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    All’inaugurazione dell’Anno Accademico del Politecnico di Torino, il Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica italiana, Matteo Renzi – segretario del Partito Democratico, il mio partito – mi ha definito, nei fatti, di “serie B”.

    Non mi interessa quello che diranno i suoi difensori d’ufficio, tanto ormai è chiaro: quello che sbaglia sono sempre io.

    Mi dispiace dover scrivere queste cose, soprattutto perché il soggetto che ha scatenato questa mia rabbia, mista a delusione, è il segretario del partito a cui dedico il mio impegno, per non dire la mia vita – visto che sono stato tacciato, molte volte, come un “ragazzo non normale”, perché preferivo partecipare ad una riunione di circolo, anziché andare in palestra o fare altro “da giovani”. Ora so che, oltre ad essere “non normale”, sono anche di “serie B”. E non esagero nel dirlo, perché io ho inteso proprio questo.

    Che senso ha dire una cosa di questo genere? Come si può immaginare, anche solo per un istante, di gettare in un fosso intere generazioni? Caro Matteo, mi dispiace davvero, ma sono queste esternazioni che mi fanno pensare a quanta distanza ci sia tra me e il tuo modo di pensare. E bada bene, non si tratta di metterti i bastoni tra le ruote o di intendere il dibattito interno al partito, un muro contro muro. No. Non è il mio stile. Ma se mi è data voce, posso solo dire che, da questa concezione dell’università e del sistema di istruzione, c’è solo da prenderne le distanze.

    Ogni giorno, da quando ho iniziato il mio percorso universitario, la mattina mi alzo di buonora, prendo il treno alle 06.40, per essere a lezione alle 08.30, torno a casa il pomeriggio e mi rimetto a studiare, per sostenere gli esami, per formarmi. Per costruirmi un futuro. Un futuro che, a quanto pare, è di serie B, perché ho deciso di rimanere nella mia terra. È da qualche giorno, quindi, che ci siamo svegliati marchiati con il fuoco, una bella B stampata in fronte, giusto per ricordarcelo tutte le mattine, davanti ad uno specchio.

    Mi fa specie che Renzi abbia rilasciato questa dichiarazione in una università “di serie B” – volendo usare gli stessi termini – probabilmente non ne era a conoscenza o forse avrà una classifica tutta sua.
    A dire ciò non sono io, ma Giuseppe De Nicolao, su Roars, il quale riporta i dati dell’ANVUR basati sul VQR 2004-2010 delle università.

    Rinfrescare la mente non fa mai male. E se quell’articolo di De Nicolao può servire a tal proposito, aggiungo un altro piccolissimo particolare

    Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.
    Art.33 comma 3 della Costituzione Italiana

    Voglio ricordarlo perché, se siamo qui a dirci di tutto, è giusto non negare che università private (una per tutte, la Bocconi) ricevano finanziamenti pubblici e che questa non sia una situazione di eguaglianza in partenza. È un aspetto di secondo piano? Non mi sembra. Da quando la Costituzione è stata declassata a consuetudine?

    È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
    Art.3 comma 2 della Costituzione Italiana

    No, non è una lezione di Diritto Costituzionale, ma semplicemente non comprendo la concezione di eguaglianza che ha il Presidente del Consiglio. Mi spiego meglio: lui dice che l’eguaglianza va garantita solo in partenza, poi la legge della natura fa il suo corso e il vincitore è chi arriva più lontano (magari con qualche soldino pubblico di troppo). Un ragionamento che non fa una grinza, peccato che non parliamo di società per azioni, non parliamo di mercato di beni e servizi, non parliamo di produzione di massa, import ed export, ma di generazioni, della vita di centinaia di migliaia di giovani.

    La classifica ANVUR, sancendo chi è nella serie A delle università, lancia un messaggio inequivocabile che, probabilmente, lo stesso Renzi ha voluto rilanciare: il Mezzogiorno è patria della serie B, un territorio che mai e poi mai potrà competere con il mondo. Per intenderci, l’università di serie A più a Sud è Roma Tor Vergata.
    È tutta colpa del lupo cattivo? Certo che no. Anche le università del Sud hanno le loro colpe, moltissime, a cominciare dalla loro gestione, ma anziché andare nella direzione giusta – del controllo e del contrasto nei confronti di certi metodi – lasciamo che il bruco mangi tutta la mela, aspettando che marciscano gli avanzi. Se questo è un ragionamento che ha una sua teoria, probabilmente non è di sinistra.
    Ma il male è sociale. Le università sono lo specchio del territorio che le circonda, a partire dal tessuto imprenditoriale presente, dalla dinamicità insita nel tessuto sociale. Non c’era bisogno di una cerimonia per ricordarcelo. Ma cosa vogliamo fare per risolvere questo terribile deficit? Mettere tutto il Mezzogiorno su una chiatta e spingerla al largo? O vogliamo cominciare con il rispettare la Costituzione e applicarla, prima di tutto?

    Una cosa è certa, cari coetanei: armiamoci di valigie di cartone piene di speranze: direzione Nord. Sciocchi coloro che rimangono, destinati ad essere secondi.

    Lo dicono i fatti, non il Governo.

  • Siamo arrivati ad un punto davvero difficile. Non saprei come definirlo. I giornali parlano di una transumanza. Chi di uno sgocciolio di quel che resta di Scelta Civica. Non importa come definirlo, fatto sta che rappresenta il peggio della politica. Checché se ne dica (e checché ne dica Renzi).

    Pietro Ichino, Linda Lanzillotta, Alessandro Maran, Gianluca Susta e Irene Tinagli sono ex dem che tornano “a casa”, almeno stando alle parole di Guerini. A loro si aggiungono il vice ministro allo Sviluppo Economico, Carlo Calenda, l’attuale sottosegretario ai Beni Culturali (nonché ex Presidente della FAI) Ilaria Borletti Buitoni e il ministro al MIUR, Stefania Giannini.

    Ora, questi spostamenti ad muzzum puzzano sempre. Non erano accettabili con Scilipoti e non capisco perché debbano esserlo ora. Certo, qualcuno l’abbiamo reso un’icona (vedi Razzi), ma va be.

    Bersani chiede che ci sia una giustificazione politica al cambio di casacca, qualcuno (Gianluca Susta) dice che in realtà non si tratta di un vero e proprio approdo nel PD, in quanto non tutti – degli 8 – faranno la tessera al partito. Susta, oltre tutto, ha anche spiegato che non ha la benché minima intenzione di aderire al Partito Socialista Europeo (lui è vice presidente del Partito democratico europeo). Vade retro sinistra, per intenderci. E questo è, di per se, preoccupante. E non poco.

    Ma Ichino, Lanzillotta e tutti gli ex, hanno una macchia sulla loro dignità, grossa quanto l’Africa sulla cartina geografica: essere fuggiti. Personalmente, con il mio partito, vivo da un po’ di tempo un periodo turbolento, ma non mi è mai passato, neanche nell’anticamera del cervello, di lasciare il mio partito per approdare in qualcosa di indefinito o anche di definito (i famosi progetti delle sinistre). La mia casa è il PD. Punto. Anche se con la maggioranza del PD, su alcune cose, non sono d’accordo. Preferisco combattere.

    Chi oggi torna, per me vale meno di zero (politicamente parlando, si intende). Che credibilità hanno, se passano da una parte all’altra, dopo essersi accorti che la zatterina su cui avevano deciso di salire stesse sprofondando? Facile tornare quando la strada è ormai priva di ostacoli per le vostre idee. Che razza di politica praticate? Se politica la si può chiamare.

    Perciò, vi sono sincero: sono un iscritto al Partito Democratico che vi avrebbe chiuso la porta in faccia, o che vi avrebbe, quantomeno, buttato dell’acqua gelida dal balcone, al primo suono di campanello. Perché è questo che meritate. Nient’altro. Sì, lo so, c’è la Parabola del figliol prodigo. Ma io di figliol prodighi non ne vedo.

    Ps. non usciamocene con la storia del “partito a vocazione maggioritaria”, perché la vocazione maggioritaria è altra cosa dall’emigrazione di parlamentari. Perché manca la politica, che dovrebbe essere alla base della vocazione maggioritaria che, sia chiaro, io sostengo con convinzione. Ma capite che non può essere un comunicato del Premier a crearla. E non può essere una giustificazione alle miriadi di casacche cambiate (fino ad ora, in Parlamento, in 173 si erano candidati con il partito sbagliato).

  • tsipras-and-iglesias

    E Nichi ci riprova. Il problema è sempre quello, nessuno vuole capire. Nessuno vuole ammettere che la sinistra, per essere (ri)costruita, deve bonificare il terreno su cui vuole ergersi.

    Attualmente, in Italia, non c’è un solo esempio di una sinistra strutturata – anche nel suo piccolo – capace di dare risposte concrete e di saper fronteggiare la deriva della politica. Non c’è, perché è essa stessa parte di quella politica ormai in declino.

    A dimostrazione di ciò, c’è un’intera schiera di vecchie glorie, ex-trombati e raccattapalle, sempre in prima fila, quando c’è bisogno di teorizzare un nuovo soggetto di sinistra, oppure quando c’è l’intenzione di sviluppare un progetto politico che con l’Italia non ha nulla a che vedere (vedi Syriza e Podemos) – su cui ci tornerò tra brevissimo.

    Human Factor – il laboratorio lanciato da Vendola, dal 23 al 25 gennaio – non sarà certo il punto di svolta, né un punto di partenza. Non si può costruire nulla con questo cemento, perché spesse volte è solo sabbia e niente più. Serve altro e questo altro ancora non c’è, perché quella che abbiamo noi, in Italia, è una sinistra (in maggioranza) ultra-conservatrice, non solo nelle sue posizioni, ma anche e soprattutto nella scelta delle persone.

    Il rispetto e la difesa delle origini è cosa buona e giusta, perché è da radici solide che prende vita un albero altrettanto forte, ma il punto è che queste radici ormai sono in putrefazione, hanno dimostrato, nel corso degli anni, di non essere all’altezza della situazione. Un partito di sinistra che non riesce a farsi capire dai cittadini e non riesce ad ottenere consensi, deve porsi delle domande centripete e non centrifughe. Molte volte si è vittima di se stessi e non di una incapacità da parte degli altri di ascoltare.
    Il nostro Paese vive una sofferenza immensa e spazio politico per nuovi soggetti ce ne sarebbe pure, ma il punto è che non ottieni un progetto vincente, sommando progetti fallimentari. Non deve essere SEL a mettersi in gioco, ma un intero modo di pensare di sinistra.

    Ho citato prima Syriza e Podemosi due partiti di sinistra della Grecia e della Spagna. Il leader di Syriza è Alexis Tsipras, noto in Italia per essere stato la scotch che ha tenuto “unita” la sinistra extraparlamentare (+ SEL) in vista delle Elezioni europee, con il successivo siparietto sul seggio che Barbara Spinelli decise di tenersi stretto, scatenando l’ira di SEL e Rifondazione Comunista. Il meno noto è Pablo Iglesias, leader di Podemos.
    I due partiti di sinistra, che in questi mesi hanno ottenuto e continuano ad ottenere consensi nei loro rispettivi Paesi, fanno brillare gli occhi ai leader usurati della sinistra italiana, lasciandoli sognare, a giorni alterni, di essere un po’ Podemos e un po’ Syriza, senza sforzarsi di intraprendere un percorso che prescinda da altri partiti, soprattutto stranieri. Un progetto spontaneo, insomma, niente di simulato o copiato. Perché è vero che Syriza e Podemos sono il risultato di una unione di altri partiti e movimenti di sinistra, ma è anche vero che la Grecia e la Spagna non sono l’Italia.

    E se non si comprende questo, non si è (di) sinistra, ma solo una cozzaglia di personaggi in cerca di sbancare il lunario, priva di quella cultura aperta e propositiva. Per intenderci: a mischiare le minestre son bravi tutti. È nell’inventare una nuova ricetta che c’è la vera difficoltà.

    Un quadro preciso l’abbiamo ottenuto durante la conferenza stampa di sostegno alla candidatura di Tsipras alle elezioni del 25 gennaio in Grecia. A vedere alcuni c’era solo da mettersi le mani tra i capelli.

    Ma il punto è sempre uno: vogliamo ritornare a qualche anno fa? Con un centrosinistra frammentato, disorganizzato, capace di far cadere un governo dalla sera alla mattina? Oppure è forse il caso di farsi un esame di coscienza e trovare dentro di sé la ragione di una deriva centrista del centrosinistra italiano? Non è che si è troppo poco credibili?

  • Non era un “volo di Stato”, ma un Falcon 900 ad uso del Capo del Governo per gli spostamenti in sicurezza.
    Non era un albergo a 5 stelle, ma una caserma.

    In tutto il mondo, i capi di Stato e di Governo viaggiano con mezzi dello Stato. Vedi Obama, Hollande, Cameron, Merkel, Rajoy, ecc. In Italia, per qualcuno, questo è un sacrilegio, uno spreco di risorse.
    Quando Obama venne in Italia, era seguito da una scorta di migliaia di uomini. Quando Obama viaggia, anche con la sua famiglia, e non per viaggi ufficiali, lo fa con l’Air Force One, un Boeing 747-200 (non un Falcon 900).
    In tutto questo, non mi è sembrato, mai, di vedere gli americani irritarsi, neanche quei “talebani” del Tea Party.
    Ah…ma in America è possibile, per un figlio di immigrati, poter diventare governatore dello Stato di New York. Avete mai sentito parlare di Mario Cuomo?
    Noi sappiamo essere sempre bigotti e poco avvezzi alla “normalità”.

  • Devo essere sincero? Alessandra Moretti mi ha fatto un po’ pena in quell’intervista. Non venitemi a dire che in Veneto non ci siano più persone competenti da poter contrapporre a Zaia. Se questo è vero, vuol dire che l’Italia è davvero allo catafascio.
    C’è una cosa che in questo partito deve essere contrastata: l’arrivismo.
    Affiliarsi a qualcuno, pur di far carriera, pur di scalare qualsiasi cosa ci sia di scalabile, è avvilente.
    A me importa solo una cosa: che la Moretti sappia di aver concluso la sua carriera politica ancor prima di aver completato un ciclo. Le poltrone le ha provate tutte e, stando alla moda del momento, non esiste il posto fisso (e neanche il ritorno sul vecchio posto di lavoro). O forse aspetta l’età giusta e si candida a Presidente della Repubblica?

  • zittitutti

    Dare fiato, fiato e ancora fiato alla bocca. Ecco lo sport preferito da tutti coloro che si alzano la mattina per lamentarsi, andare contro questo o quello, senza cognizione di causa, senza un briciolo di ragionamento a monte, senza nulla. Solo polemica, polemica e ancora polemica.

    Oggi, a dar spettacolo, ci pensano tutti coloro che criticano le cene da 1000€ con Matteo Renzi. Questa raccolta fondi, oltre ad essere del tutto legale, è frutto dell’altra demagogia (che si affianca a quella delle attuali critiche) dell’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti.

    La cancellazione del finanziamento pubblico – che mi ha visto dalla parte opposta della barricata, per ragioni già ampiamente spiegate su questo blog – ha necessariamente portato a questi metodi poco utilizzati in Italia, ma all’ordine del giorno in altri Paesi europei e negli States. Di cosa vi meravigliate?

    Come credete si possa fare politica? Ci sono spese di organizzazione che vanno sostenute e, checché ne dica Grillo e il M5S, un vero partito ha una struttura territoriale, e questa ha bisogno di un sostegno economico. Facile sparare nel mucchio quando non si ha una rete “fisica” di circoli e federazioni come quella del Partito Democratico.

    L’unica abolizione condivisibile, a questo punto, doveva essere un’altra: l’abolizione del lamento pubblico. Tutti coloro che hanno voluto eliminare il finanziamento ai partiti ora devono tacere, perché se Renzi, oggi, partecipa a cene del genere, non è certo per il menù, o perché non ha vita sociale. (altro…)

  • Per il resto abbiamo tutto. Non ci manca niente.

    Lo dicevo ieri, lo dico oggi: sono d’accordo con Andrea Baldini, coordinatore nazionale dei Giovani Democratici. Certo, andrebbe argomentata l’ultima affermazione sulle “critiche strumentali”, ma per il resto non fa una piega.