Con quello che dice Andrea Baldini, coordinatore nazionale dei Giovani Democratici.
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Mi sono vergognato un po’ per quello che è successo ieri. Ho visto trionfare la retorica; ho visto scalfite due colonne portanti del mio modo di intendere l’impegno in politica: la vicinanza alle esigenze e ai problemi dei cittadini e l’elaborazione politica.
Come si può schernire una piazza coperta da un milione di lavoratori e studenti? Perché devo essere costretto ad ascoltare parole dette e ridette da Berlusconi durante i suoi governi? “Con noi c’è la gente che lavora”, ci mancava che qualcuno dicesse “Siete solo dei poveri comunisti!” e la frittata era fatta.
Come si può chiedere a dei tavoli di una stazione ferroviaria dismessa di fare elaborazione politica? Dove sono finiti i luoghi del partito? Che ne sarà di quei documenti creati in occasione della Leopolda5? Saranno la base di futuri provvedimenti del Governo? Oppure saranno portati all’attenzione del partito e messi in discussione?
Lo chiedo, perché voglio capire la mia funzione all’interno del PD. Voglio capire se sono solo un volto che deve prendere schiaffi dagli elettori quando cerca di difendere il proprio partito, oppure qualcosa di più.
Lo chiedo, perché voglio capire se Davide Serra vale di più di tutti i militanti del PD e di chi si spezza la schiena nel trascinare la dignità di una politica che perde valori ogni giorno di più.Come si può convocare una piazza sapendo di aver perso in partenza? Sia ben chiaro, non parlo di un fallimento numerico, ma di un fallimento storico. Tanti sono stati coloro che si sono alternati su quel palco, testimonianze importanti, ma quanto, oggi, il sindacato sa leggere la realtà? Anch’esso, come la politica, ha bisogno di rinnovarsi (e farlo meglio) non solo nei volti, ma negli strumenti di comunicazione con i lavoratori, far capire che il sindacato non è una zavorra, ma un soggetto fondamentale in una democrazia. Cambiare rotta, rivoluzionare il mondo del sindacalismo.
Ci raccontano di realtà in cui i sindacati non esistono, spacciandoli come esempi di sviluppo e crescita, con parole da veri estremisti. E la colpa di chi è? È sempre e solo degli altri? Non credo. La colpa, caro sindacato, è anche la tua, non solo della politica.
Quella piazza di ieri, era bellissima, ma c’era qualcosa di diverso rispetto alle piazze di qualche anno fa, tipo quella del 2003, quando Cofferati si trovò dinanzi a 3 milioni di lavoratori. Certo, la situazione storica era differente e c’era un Segretario generale come pochi altri, ma la memoria storica dovrebbe ricordarci che un tempo si militava o nel partito o nel sindacato (o in entrambi), mentre oggi calano le tessere dei partiti ed è “sparita”, di fatto, la militanza nel sindacato, non più presente come una volta.
I sindacati devono rinnovarsi, devono salvare il ruolo che ricoprono, o meglio, dovrebbero ricoprire.
Di persone impegnate nei sindacati ne conosco, la maggior parte di loro sono persone di valore, che credono in quello che fanno. Non meritano di essere considerate delle zavorre, per colpe non loro.Tornando alla politica, al PD, alla Leopolda, a Renzi, credo che il ragionamento sia molto semplice: il PD si sta trasformando in un mero contenitore, dove al suo interno forze politiche distinte si fanno guerra tra di loro, Leopolda da una parte, SinistraDem, ÈPossibile, LabDem, etc. dall’altra. Ma quanto teniamo al Partito Democratico? Sono forse dei prototipi di nuovi partiti da far nascere dopo una ipotetica scissione? Ma dove vogliamo andare? Io mi oppongo a questo scempio.
Le domande sono tante, ma una cosa è certa: ieri, non c’è stato nessun vincitore, ma solo perdenti. Più di tutti, la dignità.
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Slegati da dietrologie senza senso, ormai al passo con i più vecchi sistemi di pensiero, aggrappate ad una (finta) religiosità che, per niente, professa l’uguaglianza.
Alfano ha stancato. Il Ministro ordinerà questa mattina ai prefetti di annullare le trascrizioni dei matrimoni gay contratti all’estero. A parte una rispolverata di diritto internazionale e del riconoscimento delle sentenze, soprattutto per i paesi membri dell’Unione Europea, la questione si fa seria proprio perché a parlare è un ministro del Governo Renzi, un governo a guida PD, il mio partito, di centrosinistra (l’animo…del partito). Renzi aveva promesso la civil partnership ma non c’è l’ombra n’è di civil n’è di partnership. In Italia le uniche coppie di fatto riconosciute, sono quelle politiche. Vedi Renzi e Alfano, ad esempio. Oppure a Taranto, tra PD e Forza Italia.
Quanto tempo ancora dovrà passare affinché, nel nostro Paese, centrodestra e centrosinistra si svincolino da queste inettitudini e posizioni da medioevo? Forse è giusto ricordare che in Gran Bretagna (dove dal 2005 esiste la civil partnership), David Cameron – leader dei Tory (conservatori), nonché Primo ministro – ha rilasciato una dichiarazione che profuma di normalità.
Perciò, lo ripeto: Alfano, hai stancato. “È l’ora che tu vada a giocare con la balena bianca sotto il porticato di casa tua” (cit.)
In contemporanea, il compagno Ballini ha lanciato una petizione su Change.org e dirvi di firmarla mi sembra il minimo.
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Dovevo postarlo. Non sono riuscito a resistere. L’intervento di D’Alema, sul Jobs Act, è stato un fiume in piena e, può piacere o no, uno dei migliori della Direzione di ieri.
Ha detto cose condivisibili, che non andrebbero scartate a priori solo perché a dirle è l’anti-Renzi per eccellenza, anzi, facciamone tesoro.Ovviamente ne sceglierò altri, nel corso della giornata.
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E svendere il PD? (aggiungo io)
A chiederselo è Francesco Cundari, su Left Wing. Dategli una lettura.
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Sin da subito dopo le primarie, ho pensato che essere fautore di una linea politica costantemente in contrasto con la maggioranza (che non avevo votato), non era al caso mio, soprattutto perché – e qui lo dico a tutti coloro che si chiedono come mai – dentro di me c’è un attaccamento forte al Partito Democratico, dovuto proprio al suo spirito, alla sua struttura, al suo dinamismo (mente chi dice il contrario), oltre ovviamente perché mi riconosco a pieno nella Carta dei valori.
Detto ciò, non riesco a capire come si possa strutturare una polemica nei confronti del Presidente del Consiglio, basandosi sulla vicenda che ha coinvolto il padre di Renzi, Tiziano, il quale è stato inserito nel registro degli indagati per una presunta bancarotta fraudolenta. E quindi? A parte che è segno di buon senso, non strumentalizzare, verso i figli, le colpe dei padri e delle madri, ma credo che sia arrivato il momento di incominciare una discussione un pochino più consistente e piena di contenuti. C’è chi lo sta facendo, soprattutto sul lavoro, e va benissimo così. Ma attenzione a non inciampare, soprattutto a chi è esterno al PD e cerca ogni cosa per confutare tesi a sostegno del partito e scelte varie. Criticate il partito, fatelo perché solo così potrà crescere e migliorare, ma fatelo basandovi sui contenuti, su situazioni di circostanza, su un’attenta analisi politica che possa aprire discussioni interessanti.
Amo la politica fatta con buon senso ed elaborazione politica. Mi piace l’idea delle riviste politiche – anche online – dove il dibattito e forte e dinamico. Ve ne consiglio due: Left Wing e EUtopia.
Del resto, occupiamoci in un secondo momento.
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Negli ultimi due mesi, mi sono affezionato ad una serie tv americana, ormai non più in produzione. Parlo di “The West Wing“.
Nella sesta stagione, va in scena la campagna elettorale per le primarie per i candidati alla presidenza, sia per i repubblicani, che per i democratici. Vi starete chiedendo cosa ci sia di così tanto clamoroso in tutto questo. Bene, niente. Proprio niente, perché negli Stati Uniti le primarie sono un passaggio fondamentale per i partiti, perché sono lo strumento principale per misurarsi e confrontarsi con la propria base. Un dono immenso.Ieri, Matteo Richetti ha annunciato la sua candidatura a Presidente dell’Emilia-Romagna, sbaragliando ogni possibile accordo che avrebbe avuto come risultato una possibile candidatura unica. Richetti dice una cosa sacrosanta: i candidati li scelgono i cittadini e non le segreterie di partito (per inciso, la stessa logica varrebbe per i parlamentari).
Da non-renziano, io sono completamente d’accordo con lui. Sono a favore di primarie sempre e comunque, dove i candidati si possano fronteggiare a viso aperto, senza l’ombra dei burattinai romani, senza doppi giochi, senza nessun tipo di pressione e nessun braccio sulla spalla di qualcuno.
Non ho mai sopportato l’idea di veder catalogate le persone come “renziani”, “dalemiani”, “bersaniani”, “civatiani”, ecc., ma la cosa mi fa imbestialire quando a farne le spese è il dibattito interno, quando non c’è un briciolo di spessore politico nell’idea che abbiamo del Partito Democratico e del Paese.
Basta pressioni dall’alto, i leader nazionali di ogni corrente, a partire da Matteo Renzi, lascino che le primarie siano uno scontro alla pari tra tutti i candidati, senza apporre il marchio di quella o questa corrente. Facile vincere se si è sul carro del più forte, magari quando non hai le capacità personali per potertela giocare fino in fondo, costruendo una campagna elettorale basata sui contenuti, su un’idea di governo del territorio.
Ma diciamocela tutta: il carro cammina e presto comincerà a fermarsi, per presentare il candidato “spumeggiante” a questo o quel ruolo, facendo cadere la maschera dell’ipocrisia che ci ha accompagnato per molto tempo, permettendoci di vedere quello che ha combinato la guerra di posizionamento all’interno del PD, dalle ultime primarie fino ad oggi.Ma in tutto questo, un episodio di The West Wing mi ha fatto riflettere: l’importanza del non inquinare il voto, l’importanza dell’imparzialità del Presidente degli Stati Uniti (capo del Partito Democratico americano) dinanzi alla competizione elettorale. Un’imparzialità morbosa, a volte, ma importante, per il bene della democrazia, per il bene del nostro partito e per il bene dei territori che vogliamo, dobbiamo governare.
Viva le Primarie!
Ps. sulle primarie pugliesi tornerò a parlarne su questo blog, a breve.
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Ieri, su La Stampa, Federico Geremicca ha scritto un articolo interessante che vi propongo e che, spero, possa suscitare in voi una serie di domande e/o considerazioni, augurandomi di vederle postate sui social network o su questo blog, come sempre a vostra disposizione.
Che la migliore notizia ricevuta nelle ultime settimane sia l’assoluzione in appello di Silvio Berlusconi – cioè del leader della coalizione che tenterà di batterlo alle prossime elezioni – la dice lunga su quanto si sia fatto agitato il mare intorno a Matteo Renzi.
Lo sgradevole stop alla nomina di Federica Mogherini, gli ammonimenti del neo Commissario agli Affari economici Katainen, la drastica riduzione al ribasso della crescita del Pil ipotizzata da Bankitalia e il faticoso cammino in Parlamento della riforma del Senato, sono lì a confermare il momento di evidente difficoltà.
In un quadro a tinte così fosche, altri premier e altri governi si sarebbero forse ritrovati a un passo dalla crisi: e invece nulla, per ora, sembra intaccare la popolarità e il consenso che circondano l’ex sindaco di Firenze, visto l’alto gradimento di cui continua a godere secondo ogni sondaggio. E’ come se accanto al mondo reale – quello segnato appunto dalle difficoltà di cui si diceva – Matteo Renzi fosse riuscito a costruirne, almeno in Italia, un altro virtuale: un pianeta fatto di ottimismo, di forza della volontà, di promesse di cambiamento, di fiducia nel futuro.
Nella creazione di questa sorta di «pianeta parallelo», molto ha contato e conta l’abilità comunicativa del giovane premier. Ma c’è, naturalmente, dell’altro: e fingere di non vederlo potrebbe costituire il secondo errore capitale (il primo è stato la sottovalutazione del fenomeno-Renzi) degli stati maggiori dei partiti avversi al premier e degli stessi «malpancisti» all’interno del Pd. Se una fetta assai ampia di italiani – a dispetto delle difficoltà crescenti – continua ad aver fiducia e ad esprimere sostegno all’azione del Presidente del Consiglio, è perché ancora troppo vivo è il ricordo di quella che per comodità qui definiamo «la vecchia politica».
La memoria del passato, anche recente, non stimola certo un desiderio di ritorno all’antico e la rapida archiviazione di una leadership che comunque – assieme a tante promesse – segnali di cambiamento effettivo li ha lanciati: dal governo meno affollato degli ultimi decenni alla nomina di donne alla guida di aziende di Stato, dal tetto agli stipendi dei manager pubblici alla rivoluzione nella pubblica amministrazione, fino alle fermissime prese di posizione a fronte di fenomeni corruttivi, da qualunque parte provenissero. Molti italiani, dunque, pensano: la situazione è difficile, ma almeno ora c’è qualcuno che si è rimboccato le maniche e ci sta provando davvero.
Matteo Renzi, insomma, ha vinto e governa con ancora largo consenso grazie alla promessa e poi alla realizzazione (parziale, certo) di un radicale cambiamento: è evidente, allora, che chi intenda sconfiggerlo non potrà che farlo sfidandolo su questo stesso terreno. Cominciando, ovviamente, a cambiare esso stesso: partito, leader o approccio a una «nuova politica», che dir si voglia. Per ora, onestamente, segnali in questo senso non se ne scorgono: né a destra, né al centro e nemmeno a sinistra…
E’ questa, in fondo, la maggiore e più importante «rendita di posizione» su cui può contare Matteo Renzi: l’estrema difficoltà degli altri – intendiamo le classi dirigenti nel senso più ampio del termine – ad imboccare la via di un visibile e credibile cambiamento. Per altro, finché in campo ci sono «quelli di prima» con gli argomenti di prima, è fin troppo facile per il premier rispondere alle critiche che gli vengono mosse: avete governato per decenni senza fare nulla di quel che ora imputate a me di non fare o di fare male… Argomento, oggettivamente, difficile da liquidare.
Ma anche le rendite di posizione, perfino le più cospicue, sono destinate ad esaurirsi: ed è per questo che, al di là della debolezza dei suoi avversari (interni ed esterni) Matteo Renzi ha un disperato bisogno di centrare risultati: a cominciare – almeno sul piano dell’immagine – dalle «riforme politiche» (bicameralismo e legge elettorale) enfatizzate fino al punto da legare alla loro realizzazione addirittura il suo futuro in politica. «Settimana decisiva» ha infatti annunciato ieri il premier, riferendosi alla riforma del Senato. E’ da augurarsi che sia così e che le cose vadano nel verso giusto, perché un rinvio all’autunno dell’approvazione almeno in prima lettura, sarebbe uno smacco assai forte. Certo non compensabile col pur apprezzabile avvio del così decantato piano «scuolebelle»…