Tag: Partito Democratico

  • Siamo di nuovo a Monopoli, oggi parliamo del famigerato Congresso nazionale. Lo facciamo con il Segretario Regionale dei GD Pierpaolo Treglia, il Segretario nazionale dei GD e onorevole Fausto Raciti, l’onorevole dei GD Liliana Ventricelli e l’onorevole PD Matteo Orfini. Ovviamente siamo tutti del PD con orgoglio, quell’orgoglio che ci spinge ad impegnarci ogni giorno per il partito e per il nostro territorio, oltre che per l’Italia.

    Ps: i panzerotti sono ottimi. Giusto per dire.

  • Piccolo commento su quello che si è concluso ieri: chiamarla Assemblea Nazionale mi sembra a dir poco inutile, forse offensivo per le vere assemblee decisionali, in cui il rispetto verso la politica e verso il proprio gruppo sono così alti che non ci si sogna nemmeno di assentarsi in momenti di così grande importanza, soprattutto quando si sa che per determinate decisioni c’è bisogno del numero legale. Ma questo in altri tempi, in altri luoghi e in altri partiti, eccetto l’altro ieri e ieri, l’Italia e il PD. Giusto per dire.

    Ho ascoltato con molta attenzione gli interventi dei quattro candidati alla Segreteria nazionale e a parte varie sfumature, alcune più condivisibili di altre, ritengo che siano stati gli unici momenti più interessanti della due giorni.

    La logica dei 101 franchi tiratori è stata metabolizzata nel DNA del Partito Democratico e l’assenza ingiustificata e ingiustificabile di tutti quei delegati che ha fatto mancare il numero legale, ne è l’esempio. Una logica di boicottaggio e di ostruzionismo, manipolati da chi siede in prima fila.

    Rinviare alla Direzione Nazionale la modifica del Regolamento, a parte questioni puramente organizzative, simboleggia la voglia di circoscrivere il dibattito sul Congresso alla Direzione e non all’Assemblea e quindi ad una parte ristretta di persone. Mi chiedo se questo possa essere ancora il Partito Democratico.

    Giusto per sottolineare un altro piccolo particolare, in realtà non tanto piccolo: non posso non pensare ai canali sotterranei di quest’Assemblea Nazionale, in cui scorrevano logiche correntiste e diatribe tra capibastone. Non per fare il moralista, ma se non si è giunti all’appuntamento di ieri con delle regole condivise e pronte per essere presentate e votate, credo che ci sia una volontà, alla base o peggio ancora una incapacità da parte dell’attuale classe dirigente del partito di mettere giù le armi e lavorare per definire le regole che condizioneranno non solo il prossimo rinnovo della segreteria, ma l’intera linea politica e il futuro del PD.

    Divisione dei ruoli? Sì o no? Nel documento definitivo non approvato (per ragioni di cui sopra) dall’Assemblea, è riportata una modifica che cancella la dicitura, all’art. 3 comma 2, del Segretario come candidato naturale del partito alla Presidenza del Consiglio. Verrà approvata? Sì o no?

    Aspettiamo la Direzione Nazionale del 27 settembre. Aspettiamo. Ancora.

  • Quando si dice il caso. #101

  • Cosa provano i renziani a sentirsi dire, dal loro mito, che hanno bisogno di un Tso (Trattamento sanitario)?

    Quale può essere il senso di tale affermazione? Lo fa forse con la speranza che i renziani non si offendano ma che allo stesso tempo questo spinga la sua figura oltre il recinto della sua corrente? (perché Renzi ce l’ha la sua corrente nel PD, non diciamo cazzate!).

    Da lui vorrei sincerità prima di qualsiasi disegno del futuro dell’Italia.

    A disegnare l’Italia che vogliamo sono bravi tutti – ne sono passati di artisti dalla guida di partiti di centrosinistra – il problema sta nel mezzo: essere sinceri con la gente e finirla di lanciare slogan ad ogni occasione.

    Su molte cose sono d’accordo con lui: sugli erroracci fatti in campagna elettorale dal PD, su delle prospettive di sviluppo sociale, ma sulla sincerità ci tengo profondamente. Proprio perché non è da tutti.

    Matteo, cominciamo dalle piccole cose: che magari la sincerità ti aiuterà anche a capire il tuo ruolo nel PD e per il Paese, più di quanto tu possa immaginare.

    Ti auguro buon lavoro.

  • Stefano Rodotà e Maurizio Landini stanno progettando un nuovo soggetto politico che, di certo, non si presenterà in fretta e furia alle prossime elezioni (anche se su questo dubito che non ci sia un passo frettoloso, vista l’instabilità del governo). Potrebbe chiamarsi “Lavoro & Legalità” – così dice l’Espresso –  giusto per non farci mancare nulla, dopo “Sinistra Ecologia Libertà”, “Amnistia, Giustizia e Libertà”, ecc.

    Ma è un soggetto realmente necessario? È di questo che ha bisogno il nostro Paese? La crisi politica si risolverebbe? Potremmo tutti quanti giovare di questo nuovo soggetto? Dipende, sicuramente gli scottati dall’esperienza Ingroia, ma difficile da immaginare come catalizzatore di speranze e, soprattutto, di voti.

    A mio avviso non serve. Vorrei più che altro vedere Rodotà, Landini, Zagrebelsky al Congresso del PD e magari discutere lì, proprio in quello spazio così tanto additato come il principale responsabile della crisi della politica italiana e del centrosinistra ma che in realtà è strumento di grande cambiamento, se colto nelle giuste misure e soprattutto in tempo.

    Un Partito Democratico con più Rodotà e meno Fioroni, Bindi e Bersani (…) non è un Partito Democratico fallimentare. È giusto dirlo.

    Certo è che si parlerebbe di una partecipazione alla discussione interna per poi elaborare il PD da presentare ai cittadini, ma la prossima, immediatamente prossima (dovrebbe già essere così) classe dirigente del PD dovrà essere formata da volti nuovi, con nuove idee e una nuova chance.

    Ovviamente non dimentichiamoci delle tifoserie politiche, le sto odiando e ho paura che possano annullare il dibattito costruttivo al congresso, l’ho già detto e soprattutto non apprezzo i santoni da adorare, e di santoni ne abbiamo tanti, sia a livello nazionale che a livello locale. È così. Punto.

  • Il Partito Democratico ne sbaglia una al giorno, ormai ho dimenticato l’ultima mossa azzeccata da parte dei dirigenti.
    Prima lo stop delle Camere, oggi il ddl che trasforma l’ineleggibilità in incompatibilità (chiaro riferimento a B.) presentato da Zanda (capogruppo dei democratici al Senato) e Mucchetti (presidente commissione Industria del Senato), la quale permette un margine di scelta, nell’arco di un anno, tra le due cariche incompatibili, in questo caso, riferito a Berlusconi, si tratta di scegliere tra fare l’imprenditore televisivo o fare il parlamentare.

    Questa è una chiara traslazione di quanto già accade per gli Enti Locali (basti pensare all’incompatibilità tra carica parlamentare e di sindaco di un comune di +20.ooo abitanti), ma come leggere tali atti parlamentari?

    Mi chiedo se i dirigenti del PD abbiano capito che, a dirla tutta, in questo momento, nella merda non c’è solo il Paese – che andrebbe aiutato nel migliore dei modi, soprattutto da chi siede in Parlamento – ma anche il PD che, dopo tutti i modi possibili per essere autoscreditato (riuscendoci alla grande), sta perdendo pezzi importanti, proprio quei pezzi che non dovrebbe assolutamente dimenticare: la base e i militanti, oltre che gli elettori.

    Mi chiedo cosa pensi il famosissimo e più volte citato “Popolo delle Primarie” ma mi chiedo, cosa più importante, se il “Popolo delle Primarie” ci sia ancora, dopo che tutto quello che era stato deciso e detto durante la campagna elettorale, oggi, è stato completamente ribaltato.

    Io aspetto la svolta al congresso, in autunno. E non è tutto scontato.

  • Romano Prodi scrive al Corriere della Sera, spiegando le sue ragioni del mancato tesseramento al PD e della sua posizione in merito al prossimo Congresso Nazionale.

    Caro direttore, 
    vorrei rispondere ai tanti riferimenti che, anche sul vostro giornale, sono apparsi riguardo a mie presunte posizioni relative alla vita interna del Partito Democratico e al mio possibile sostegno a questo o quel protagonista. Ribadisco che ho definitivamente lasciato la vita politica italiana. Ad essa riconosco di avermi concesso esperienze fondamentali e non poche soddisfazioni personali, che spero abbiano offerto un positivo contributo al Paese.

    Ho affrontato due sfide importanti, battendo un opponente politico che ritenevo e ritengo non idoneo al governo del Paese. Da parte mia ho cercato di portare avanti una cultura politica moderna e solidale di cui l’Italia ha molto bisogno. Una battaglia non solo politica, ma etica e culturale. Credo che questi stessi obiettivi abbiano oggi bisogno di nuovi interpreti anche se, nel corso dei due periodi del governo da me presieduto, ci si è a essi avvicinati senza danneggiare, ma anzi migliorando sensibilmente il prestigio internazionale e la situazione debitoria del Paese.

    Le aggiungo che riguardo al Pd conservo non solo un senso di gratitudine, ma anche numerose e salde amicizie. Tuttavia in politica, come nello sport e forse in ogni attività, è preferibile scegliere il momento in cui finire il proprio lavoro, prima che questo momento venga deciso da altri o da eventi esterni. Questi sono anche i motivi per cui senza polemiche ho tralasciato di ritirare la tessera del Pd, il cui rinnovamento e rafforzamento sono tuttavia essenziali al futuro della nostra democrazia. Al vostro cortese giornalista che mi chiedeva se parteggiassi per l’uno o per l’altro dei potenziali candidati al congresso ho risposto semplicemente «my game is over» che, tradotto in italiano, significa che la mia gara è finita. Una gara riguardo alla quale posso elencare tante sfide vittoriose, tra le quali non mi fa certo dispiacere ricordare le due elezioni politiche nazionali del 1996 e del 2006.

    Riflettendo su tutto ciò voglio infine augurarmi che, anche chi è stato sconfitto nei due confronti diretti, possa meditare sul fatto che non dovrebbe essere solo la mia gara a una fine. Ora la saluto, perché sto partendo per New York dove dovrò discutere di fronte al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Uniti i progetti per lo sviluppo del Sahel. Perché, come Lei sa, gli esami non finiscono mai.

  • Mediobanca dice che all’Italia restano 6 mesi di autonomia e che dopo dovrà, necessariamente, chiedere aiuto all’Unione Europea per ricevere dei fondi per sostenere la spesa pubblica.

    La Guardia di Finanza, nella sua relazione sui primi sei mesi del 2013, afferma che 1 su 3 non fa lo scontrino e che oltre a sprechi della pubblica amministrazione, il privato non è da meno ed è proprio dai ristoranti, dai bar e dai negozi che l’esempio di cattiva cittadinanza si concretizza e sforna al mese 1 miliardo di evasione e di capitali catapultati all’estero (che ritorneranno se qualche politico “buono” attiverà lo scudo fiscale con trattenuta pari allo 0,000001% della somma, a differenza di altri paesi in cui si arriva tranquillamente al 50%).

    In quale direzione vogliamo andare? Qui c’è un Paese che è, nel suo subconscio, diviso a metà: da una parte i disperati, i disoccupati, i prossimi disoccupati, chi lotta per cambiare e migliorare le proprie condizioni di vita (e la lotta non è solo quella nelle strade, ma quella nelle case, tra le bollette e le spese per i propri figli). Dall’altra parte c’è l’Italia dei furbi, dei vigliacchi e dei pusillanimi, a cui appartiene una fetta consistente della nostra classe dirigente, dalle Alpi all’Etna, senza esclusione di nessun angolo del nostro Bel Paese.

    Con quanta credibilità, oggi, l’Italia si presenta come paese forte, capace di contrastare la crisi economica? La classe politica ha ottenuto quello che voleva: un ennesimo governo del presidente, con tanto di cariche e ministeri. Pur di ottenere una situazione di stallo politico istituzionalizzato, 101 parlamentari del Partito Democratico hanno avuto il coraggio di gettare a mare colui che ha reso, con il suo contributo, il PD possibile e dando loro la possibilità di essere lì, quel giorno, a votare il Presidente della Repubblica. Parlo di Romano Prodi. Aprendo al Governo Letta, frutto di una ennesima e sporca intesa tra PdL e PD, o meglio, tra Berlusconi e il PD, con tutti i rischi annessi e connessi (tra cui quello che oggi si palesa, nei ricatti quotidiani di un uomo ormai giunto alla disperazione e al delirio di immunità).

    Amareggiato e affranto da una situazione irreversibile che solo attraverso un radicale cambio culturale riusciremo a sconfiggere. Quella rivoluzione culturale che Grillo professava non c’è stata, ma nel panorama politico oggi sono presenti gli stessi personaggi di allora, solo adattati alla nuova situazione, e un movimento che si auto-distrugge, mandando a casa chi, tra i parlamentari, dissente nei confronti del leader e non chi ruba o sfrutta la politica per fare i suoi sporchi interessi.

    Se questo sarà il panorama politico dei prossimi mesi e forse dei prossimi anni, non sono assolutamente al servizio di tale politica, ma assieme a molti altri, che credono nella politica partecipata e soprattutto credono nel progetto del Partito Democratico, ricostruiremo le fondamenta di quello che doveva essere (e ancora non è) il partito popolare che doveva rivoluzionare l’assetto politico del nostro Paese. Al prossimo congresso? No, sarebbe troppo tardi. Bisogna incominciare da ora.