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  • Che l’Italia fosse 100 passi indietro rispetto ad altri paesi europei era più che scontato, ma che si debba temporeggiare su aspetti vitali come l’Agenda Digitale, non è solo una questione di lungimiranza politica, ma di civiltà e di perdita di risorse per lo sviluppo. Di cosa parlo:

    L’Italia, rispetto alle ultime graduatorie europee, si attesta sotto la media europea rispetto agli obiettivi fissati dall’UE nell’Agenda Digitale europea che, nel biennio 20132014, prevede 7 punti da sviluppare:

    1) Creare un nuovo e stabile contesto normativo alla banda larga

    Sono necessari maggiori investimenti privati nelle reti a banda larga ad alta velocità fisse e mobili.Ma si deve lavorare a un nuovo e stabile quadro normativo. Un pacchetto di dieci azioni nel 2013 conterrà raccomandazioni per un accesso alla Rete più fortemente non discriminatorio, una nuova metodologia di determinazione dei costi per l’accesso all’ingrosso alle reti a banda larga, net nutrality e riduzione dei costi per il roll-out della banda larga. Questo programma si baserà su nuove linee guida su aiuti statali e prestiti europei tramite Connecting Europe Facility.

    2) Nuove infrastrutture pubbliche di servizi digitali

    Con il supporto del Consiglio, la Commissione accelererà la diffusione di servizi digitali (in particolare l’interoperabilità transfrontaliera) relativi a identità elettroniche e firme elettroniche, mobilità aziendale, giustizia elettronica, cartelle cliniche elettroniche e piattaforme culturali come Europeana. L’eProcurement potrebbe far risparmiare da solo 100 miliardi di euro l’anno, mentre l’eGovernment sarebbe in grado di ridurre i costi di amministrazione del 15-20%.

    3) Avviare una coalizione per le competenze digitali e per l’occupazione

    C’è bisogno di una coalizione per adottare misure concrete ed evitare milioni di posti di lavoro vacanti in ambito Ict entro il 2015 a causa della mancanza di personale qualificato. La Commissione coordinerà le azioni del settore pubblico e privato per: incrementare i tirocini di formazione, creare collegamenti più diretti tra università e mondo del lavoro, definire accordo profili professionali standard e promuovere la certificazione delle competenze per la mobilità lavorativa. La Commissione, inoltre, fornirà un piano d’azione a sostegno degli imprenditori Web e renderà l’Europa più startup friendly.

    4) Proporre una cyber-strategia di sicurezza

    Sicurezza e libertà online vanno di pari passo. L’Ue dovrebbe offrire gli ambienti online più sicuri del mondo, valorizzando la libertà e la privacy dell’utente. La Commissione fornirà una strategia e una proposta di direttiva per stabilire un livello minimo comune di preparazione a livello nazionale, tra cui una piattaforma online per prevenire e contrastare incidenti informatici, e l’obbligo di segnalazione degli incidenti. Questo stimolerà un più ampio mercato europeo per la sicurezza e la privacy-by-design dei prodotti.

    5) Aggiornare il copyright

    Modernizzare il diritto d’autore è la chiave per raggiungere il mercato unico digitale. La Commissione cercherà una soluzione dei problemi del diritto d’autore attraverso un dialogo con gli stakeholder nel 2013. Parallelamente, la Commissione rivederà e modernizzerà il quadro legislativo dell’Ue diritto d’autore, in vista di una decisione nel 2014 sulle proposte giunte finora.

    6) Accelerare il cloud computing attraverso il potere d’acquisto del settore pubblico

    La Commissione avvierà azioni pilota nel partenariato cloud europeo, che sfrutta il potere pubblico di acquisto per contribuire a creare il più grande mercato cloud del mondo, smantellando attuali barriere nazionali e percezioni negative dei consumatori.

    7) Lancio di una nuova strategia industriale elettronica

    La Commissione proporrà una strategia industriale per la micro-e nano-elettronica, per aumentare l’attrattiva dell’Europa per gli investimenti nella progettazione e produzione, nonché la sua crescente quota di mercato globale.

    Il punto cruciale che non tutti hanno ben compreso è esattamente il valore economico, oltre che sociale, dello sviluppo tecnologico e del proseguimento dell’Agenda Digitale.

    Un piano strategico nazionale che sviluppi i sette punti di cui sopra, aprirebbe a nuovi orizzonti nel panorama italiano: la mancanza di una copertura nazionale di fibra ottica azzoppa e fa scomparire quel punto e mezzo di PIL che garantirebbe, invece, se dalle parole e le programmazioni, si passasse ad agire e a ridurre il digital divide.

    Ma la questione non si conclude con una mera necessità di nuove infrastrutture e nuovi piani di sviluppo ed installazione, c’è di mezzo lo stile di vita e la cultura dei cittadini, una e-culture, se vogliamo essere pignoli: con una copertura della banda larga che raggiunge circa il 95% della popolazione italiana ci si dovrebbe aspettare un utilizzo di massa di questo strumento oramai fondamentale, invece, la popolazione che si connette sul web è pari al 55%. Un divario esorbitante.

    È ovvio che la divergenza si allenterà col passare del tempo (salvo casi difficili da immaginare), ma se tutti utilizzassimo e ponessimo al centro del sistema-paese l’Agenda Digitale e l’utilizzo delle nuove tecnologie, riusciremmo a creare nuovi posti di lavoro (qualcuno ne stima addirittura 700.000).

    Il Governo Letta sull’A.D. ha speso dei provvedimenti (nel pacchetto del Decreto del Fare) – dove, per l’appunto, si liberalizzava il wi-fi libero e gratuito, sconfinando totalmente nel libero accesso ad internet, superando di gran lunga varie ingerenze e possibili emendamenti che prevedevano sistemi di controllo simili al Decreto Pisanu, abolito dall’allora Ministro dell’Interno Maroni nel 2011.

    Il concetto dell’Agenda Digitale si espande anche nel concetto stesso di città e di come debba essere intesa oggi: abbiamo sentito tutti parlare, almeno una volta, di Smart City. Ecco il concetto è proprio questo e va sostenuto in ogni singolo aspetto, perchè vantaggio ne trarremmo tutti, non solo qualcuno.

    Tornando al problema di prima ed a quanto ribadito sul concetto di e-culture, mi pare ovvio che la cultura la si forma nel suo luogo per eccellenza: la scuola. Immaginate se cominciassimo a ridurre sempre di più i libri di carta, a fare spazio negli zaini (salvandoli, magari, da millemila kg di peso). L’e-book deve essere la frontiera della scuola del III Millennio – un passaggio mai ben percepito, mai ben strutturato – simbolo di una civiltà che avanza.
    Sono a conoscenza dei rischi che prendo dicendo questa cosa, ma credo che ai nostalgici e difensori del cartaceo non bisogna obiettare nulla, perchè loro ci sono cresciuti con la carta ed è proprio questo il concetto: far crescere una nuova generazione che interagisca in modo sano e strutturato con le nuove tecnologie.

    Sognare la California non ci aiuta a crescere. Sognando un’Italia con meno analogico e più digitale è la chiave per rendere il nostro Paese protagonista, ancora una volta, dell’Europa e competitiva con il mondo intero.

  • Virata a sinistra per i Labour. Da Brighton un messaggio importante alla sinistra europea. Miliband ha gettato nel cestino il New Labour di Tony Blair e ha costruito il One Nation Labour, con una visione politica non più tendente al centro, ma che vuole galvanizzare l’elettorato di sinistra. E in Italia?

    In Gran Bretagna sta succedendo qualcosa di importante, di significativo, che chiunque si candida a guidare il principale partito di centrosinistra, in Italia, deve tenere bene in mente: i Labour hanno virato a sinistra, dopo la parentesi del New Labour di Tony Blair che ammiccava al centro.

    Al timone del nuovo Partito Laburista inglese, dal 25 settembre 2010, c’è Ed Miliband, figlio di un ebreo di origine polacca, socialista, che ha sconfitto il fratello David alla corsa per la leadership del partito.

    Nel corso della Labour Conference 2013, tenutosi a Brighton lo scorso 24 settembre, il leader dei laburisti ha sterzato, con forza, verso sinistra, proponendo un programma elettorale, in vista della competizione per Downing Street del 2015, pressapoco composto da:

    1. congelamento per due anni delle bollette energetiche con un risparmio medio annuale per le famiglie di 300/400 sterline (ma per le imprese addirittura superiore);
    2. battaglia alle sei grandi company del settore energetico (responsabili, per i laburisti, del salasso) che si accolleranno il costo dell’operazione, 4 miliardi di sterline (e sono già sul piede di guerra);
    3. riduzione delle tasse per 1 milione e 800 mila piccoli commercianti, nessuna riduzione invece per le società di capitale e per le multinazionali;
    4. costruzione di 100 mila nuove case (con criteri rispettosi dell’ambiente) e confisca delle terre. I grandi proprietari saranno posti davanti alla scelta: o utilizzi i tuoi possedimenti o le amministrazioni locali potranno espropriare per fini sociali;
    5. taglio della spesa pubblica improduttiva ma più soldi alla sanità pubblica e alla educazione;
    6. diritto di voto ai sedicenni.

    Il New Labour, quindi, è finito. Ora, il One Nation Labour ha deciso che strada intraprendere nella politica inglese ed è forse un campanello d’allarme per tutti i partiti di centrosinistra europei, soprattutto italiani (soprattutto uno, molto impegnato per le diatribe interne tra ex-DC ed ex-PCI, ancora).

    Ma il progetto blairiano, in Italia, non è rimasto, solo, negli annali di storia, perchè qualcuno ne ha rispolverato gli intenti e gli obiettivi, qualcuno che ha deciso di candidarsi alla carica di Segretario nazionale del Partito Democratico con l’obiettivo di spostare il partito più al centro (più di quanto già lo sia, del resto, è tutto dire). Parlo di Renzi, ovviamente, e mi chiedo se Ed Miliband sia un passo avanti rispetto al Sindaco di Firenze, oppure, inevitabilmente, i destini di due partiti “apparentemente apparentati” sono diversi, completamente slegati l’un l’altro. Di risposte ne ho tante, ma confuse, come se mi sembrasse scontato il fatto che un partito di centrosinistra debba preferire curare e rafforzare il suo consenso nella parte più a sinistra dell’elettorato, prima di occuparsi dei “delusi”.

    Certo, apriti cielo: “ma se non intercettiamo gli scontenti del PdL, da dove li prendiamo noi i voti per vincere?”. Domanda posta e riproposta nell’esatto momento in cui qualcuno obietta, ma si lascia scoperto un tasto dolentissimo, difficile da nascondere ma malamente ignorato: con lo spostamento al centro del partito, perderemmo tutta la parte a sinistra dell’elettorato, gettandolo nello scompiglio di una continua proliferazione partitica (per ultimo il nuovo progetto politico di Landini, Rodotà e Zagrebelsky).

    Da Brighton arriva un messaggio chiaro: in tempi come questi, non si possono perdere i valori della sinistra, una sinistra che guarda agli ultimi, ai disoccupati, al sociale, con forza, decisione, determinazione. Ma quindi? Quale sarà il messaggio intercettato dal Partito Democratico? Sarà un New PD o un One Nation PD?
    Dipende da chi vince, ma dipende dalla nostra capacità di collocarci politicamente, regalando, finalmente, al PD, una chiarezza nelle idee e nella prospettiva da presentare al Paese. È poco? Io non credo.

  • Siamo al record storico (scontato, a mio avviso): la disoccupazione giovanile ha raggiunto il 40,1%, il livello più alto dall’inizio sia delle serie mensili (2004) sia trimestrali (1977).

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    fonte: ISTAT

    A dimostrarlo è l’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) nelle tabelle della sua ultima ricerca, con base Agosto 2013, dove La disoccupazione ad agosto sale al 12,2%, in rialzo di 0,1 punti percentuali su luglio e di 1,5 punti su base annua.

    Tra i 15 e i 24 anni le persone in cerca di lavoro, ovvero disoccupate, sono 667 mila, pari all’11,1% dei ragazzi nella stessa fascia d’età. E’ quanto emerge dai dati Istat per il mese di agosto (stime provvisorie e destagionalizzate).

    Il numero di disoccupati ad agosto torna a crescere, dopo due mesi di stop, raggiungendo quota 3 milioni 127 mila, in aumento dell’1,4% rispetto al mese precedente (+42 mila) e del 14,5% su base annua (+395 mila).

    Quasi un ragazzo su due non ha lavoro e questo è il risultato di una guerra che, ancora oggi, non ha deciso di cessare e che potrebbe regalare nuove e ulteriori vittime da aggiungere alla quota di cui sopra.

    Mai, come ora, le istituzioni dovrebbero incentivare l’impresa giovanile e l’occupazione di ragazzi tra under25. Un segno di rafforzamento dello stato sociale della popolazione e soprattutto di scelte politiche decise a voltare pagina.

    Sino a quando la disoccupazione aumenterà e dividerà le giovani generazioni a metà tra occupati e disoccupati – considerando, per altro, che gli indici statistici sono basati sugli elenchi di ragazzi under25 iscritti agli uffici di collocamento, quindi senza considerare tutti coloro che o stanno studiando, o non sono ancora iscritti agli uffici di collocamento – l’Italia non avrà mai una ripresa solida e la politica non potrà tirarsi fuori dalle sue responsabilità.

    Le startup sono la nuova frontiera dell’occupazione e l’ingegno e l’impegno, di moltissimi giovani, sta dando la dimostrazione della possibilità di riscatto di una generazione che non ha prospettive certe per il futuro, come i loro genitori. Ma smettiamola di dire che le giovani generazioni non hanno una prospettiva, a prescindere. Credo che le giovani generazioni siano incaricate dalla Storia di rimettere in piedi (da zero) un “Sistema Paese” in frantumi, in cocci, e di sparigliare qualsiasi tipo agente patogeno che farebbe ricadere l’Italia in un vuoto politico-sociale.

    In tutto questo, proprio oggi, come se non bastasse, è aumentata l’IVA e la benzina. Aumenta il costo della vita, diminuisce il valore della vita, che senza lavoro perde di dignità.

  • Matteo Renzi, come ognuno di noi, dice cose condivisibili – vedi il rinnovamento del partito e della classe politica – e cose che lo sono meno, come la riformulazione del sistema universitario con la creazione di 5 hub di ricerca verso i quali far confluire tutti i finanziamenti pubblici per Università e Ricerca. È questo il vero problema delle università italiane?

    Non è la prima volta che ne parla, lo ha fatto in campagna elettorale e lo sta facendo tuttora, peccato però, e qui gli va dato atto, che in moltissimi danno risalto a quello che fa e come lo fa, anziché ai contenuti. Io cercherò di essere controcorrente.

    Alla trasmissione “Otto e Mezzo” (vedi video), il Sindaco di Firenze ha detto pressappoco così:

    “Ma come sarebbe bello se riuscissimo a fare cinque hub della ricerca, cosa vuol dire? Cinque realtà anziché avere tutte le università in mano ai baroni, tutte le università spezzettatine, dove c’è quello, il professore, poi c’ha la sede distaccata di trenta chilometri dove magari ci va l’amico a insegnare, cinque grandi centri universitari su cui investiamo..le sembra possibile che il primo ateneo che abbiamo in Italia nella classifica mondiale sia al centoottantatreesimo posto? Io vorrei che noi portassimo i primi cinque gruppi, poli di ricerca universitari nei vertici mondiali. Ecco, per fare queste cose qui non si deve parlare di Berlusconi”.

    Ora, mettiamo in chiaro che non sono a favore dell’università da asporto (sotto casa, per intenderci), ma qui si esagera e soprattutto Renzi ha toccato solo una parte dell’immenso problema universitario: i finanziamenti alla ricerca.

    I finanziamenti alla ricerca? Vitali, necessari. Tutto questo ovviamente se vogliamo mantenere le nostre università pubbliche e non vogliamo fare la fine della Grecia che chiude università importanti e strategiche per il paese (una tra tutte, quella di Atene) a causa della crisi economica e dell’austerity tanto amata dalla Troika e della Merkel (fresca fresca di rielezione). Ma dov’è il punto? Dove, a mio avviso, Renzi sbaglia? E dove generalizza, senza conoscere la realtà studentesca e universitaria? A parte il fatto che il sistema universitario non è fatto solo di fondi e sedi “spezzettatine”, ma di molto altro.

    Beh, innanzitutto, sbaglia nel volere creare 5 centri di ricerca e far confluire tutte lì le risorse economiche per la ricerca ed il sostegno alle attività didattiche universitarie, questo perchè l’obiettivo della sinistra – una sinistra europea e soprattutto progressista – deve essere quello di creare un sistema universitario parificato – cioè con offerte formative di uguale livello, più o meno e stesse possibilità per tutti gli studenti – e dove venga sviluppato un sistema di integrazione, supporto e crescita, frutto di una maggiore e più forte integrazione tra università e territorio, proprio perchè li atenei e i politecnici non sono affatto dei laureifici ma dei luoghi di sviluppo culturale, sociale e tecnologico. Tutto ciò che farebbe bene al territorio circostante. Poi se vogliamo parlare di finanziamenti pubblici alle università e alla ricerca rispetto al nostro PIL, l’Italia non ha nulla di cui vantarsi visto che siamo 32° su 37.

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    Coniugare, quindi, università e territorio e rafforzare le realtà più importanti in tutta Italia e non solo le 5 migliori.

    Vogliamo una società con più laureati o con meno laureati? Attualmente il nostro Paese non se la passa per niente bene, visto che siamo il fanalino di coda in Europa per numero di laureati (21% circa, contro il 35,7% della media Ue – dati Eurostat) e a questo punto la domanda sorge spontanea: con la creazione di 5 hub di ricerca e con la chiusura di tutte le altre università, un ragazzo o una ragazza, di un’altra parte d’Italia, che vogliono proseguire gli studi ma che si trovano nel limbo per quanto riguarda il Diritto allo Studio, perchè magari la loro famiglia ha un reddito che per poco non gli consente di accedere alla borsa e in più non riesce a mantenere le spese per mantenere una stanza da fuori sede, come fa a raggiungere e vivere nella città dove questa università è situata?

    Quindi il Diritto allo Studio: prima di parlare di hub di ricerca, preferirei (sono sicuro non solo io) sentire come e dove attingere risorse per il sostenimento e rafforzamento del sistema del Diritto allo Studio, così da garantire a tutti coloro che ritengano importante gli studi, di poter accedere alle nuove hub renziane, magari senza indebitare i propri genitori o senza dover rinunciare al proprio futuro, proprio Adesso!

  • In vista della prossima Direzione Nazionale del Partito Democratico, fissata per questo venerdì, spero si parli anche del caso Sicilia, scoppiato in queste ore e che ha portato il principale partito della Coalizione di Rosario Crocetta a ritirare l’appoggio al Governatore. Le ragioni? A quanto pare, la Segreteria regionale del partito ha chiesto un numero maggiore di assessori democratici all’interno della giunta, ora ne ha 4 a cui, per altro, è stato chiesto di dimettersiper uscire dalla maggioranza dell’ex-sindaco di Gela. Ora, inutile soffermarsi sulle ragioni di tale richiesta, ma a me sembra che il Pd stia giocando con il fuoco e che sia giunto il momento di porre fine a tali idiozie. È forse questa la prioritá della politica e del Pd? Chiedere più poltrone? Chiediamoci, poi, come mai la gente non vuole ascoltarci o ascoltandoci ci bolla “come quegli altri”. Tutto sommato, se le cose stanno così, c’è da giustificare un sacco di bestemmie e rabbia. 20130924-114753.jpg Ma quando avremo intenzione di scendere dal piedistallo e renderci conto che la priorità assoluta è quella delle riforme e delle politiche per la gente, cercando soluzioni ai moltissimi problemi che attanagliano quotidianamente le famiglie italiane? Il Congresso del PD cosa sarà in realtà? Una resa dei conti? Un banchetto in cui spartirsi le vivande? Oppure un momento fi costruzione collettiva? Dove la partecipazione del popolo delle primarie non è solo uno slogan ma una filosofia di far politica? Dove il dibattito interno, che caratterizza il Partito Democratico (siamo l’unico partito a convocare assemblee e direzioni per ogni decisione di rilevante spessore politico. Poi per come vanno è un altro discorso), sia la chiave per essere l’alternativa ad un modello di partecipazione politica pressochè chiuso e irrisorio, se relazionato agli altri gruppi politici? Spero vivamente che il caso Sicilia rimanga caso Sicilia e che non si trasformi in una replica o, meglio, in un’anticipazione di quello che potrebbe accadere al PD. Per il resto, aspettiamo ancora la Direzione nazionale, con la speranza che si giunga ad un traguardo importante: l’inizio delle discussioni congressuali, per capire cosa ne sarà del Partito Democratico, di qui a non so quando.

  • Mi dispiace molto per il dibattito che si sta instaurando a seguito della riconferma di Angela Merkel alla guida della Germania.

    Mi dispiace perchè quello che ne sta uscendo è un quadro europeo debole, molto lontano, lontanissimo, dal progetto di politica comune, di elezione diretta del Presidente del Consiglio Europeo e degli altri organi dirigenziali di Bruxelles. La Merkel dovrebbe essere ridimensionata al suo ruolo di Cancelliere tedesco e non di guida dell’Unione Europea.

    Ve lo ricordo ancora una volta: fino a quando immagineremo (o sopporteremo) un’Ue sotto l’influenza massima dell’asse franco-tedesco o, come accade tutt’ora, della decisione unilaterale della Germania, non andremo da nessuna parte.

    Sia ben chiaro anche che non è di certo un pensiero anti-germania il mio, contro l’egemonia tedesca, la stessa di cui tanto ha parlato Berlusconi. Più che altro perchè lui ne parlava per nascondere o addossare ad altri le sue colpe di incapace, io penso ad una Europa faro degli Stati membri, un Europa locomotiva e non mera carrozza trainata da interessi degli Stati più forti (economicamente).

    Sarà un’utopia? Di certo, senza questo orizzonte, l’Europa per me non ha senso. Gli scopi economici dovrebbero venire dopo quelli politici e sociali.

    Prost!

  • Piccolo commento su quello che si è concluso ieri: chiamarla Assemblea Nazionale mi sembra a dir poco inutile, forse offensivo per le vere assemblee decisionali, in cui il rispetto verso la politica e verso il proprio gruppo sono così alti che non ci si sogna nemmeno di assentarsi in momenti di così grande importanza, soprattutto quando si sa che per determinate decisioni c’è bisogno del numero legale. Ma questo in altri tempi, in altri luoghi e in altri partiti, eccetto l’altro ieri e ieri, l’Italia e il PD. Giusto per dire.

    Ho ascoltato con molta attenzione gli interventi dei quattro candidati alla Segreteria nazionale e a parte varie sfumature, alcune più condivisibili di altre, ritengo che siano stati gli unici momenti più interessanti della due giorni.

    La logica dei 101 franchi tiratori è stata metabolizzata nel DNA del Partito Democratico e l’assenza ingiustificata e ingiustificabile di tutti quei delegati che ha fatto mancare il numero legale, ne è l’esempio. Una logica di boicottaggio e di ostruzionismo, manipolati da chi siede in prima fila.

    Rinviare alla Direzione Nazionale la modifica del Regolamento, a parte questioni puramente organizzative, simboleggia la voglia di circoscrivere il dibattito sul Congresso alla Direzione e non all’Assemblea e quindi ad una parte ristretta di persone. Mi chiedo se questo possa essere ancora il Partito Democratico.

    Giusto per sottolineare un altro piccolo particolare, in realtà non tanto piccolo: non posso non pensare ai canali sotterranei di quest’Assemblea Nazionale, in cui scorrevano logiche correntiste e diatribe tra capibastone. Non per fare il moralista, ma se non si è giunti all’appuntamento di ieri con delle regole condivise e pronte per essere presentate e votate, credo che ci sia una volontà, alla base o peggio ancora una incapacità da parte dell’attuale classe dirigente del partito di mettere giù le armi e lavorare per definire le regole che condizioneranno non solo il prossimo rinnovo della segreteria, ma l’intera linea politica e il futuro del PD.

    Divisione dei ruoli? Sì o no? Nel documento definitivo non approvato (per ragioni di cui sopra) dall’Assemblea, è riportata una modifica che cancella la dicitura, all’art. 3 comma 2, del Segretario come candidato naturale del partito alla Presidenza del Consiglio. Verrà approvata? Sì o no?

    Aspettiamo la Direzione Nazionale del 27 settembre. Aspettiamo. Ancora.

  • Abbiamo appena concluso l’incontro con l’Assessore regionale ai trasporti della Regione Puglia, l’Avv. Giovanni Giannini.

    Durante la discussione abbiamo discusso del problema e illustrato le ragioni della petizione che abbiamo lanciato più di una settimana fa.

    L’Assessore ci ha spiegato le ragioni di tale aumento, che non è discrezionale, ma basato su una Legge Regionale, la 18/02, che impone l’adeguamento tariffario agli indici d’inflazione ISTAT, oltre che per clausole contrattuali con le aziende.

    Il danno sarebbe stato erariale per la Regione, se questo non fosse stato attuato, e soprattutto non sarebbe stato sostenibile a causa di esigue risorse pubbliche e con la morsa del patto di stabilità sempre presente (un vero problema di tutte le amministrazioni).

    Oltre la questione legislativa a cui attenersi, l’Assessore Giannini ci ha spiegato che nel corso dei prossimi mesi verrà programmato il piano dei trasporti richiesto dallo Stato e il piano triennale dei trasporti per attingere dai finanziamenti europei 2013/2020 le risorse per incrementare e migliorare i servizi di trasporto pubblico.

    Sul miglioramento dei servizi, la Regione tornerà a lavorarci a pieno ritmo subito dopo le programmazioni, aprendo un tavolo di concertazione con le categorie interessate, compresi, ovviamente, gli studenti. Noi ci saremo.

    Questo è l’impegno preso: parteciperemo al tavolo di concertazione per porre il problema e trovare una soluzione idonea alle esigenze dei pendolari, con l’obiettivo di migliorare i servizi, in modo adeguato rispetto alle tariffe, avviando, inoltre, la discussione su un nuovo sistema di erogazione di abbonamenti innovativo. Vi chiediamo pazienza, il nostro primo obiettivo l’abbiamo raggiunto: far sentire la voce dei pendolari, ora attendiamo che la politica faccia il suo corso. Siamo fiduciosi, l’Assessore si è dimostrato molto disponibile a discutere e a trovare soluzioni condivise.