai professionisti delle sconfitte. Ci vuole sobrietà e modestia in questi tempi difficili. Chi è stato in prima fila ha perduto l’autorevolezza: dunque ci risparmi almeno l’enfasi autoritaria, si metta alla stanga umilmente, e ascolti più di quanto non abbia fatto prima. Se il governo è di servizio, tanto più devono esserlo le funzioni dirigenti nel partito. Chi si trova a ricoprirle – a tutti i livelli – deve essere consapevole della loro natura provvisoria, in vista di un congresso che dovrà cambiare radicalmente la classe dirigente. Stavolta secondo i meriti, per i giovani come per gli anziani. Si deve andare avanti in carriera per i risultati raggiunti e non per gli errori commessi.

    Siamo tutti responsabili, anche io assumo la parte che mi spetta. Ma ne hanno di più coloro che hanno comandato in questi due mesi, negli ultimi due anni e negli ultimi venti anni. Se siamo a questo punto, dobbiamo dirci la verità: Berlusconi ha mostrato un’intelligenza tattica superiore a quella del nostro stato maggiore. Non ha sbagliato una mossa: solo cinque mesi fa era nella polvere; ora i nostri errori lo hanno fatto rinascere come statista, ed è successo tante altre volte in passato.
    Purtroppo le dimissioni del Papa non sono l’unico pronostico azzeccato da Nanni Moretti. Quando venne alla memorabile chiusura della campagna elettorale, all’Ambra Jovinelli, volle aiutarci smentendo la profezia di dieci anni prima, che però si è avverata comunque: con questi dirigenti non abbiamo mai vinto.

    L’apertura verso gli altri sarebbe preziosa. Eppure, anche nella bufera, sopravvive ancora il bilancino Cencelli delle vecchie correnti DS e Margherita. È stato usato perfino nella composizione del governo in queste ore complicate, anche se i nostri ministri sono persone di grande qualità, alcuni anche carissimi amici, e colgo l’occasione per rivolgere a tutti loro un affettuoso augurio di buon lavoro. È importante la novità di competenze, di giovani e di donne. Forse chi ha armato la mano di un folle voleva oscurare la novità, almeno su questo, di un governo diverso dal passato. Il ceto politico Margherita e Ds ha capito che deve rinnovare le persone, ma vorrebbe conservare il suo monopolio nella gestione del partito. Queste tradizioni dovevano fondare il Pd e invece lo hanno impoverito, lo hanno rinchiuso in se stesso, estraniandolo dalle forze più vitali del centrosinistra.
    Siamo arrivati al punto in cui un fondatore come Romano Prodi e un costituente della Carta di Nizza come Rodotà sono ritenuti estranei, sbattuti fuori dalla porta di una casa sempre più angusta. Fino a quando potremo sopportare che un gruppo dirigente perdente conservi se stesso?

    Il Pd doveva andare oltre l’Ulivo e invece ha tagliato il suo tronco originario. Ma il ceppo è ancora vitale e la linfa spinge verso l’alto. Il progetto ha funzionato tra i militanti e nell’elettorato, che è appassionato e intelligente. Sarà anche imbattibile, quando troverà una classe dirigente all’altezza del compito. Ma di questo riparleremo al congresso.