Che l’Italia fosse 100 passi indietro rispetto ad altri paesi europei era più che scontato, ma che si debba temporeggiare su aspetti vitali come l’Agenda Digitale, non è solo una questione di lungimiranza politica, ma di civiltà e di perdita di risorse per lo sviluppo. Di cosa parlo:
L’Italia, rispetto alle ultime graduatorie europee, si attesta sotto la media europea rispetto agli obiettivi fissati dall’UE nell’Agenda Digitale europea che, nel biennio 2013–2014, prevede 7 punti da sviluppare:
Con il supporto del Consiglio, la Commissione accelererà la diffusione di servizi digitali (in particolare l’interoperabilità transfrontaliera) relativi a identità elettroniche e firme elettroniche, mobilità aziendale, giustizia elettronica, cartelle cliniche elettroniche e piattaforme culturali come Europeana. L’eProcurement potrebbe far risparmiare da solo 100 miliardi di euro l’anno, mentre l’eGovernment sarebbe in grado di ridurre i costi di amministrazione del 15-20%.
Il punto cruciale che non tutti hanno ben compreso è esattamente il valore economico, oltre che sociale, dello sviluppo tecnologico e del proseguimento dell’Agenda Digitale.
Un piano strategico nazionale che sviluppi i sette punti di cui sopra, aprirebbe a nuovi orizzonti nel panorama italiano: la mancanza di una copertura nazionale di fibra ottica azzoppa e fa scomparire quel punto e mezzo di PIL che garantirebbe, invece, se dalle parole e le programmazioni, si passasse ad agire e a ridurre il digital divide.
Ma la questione non si conclude con una mera necessità di nuove infrastrutture e nuovi piani di sviluppo ed installazione, c’è di mezzo lo stile di vita e la cultura dei cittadini, una e-culture, se vogliamo essere pignoli: con una copertura della banda larga che raggiunge circa il 95% della popolazione italiana ci si dovrebbe aspettare un utilizzo di massa di questo strumento oramai fondamentale, invece, la popolazione che si connette sul web è pari al 55%. Un divario esorbitante.
È ovvio che la divergenza si allenterà col passare del tempo (salvo casi difficili da immaginare), ma se tutti utilizzassimo e ponessimo al centro del sistema-paese l’Agenda Digitale e l’utilizzo delle nuove tecnologie, riusciremmo a creare nuovi posti di lavoro (qualcuno ne stima addirittura 700.000).
Il Governo Letta sull’A.D. ha speso dei provvedimenti (nel pacchetto del Decreto del Fare) – dove, per l’appunto, si liberalizzava il wi-fi libero e gratuito, sconfinando totalmente nel libero accesso ad internet, superando di gran lunga varie ingerenze e possibili emendamenti che prevedevano sistemi di controllo simili al Decreto Pisanu, abolito dall’allora Ministro dell’Interno Maroni nel 2011.
Il concetto dell’Agenda Digitale si espande anche nel concetto stesso di città e di come debba essere intesa oggi: abbiamo sentito tutti parlare, almeno una volta, di Smart City. Ecco il concetto è proprio questo e va sostenuto in ogni singolo aspetto, perchè vantaggio ne trarremmo tutti, non solo qualcuno.
Tornando al problema di prima ed a quanto ribadito sul concetto di e-culture, mi pare ovvio che la cultura la si forma nel suo luogo per eccellenza: la scuola. Immaginate se cominciassimo a ridurre sempre di più i libri di carta, a fare spazio negli zaini (salvandoli, magari, da millemila kg di peso). L’e-book deve essere la frontiera della scuola del III Millennio – un passaggio mai ben percepito, mai ben strutturato – simbolo di una civiltà che avanza.
Sono a conoscenza dei rischi che prendo dicendo questa cosa, ma credo che ai nostalgici e difensori del cartaceo non bisogna obiettare nulla, perchè loro ci sono cresciuti con la carta ed è proprio questo il concetto: far crescere una nuova generazione che interagisca in modo sano e strutturato con le nuove tecnologie.
Sognare la California non ci aiuta a crescere. Sognando un’Italia con meno analogico e più digitale è la chiave per rendere il nostro Paese protagonista, ancora una volta, dell’Europa e competitiva con il mondo intero.