Tag: riforma

  • Ricevo e pubblico una lettera di sfogo di Oriana De Palma, studentessa della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Bari.

    “Sogno la laurea non tanto per raggiungere un obiettivo, quanto per uscire dall’inferno.”

     

    Sono iscritta alla facoltà di giurisprudenza di Bari da cinque anni e i miei ricordi positivi sono ben pochi, salvo quelle eccezioni che di solito confermano la regola.

     

    La mia denuncia è forte, la mia delusione ancora più forte: credo nella mia facoltà, l’ho scelta perché sono una ragazza che ama la giustizia e la legalità. Penso che se frequentata per bene possa dare tutti gli strumenti non solo per conoscere il mondo in cui viviamo, ma anche per migliorarlo. Ecco perché ogni giorno, da cinque anni, da pendolare, frequento assiduamente tutte le lezioni, sono in regola con gli esami e ho una media alta.  Ed ecco perché la mia rabbia tocca livelli altissimi quando proprio nella facoltà in cui questi valori dovrebbero trionfare, essi vengono del tutto affossati.

     

    Tanti, troppi sono gli episodi che ho vissuto in questi cinque anni, tante le ingiustizie che ho dovuto subire, tanta la maleducazione ed arroganza che ho dovuto sopportare.

     

    Citando solo alcuni di questi episodi, potrei raccontare dei professori che fumano in aula durante le lezioni, degli studenti derubati delle loro cose mentre sostengono gli esami senza che ci sia nessuno ad evitarlo, della prenotazione degli esami ancora in modo cartaceo, dei docenti fantasma che delegano interi corsi ad assistenti molto spesso incompetenti ma con cognomi rinomati. Per non parlare delle volte in cui bisogna sostenere esami avendo davanti esaminatori troppo concentrati a parlare al telefono per ascoltare il candidato, le volte in cui sbagliano a trascrivere il voto d’esame sul verbale (e alle volte dimenticando proprio di farlo, così da essere costretti a ripeterlo)e le volte in cui si è costretti ad andare nello studio legale del professore a cui si è chiesta la tesi per avere informazioni sulla stessa perché quest’ultimo non è mai presente agli orari di ricevimento.

     

    Il culmine poi quando, dopo estenuanti attese per sostenere un esame (che arrivano anche a 10 ore rigorosamente senza pausa pranzo) nell’attesa della professoressa esaminatrice, in un’aula senza aria condizionata in piena estate, ci si ritrova a sostenere l’esame con un altro docente, di cattedra diversa ma padre della professoressa fantasma, che esamina i candidati sfogliando i nostri stessi appunti perché ovviamente ignaro del programma del corso.

     

    Ma si può chiamare questa “università”? Solo meno della metà dei professori che ho avuto in questi cinque anni posso davvero reputarli tali, la maggior parte non hanno mai mostrato (quando si degnavano di presentarsi a lezione) un minimo di interesse nell’insegnamento; alle volte ho sentito il peso del sacrificio cui erano sottoposti nel venire a farci lezione, come se ci facessero un favore.

     

    Per non parlare poi dei dipendenti di dipartimento, delle segreterie e della presidenza: al di là di quei pochi che lavorano con grandissima serietà e competenza, non ho quasi mai trovato impiegati disponibili, che sapessero darmi le informazioni che cercavo, per non parlare della loro arroganza e assoluta maleducazione.

     

    Insomma, a parte le piacevolissime eccezioni, che come già detto prima, purtroppo non fanno altro che confermare la regola, nella facoltà della dea della giustizia, di “giusto” c’è ben poco.

     

    La mia indignazione e la mia rabbia poi crescono in maniera esponenziale vivendo questi episodi, quando ricordo a me stessa che ero tra quei tantissimi studenti che fortemente difendevano e difendono tutt’ora a spada tratta l’istruzione pubblica da quelle riforme che togliendo ossigeno pian piano alla scuola pubblica non fanno altro che incentivare le iscrizioni a quelle private.

     

    Quasi mi son pentita di essermi schierata per la scuola pubblica. Mi chiedo cosa ne sarebbe di tutte quelle persone che in quella facoltà non sanno/non vogliono lavorare se fossero state dipendenti di un’azienda privata. Mi chiedo se non sarebbero già state licenziate, o almeno se avrebbero ricevuto una sanzione disciplinare dal capo.

     

    Mi chiedo se tutte queste persone, professori e impiegati, si rendano conto che con il loro comportamento non fanno altro che prestare il fianco a chi vuole distruggere l’istruzione pubblica. Con i tagli a quest’ultima ovviamente i servizi che le scuole pubbliche potranno offrire saranno più scadenti di quelli delle private: chi ci lavora dovrebbe far di tutto, con le risorse a propria disposizione, per garantire servizi di livello il più possibile pari rispetto a quelli delle private, almeno dal punto di vista dell’efficienza e responsabilità, della serietà e dell’onestà e perché no, alle volte anche semplicemente lavorando con il sorriso sulle labbra e con la massima disponibilità, se le finanze non offrono di più.

     

    Io credo fortemente nell’istruzione pubblica, voglio credere fortemente nel diritto di tutti a vedersi garantita un’istruzione pubblica. Mi domando però, se la lotta che molti studenti e ricercatori, me compresa, stanno facendo da un anno a questa parte la condividono anche coloro che in quelle strutture ci lavorano. Mi domando se c’è troppo garantismo e se ci sono troppe poche sanzioni nel servizio pubblico. Mi chiedo anche però, se sia giusto che tutto debba ridursi alla paura della sanzione, o se si può ancora far appello al buon senso dei lavoratori. La mia è una speranza.

     

    Nel frattempo non vedo l’ora di laurearmi. Per lo meno per scappare dall’inferno dell’università, prima di cadere in quello del mondo del lavoro.

     

  • [da PlayReverse.org]

    Quello che è successo agli studenti disabili, per quanto riguarda i Giochi della Gioventù, del 20 marzo 2011, presso Nove (VI), è qualcosa di assolutamente orribile. Dopo la Riforma Gelmini che ha visto, inesorabilmente, molti docenti di sostegno lasciare il proprio posto, trascurando e allo stesso tempo lasciando scoperti ragazzi con differenti problematiche, è arrivato il momento dell’esclusione sociale di chi, purtroppo, non per sua volontà, ha un handicap. Il senso della civiltà e del comune sentire è ormai scomparso dai banchi di scuola e, la realtà lo conferma, tra noi studenti c’è sempre più disagio e/o indifferenza nei confronti di altri studenti meno fortunati di noi.

    Chiediamo al Ministro Gelmini di ritirare immediatamente il regolamento e di riformulare l’ordine di svolgimento dei Giochi, includendo gli studenti con handicap.

    I Giochi della Gioventù non sono una formale manifestazione sportiva, collegata alla scuola, ma un momento di socializzazione e di puro divertimento. Un momento che è di tutti, nessuno escluso. Lei Ministro non può vietare a bambini diversamente abili di non poter sviluppare atti di socializzazione e di integrazione con i propri compagni.

    RITIRI IMMEDIATAMENTE IL PROVVEDIMENTO!

  • Cosa intendiamo per riforma? Forse, per molti di noi, il termine “riforma” significa revisione totale di un sistema e quindi la rielaborazione di un concetto completamente contenutistico che, in un modo o nell’altro, concentra in esso il senso di un rinnovamento del percorso civile. Niente di più giusto. Peccato però che, nostro malgrado, il Ministro dell’Istruzione, Mariastella Sapienzicida Gelmini e il gattosordo Tremonti pensino che al taglio, corrisponda il miglioramento. In un certo senso, se sai gestire bene la situazione, in qualche modo vai a risanare il debito e allo stesso tempo metti in moto un sistema, come quello dell’istruzione pubblica, che da anni è alla deriva per le numerose “riforme” ad ogni cambio di governo. Secondo voi perchè ogni volta che si insedia un nuovo esecutivo, la prima cosa che si fa è pensare alla scuola? Semplice, la destra abbassa a 14 anni l’obbligo scolastico, così facendo ci saranno sempre più ragazzi con la terza media, come ultima tappa di studi, più ignoranti e quindi persone sempre più facili da agguantare per la gola con le televisioni e con la sfacciataggine di una politica sempre più personalizzata che, invece, indirizzata agli interessi dei cittadini. 8 miliardi di euro in 3 anni, tolti alla Scuola Pubblica: che bellissima demenzialità. Il sistema scolastico, lo possiamo paragonare ad un sistema di produzione e di utilizzo dei materiali. Mi spiego: prendiamo come esempio una fabbrica di olio per macchine, bene, se tu tagli i finanziamenti a quella fabbrica, l’olio non verrà più prodotto o, magari, verrà drasticamente abbassata la produzione a quasi il 20% di ciò che produceva prima. Risultato? Tutte le industrie terze che usavano quel prodotto, per far girare le proprie macchine, non avranno più olio (anche perchè i tagli hanno colpito tutte le aziende di quel determinato settore) e così si blocca anche la produzione che tutte quelle aziende avviavano giorno dopo giorno. Giriamo la cosa in chiave scolastica e capiamo come, senza ombra di dubbio, la chiusura di diverse facoltà universitarie, l’abbassamento dell’obbligo scolastico a 14 anni, il maestro unico (ruolo stressante consideranzo il fatto di sopportare ben 30 alunni per 5 ore di fila), le classi super affollate – che non permettono al docente di seguire lo studente con più attenzione e tanti altri problemi gravi che affliggono il nostro sistema scolastico. La soluzione migliore sarebbe stata quella di scomporre le spese generali dell’istruzione e riformulare le uscite, ma non “chidendo i rubinetti”. Prendiamo esempio da Obama, la prima cosa che ha fatto in tempo di crisi è stata quella smistare nelle scuola americane più fondi, in modo da produrre un avanzamento culturale più alto, rispetto a prima e che garantisse in futuro la presenza di persone competenti, in grado di evitare, almeno, una nuova crisi economica.