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  • Ogni giorno che passa, un giorno in meno al Congresso nazionale.Riflettevo tra me e me cosa possa raffigurare oggi questo evento, non solo per l’Italia, ma anche e soprattutto per il PD (e può sembrare abbastanza scontata come cosa, ma non lo è).

    Il Partito Democratico, sin da quando ha visto la luce, ha sempre dovuto fare i conti con lotte intestine tra le varie fazioni provenienti dai partiti “genitori” – exDS ed exMargherita (in via principale) – motivo per cui non ha mai avuto posizioni precise, nette, su questioni di importante rilevanza e strategiche, non solo per dare una chiara identità ad un simbolo, ma anche per garantire agli elettori di sapere chi si stava votando.

    Le cose, oggi, non sono per niente cambiate. Se i vecchi leader dei vecchi partiti si sono eclissati per fare spazio a nomi diversi (attenzione, non ho detto nuovi!) senza però dare un taglio a quello stato di appartenenza alle vecchie sigle, altro motivo per cui quando a capo c’è una sigla l’altra sembra faccia opposizione e/o abbia un ruolo marginale.

    Se il PD del 2013 debba essere un prototipo identico a quello antenato, una ragione deve pur esserci e il prossimo Congresso niente potrà fare se impostato esattamente come è.
    Mi spiego meglio: prima si chiamavano ex-qualcosa, oggi finiscono tutti con “iani” (Bersaniani, Dalemiani, Renziani, Cuperliani, Civatiani, Bindiani, Franceschiniani e chi più ne ha più ne metta), situazione che non migliora di certo le cose, anzi, ciò che mi rende perplesso sul prossimo Congresso è che, alla fine, niente è cambiato nella sostanza, ma ha solo subito una evoluzione nella forma.

    Il PD non sarà mai il vero PD sino a quando ci saranno logiche di divisione interna. Basta guardare la crisi del centrodestra, quel PdL che viene squarciato dalla divisione tra falchi, colombe, piccioni e pitonesse. Il senso è proprio questo: si combatte tra di noi, ma non contro gli altri.

    Il più grande dei danni inferti al partito, da questa suddivisione, come ho già accennato prima, è proprio la mancanza di chiarezza politica, ragion per cui di posizioni ufficiali del partito se ne vedono ben poche. Con questo non voglio dire che tutti debbano essere soldatini agli ordini del leader di turno (come lo sono stati e lo sono tutt’ora i parlamentari del PdL) ma quantomeno rispettare la scelta presa a maggioranza, nei luoghi opportuni.

    Io? Mi piace definirmi un nativo digitale, senza appartenere ad una corrente, se non ad una: quella del Partito Democratico.
    Per questo Congresso, sostengo fermamente Pippo Civati e ci sarà tempo per poter esplicare le mie ragioni, ma ora concentriamoci su quanto detto e impegniamoci ad essere più Democratici e meno fans di qualcuno.

  • Sono le ore 18:15 circa al centro congressi della Fiera del Levante di Bari, mentre salutavo degli amici, dall’altra uscita ecco sbucare una massa inferocita di giornalisti, tutti impegnati a circondare la nuova pop star, Matteo Renzi, che si dirige presso un altro padiglione, dove di lì a poco, tutti i vari “big” del partito si sarebbero intrufolati, forse per un colloquio privato, o forse per ballare la samba.

    Certo è che come sono arrivato a Bari, così ho preso la strada per il ritorno: senza niente di nuovo da raccontare, senza una visione delle cose, senza niente di niente.

    Prendetemi pure per uno di parte, ma io sono del Partito Democratico da più tempo di qualche astuto commentatore e forse, dico forse, ho a cuore più di qualcun altro le sorti del mio partito. Proprio per questo, mi sarei aspettato un discorso più corposo, più intenso, più carico di contenuti (forse basterebbe solo dire “carico” di contenuti) che cercasse di dare una visione delle cose ad un partito, il PD, che di posizioni nette non ne ha mai avute e che chi vuole soverchiare il sistema deve necessariamente colmare. Ma niente.

    Apro una piccolissima parentesi: tra quelle quasi duemila persone ho visto di tutto, ho visto delinquenti, gente che da quando si alza la mattina pensa agli affaracci propri e che della politica non fanno altro che approfittarsene. Ho visto il vomito di una classe dirigente che ha fallito, gli ho avuti accanto, di fronte, dietro. Mi sono sentito pieno di vergogna ad essere lì, in quel momento.
    Tra quelle duemila persone, ho visto gente schierata con Renzi solo per portare a casa un proprio risultato personale, chi si vuole candidare ad una carica e chi ad un’altra, chi vuole sentirsi più forte nel proprio partito per ottenere una fetta più grossa, chi dopo le primarie chiederà la testa di qualcun altro. Insomma, lo schifo più totale. Ho ancora la nausea.
    Se solo i riflettori fossero stati puntati sulla folla anziché sul palco, avremmo visto tutti cosa c’era e c’è realmente sotto il simbolo “Renzi”, almeno in Puglia (ma io credo in tutta Italia).

    Chiusa questa infelice parentesi, vorrei tornare su quanto ho ascoltato: parole che non mi hanno lasciato niente, se non semplici frasi fatte, da ripetere come un pappagallo, ad esempio, “sul carro non si sale, il carro si spinge” oppure “vorrei dare un nome ai sogni dell’Italia”, giusto per farvi qualche esempio.

    Cambiare il PD che cambia l’Italia, cambiare l’Italia che cambia l’Europa: ma come? Mi chiedo come?

    Vorrei da un candidato alla segreteria del principale partito del centrosinistra, delle idee chiare su ambiente, lavoro, tecnologia, sviluppo sociale, cultura, istruzione, università. Perchè Renzi non ha parlato delle 5 hub della ricerca che ha intenzione di creare? Perchè Renzi non ha parlato dell’abolizione del valore legale del titolo di studio che vuole attuare? Magari tutti quei ragazzi che erano lì, tra il pubblico con gli occhi luccicanti o che erano lì per fare volontariato, si sarebbero resi conto di chi stavano sostenendo. Forse non le dice perchè tanto sente la vittoria in tasca, quella stessa sensazione su cui lui stesso ha posto l’altolà, con immancabile ipocrisia.

    Non possiamo continuare a pensare che qualcuno che parla di “establishment che ha fallito” accetti che quello stesso establishment lo applauda e lo porti alla vittoria al prossimo Congresso. Come può costui essere credibile? Come possiamo consegnargli l’Italia, in nome di un tanto richiesto rinnovamento? È questo il rinnovamento? Se così fosse vorrà dire che l’Italia ormai non ha più speranze.

    Se oggi la novità deve celarsi dietro una disposizione del palco diversa dal solito, io mi sento di non appartenere a questa novità. Non ho nulla da perdere, se non la dignità e per quanto possa, per molti, essere un optional, io non ho alcuna intenzione di venderla pur di ottenere qualcosa di personale. Mai.

  • Pur sostenendo un altro candidato alle Primarie del PD per la Segreteria, domani sarò alla Fiera del Levante, a Bari, a seguire “L’Italia Cambia verso” di Matteo Renzi. È importante ascoltare quali progetti ci sono per l’Italia e per il partito, pur divergendo da questi. Un particolare importante che non dobbiamo snobbare è proprio l’ascolto e la pluralità. Questo è il PD che sogno ed io non posso tirarmi indietro incoerentemente.

  • Virata a sinistra per i Labour. Da Brighton un messaggio importante alla sinistra europea. Miliband ha gettato nel cestino il New Labour di Tony Blair e ha costruito il One Nation Labour, con una visione politica non più tendente al centro, ma che vuole galvanizzare l’elettorato di sinistra. E in Italia?

    In Gran Bretagna sta succedendo qualcosa di importante, di significativo, che chiunque si candida a guidare il principale partito di centrosinistra, in Italia, deve tenere bene in mente: i Labour hanno virato a sinistra, dopo la parentesi del New Labour di Tony Blair che ammiccava al centro.

    Al timone del nuovo Partito Laburista inglese, dal 25 settembre 2010, c’è Ed Miliband, figlio di un ebreo di origine polacca, socialista, che ha sconfitto il fratello David alla corsa per la leadership del partito.

    Nel corso della Labour Conference 2013, tenutosi a Brighton lo scorso 24 settembre, il leader dei laburisti ha sterzato, con forza, verso sinistra, proponendo un programma elettorale, in vista della competizione per Downing Street del 2015, pressapoco composto da:

    1. congelamento per due anni delle bollette energetiche con un risparmio medio annuale per le famiglie di 300/400 sterline (ma per le imprese addirittura superiore);
    2. battaglia alle sei grandi company del settore energetico (responsabili, per i laburisti, del salasso) che si accolleranno il costo dell’operazione, 4 miliardi di sterline (e sono già sul piede di guerra);
    3. riduzione delle tasse per 1 milione e 800 mila piccoli commercianti, nessuna riduzione invece per le società di capitale e per le multinazionali;
    4. costruzione di 100 mila nuove case (con criteri rispettosi dell’ambiente) e confisca delle terre. I grandi proprietari saranno posti davanti alla scelta: o utilizzi i tuoi possedimenti o le amministrazioni locali potranno espropriare per fini sociali;
    5. taglio della spesa pubblica improduttiva ma più soldi alla sanità pubblica e alla educazione;
    6. diritto di voto ai sedicenni.

    Il New Labour, quindi, è finito. Ora, il One Nation Labour ha deciso che strada intraprendere nella politica inglese ed è forse un campanello d’allarme per tutti i partiti di centrosinistra europei, soprattutto italiani (soprattutto uno, molto impegnato per le diatribe interne tra ex-DC ed ex-PCI, ancora).

    Ma il progetto blairiano, in Italia, non è rimasto, solo, negli annali di storia, perchè qualcuno ne ha rispolverato gli intenti e gli obiettivi, qualcuno che ha deciso di candidarsi alla carica di Segretario nazionale del Partito Democratico con l’obiettivo di spostare il partito più al centro (più di quanto già lo sia, del resto, è tutto dire). Parlo di Renzi, ovviamente, e mi chiedo se Ed Miliband sia un passo avanti rispetto al Sindaco di Firenze, oppure, inevitabilmente, i destini di due partiti “apparentemente apparentati” sono diversi, completamente slegati l’un l’altro. Di risposte ne ho tante, ma confuse, come se mi sembrasse scontato il fatto che un partito di centrosinistra debba preferire curare e rafforzare il suo consenso nella parte più a sinistra dell’elettorato, prima di occuparsi dei “delusi”.

    Certo, apriti cielo: “ma se non intercettiamo gli scontenti del PdL, da dove li prendiamo noi i voti per vincere?”. Domanda posta e riproposta nell’esatto momento in cui qualcuno obietta, ma si lascia scoperto un tasto dolentissimo, difficile da nascondere ma malamente ignorato: con lo spostamento al centro del partito, perderemmo tutta la parte a sinistra dell’elettorato, gettandolo nello scompiglio di una continua proliferazione partitica (per ultimo il nuovo progetto politico di Landini, Rodotà e Zagrebelsky).

    Da Brighton arriva un messaggio chiaro: in tempi come questi, non si possono perdere i valori della sinistra, una sinistra che guarda agli ultimi, ai disoccupati, al sociale, con forza, decisione, determinazione. Ma quindi? Quale sarà il messaggio intercettato dal Partito Democratico? Sarà un New PD o un One Nation PD?
    Dipende da chi vince, ma dipende dalla nostra capacità di collocarci politicamente, regalando, finalmente, al PD, una chiarezza nelle idee e nella prospettiva da presentare al Paese. È poco? Io non credo.

  • Matteo Renzi, come ognuno di noi, dice cose condivisibili – vedi il rinnovamento del partito e della classe politica – e cose che lo sono meno, come la riformulazione del sistema universitario con la creazione di 5 hub di ricerca verso i quali far confluire tutti i finanziamenti pubblici per Università e Ricerca. È questo il vero problema delle università italiane?

    Non è la prima volta che ne parla, lo ha fatto in campagna elettorale e lo sta facendo tuttora, peccato però, e qui gli va dato atto, che in moltissimi danno risalto a quello che fa e come lo fa, anziché ai contenuti. Io cercherò di essere controcorrente.

    Alla trasmissione “Otto e Mezzo” (vedi video), il Sindaco di Firenze ha detto pressappoco così:

    “Ma come sarebbe bello se riuscissimo a fare cinque hub della ricerca, cosa vuol dire? Cinque realtà anziché avere tutte le università in mano ai baroni, tutte le università spezzettatine, dove c’è quello, il professore, poi c’ha la sede distaccata di trenta chilometri dove magari ci va l’amico a insegnare, cinque grandi centri universitari su cui investiamo..le sembra possibile che il primo ateneo che abbiamo in Italia nella classifica mondiale sia al centoottantatreesimo posto? Io vorrei che noi portassimo i primi cinque gruppi, poli di ricerca universitari nei vertici mondiali. Ecco, per fare queste cose qui non si deve parlare di Berlusconi”.

    Ora, mettiamo in chiaro che non sono a favore dell’università da asporto (sotto casa, per intenderci), ma qui si esagera e soprattutto Renzi ha toccato solo una parte dell’immenso problema universitario: i finanziamenti alla ricerca.

    I finanziamenti alla ricerca? Vitali, necessari. Tutto questo ovviamente se vogliamo mantenere le nostre università pubbliche e non vogliamo fare la fine della Grecia che chiude università importanti e strategiche per il paese (una tra tutte, quella di Atene) a causa della crisi economica e dell’austerity tanto amata dalla Troika e della Merkel (fresca fresca di rielezione). Ma dov’è il punto? Dove, a mio avviso, Renzi sbaglia? E dove generalizza, senza conoscere la realtà studentesca e universitaria? A parte il fatto che il sistema universitario non è fatto solo di fondi e sedi “spezzettatine”, ma di molto altro.

    Beh, innanzitutto, sbaglia nel volere creare 5 centri di ricerca e far confluire tutte lì le risorse economiche per la ricerca ed il sostegno alle attività didattiche universitarie, questo perchè l’obiettivo della sinistra – una sinistra europea e soprattutto progressista – deve essere quello di creare un sistema universitario parificato – cioè con offerte formative di uguale livello, più o meno e stesse possibilità per tutti gli studenti – e dove venga sviluppato un sistema di integrazione, supporto e crescita, frutto di una maggiore e più forte integrazione tra università e territorio, proprio perchè li atenei e i politecnici non sono affatto dei laureifici ma dei luoghi di sviluppo culturale, sociale e tecnologico. Tutto ciò che farebbe bene al territorio circostante. Poi se vogliamo parlare di finanziamenti pubblici alle università e alla ricerca rispetto al nostro PIL, l’Italia non ha nulla di cui vantarsi visto che siamo 32° su 37.

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    Coniugare, quindi, università e territorio e rafforzare le realtà più importanti in tutta Italia e non solo le 5 migliori.

    Vogliamo una società con più laureati o con meno laureati? Attualmente il nostro Paese non se la passa per niente bene, visto che siamo il fanalino di coda in Europa per numero di laureati (21% circa, contro il 35,7% della media Ue – dati Eurostat) e a questo punto la domanda sorge spontanea: con la creazione di 5 hub di ricerca e con la chiusura di tutte le altre università, un ragazzo o una ragazza, di un’altra parte d’Italia, che vogliono proseguire gli studi ma che si trovano nel limbo per quanto riguarda il Diritto allo Studio, perchè magari la loro famiglia ha un reddito che per poco non gli consente di accedere alla borsa e in più non riesce a mantenere le spese per mantenere una stanza da fuori sede, come fa a raggiungere e vivere nella città dove questa università è situata?

    Quindi il Diritto allo Studio: prima di parlare di hub di ricerca, preferirei (sono sicuro non solo io) sentire come e dove attingere risorse per il sostenimento e rafforzamento del sistema del Diritto allo Studio, così da garantire a tutti coloro che ritengano importante gli studi, di poter accedere alle nuove hub renziane, magari senza indebitare i propri genitori o senza dover rinunciare al proprio futuro, proprio Adesso!

  • Vi consiglio di leggere questo interessante articolo uscito oggi su La Stampa, a cura di Elisabetta Gualmini.
    Come per dire: dopo la tempesta c’é sempre la quiete. Oppure è solo prima?

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  • Cosa provano i renziani a sentirsi dire, dal loro mito, che hanno bisogno di un Tso (Trattamento sanitario)?

    Quale può essere il senso di tale affermazione? Lo fa forse con la speranza che i renziani non si offendano ma che allo stesso tempo questo spinga la sua figura oltre il recinto della sua corrente? (perché Renzi ce l’ha la sua corrente nel PD, non diciamo cazzate!).

    Da lui vorrei sincerità prima di qualsiasi disegno del futuro dell’Italia.

    A disegnare l’Italia che vogliamo sono bravi tutti – ne sono passati di artisti dalla guida di partiti di centrosinistra – il problema sta nel mezzo: essere sinceri con la gente e finirla di lanciare slogan ad ogni occasione.

    Su molte cose sono d’accordo con lui: sugli erroracci fatti in campagna elettorale dal PD, su delle prospettive di sviluppo sociale, ma sulla sincerità ci tengo profondamente. Proprio perché non è da tutti.

    Matteo, cominciamo dalle piccole cose: che magari la sincerità ti aiuterà anche a capire il tuo ruolo nel PD e per il Paese, più di quanto tu possa immaginare.

    Ti auguro buon lavoro.

  • Arriverò in ritardo, nel commentare quanto sta accadendo al nostro Paese, durante le votazioni del Presidente della Repubblica, fatto sta che ho il voltastomaco e, candidato o no del Pd, non sono uno che riesce a tenersi le cose dentro.

    Partiamo per ordine. Il Partito Democratico durante la campagna elettorale ha sempre e dico sempre cercato di dare di sè un’immagine di forza rinnovatrice, riformista e devo dire che c’era anche riuscita, nella concretezza, non solo con le primarie per i parlamentari – dove sono stato eletti molti giovani, tra cui molte donne – ma soprattutto con la presentazione di due persone autorevoli e molto rispettate, alla presidenza di Camera e Senato, rispettivamente Laura Boldrini e Pietro Grasso.

    Oggi tutto questo è andato in fumo, forse per qualche chiappa venduta al nemico e magari per la disperata ricerca di una maggioranza che potesse dar vita ad un governo, un governo che, personalmente, potrebbe benissimo non esserci, se questo comportasse l’ammucchiata geneticamente modificata di PD e PDL, consegnando a Grillo, indebitamente, il 50% del consenso alle prossime elezioni, con Berlusconi secondo partito e noi relegati a fare il “nuovo terzo polo”. Tutto questo perchè il nome di Franco Marini è il risultato di una imposizione e non di quel sentito bisogno di cambiamento (ne parlo qui).

    Durante la mia piccolissima esperienza in politica, ho cercato di conoscere da vicino le realtà che circondavano e animavano il PD, trovando interessante la fronda renziana, per me caduta in basso, ultimamente, a causa dei recenti comportamenti assunti dal Sindaco di Firenze, comportamenti che si potevano assolutamente evitare, considerato il fatto che, a ragion veduta, il soggetto citato sarà, senza pronostici da fantapolitica, il prossimo candidato del centrosinistra alle prossime Politiche, salvo cambiamenti e tattiche “boldrini-grasso” dall’altra parte della barricata. Il fronte bersaniano, per intenderci.

    Il PD guarda al suo futuro. Ce lo dicono tutti: giornali, portali d’informazione, personaggi di spicco della scena politica italiana, protagonisti del centrosinistra. Tutto vero, nessun dubbio. Proprio perchè veritiera questa tendenza, oggi esprimo il mio dissenso per ciò che è stato il PD, ciò che non è stato il PD e auspico un futuro migliore per quello che, oggi, risulta essere il primo vero progetto di partito 2.0, casa dei riformisti e aperto, democratico. Peccato che in queste ore abbia avuto mancanza di promiscuità tra decisioni politiche e popolari, quello che, in fin dei conti, è la vera forza del Partito Democratico. Le primarie ne sono un esempio.

    Si parla di futuro, abbiamo detto, e quindi si parla di congresso. Non so chi rappresenterà il fronte ora targato “Bersani”, non sappiamo se ci sarà ancora, fatto sta che i nomi che ora circolano in rete e per i corridoi di partito vanno distinti e vanno comprese le loro ragioni e soprattutto il loro peso conquistato all’interno del partito.

    Fabrizio Barca ha un passato di tutto rispetto, ma il prossimo segretario del PD non può essere uno che ha deciso di aderirvi l’11 aprile 2013. Per l’appunto.

    Gianni Pittella, certo, uomo di partito, vice-Presidente vicario del Parlamento Europeo, d’accordo, aspetto di avere più informazioni in merito alle intenzioni di Pittella, ma non è il soggetto che il PD cerca, non perchè non sia una brava persona, ma perchè c’è bisogno di teorizzare nuovamente il concetto di partito e le modalità di partecipazione. Detto questo io ho fatto la mia scelta e fino a quando non mi caschi il cielo in testa, io ho il mio candidato ideale: Pippo Civati (che di nome fa Giuseppe e non Filippo!).

    Civati è sempre stato uno che, dal canto suo, ha sempre detto la propria e di teorie su come investire le forze del più grande partito italiano ne ha sfornate parecchie e non sono, di certo, da buttare nel cestino. Civati non va raccontato, va letto, vanno ascoltati i suoi discorsi (qui il suo blog) e la cose che più mi coinvolge è che dire di essere dalla sua parte non significa essere “civatiano” ma essere un democratico che vuole cambiare le cose e io sono un democratico che non vuole starsene all’angolo ad osservare. Mi sono iscritto al PD non con l’intenzione di fare carriera al suo interno, ma di lavorare per il bene del territorio, della provincia, della regione, del Paese, ma ancora di più della gente che ci circonda. Ciò che ci accadra di qui a pochi secondi non possiamo saperlo, ne per le nostre singole vite, ne per il nostro essere comunità.

    Civati è candidato al prossimo congresso e può essere certo di una cosa: io ci sono. Mi sono stancato delle linee forti e soprattutto della “macro-candidatura” certa della vittoria. Basta! Il partito è di tutti. Il partito non è di proprietà intellettuale di nessuno, ma di tutti. Si cambia al congresso e il PD se vuole sopravvivere dovrà fare un passo da gigante, altrimenti sprofonderà nella frammentazione e quel passo richiede rinunce, rinunce che non possono essere lasciate alla strumentalizzazione di qualcuno, ma che devono risultare non come mezzo di propaganda, ma di rinvigorimento.

    Ps: voglio esprimere il mio orgoglio e la mia soddisfazione nel vedere le sedi del PD occupate in tutta Italia. #OccupyPD ora è sostenuto dai Giovani Democratici. Ne vedremo delle belle nelle prossime ore. Io la lancio qui, una bella idea per il prossimo congresso: #OccupyCongress. Per il resto, stay tuned!