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  • Nell’italica fiaba gattopardesca, in cui tutto cambia affinché tutto resti uguale, non ci sono principi e nobili a prodigarsi nel mantenere i propri privilegi, ma la politica piatta e appassita si guarda allo specchio e trova solo cicatrici e rughe, simboli di finte rivoluzioni e di un decadimento storico e sociale che spazza via, dalle proprie superfici, l’ormai residua polvere della sua aristotelica concezione di arte nobile, lasciando il posto al teatrale gioco delle parti, in una lotta senza mai fine tra la maschera del populismo e quella dell’ubriachezza.

    Si alza il sipario per la Prima della Scala di tutte le elezioni, le Politiche, e con un balzo in avanti ecco la voce popolana che sa (pensa di sapere) come va il mondo e che tutto corrisponde ad una lettura generata da una stratificazione culturale sempre più incrostata di falsi miti e fervide convinzioni. In una mano la spada forgiata da urla e j’accuse, nell’altra un orologio rotto, simbolo del tempo fermato per la paura verso l’incognito.
    Tiepidamente, da dietro un albero di cartone, la maschera dell’ubriachezza faticosamente si avvicina al centro del palco. Ogni tre passi e quattro indietro, sorseggia un miscuglio alcolico fatto di autocompiacimento e autoreferenzialità, mentre avvicina al proprio occhio sinistro un cannocchiale per guardare, come fosse lontano miglia, ogni cosa a due passi dal proprio corpo e della propria vista “naturale”.
    Entrambi si accingono in un goffo scontro tra topolini con l’ego da montagne, generando noia e spazientimento tra il pubblico, il quale attende con ansia l’intermezzo per prendere un boccone d’aria e filarsela a metà dell’opera.

    Volendo dare un volto e un nome ai nostri personaggi, oggi raggiungerò solo in parte tale obiettivo, preannunciando che la maschera dell’ubriachezza porta il nome del centrosinistra.

    Il populismo non può che avere il volto del Movimento 5 Stelle, suo massimo inteprete. Dalle battaglie puritane a suon di proclami, editti e regole ferree, il mutamento grillino trasforma ciò che non era considerata, per principio, una professione – la politica – in un rapporto di lavoro, in piena regola.

    Da quello che sembra un vero e proprio concorsone per il Pubblico impiego – più di 10mila concorrenti per 2.425 posti da candidati – alla penale (anticostituzionale) di 100mila euro in caso di cambio della casacca – lo sport più in voga alla Camera e al Senato, con i più importanti campioni olimpionici nella XVII legislatura (540 i cambi totali, a legislatura ormai chiusa).

    Insomma, per il Movimento 5 Stelle il parlamentare è sì un dipendente ma non dei cittadini, volendo utilizzare il gergo grillino, ma un impiegato del Movimento e della Casaleggio Associati.
    Il notaio, vestito di nero e con la falce ben in vista macchiata di inchiostro, segnerà la fine del principio costituzionale dell’inesistenza del vincolo di mandato parlamentare, trasformando in introiti economici una violazione di quello che è un diritto sacrosanto di ogni cittadino (candidato ed eletto).

    Insomma, ci si chiede che fine facciano quegli eletti nei collegi uninominali (ce ne sarà qualcuno eletto per merito suo, no?) che dopo qualche mese di attività scoprono, anche loro, che con i 5 Stelle è meglio non averci a che fare, guardando al Gruppo Misto con grande desiderio. Non gli si può chiedere certo di dimettersi. I voti, in fin dei conti, se li sono guadagnati sul campo. Salvo che la Casaleggio Associati non voglia ammettere l’inconsistenza dei suoi candidati. Tutto può essere.
    Certo, c’è da chiedersi quale sarà l’effetto dell’accettazione di candidati non iscritti al Movimento e, quindi, di tutti coloro che salgono in groppa a Grillo per approdare a Montecitorio e Palazzo Madama. Un’occasione ghiotta per chiunque veda la politica come un mezzo di sussistenza e per darsi un certo tono.

    Insomma, dovremmo applicare lo Statuto dei Lavoratori anche ai parlamentari? Chissa se, a questo punto, Grillo e Di Maio siano felici dell’abolizione dell’art.18.
    Nell’attesa, io comincio a sedermi sulla riva del fiume, pare ci sarà una gran regata, dal 5 marzo.

  • Siamo arrivati ad un punto davvero difficile. Non saprei come definirlo. I giornali parlano di una transumanza. Chi di uno sgocciolio di quel che resta di Scelta Civica. Non importa come definirlo, fatto sta che rappresenta il peggio della politica. Checché se ne dica (e checché ne dica Renzi).

    Pietro Ichino, Linda Lanzillotta, Alessandro Maran, Gianluca Susta e Irene Tinagli sono ex dem che tornano “a casa”, almeno stando alle parole di Guerini. A loro si aggiungono il vice ministro allo Sviluppo Economico, Carlo Calenda, l’attuale sottosegretario ai Beni Culturali (nonché ex Presidente della FAI) Ilaria Borletti Buitoni e il ministro al MIUR, Stefania Giannini.

    Ora, questi spostamenti ad muzzum puzzano sempre. Non erano accettabili con Scilipoti e non capisco perché debbano esserlo ora. Certo, qualcuno l’abbiamo reso un’icona (vedi Razzi), ma va be.

    Bersani chiede che ci sia una giustificazione politica al cambio di casacca, qualcuno (Gianluca Susta) dice che in realtà non si tratta di un vero e proprio approdo nel PD, in quanto non tutti – degli 8 – faranno la tessera al partito. Susta, oltre tutto, ha anche spiegato che non ha la benché minima intenzione di aderire al Partito Socialista Europeo (lui è vice presidente del Partito democratico europeo). Vade retro sinistra, per intenderci. E questo è, di per se, preoccupante. E non poco.

    Ma Ichino, Lanzillotta e tutti gli ex, hanno una macchia sulla loro dignità, grossa quanto l’Africa sulla cartina geografica: essere fuggiti. Personalmente, con il mio partito, vivo da un po’ di tempo un periodo turbolento, ma non mi è mai passato, neanche nell’anticamera del cervello, di lasciare il mio partito per approdare in qualcosa di indefinito o anche di definito (i famosi progetti delle sinistre). La mia casa è il PD. Punto. Anche se con la maggioranza del PD, su alcune cose, non sono d’accordo. Preferisco combattere.

    Chi oggi torna, per me vale meno di zero (politicamente parlando, si intende). Che credibilità hanno, se passano da una parte all’altra, dopo essersi accorti che la zatterina su cui avevano deciso di salire stesse sprofondando? Facile tornare quando la strada è ormai priva di ostacoli per le vostre idee. Che razza di politica praticate? Se politica la si può chiamare.

    Perciò, vi sono sincero: sono un iscritto al Partito Democratico che vi avrebbe chiuso la porta in faccia, o che vi avrebbe, quantomeno, buttato dell’acqua gelida dal balcone, al primo suono di campanello. Perché è questo che meritate. Nient’altro. Sì, lo so, c’è la Parabola del figliol prodigo. Ma io di figliol prodighi non ne vedo.

    Ps. non usciamocene con la storia del “partito a vocazione maggioritaria”, perché la vocazione maggioritaria è altra cosa dall’emigrazione di parlamentari. Perché manca la politica, che dovrebbe essere alla base della vocazione maggioritaria che, sia chiaro, io sostengo con convinzione. Ma capite che non può essere un comunicato del Premier a crearla. E non può essere una giustificazione alle miriadi di casacche cambiate (fino ad ora, in Parlamento, in 173 si erano candidati con il partito sbagliato).

  • SEL e M5S, quasi sicuramente – stando a dichiarazioni provenienti da Montecitorio – voteranno sin dal primo scrutinio (29 gennaio) Romano Prodi, come successore di Giorgio Napolitano, al Quirinale.

    Una mossa che, se colta in tempo, potrebbe riequilibrare il Parlamento e tutte le Istituzioni, garantendo l’elezione di un Presidente della Repubblica a grande maggioranza (servono 672 voti), forte della sua elezione al primo turno. Perciò, PD, non pensarci due volte e basta 101.

    In questo caso, perdonatemi, ma Berlusconi lo lascerei sul ciglio della strada.

    Ps. Proponete Gianni Letta e mi incazzo.

  • Il Prof. Ainis, costituzionalista, editorialista per l’Espresso, ha sviscerato l’attuale situazione politica, dove slogan e effetti speciali servono a mascherare l’eterno corso della politica, coperto dal segreto delle stanze. Che ci sia almeno coerenza!

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  • La campagna elettorale pare incominciata per il Movimento 5 Stelle. Le mura del Parlamento non reggono il populismo dilagante che ci stanno propinando in questi giorni attivisti, parlamentari e televisioni.

    C’è chi fa promesse, chi si rimbocca le maniche e chi invece preferisce chiedere la messa in stato d’accusa (non impeachment!!) del Presidente della Repubblica o chiedere le dimissioni del Presidente della Camera. Un film già visto, già terribilmente sopportato per molto tempo.

    Manca solo che annuncino l’esplosione del Parlamento il 5 novembre e corro a comprarmi la maschera di V per Vendetta, o G per Grilletta (battuta, da non trasformare in oggetto di gomblotti, ndr).

    Mi dispiace per tutti coloro che ci credono seriamente nel M5S e che non si riconoscono in questi metodi da pseudo-fascisti, partendo dai parlamentari, fino agli attivisti.

    La violenza non è tollerabile, ne da una parte ne dall’altra dell’emiciclo.

  • Pare che il M5S abbia due pesi e due misure su quanto accade in Parlamento: condanna il deputato Dambruoso (SC), Questore della Camera, per aver interagito in modo brusco con l’On. Lupo (M5S) e apostrofa, tramite l’On. De Rosa (M5S), le deputate del Partito Democratico come brave a fare pompini, ragione per cui esse risiedano sugli scranni di Montecitorio. Che differenza c’è tra il gesto dei due parlamentari? Per me, nessuno.

    Cosa potevamo aspettarci da un cretino che si è messo sotto i riflettori dell’opinione pubblica per una così infelice dichiarazione? Ma alla fine questo è il prezzo per non aver utilizzato un sistema incontrollato di selezione della classe dirigente. Volete fare l’esempio degli altri partiti? No, non potete. Perché loro hanno molte gatte da pelare, anche e soprattutto per questo, ma da un movimento che si reputa rivoluzionario, non si possono accettare queste indecenze.

    Ma forse De Rosa è lì perché è bravo a fare qualcosa. Che cosa non è dato sapere, ma forse non voglio proprio saperlo. Il sessista lo sa fare, altro che, però.

    La Lupo, invece, so perché è in Parlamento: pensava di essere alle selezioni per una squadra di rugby ed invece erano le parlamentarie sul blog di Grillo.

    Chapeau!

  • Da un po’ di giorni, si discute della nuova legge elettorale. Mi chiedo se si stia raggiungendo un bipartitismo o un minestronismo. Me lo chiedo da un po’ di tempo.

    Ottenere, dal nuovo disegno di legge elettorale, presentato dal tandem PD-FI, un sistema di sbarramento che distrugge completamente la rappresentanza dei piccoli partiti, scongiurando, di fatto,la frammentazione del Parlamento in tanti piccoli spicchi difficili d’assemblare, se non per interessi personali dei loro leader, puzza un poco.

    C’è chi crede che i partiti di Alfano, Salvini, Meloni, Storace e compagnia bella, rimarranno quelli di oggi e, forti del loro carattere, si scaglieranno contro un muro in pieno giorno. No, non credo sarà così, credo che il disegno costruito sulla legge elettorale e la mancanza delle preferenze, sia opera di Berlusconi e del suo rilancio politico, presentando, a mio avviso, due scenari possibili, alle prossime elezioni.

    Scenario 1 – I piccoli partiti del centrodestra si riuniscono con Forza Italia, promettendo percentuali di rappresentanza in Parlamento ai gruppi minoritari, tutti sotto l’ala protettrice di Berlusconi, il quale un po’ di la, un po’ di qua, potrebbe dare filo da torcere al PD di Renzi, in termini percentuali.

    Scenario 2 – I partiti più piccoli, coerentemente con i loro valori, si coalizzano e formano una grande federazione, con simbolo unico, che racchiude FdI, Lega, NCD. Mi chiedo, però, come possano convivere Lega e NCD insieme, perciò ritengo questo scenario improbabile al 99,5%.

    Tutto questo, sia chiaro, sulla base di una legge elettorale che delle preferenze non fa la sua battaglia. Qualche giorno fa, mi sono espresso negativamente nei confronti di queste, ritenendo ridicoli gli annunci, da parte di una fetta della classe politica, a mo di slogan per farsi belli e carini. Ritenengo, la libertà di scrivere il nome del candidato, un segnale politico forte, di controllo maggiore da parte del territorio, di un peso triplicato del singolo voto, ma che potrebbe essere facilmente controllato da logiche a noi non sconosciute e che, chi ha avuto almeno un’esperienza di campagna elettorale, sa della grande presenza in molte parti d’Italia, soprattutto al Sud.

    Ritengo fondamentale il ritorno ad un sistema elettorale capace di rendere il parlamentare al servizio del territorio e non delle segreterie. Ritengo fondamentale slegare i deputati e senatori dalle logiche del voto di gruppo, basato sulla volontà del leader di turno o per non scontentare qualcuno. Bisogna porre fine a questo orribile teatrino.

    La soluzione migliore credo sia quella dei collegi uninominali, in cui ci sono determinati nomi e i cittadini possono scegliere, liberamente, se votare un candidato, anziché un altro.
    Sarebbe un sacrilegio? Certo che no! Voglio vedere se un collegio si ritrovi un Minzolini, un Capezzone, un Fioroni o un chi so io! Verrebbero presi a pesci in faccia!

    [GARD]
  • Anche se avrei preferito lasciar riposare, meritatamente, Giorgio Napolitano, attualmente è l’unico di cui ci si possa fidare seriamente, all’interno delle Istituzioni Repubblicane.

    Mi accodo a tutti coloro che hanno gradito il suo discorso di insediamento e devo esservi sinceri: ho gongolato quando ho visto partire schiaffoni a chiunque in quell’Aula, oggi. Napolitano ha trovato un modo elegante ed istituzionale per dire ai responsabili di questo sfacelo che hanno rotto le palle. Ha fatto bene.