La disperazione all’ombra dell’ultimo sasso e della prima manganellata.
E anche questa volta i giornali hanno avuto la loro vittoria. Le manifestazioni e le rivendicazioni dello scorso 14 novembre sono state coperte dalla violenza. La violenza non solo fa male, boicotta le idee. Se solo non ci fossero stati gesti violenti a partire dagli studenti, forse non saremmo qui a parlare di fumogeni lanciati dal Ministero della Giustizia, ma sicuramente avremmo discusso su cosa fare, dopo aver sfilato per centinaia di strade italiane. Invece siamo qui, a contare i feriti, ad aprire inchieste su chi e come ci sia stata la possibilità di utilizzare un palazzo istituzionale per disperdere, con lacrimogeni, la folla di studenti che correva per la strada.
L’Italia ha bisogno di una cura dimagrante, dimagrire dalla travolgente e parassitaria visione del mondo come una telenovelas, dove ci sono i buoni, i cattivi e gli sconosciuti. Mai che si parli di quello che vivono gli studenti. Gente che parla e parla senza mai sbattere la testa un quotidiano, su un portale d’informazione, su un blog di studenti che raccontano la loro vita quotidiana.
Vedo tanta gente intorno a me, tante e forse anche troppa che non conosce l’argomento su cui vuol dare un giudizio, ma la bocca non la si può tappare a nessuno, questo mai! Bisogna impegnarsi.
La vera rivoluzione è essere diversi, non presentarsi con nessun’arma, nessuno scudo, nessun casco e nessuna benda. Tutti allo scoperto, innocui, indifesi. Chiediamo a gran voce il numeri identificativo sul casco degli agenti: cosa sacrosanta. Ma se lo chiediamo è non per poter mettere alla gogna qualcuno, ma per evitare che ne vada di mezzo tutto il corpo di polizia, allora anche noi dobbiamo smetterla di incappucciarci. A volto scoperto e senza vergogna, se si vuol essere diversi da chi è dall’altra parte della barricata. Ma senza scudi e coperture, perchè gettano nella bolgia delle critiche gli studenti che sono scesi in piazza, armati di una sola cosa: uno striscione e le loro pallottole sono le idee, il modo di guardare al Paese.
L’impegno nasce da chi ha voglia di credere. Chi non crede è dispensato da qualsiasi forma di impegno. Ma chi crede e si impegna ha anche il dovere di coinvolgere chi non crede ad un’Italia migliore, fargli capire che andar via dall’Italia, non è poi un gesto di superiorità, ma di disperazione e forse, ma non solo, di ingratitudine, verso quel Paese che ti ha formato e che ti ha dato gli strumenti per farlo.
Se uno studente è in gamba e svolge la sua nuova attività professionale, dopo la laurea, o il diploma, con capacità di spicco, con passione e dedizione, quelle persone sono da convincere a rimanere. L’Italia ha bisogno di noi e senza le generazioni del futuro il Paese muore e muore la speranza che chi ha dato la vita per l’Italia, ha riposto in ogni suo gesto.