“Qualcuno del Pd ha festeggiato la caduta del Governo: d’altronde per alcuni lo stile è come il coraggio di Don Abbondio”
È la citazione più in voga negli ultimi minuti di Matteo Renzi, a seguito della Direzione nazionale tenutasi poco fa (in realtà una semplice conferenza stampa con pubblico. La discussione è rinviata).
Turbofasci hanno cominciato ad attaccare il Presidente Michele Emiliano, pensando che quella citazione fosse rivolta a lui. Niente di più sbagliato. Ecco cosa ha detto Emiliano a Repubblica e cosa in tv a Matrix, proprio ieri sera.
Ha esultato per la vittoria del No?
“Le dimissioni di Renzi mi hanno addolorato. Le ho viste in tv con alcuni amici per il No che erano contenti. “No – ho detto – non c’è nulla di cui essere contenti, è un’occasione perduta per tutti. Le dimissioni del premier e segretario non mi provocano nessuna gioia”. Agli errori di Renzi se ne aggiungono adesso altri dei suoi collaboratori”.
– da Repubblica
Commento a caldo, direi bollente. Scrivo questo post alle 4.04 di questa notte, guardando oltre lo schermo del mio computer, immaginando cosa sarà e ricordando cosa è stato.
Sono stati mesi di campagna elettorale difficilissima, una situazione difficile che ha portato il Partito Democratico ad incatenarsi su posizioni che non erano nella natura stessa del partito. Pancia, populismo e arroganza hanno affossato la proposta politica che il Governo ha presentato agli italiani.
“Cara Italia, vuoi ridurre il numero dei politici?” a leggerla così, sembra uno slogan del Movimento 5 Stelle, in realtà è una delle diverse domande che il Partito Democratico ha posto agli elettori, attraverso manifesti sparsi per tutto il territorio nazionale.
La prima volta che mi ritrovai a leggerne una, balzò alla mia mente un classico della letteratura, uno di quelli che chiunque voglia far politica deve aver letto almeno una volta nella vita: L’Arte della Guerra di Sun Tzu, il quale parlando dei terreni di battaglia, ad un certo punto dice: “Un esercito penetrato a fondo su suolo nemico, lasciandosi alle spalle città e villaggi, si trova su territorio grave”.
L’esercito è il PD e il suolo nemico è il populismo – terreno insidioso sul quale il mio partito aveva ben pensato di non affossarci mai gli scarponi, sino a qualche mese fa.
Le città e i villaggi sono i principi della Politica, la bussola della giusta misura e della ragione.
Traducendo questo accostamento, il messaggio pare chiaro (e doveva esserlo da tempo a chi ha consentito quella campagna): se il PD decide di buttarsi a capofitto nella palude del populismo, dimenticando la sua provenienza e i valori che distinguevano il partito dal 90% delle altre forze politiche in campo, allora questo si trova in un terreno grave. Aggiungerei gravissimo.
Un altro concetto molto importante tratto da L’arte della guerra di Sun Tzu è, pressappoco, quello della conoscenza del terreno stesso. Non lo ricordo a memoria, ma su per giù diceva: attento a quando decidi di combattere sul terreno che è del tuo nemico, lui lo conoscerà sempre meglio di te e non potrai far altro che soccombere.
Bene, non credo serva altro d’aggiungere all’idea che il fronte del sì – quello che avrebbe dovuto spiegare le proprie ragioni con una netta linea di demarcazione tra il suo fronte e quello, variegato, del no – ha deciso di amalgamarsi a quella massa informe che oggi rappresenta il fronte populista del nostro Paese, così da soccombere davanti ai portatori del marchio DOC del populismo, cioè coloro che di questo ne fanno una ragione di esistenza (e sopravvivenza).
Ovviamente, tengo a precisare, che non tutti i sostenitori del Sì e del No avevano argomenti di scarsa portata. Riconosco in diverse personalità la capacità di leggere le riforma su piani differenti, portando con sé motivazioni più che accettabili per un confronto sano e costruttivo.
Ma cosa è andato storto? O meglio, cosa è successo, ad urne chiuse?
Il Popolo ha bocciato la riforma, ritenendola sbagliata, poco incline ad un cambiamento in linea con il sentimento del Paese reale? Sì, forse. Ma aggiungerei che l’errore più grande (ma inevitabile, sotto capirete perché) è stato personalizzare una consultazione che non andava personalizzata. È come se dall’Assemblea costituente fosse venuta fuori una rivendicazione di qualche partito circa alcuni principi inseriti nella Carta fondamentale. Nulla di più assurdo.
Ma tralasciando la lettura più incline a ciò che sentiremo nelle prossime ore, il punto vero è che ci siamo ritrovati a votare un referendum trasformato in una midterm election, dove il Governo, per responsabilità politica del suo Presidente e di un partito incapace di contrapporsi, ha giocato l’all in. Una consultazione dove la disinformazione ha fatto da padrona, dove il vento seminato si è trasformato in tempesta e ha spazzato via tutto.
Quali sono le responsabilità di Renzi e di “chi” ha guidato il partito fino ad ora?
La lettura migliore l’ha data Marco Damilano, durante la Maratona di Mentana, ieri sera.
Renzi è stato incapace di creare una classe dirigente che si spendesse sul territorio ed è stato costretto a personalizzare la battaglia ponendosi da solo contro tutti. Questa cosa l’ha pagata e adesso le uniche ed inevitabili conseguenze sono quelle che stiamo vedendo in queste ore.
Anche se non avesse voluto, è stato costretto a metterci se stesso in prima persona, perché non ha una classe dirigente di riferimento, sparsa sul territorio nazionale, capace di spendersi a 360º sulle battaglie fondamentali come queste. Tutto si gioca sulla sua capacità di convincere.
A memoria e sintetizzando, questo è il concetto ed io mi ci ritrovo a pieno.
Lo dico da tempo ormai (sono passati più di due anni dall’ascesa di Renzi alla guida del PD e del Governo): una classe dirigente solida e che porta a casa risultati importanti non può essere strutturata solo e soltanto sul nome del proprio leader. Il PD paga gli effetti di una mancanza di spina dorsale di una fetta consistente di sua classe dirigente che ha peccato di personalità, di forza e, soprattutto, di autonomia.
Una rottamazione fasulla, messa in pratica a livello nazionale (nel Governo, aggiungerei) che non ha per niente sfiorato la classe dirigente locale, credendo bastasse qualche giovane amministratore come foglia di fico per far credere che il PD avesse rinnovato il suo volto in ogni parte del Paese e che era pronto a raccogliere la sfida generazionale di cui si faceva portatore Matteo Renzi.
Sbagliato. E, guardate, può sembrare un discorso di convenienza, ma su questo blog di ciò se ne parla da anni ormai. La classe dirigente la si costruisce dalla base, partendo dalle risorse che il territorio offre. Sbagliato credere che si possa porre alla guida di una comunità qualcuno perché simpatico al leader nazionale di turno.
La logica dei luogotenenti funziona nei partiti-azienda, come Forza Italia, ma una comunità eterogenea come il PD non può permettersi tutto ciò, anche per un’incapacità degli stessi a guidare il partito nei vari territori, nell’essere volto credibile di un partito rinnovato, ed infatti si è visto. Perdiamo voti, perdiamo il nostro Popolo. E se il PD non è più in grado di parlare alla sua gente, il PD non esiste. E se il PD non esiste, questo non è in grado di dare le risposte giuste ai cittadini in difficoltà. Dal lavoro all’ambiente, passando per la scuola e l’università.
Ora bisogna ricostruire. Bisogna ritrovare lo slancio genuino di una politica diversa da quella vista fino ad ora. Bisogna trarre tutti gli insegnamenti possibili da questa consultazione. Chi lo farà? Soltanto coloro che riconosceranno la caduta di uno schema, coloro che sanno cosa significhi fare politica. Io un paio di incapaci nel fare ciò già li intravedo, ma il partito deve avere la capacità di mettere da parte chi potrebbe essere nocivo per la sua stessa sopravvivenza e salute. Serve coraggio e polso fermo.
Però basta con i governi tecnici che allontanano i cittadini dalla politica e che sono slegati dalle dinamiche del Paese. Nuova legge elettorale per il Senato e si torni a votare.
Nel PD, invece, serve qualcosa di ben più pesante di una nuova legge elettorale. Serve una coscienza e un doversi fare da parte. Generali e luogotenenti. Soprattutto i luogotenenti, così da ridare ossigeno ad un partito ostaggio di una classe dirigente esclusiva, escludente e solitaria. Serve maggiore chiarezza? Allora dico che alle singole persone preferisco il senso di comunità e per salvare ciò serve che gli escluvi, gli escludenti e i solitari lascino il volante e si mettano in fondo al pullman.
Per dirla con enfasi: la formula dell’io sono io e voi non siete un cazzo, ad ogni livello, non ha funzionato (e ha definitivamente rotto il cazzo).
L’arroganza non paga mai, soprattutto se la si usa all’interno del proprio partito più di quanto la si sfoderi contro gli avversari politici.
Il mio solito (e lungo) appello al voto.
Lo faccio con una poesia (letta malissimo, lo ammetto).
Lo faccio in modo disinteressato e, soprattutto, a tutti, posizioni personali a parte.
Che si termini una bruttissima campagna elettorale con una grande festa di democrazia.
Elogio dell’imparare – Bertolt Brecht
Impara la cosa più semplice! Per quelli
il cui tempo è venuto
non è mai troppo tardi!
Impara l’abbicì: non basta, è vero,
ma imparalo! Non avvilirti!
Comincia! Devi sapere tutto!
Tocca a te assumere il comando.
Impara, uomo all’ospizio!
Impara, uomo in prigione!
Impara, donna in cucina!
Impara, sessantenne!
Tocca a te assumere il comando.
Frequenta la scuola, senzatetto!
Procurati sapere, tu che hai freddo!
Affamato, impegna il libro: è un’arma.
Tocca a te assumere il comando.
Compagno, non temere di chiedere!
Non dar credito a nulla,
controlla tu stesso!
Quello che non sai di tua scienza,
in realtà non lo sai.
Verifica il conto:
tocca a te pagarlo.
Poni il dito su ogni voce,
chiedi cosa significa.
Tocca a te assumere il comando.
Assisto ad un dibattito surreale ormai da diverse settimane. Non vedo l’ora che finisca questa estenuante campagna elettorale che ormai di sano e costruttivo non ha più nulla.
Romano Prodi ha reso noto che voterà sì al Referendum del 4 dicembre. Bene, ma a parte la consapevolezza di cosa voti il Professore, poco altro aggiunge ad un dibattito ormai finito in un vicolo cieco.
Poca considerazione di Romano Prodi? Ma neanche per sogno. Facevo parte di coloro che lo volevano come Presidente della Repubblica e inveirono contro i 101 franchi tiratori del PD che fecero partire la giostra che ci vede oggi all’ennesimo giro.
Sinceramente mi preoccupo di cosa voti la mia vicina di casa, di cosa voti il mio macellaio di fiducia, il mio barbiere, il mio salumiere, il mio compagno di corso. Che ci si aggrappi, come ho visto fare sui social, a dichiarazioni di voto di personalità note (e meno note) in Italia, getta il dibattito ancor di più nel surreale.
Ma non doveva essere un referendum basato sui contenuti? Che travalicava le persone e andava al succo della questione, cioè la Costituzione? Ma allora cosa importa se Prodi o il Volo votino sì, mentre Camilleri e la Ferilli votino no? Me lo spiegate?
Il 5 dicembre sapremo con assoluta certezza se avrà vinto il sì o il no. Una cosa che ormai mi sembra chiara: che, sin da ora, abbia perso la Politica. Quella che ha voglia di confrontarsi, di elaborare e di scontrarsi, genuinamente, sulle idee.
In queste settimane di confronti e incontri ho notato un distacco enorme dalla realtà sia da parte di sostenitori del Sì che del No. E il mio partito è il principale responsabile.
Ah! Altra cosa fondamentale: con la filastrocca che la casta sono gli altri, avete rotto abbondantemente. E mi trattengo nei termini, ma sono davvero andato oltre il limite consentito dalla mia sopportazione.
Renzi che dice “la Casta voterà no”, D’Alema controbatte “Renzi è il capo della Casta” (come vedete dall’immagine sopra). Tutto molto bello, bellissimo, molto bello. Lo dico a loro due per dirlo a chiunque: la Casta è presente in entrambi gli schieramenti, perché la Casta sa essere in entrambe le parti contemporaneamente in quanto esperta in sopravvivenza e trasformismo. Renzi e D’Alema sono facce della stessa medaglia. Sfatiamo questo tabù che ormai è presente in moltissimi ambienti della politica, con la paura di dire un’eresia.
Così come molti di quella Casta – che Renzi demonizza e, aggiungo, demonizzava durante la sua ascesa alla leadership del partito – oggi sono renziani di ferro e fanno più danni che altro, soprattutto sui territori, lo stesso oggi sono sul Sì per convenienza e sul No per la stessa ragione.
Perciò basta! Pensiamo agli ultimi giorni che ci distanziano dal sudato traguardo di domenica e terminiamo qua una delle peggiori campagne elettorali che abbia mai vissuto (e visto).
Stiamo commettendo errori su errori in questa campagna referendaria. Lo dico al fronte del Sì, lo dico al fronte del No.
Non mi sono mai rotto le scatole durante una campagna elettorale, ma questa qui è vergognosa: arroganza, arrivismo, egocentrismo e puttanate sono all’ordine del giorno.
Uno studia libri, articoli e testi vari per prepararsi al meglio al confronto e poi deve fare i conti con tutto questo?
Un po’ di dignità e umiltà!
Non ce la faccio più. Davvero.
Ma in cosa si è trasformata la Politica?
Fasciocomunismo Vs Renzi"Renzi è peggio del Duce". Così il presidente dell'Anpi di Latina Giancarlo Luciani contro il Presidente del Consiglio in visita nel capoluogo durante una manifetazione di protesta tra saluti romani e bandiere rosse.Pubblicato da Ivan Eotvos su Lunedì 7 novembre 2016
L’Unione Sindacale di Base, l’ANPI, Casapound e Forza Nuova erano in piazza insieme, a Latina, a favore del NO al Referendum costituzionale del 4 dicembre.
Vedere l’associazione dei Partigiani con i neofascisti (con tanto di saluto romano e cori con “boia chi molla”) fa un certo effetto.
Consiglio la lettura di questo bel lavoro fatto da Valigia Blu. Mette a confronto le varie posizioni del Sì e del No, dando una lettura a 360° della riforma costituzionale.
Che il TAR del Lazio rigettasse il ricorso sul quesito referendario, a mio modesto parere, era cosa scontata, vista la natura dell’oggetto del ricorso che esula dalla Giustizia amministrativa.
Fin qui nulla di sbagliato, se non fosse che alcuni sostenitori del Sì, oggi, hanno cominciato ad utilizzare tale ovvietà come elemento per la campagna elettorale, a sostegno delle proprie posizioni.
“Avete visto? Il TAR ha rigettato per difetto assoluto di giurisdizione! Il NO ha perso la battaglia sul quesito”, su per giù, il succo, di ciò che ho letto, è questo.
La sentenza, la n.10445/16, lunga 16 pagine, analizza i diversi aspetti del ricordo, ripercorrendo anche la procedura seguita dai proponenti il quesito. Brevemente, afferma che quanto sollevato dai ricorrenti è meritevole di attenzione ma, a seguito di quanto previsto dalle norme in materia, il quesito rispecchia gli standard previsti dalla stessa, senza alcun tipo di forzatura. Detto ciò, comunque il TAR non può pronunciarsi con sentenza, per difetto assoluto di giurisdizione. Una sentenza quasi scontata, ma che poco influisce sul dibattito referendario, salvo che non si voglia forzare la mano, Fine della storia.
E doveva essere, davvero, la fine della storia su questa ridicola contrapposizione sul quesito referendario. Sia da una parte (i ricorrenti, con un chiaro messaggio di svilimento della contrapposizione al fronte del Sì), sia dall’altra (i proponenti, con un atteggiamento quasi isterico che getta il dibattito in un calderone senza fondo). Non si può continuare uno scontro sul referendum andando oltre il buonsenso e il merito. Vogliamo finirla? Tutti quanti?
Costantemente, in tv, ascolto appelli ad entrare nel merito della riforma, ma pochissime volte si passa dalle parole ai fatti.
Detto ciò, in tutto questo, io mi annoio. Che torni la Politica, quella vera.
Chi può e riesce dia l’esempio.