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  • Si è scritto tanto, in queste ore, sulla strage di Parigi. L’ennesima strage che coinvolge, direttamente e indirettamente l’Europa intera. Da Charlie Hebdo all’attentato sventato sul treno Amsterdam-Parigi, passando per le tragiche vicende che hanno travolto il mondo nelle scorse ore.

    C’è un punto, però, su cui vorrei soffermarmi. Come possiamo tollerare gli intolleranti? Il gruppo terroristico “Stato Islamico” è un gruppo intollerante. Intolleranza verso l’occidente e la sua cultura, verso chi non si piega al volere del califfo; ed è facile comprendere questo aspetto, dalle parole che, come ogni volta, riecheggiano quando l’ennesimo videomessaggio dell’ISIS viene riprodotto e fatto girare.

    Ma quindi, perché l’intolleranza dell’ISIS dovrebbe farmi accettare quella nostrana, quella che si riempie la bocca con frasi fatte, che fa ruggire da dietro ad una tastiera chi, nella vita, si comporta da pecora impaurita, che vede il “diverso” come un pericolo e non come una ricchezza? Perché qui non si parla di buonismo, ma di civiltà e di intelligenza. Il Popolo francese ne sta dando l’esempio in questi giorni. La polizia ha caricato un gruppo di facinorosi fascisti che con slogan razzisti chiedevano che i musulmani venissero, senza distinzioni alcune, dichiarati responsabili di quanto successo venerdì scorso tra le vie parigine. Come se non bastasse, la politica si è fermata, stringendosi attorno allo Stato, fermando la campagna elettorale, fermandosi in silenzio per rispetto e perché ogni parola, ogni slogan è, nella realtà, superfluo.

    Proprio quella politica che, in Italia, invece, come ad ogni occasione ghiotta, si getta a capofitto tra i meandri dell’opinione pubblica, scavando nel più becero populismo e nel più spaventoso razzismo. Salvini si è subito precipitato sul suo iPad, scrivendo quello che tutti ormai conosciamo e altri 400 post su Facebook che, tutto sommato, dicono sempre la stessa cosa: se non sei leghista, italiano e cristiano sei complice dei terroristi e della strage di Parigi.

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    Come se non bastasse, Giorgia Meloni, con la Torre Eiffel sullo sfondo, si dichiarava “facile profeta” di quanto successo e che bisognava, da subito, bloccare l’immigrazione musulmana. Sì, ha detto proprio musulmana, aggiungendo che tale blocco debba rimanere fino a quando l’Islam non avrà risolto i problemi “di violenza nella loro cultura”. È chiaro come a parlare non sia la Meloni ma la sua ignoranza, perché basta anche sfogliare il Corano (che è alla base della cultura musulmana, come per quella cattolica il Vangelo e la Bibbia) per capire come nella loro cultura non c’è la violenza ma che, la violenza, per appunto, è mancanza di una cultura. È come se dicessimo che, poiché in Italia c’è la mafia, allora la nostra cultura è mafiosa e mi chiedo come ci si possa lamentare davanti a quelli che, oltralpe, ci definiscono “pizza e mandolino” o “Italia…mafia…il Padrino” se noi stessi ci comportiamo in questo modo con chi è “diverso” da noi.

    Ma ecco il punto: l’ISIS oltre a spargere terrore per le strade della capitale francese e a minacciare repliche in altre capitali europee, vuole raggiungere un obiettivo, primo di ogni altra cosa, ovvero quello di contrapporre, in modo definitivo, il Medio Oriente all’Occidente e tale risultato lo si può raggiungere solo se quella stessa intolleranza che predicano venga sostenuta, se pur in termini opposti, da quelli che vengono definiti i loro nemici.

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    Titoli di giornale da denuncia per vilipendio alla Costituzione, politici dalla bocca larga e leoni da tastiera che predicano il male assoluto (utilizzando parole che mai, sono certo, avrebbero il coraggio di pronunciare in carne ed ossa), sono i principali alleati dell’ISIS in Italia, perché il terrore e l’odio sa muoversi soltanto dove c’è intolleranza, rabbia e discriminazione. Serve altro per capirlo?

    Lotta al terrorismo, ma non agli esseri umani.

  • Con il cuore a Parigi, con i francesi che in queste ore stanno vivendo momenti di terrore puro. La solidarietà di tutta l’Europa si faccia sentire, si faccia vedere.

    Le parole pronunciate da Hollande sono di una importanza straordinaria, mai sentite prima dal Presidente della Repubblica francese. Stato d’emergenza e chiusura delle frontiere. Questi attentanti non fanno altro che minare alle fondamenta dell’Europa di Schengen, non portando a null’altro.

    Qui trovate la diretta di Sky News, 24 ore su 24 sulla vicenda.

  • jesuis_cohérent-130115

    Quando chiuse l’Unità, leggevo commenti del tipo “meno male! chiudiamoli ‘sti giornaletti del cazzo che vendono massimo 2 copie per paese”.

    Voglio ricordare, a voi tutti, che Charlie Hebdo, prima dell’attentato, era un “giornaletto” con una tiratura di 70.000 copie in tutto (in calo) e non di 3 milioni come lo sarà questa settimana.

    Si è per la libertà di stampa e di espressione sempre, non quando ci fa più comodo.

    Chiaro a tutti? E non dite che non è vero, perché prendereste in giro solo voi stessi. Forse manco quello.

  • burki-schengen

    Dopo gli ultimi attentati di Parigi, alla sede di Charlie Hebdo e ad un supermercato nel quartiere ebraico della capitale francese, la politica europea si interroga su quali possano essere le misure da adottare per rafforzare la sicurezza nel Vecchio Continente e soprattutto nei paesi membri dell’Ue.

    Marine Le Pen, leader del Fronte Nazionale francese, assieme ad altri esponenti dei partiti nazionalisti d’Europa, puntano il dito contro l’accordo di Schengen, siglato nel 1985 a Schengen (Lussemburgo), per l’appunto, inizialmente solo da Francia, Belgio, Lussemburgo, Germania, Paesi Bassi e Principato di Monaco.
    Dopo un’evoluzione e assestamento dell’accordo e delle modalità di attuazione, che vede come punto di arrivo/partenza il 19 giugno 1990 (con la firma degli stessi Stati iniziali, più altri) e l’entrata in vigore nel 1995, ha visto nel corso del tempo l’adesione di tutti gli altri Paesi membri (l’Italia ha aderito nel 1990, con entrata in vigore nel 1995) con, tuttavia, due grandi assenti – il Regno Unito e l’Irlanda, che hanno mantenuto il controllo di frontiera.

    Quali sono gli obiettivi di tale accordo?

    • Abolizione dei controlli sistematici delle persone alle frontiere interne dello spazio Schengen.
    • Rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne dello spazio Schengen;
    • Collaborazione delle forze di polizia e possibilità per esse di intervenire in alcuni casi anche oltre i propri confini (per esempio durante gli inseguimenti di malavitosi);
    • Coordinamento degli stati nella lotta alla criminalità organizzata di rilevanza internazionale (per esempio mafia, traffico d’armi, droga, immigrazione clandestina);
    • Il rafforzamento della cooperazione giudiziaria mediante un sistema di estradizione più rapido e una migliore trasmissione dell’esecuzione delle sentenze penali;
    • Integrazione delle banche dati delle forze di polizia (il Sistema di informazione Schengen, detto anche SIS).

    Insomma, l’accordo di Schengen è simbolo dell’integrazione europea, abbattimento delle frontiere interne e sostegno alla libera circolazione dei cittadini in tutto il territorio dell’Unione europea. Eliminarlo o rivederlo significherebbe gettare nella spazzatura il progetto di una Europa unita e libera, lasciando in piedi solo l’economia comune che, a dirla tutta, è ben poca cosa rispetto a quello che immaginarono i Padri e le Madri fondatori. Come lo stesso Manifesto di Ventotene testimonia.

    Rivedere Schengen significa, per essere schietti, far vincere i fondamentalismi, quelle ideologie che vedono nel progetto europeo un muro invalicabile tra la pace e la guerra tra popoli tanto voluta.

  • Avere fede nell’Umanità.

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  • È difficile, in questi momenti, comprendere quale sia il danno più grande che l’attentato di ieri, a Charlie Hebdo, ha recato al mondo intero.

    Ci sono 12 morti e 5 feriti gravi. C’è un danno umano, questo è inconfutabile, ma c’è un danno culturale che sta devastando tutto e tutti. L’intera Europa si ritrova, ora, a dover fare i conti con impulsi populisti e razzisti.

    Allahu Akbar!” hanno gridato gli attentatori, mentre sparavano all’impazzata, poi tutto il resto in francese perfetto.
    “Musulmani!” ha gridato l’Occidente (per forza di cose), puntando i riflettori sul caso, mentre alle spalle i soliti populisti e razzisti si spalleggiavano per una lotta al diverso e alle moschee.

    E se, anziché “Allahu Akbar”, fosse stato “Dieu est grand” il grido di guerra? Quali sarebbero state le reazioni? Si sarebbe chiesta la reintroduzione della pena di morte? Qualcuno avrebbe chiesto il monitoraggio delle chiese cattoliche?

    Not in my name“, questo è stato il nome della campagna portata avanti da molti musulmani, in giro per il mondo, in cui gridavano a gran voce che le stragi e le barbarie non sono compiute in nome di un popolo e di una religione, ma in nome della pazzia, della frenesia omicida di gruppi estremisti che fanno della religione un pretesto, ma che hanno come scopo primario quello di incutere timore e di estendere il proprio dominio politico.

    Come dicevo all’inizio, credo che l’attentato abbia messo a nudo un problema grave che aleggia in Europa: la paura del diverso, questo timore che spesse volte è frutto di stereotipi, senza un effettivo riscontro.

    Ed è per questo che ritengo Salvini una persona spregevole, non perché il suo partito sia diverso dal mio, non perché sia del Nord, ma perché non conosce la cultura del silenzio e del rispetto. Ho sempre pensato che principi del genere non fossero neanche presenti nel suo vocabolario, ma oggi è quanto più opportuno ribadirlo.

    Costruire è difficile, serve pazienza, forza e ordine. Demolire non richiede molto, basta anche un po’ di dinamite e un intero palazzo, costruito in 1 anno, vien giù in 5 secondi, lasciando come testimoni solo macerie e poco più.

    Costruire una cultura basata sul rispetto, sulla tolleranza e sulla laicità è difficilissimo, credo che esistano poche cose, se non niente, di più di difficile di questo, ma dobbiamo provarci, dobbiamo impegnarci affinché l’Europa, l’Italia possano essere forti dinanzi ad un kalashnikov, ma allo stesso tempo impenetrabili dinanzi alle teorie del terrore e della discriminazione.

    Una frase spiccava ieri, nelle piazze francesi: not afraid. Non dobbiamo aver paura di chi non professa la nostra stessa religione, non dobbiamo aver paura dinanzi ad attacchi vili e crudeli.
    Io ho paura e, come me, tutti quanti voi, ma sento di averne di meno quando esco dalla mia sfera personale e sento di essere parte integrante di una comunità. Se questa comunità – la mia, la nostra, quella di tutti – si baserà su quella cultura della tolleranza, allora riusciremo ad estirpare un male curabile, quello degli estremismi, puntando il dito verso i veri colpevoli, non chiamando chi uccide “musulmano” ma “omicida”. Non commettiamo sempre gli stessi errori, perché facendo di tutta l’erba un fascio gli unici che ci ringrazieranno saranno gli attentatori, non le vittime.

    Firmato,
    Charlie.

     

  • Biani. Come sempre.

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