Tag: mezzogiorno

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    Oggi, alle 15, ci sarà la Direzione nazionale del Partito Democratico. Tema: Mezzogiorno. Il motivo? È servito il documento della SVIMEZ per smuovere un po’ le acque e per capire che il Sud non se la passa proprio benissimo (ma neanche malissimo, sotto certi aspetti, per dire).

    Subito dopo l’allarme proveniente da quei dati, che parlavano di un’Italia divisa in due, con differenze che si allargano sempre più, il Ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi, ha subito annunciato un piano di 80 miliardi sulle infrastrutture; oggi sul Corriere della Sera si parla di un fondo di 100 miliardi proveniente dall’Unione europea.

    Insomma, l’avete capito? Il problema del Sud è che non ci sono soldi da spendere, e con più soldi riusciamo a risolvere il problema del Mezzogiorno. Poveri gufi, tutti quelli che credono che il problema sia culturale e politico. Ne faremo brodo.

    Lanciato il progetto della banda ultra-larga. Finalmente, diremmo, anche se, per esempio, la Puglia ha cominciato ad installare sul proprio territorio la fibra ottica da un po’ di tempo a questa parte, attraverso l’utilizzo dei fondi comunitari. Devo dire che è stato fatto un ottimo lavoro, anticipando i tempi del Governo nazionale.

    Ma tornando a noi e ai famosissimi e sempre sbandierati “più fondi per il Sud”, è chiaro che per l’ennesima volta non comprendiamo il vero problema di questo divario socio-economico-politico che ha tranciato l’Italia in due. I soldi non faranno la differenza, ma saranno semplicemente uno dei tanti strumenti a disposizione, ma non saranno i più importanti. Lo strumento più importante è la testa.

    Il Mezzogiorno non puzza. Il Mezzogiorno ha tutte le carte in regola per competere sul mercato, per essere forza trainante di un Paese, ma soprattutto per non essere trattata come ultima ruota del carro. Un esempio tra tutti, l’azienda di Monopoli (BA) che ha fornito il Giappone di alcuni pezzi per i treni ad altissima velocità di ultima generazione.

    Vera sfida? Pensare che Bari e Milano non siano così distanti tra loro e che ipotizzare eventi di caratura internazionale (oltre che nazionale) in una città del Sud non sia eternamente impossibile. Bisogna riportare il Sud al centro dell’Italia e dell’Europa.

    Tutto qui? Certo che no. Cambiare atteggiamento verso chi manifesta un disagio, evidenzia un problema. Non sono piagnoni quelli che vogliono delle risposte o cercano di darle. Il primo passo per risolvere un problema è riconoscerne l’esistenza. Credo che questo non tutti lo abbiano capito (o non vogliono capirlo).

    Dunque? Cambiare atteggiamento su tutta la linea. Il Mezzogiorno cambierà quando a cambiare sarà la cultura, il senso civico, quando Europa non sarà semplicemente sinonimo di “Fondo Sociale Europeo”, “Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale” o “Fondo per le Aree Sottoutilizzate” e di qualche cartello di opera pubblica qua e la, ma quando sarà sinonimo di modello di sviluppo, di modello civico. Il Mezzogiorno cambierà quando la politica riuscirà a realizzare un sistema di sviluppo capace di non considerare il Sud e il Nord come due parti geografiche e diverse del Paese, ma come due modelli culturali e come tale partire da quei modelli per creare un sistema capace di saper trarre il massimo da ciò che rappresentano, da ciò che è insito nella Storia di ogni territorio.

    Non c’è errore più grande nel credere che ci sia un pezzo d’Italia che ne rincorra un altro. In questo momento le direzioni sono divergenti. Dobbiamo lavorare per un modello di sviluppo che accosti le due traiettorie, ma mai immaginandole come una dietro l’altra. L’abbiamo fatto e abbiamo sbagliato, ogni volta.

    Spero che nella Direzione di oggi si possa illustrare un nuovo panorama per il Mezzogiorno, dove i governatori delle regioni meridionali (tutti PD) sappiano sfruttare il loro ruolo e che il Governo non intenda il loro impegno come un ostacolo alla propria azione o, peggio ancora, una rivolta.

    Ci si salva e si va avanti se si agisce insieme e non solo uno per uno.

     

  • Da lunedì scorso è online Post Meridiani. Un blog collettivo nella forma, ma qualcosa di più nella sostanza: uno spazio al servizio del Sud, quello vero, quello fuori dagli stereotipi, che non accetta di essere fanalino di coda di niente.

    Dateci uno sguardo e magari salvatelo tra i preferiti o impostatelo come home del vostro browser. Magari un giorno parlerà di voi. Magari un giorno parlerà di tutto ciò che di bello e positivo c’è in questa terra. Ci sarebbe da scrivere un libro grande quanto tutti i libri di diritto messi insieme. E vi assicuro che non è poco. Noi abbiamo cominciato a farlo.

    Ps. Ovviamente io continuerò a scrivere anche sul mio blog.

  • renzi-politecnico-torino-1030x615

    All’inaugurazione dell’Anno Accademico del Politecnico di Torino, il Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica italiana, Matteo Renzi – segretario del Partito Democratico, il mio partito – mi ha definito, nei fatti, di “serie B”.

    Non mi interessa quello che diranno i suoi difensori d’ufficio, tanto ormai è chiaro: quello che sbaglia sono sempre io.

    Mi dispiace dover scrivere queste cose, soprattutto perché il soggetto che ha scatenato questa mia rabbia, mista a delusione, è il segretario del partito a cui dedico il mio impegno, per non dire la mia vita – visto che sono stato tacciato, molte volte, come un “ragazzo non normale”, perché preferivo partecipare ad una riunione di circolo, anziché andare in palestra o fare altro “da giovani”. Ora so che, oltre ad essere “non normale”, sono anche di “serie B”. E non esagero nel dirlo, perché io ho inteso proprio questo.

    Che senso ha dire una cosa di questo genere? Come si può immaginare, anche solo per un istante, di gettare in un fosso intere generazioni? Caro Matteo, mi dispiace davvero, ma sono queste esternazioni che mi fanno pensare a quanta distanza ci sia tra me e il tuo modo di pensare. E bada bene, non si tratta di metterti i bastoni tra le ruote o di intendere il dibattito interno al partito, un muro contro muro. No. Non è il mio stile. Ma se mi è data voce, posso solo dire che, da questa concezione dell’università e del sistema di istruzione, c’è solo da prenderne le distanze.

    Ogni giorno, da quando ho iniziato il mio percorso universitario, la mattina mi alzo di buonora, prendo il treno alle 06.40, per essere a lezione alle 08.30, torno a casa il pomeriggio e mi rimetto a studiare, per sostenere gli esami, per formarmi. Per costruirmi un futuro. Un futuro che, a quanto pare, è di serie B, perché ho deciso di rimanere nella mia terra. È da qualche giorno, quindi, che ci siamo svegliati marchiati con il fuoco, una bella B stampata in fronte, giusto per ricordarcelo tutte le mattine, davanti ad uno specchio.

    Mi fa specie che Renzi abbia rilasciato questa dichiarazione in una università “di serie B” – volendo usare gli stessi termini – probabilmente non ne era a conoscenza o forse avrà una classifica tutta sua.
    A dire ciò non sono io, ma Giuseppe De Nicolao, su Roars, il quale riporta i dati dell’ANVUR basati sul VQR 2004-2010 delle università.

    Rinfrescare la mente non fa mai male. E se quell’articolo di De Nicolao può servire a tal proposito, aggiungo un altro piccolissimo particolare

    Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.
    Art.33 comma 3 della Costituzione Italiana

    Voglio ricordarlo perché, se siamo qui a dirci di tutto, è giusto non negare che università private (una per tutte, la Bocconi) ricevano finanziamenti pubblici e che questa non sia una situazione di eguaglianza in partenza. È un aspetto di secondo piano? Non mi sembra. Da quando la Costituzione è stata declassata a consuetudine?

    È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
    Art.3 comma 2 della Costituzione Italiana

    No, non è una lezione di Diritto Costituzionale, ma semplicemente non comprendo la concezione di eguaglianza che ha il Presidente del Consiglio. Mi spiego meglio: lui dice che l’eguaglianza va garantita solo in partenza, poi la legge della natura fa il suo corso e il vincitore è chi arriva più lontano (magari con qualche soldino pubblico di troppo). Un ragionamento che non fa una grinza, peccato che non parliamo di società per azioni, non parliamo di mercato di beni e servizi, non parliamo di produzione di massa, import ed export, ma di generazioni, della vita di centinaia di migliaia di giovani.

    La classifica ANVUR, sancendo chi è nella serie A delle università, lancia un messaggio inequivocabile che, probabilmente, lo stesso Renzi ha voluto rilanciare: il Mezzogiorno è patria della serie B, un territorio che mai e poi mai potrà competere con il mondo. Per intenderci, l’università di serie A più a Sud è Roma Tor Vergata.
    È tutta colpa del lupo cattivo? Certo che no. Anche le università del Sud hanno le loro colpe, moltissime, a cominciare dalla loro gestione, ma anziché andare nella direzione giusta – del controllo e del contrasto nei confronti di certi metodi – lasciamo che il bruco mangi tutta la mela, aspettando che marciscano gli avanzi. Se questo è un ragionamento che ha una sua teoria, probabilmente non è di sinistra.
    Ma il male è sociale. Le università sono lo specchio del territorio che le circonda, a partire dal tessuto imprenditoriale presente, dalla dinamicità insita nel tessuto sociale. Non c’era bisogno di una cerimonia per ricordarcelo. Ma cosa vogliamo fare per risolvere questo terribile deficit? Mettere tutto il Mezzogiorno su una chiatta e spingerla al largo? O vogliamo cominciare con il rispettare la Costituzione e applicarla, prima di tutto?

    Una cosa è certa, cari coetanei: armiamoci di valigie di cartone piene di speranze: direzione Nord. Sciocchi coloro che rimangono, destinati ad essere secondi.

    Lo dicono i fatti, non il Governo.

  • Al di là delle differenze cromatiche, l’accostamento è chiaro e scontato (per certi versi): se nasci al Nord sei più fortunato, mentre se sei del Sud, oltre a dover fare i conti con l’organizzazione elefantiaca degli Atenei, devi anche beccarti uno stipendio “dimezzato” rispetto ai tuoi colleghi della Pianura padana.

    A ricordarcelo è l’ultimo studio affrontato da JobPricing, per Repubblica, con tanto di classifica per mettere i puntini sulle i.

    Da quello che comprendo (non me ne vogliano i pasionari delle classifiche), si nota una tendenza al racconto. E basta.
    Raccontare la situazione degli Atenei senza comprendere la loro storia, senza conoscere la vita che, di fatto, si sviluppa tra le mura delle aule dove diverse generazioni hanno gettato lacrime e sangue. Ma raccontarla non attraverso dei dati “su misura”, ma attraverso le grigie classifiche per punteggi (con criteri per niente chiari). E per “su misura”, intendo uno studio affrontato con gli strumenti idonei a collocare la realtà universitaria in uno spazio ben definito, al centro del territorio in cui essa svolge la propria funzione.
    Mi sta terribilmente sugli zebedei (mi perdonerete la moderazione) il costante ritornello “le università del Nord sono più collegate con la realtà lavorativa del loro territorio”. A tale concetto, io rispondo con un’altra riflessione: sarebbe davvero triste non “sfruttare” le realtà aziendali che coprono il Nord Italia. Le università settentrionali hanno questa potenzialità perché c’è un tessuto aziendale di gran lunga più radicato e solido di quello del Mezzogiorno, dovuto ad una diversificazione dell’economia locale (differenza c’è anche tra Nord e Centro e Centro e Sud).

    Lo ripeterò fino alla fine: possiamo parlare delle università in termini di ricchezza pro capite, possiamo classificarle con criteri che peccano di intelligenza, possiamo diffondere a mezzo stampa il concetto che “se sei del Sud e studi al Sud, ti aspetta una vita di serie B, con uno stipendio di serie C, in un territorio di serie D“, oppure possiamo cancellare questo razzismo 2.0 – basato sul niente e al soldo di chi da tali classifiche ne giova – e cominciare a sviluppare l’idea di un sistema scolastico e universitario capace di unire l’Italia, di unificare un popolo.
    Voglio pensare ai miei studi come lo strumento che mi permetta di essere uguale a chi (in apparenza) è più fortunato di me, augurandomi che gli studenti settentrionali e del Centro Italia si sentano uguali a chi come loro ha studiato e percorso anni della sua vita a formarsi.

    Uguaglianza, ecco cosa dovrebbero diffondere le università italiane.

    Silenzio, è quello che dovrebbero fare le società di classificazione, alcune volte.

  • Marco Bracconi, su Repubblica, scrive che i bamboccioni esistono veramente e ne da una piccola descrizione, un ritratto sociologico.

    Io non so quanto possa essere giusto utilizzare queste etichette, ma di certo c’è un problema di fondo che va analizzato in ogni sua parte.

    L’ISTAT ha pubblicato il dato sulla disoccupazione in Italia: 13,6% in tutto il Paese, per poi vedere che tra i giovani arriva al 46%, per non parlare del 61% di giovani meridionali che sono alla ricerca (o meno) di un lavoro.

    Lo ripeto qui, ma su questo blog ne ho discusso parecchio: il problema va oltre un semplice ritratto sociologico dell’individuo, c’è un virus letale che circola nel nostro Paese da molto, moltissimo tempo. Questo virus è il lavoro nero che strappa chiunque da qualsiasi controllo dello Stato, nascondendo, dallo sguardo degli uffici di collocamento, dell’ispettorato del lavoro, persone costrette a vivere in situazioni quasi da schiavitù, con paghe infime, nessun diritto e l’umiliazione di non potersi costruire una vita.

    Che ci siano ragazzi abbandonati a loro stessi e che abbiano gettato la spugna ancor prima di incominciare, è scontato, ma è quanto più urgente cambiare rotta e per farlo bisogna strappare tantissimi lavoratori dal mondo del nero, punire chi non regolarizza il lavoro, chi ne approfitta. Magari, non con una lotta armata (anche se lo Stato ha tutte le armi a disposizione per monitorare e sconfiggere il fenomeno, vedi Agenzia delle Entrate), ma con una serie di provvedimenti utili a suscitare nei datori di lavoro (e nei prestatori di lavoro) l’interesse verso la convenienza della regola.

    Ma sarà questa la risposta giusta? O forse in questo Paese l’unica via possibile alla sopravvivenza è quella di abbassare la testa e accettare tutto ciò che ci troviamo davanti?

    Se è così, bisogna correre, più veloci che mai, verso un nuovo sistema di sostegno alle imprese, lavorando con una filosofia ben precisa: se migliora la vita dei cittadini, lo Stato non può che trarne beneficio, anche nel grigiore dei conti economici. È così, dobbiamo capirlo. Punto e basta.

  • L’ipocrisia italiana dilaga oltre oceano e gli italiani festeggiano un cittadino americano figlio di un principio che rinnegano.

    Sono momenti importanti questi per New York: è stato scelto il nuovo sindaco della città che, dal 1° gennaio 2014, dovrà sostituire Bloomberg (prima repubblicano, poi indipendente).

    Su de Blasio tutti scrivono ed io non voglio inserirmi tra questi, non credo serva, ancora. C’è un piccolo particolare che nessuno ha notato, forse, quando con un sorriso a 42 denti, dice di essere felice della vittoria di un italo-americano per la guida di una delle città più popolose e più importanti del mondo.

    Italo-americano: tutti ne sono più che contenti (di certo i primi sono i New Yorkers, giusto per sottolinearlo) ma tutti si lasciano trascinare da quell’italo che fa sprofondare gli italiani in una voragine di ipocrisia mista ad arretratezza culturale.

    Bill de Blasio, nuovo sindaco di New York è figlio dello Ius Soli. Forse molti questo non vogliono sentirlo, ma è così. I suoi nonni, genitori di Maria De Blasio (mamma di Bill) erano italiani, meglio ancora, italiani del Sud.
    Nel 1905, Giovanni De Blasio, di origine campana, e Anna Briganti, di origina lucana, sbarcano ad Ellis Island e l’agente addetto alla registrazione dei nuovi immigrati, alla voce “razza” scrive: italiani del Sud. Ho detto tutto.

    Il padre di Bill de Blasio è di origine tedesca, morto suicida a causa di una forte depressione dovuta all’alcolismo, tiene stretto il cognome della madre ufficialmente dal 2002.

    Conoscere la storia di una persona ti permette di entrare in una visione delle cose diversa, più attenta ai particolari, lasciando da parte gli aggettivi e guardando all’umanità, al senso stesso di essere umano, nato nel territorio di un Paese e cittadino per nascita dello stesso.

    Noi italiani siamo molto bravi a porre due pesi e due misure, tralasciando le nostre arretratezze e le nostre ipocrisie: festeggiamo la vittoria di un americano di origini italiane, americano perchè il principio dello Ius soli ha garantito un senso di civiltà a quella famiglia proveniente dal Mezzogiorno.
    Se solo affrontassimo per una volta gli accadimenti con un pizzico di coerenza, avremmo dovuto dire che de Blasio non può essere americano, perchè figlio di immigrati, anche se nato negli Stati Uniti.

    Oppure, cominciamo seriamente a riflettere sul caso e apriamo definitivamente e finalmente al principio dello Ius soli. Altrimenti tacciamo. Tutti.

  • Ulteriore attacco al welfare studentesco da parte del Governo Monti, in particolare, ad opera del Ministro Francesco Profumo. Per concludere in ‘bellezza’, il MIUR ha pensato di ridimensionare la distribuzione delle borse di studio, attraverso una rimodulazione dei criteri di assegnazione, diminuendo la soglia massima consentita per risultare idonei nell’assegnazione della borsa.

    Partiamo con ordine: in Puglia, ad esempio, il bando per l’assegnazione delle borse di studio comprendeva una suddivisione in due fasce: Fascia “A” con reddito inferiore o uguale a 11.500,00 €, con relativa priorità in caso di individuazione dell’assegnatario; poi la Fascia “B” con reddito compreso tra 11.500,01€ e 17.000,00€, con una leggera contrazione dei servizi economici a disposizione dello studente rientrante in questa fascia. (altro…)

  • da “la Repubblica.it[clicca qui]

    di Davide Montanaro
    Presidente Parlamento Regionale Giovani Puglia

    Il Sud non ha bisogno di nessuno, ma di credere in se stesso.

    Non c’è scossa che tenga per un popolo che ogni giorno combatte su più fronti le proprie battaglie, si alza all’alba e da il suo contributo al Paese e ne esce sconfitto, perchè bollato come il responsabile della crisi e fautore della criticità in cui riversa l’Italia da tempo.

    Il Sud non è quello che racconta chi, sentendosi Dio sceso in terra, pensa che l’intervento dall’alto possa far emergere quell’energia necessaria per accendere il motore del riscatto e ripartire.

    Il Mezzogiorno d’Italia ha bisogno di credere nelle proprie capacità, nelle proprie risorse. Se oggi J.F.K. fosse qui, in Italia e si fosse trovato davanti ad una platea di meridionali, avrebbe sicuramente esordito dicendo: “non chiedetevi cosa possa fare l’Italia per il Mezzogiorno, ma chiedetevi cosa possa fare il Mezzogiorno per l’Italia” e da qui nasce l’intento di ricostruire, di sentirsi responsabili del futuro del proprio territorio, della propria nazione.

    Dalla Puglia alla Sicilia, passando per la Campania e la Sardegna, un immenso laboratorio si estende nel Mediterraneo, piantando le radici nello sviluppo di nuove idee, sostenendo l’innovazione che riesce a coniugare territorio all’interesse generale del Paese. In Puglia, ad esempio, Principi Attivi e Bollenti Spiriti sono solo piccoli ma grandi esempi di come la buona politica possa rendere un’idea innovativa il modo per rivalutarsi e distruggere quell’idea malsana e poco realista di un Sud piegato dalla raccomandazione e dai favoritismi, focolaio di un sistema corrotto e corrosivo per l’intera Penisola.

    Migliaia di ragazze e ragazzi sono lì, dove nessuno avrà mai il coraggio di essere, perchè nel Sud il riscatto è iniziato e la scintilla è arrivata dalla lotta alle mafie, fronteggiando a volto scoperto la criminalità organizzata.

    Parlare di meritocrazia, oggi, significa non aver compreso che prima della meritocrazia c’è l’uguaglianza di base che in Italia non c’è, a partire dalle scuole e dalle università.

    Io voglio poter studiare al Sud ed essere considerato preparato e pronto al mondo del lavoro quanto uno studente del Nord o di chi, meridionale, ha avuto la fortuna di poter frequentare una università del Nord.

    Per l’ennesima volta c’è chi crede che il Sud sia un blocco unico, con stessi problemi, con un modo di agire e pensare che è insito dentro ogni singolo meridionale, ma in realtà la situazione è molto complessa nel suo modo di presentarsi.

    Ora basta. Ecco perchè il Mezzogiorno d’Italia ha scelto Pier Luigi Bersani, perchè c’è bisogno di un messaggio netto, che parli di credibilità, orgoglio ritrovato e tanta voglia di crescere, partendo dalla formazione di una nuova classe dirigente che guardi negli occhi i problemi del proprio territorio e si sappia fronteggiare con il resto del Paese, perchè l’Italia parte dalle Alpi e finisce a Lampedusa e si è uniti nella buona e nella cattiva sorte, sempre.

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