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  • Quando Corradino Mineo, senatore del PD, fu sostituito in commissione Affari Costituzionali del Senato, a seguito del voto sulle riforme costituzionali che il Governo Renzi stava portando avanti sul Titolo V, mi indignai. Ero furibondo, denunciavo una deriva autoritaria senza precedenti nel Partito Democratico. Ma oggi ho compreso qualcosa in più, o meglio, l’ho capito da un po’ di tempo, soprattutto da quando dopo ogni Direzione nazionale, le polemiche non si appianavano, a favore di una responsabilità di gruppo ma, anzi, aumentavano di volume, fino quasi a scoppiare.

    Oggi tocca a 10 deputati, sempre del PD e sempre nella Commissione Affari Costituzionali di Montecitorio, questa volta sull’Italicum. Cambia l’oggetto della contesa, ma il senso è sempre quello: non c’è rispetto della volontà comune. E mi dispiace dirlo, ma questa mancanza parte proprio dalla minoranza del PD, quella stessa minoranza che, quando fu eletta in Parlamento, era maggioranza – con lo stesso Bersani (tra i 10) segretario nazionale. Ma oggi, come sappiamo, il panorama politico – almeno nel PD – è stato completamente stravolto. Ci sono stati diversi appuntamenti elettorali di mezzo, tra cui quello che a noi interessa di più, in questo ragionamento – il Congresso del PD. Quel congresso, nel 2013, Renzi lo vinse con il 67,55%, ma qualcuno non l’ha ancora capito (o fa finta di non averlo capito). E lo dico io, che renziano non sono, che allo scorso congresso ho supportato la candidatura di Giuseppe Civati.

    Ma quindi, ecco il punto: se il partito, in Direzione nazionale, approva la legge elettorale, questa in Commissione non deve avere nessun tipo di ostacolo da parte degli stessi parlamentari PD perché, per quanto non gradisca l’Italicum, se è stato votato a maggioranza nelle sedi opportune (come da Statuto), quel voto deve essere rispettato e onorato, altrimenti stare in un partito non avrebbe senso e trasformeremmo il Parlamento in un grande Gruppo Misto in cui ognuno si fa gli affari propri.

    Ma, fatta la legge trovato l’inganno: sicuramente vi starete dimenando con in mano la Costituzione e il suo art.67, avete ragione, infatti qui non si mette in dubbio la libertà di mandato, ma la Commissione rappresenta i partiti in quanto forze politiche, non i singoli parlamentari. Lo scandalo ci sarebbe stato se si fossero costretti dei parlamentari a rimettere il loro mandato e ad andare via dal Parlamento perché dissidenti. In quel caso sarei sceso per le strade anch’io e mi sarei messo ad urlare contro la nuova dittatur. Ma così non è. E lo sappiamo tutti.

    Perciò, in fin dei conti, la Ditta ha cambiato titolari e i vecchi vogliono portare via la cassa e qualche mobile (per rimanere nello stile metaforico bersaniano), ma non va bene. Non va bene per niente.

    Siamo sicuri che sia sempre e solo colpa degli altri?

  • E proviamo a ricordare quello che è stato il panorama politico di qualche mese fa, quali proposte e promesse erano sul tavolo.
    A darci una mano, ci pensa il Prof. Michele Ainis, sul Corriere della Sera.
    Oggi, il ciclo di letture domenicali si sofferma sulle riforme mancate e quelle in lista d’attesa, peggio di un paziente alla ASL.

  • È ovvio che l’ottimismo c’è, ma mi chiedo se, dopo tutto quello che abbiamo passato, si possa ancora andare avanti a suon di slogan.

    Dice bene Roberto Napoletano, su Il Sole 24 Ore: bisogna che si facciano le riforme, quelle economiche, quelle urgenti. La riforma costituzionale poteva essere un ottimo “punto 2” sull’agenda del Governo (e di conseguenza del Parlamento), come dico da un po’ di giorni.
    Job Act e Justice Act (per mantenere lo stile di Renzi), sono due piani importanti che andrebbero sviluppati subito, visto che siamo già in ritardo.

    Come afferma Napoletano (e non solo), senza un piano del lavoro e una riforma della giustizia civile e amministrativa, poco possiamo fare per far riprendere il PIL del nostro Paese.
    Gli investimenti non si faranno vivi se prima non diamo un chiaro e forte schiaffone alla burocrazia, alla lentezza dei processi (per non parlare di tutte le scartoffie che generano) e a tutto ciò che negativamente ha reso l’Italia diversa da altri Paesi europei. Ricordo a tutti che la corruzione in Italia esiste, più di quel che si possa pensare.

    Dobbiamo decidere che tipo di Italia dobbiamo essere. Un’Italia meno italiana e più europea (nello stile), oppure un’Italia più italiana, stile anni ’70.

    Perció, l’ottimismo non è una cosa negativa, anzi, ma dobbiamo ricordarci che, per camminare, i piedi devono essere piantati per terra.

  • Ieri, su La Stampa, Federico Geremicca ha scritto un articolo interessante che vi propongo e che, spero, possa suscitare in voi una serie di domande e/o considerazioni, augurandomi di vederle postate sui social network o su questo blog, come sempre a vostra disposizione.

    Che la migliore notizia ricevuta nelle ultime settimane sia l’assoluzione in appello di Silvio Berlusconi – cioè del leader della coalizione che tenterà di batterlo alle prossime elezioni – la dice lunga su quanto si sia fatto agitato il mare intorno a Matteo Renzi.

    Lo sgradevole stop alla nomina di Federica Mogherini, gli ammonimenti del neo Commissario agli Affari economici Katainen, la drastica riduzione al ribasso della crescita del Pil ipotizzata da Bankitalia e il faticoso cammino in Parlamento della riforma del Senato, sono lì a confermare il momento di evidente difficoltà.

    In un quadro a tinte così fosche, altri premier e altri governi si sarebbero forse ritrovati a un passo dalla crisi: e invece nulla, per ora, sembra intaccare la popolarità e il consenso che circondano l’ex sindaco di Firenze, visto l’alto gradimento di cui continua a godere secondo ogni sondaggio. E’ come se accanto al mondo reale – quello segnato appunto dalle difficoltà di cui si diceva – Matteo Renzi fosse riuscito a costruirne, almeno in Italia, un altro virtuale: un pianeta fatto di ottimismo, di forza della volontà, di promesse di cambiamento, di fiducia nel futuro.

    Nella creazione di questa sorta di «pianeta parallelo», molto ha contato e conta l’abilità comunicativa del giovane premier. Ma c’è, naturalmente, dell’altro: e fingere di non vederlo potrebbe costituire il secondo errore capitale (il primo è stato la sottovalutazione del fenomeno-Renzi) degli stati maggiori dei partiti avversi al premier e degli stessi «malpancisti» all’interno del Pd. Se una fetta assai ampia di italiani – a dispetto delle difficoltà crescenti – continua ad aver fiducia e ad esprimere sostegno all’azione del Presidente del Consiglio, è perché ancora troppo vivo è il ricordo di quella che per comodità qui definiamo «la vecchia politica».

    La memoria del passato, anche recente, non stimola certo un desiderio di ritorno all’antico e la rapida archiviazione di una leadership che comunque – assieme a tante promesse – segnali di cambiamento effettivo li ha lanciati: dal governo meno affollato degli ultimi decenni alla nomina di donne alla guida di aziende di Stato, dal tetto agli stipendi dei manager pubblici alla rivoluzione nella pubblica amministrazione, fino alle fermissime prese di posizione a fronte di fenomeni corruttivi, da qualunque parte provenissero. Molti italiani, dunque, pensano: la situazione è difficile, ma almeno ora c’è qualcuno che si è rimboccato le maniche e ci sta provando davvero.

    Matteo Renzi, insomma, ha vinto e governa con ancora largo consenso grazie alla promessa e poi alla realizzazione (parziale, certo) di un radicale cambiamento: è evidente, allora, che chi intenda sconfiggerlo non potrà che farlo sfidandolo su questo stesso terreno. Cominciando, ovviamente, a cambiare esso stesso: partito, leader o approccio a una «nuova politica», che dir si voglia. Per ora, onestamente, segnali in questo senso non se ne scorgono: né a destra, né al centro e nemmeno a sinistra…

    E’ questa, in fondo, la maggiore e più importante «rendita di posizione» su cui può contare Matteo Renzi: l’estrema difficoltà degli altri – intendiamo le classi dirigenti nel senso più ampio del termine – ad imboccare la via di un visibile e credibile cambiamento. Per altro, finché in campo ci sono «quelli di prima» con gli argomenti di prima, è fin troppo facile per il premier rispondere alle critiche che gli vengono mosse: avete governato per decenni senza fare nulla di quel che ora imputate a me di non fare o di fare male… Argomento, oggettivamente, difficile da liquidare.

    Ma anche le rendite di posizione, perfino le più cospicue, sono destinate ad esaurirsi: ed è per questo che, al di là della debolezza dei suoi avversari (interni ed esterni) Matteo Renzi ha un disperato bisogno di centrare risultati: a cominciare – almeno sul piano dell’immagine – dalle «riforme politiche» (bicameralismo e legge elettorale) enfatizzate fino al punto da legare alla loro realizzazione addirittura il suo futuro in politica. «Settimana decisiva» ha infatti annunciato ieri il premier, riferendosi alla riforma del Senato. E’ da augurarsi che sia così e che le cose vadano nel verso giusto, perché un rinvio all’autunno dell’approvazione almeno in prima lettura, sarebbe uno smacco assai forte. Certo non compensabile col pur apprezzabile avvio del così decantato piano «scuolebelle»…

  • In Italia, la politica cerca un capro espiatorio per la sua inefficienza. Lo dico qui e oggi pensavo alla commissione dei saggi. Ma per quale assurdo motivo abbiamo bisogno di una commissione di saggi? Se abbiamo bisogno di persone esterne alla politica per fare riforme istituzionali, a cosa servono i politici?
    Immaginate che la Costituente trovandosi, dopo la sua elezione, dinanzi all’arduo compito di redarre la Costituzione e, per propria incapacità, chiami una commissione di saggi. Non ha senso. Questa legislatura sin dalle elezioni di Febbraio era proiettata verso un nuovo percorso di riforme, oggi questo intento non può essere portato avanti, perché? Incapacità? E allora perché sono li? Qual è il loro compito? Votare? Lo sanno fare tutti, quello.