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  • Fondi alle ‘paritarie’? La bufala corre sul web

    Fondi alle ‘paritarie’? La bufala corre sul web

    Influencers, giornalisti e blogger volutamente ‘disattenti’ stanno scrivendo che il Pd avrebbe finanziato con 223 milioni le scuole private per i figli delle famiglie ricche. Eppure è vero il contrario: quei soldi finanziano anche i Comuni per tenere aperti i servizi per l’infanzia

    Questo che sto per raccontare è un esempio da manuale. In rete gira una notizia il cui senso può essere riassunto così: il Partito Democratico, in piena crisi economica e con le casse delle scuole vuote, finanzia le scuole private per i figli delle famiglie più ricche.

    Provate a leggere questo testo: è uno dei tanti articoli, che ci hanno segnalato, pescati nel web:

    Titolo: 223 milioni alle scuole private: l’emendamento del PD

    Testo: “Scuole occupate, migliaia di studenti in corteo in tutt’Italia, docenti in mobilitazione. Il mondo della scuola è in movimento, chiede risorse, rilancio della propria funzione sociale e del proprio carattere pubblico, il consenso popolare attorno a queste misure è altissimo. Nonostante ciò il parlamento ha approvato nella notte un emendamento alla legge di stabilità che stanzia 223 milioni di euro per le scuole paritarie: una beffa, che va nella direzione opposta alle proteste di questi giorni.

    Il governo aveva dato parere contrario all’emendamento, che è stato presentato dall’onorevole Simonetta Rubinato del Partito Democratico.

    Entusiasta la parlamentare democratica ha dichiarato: “i relatori hanno accolto il  mio suggerimento di far escludere questa somma dal patto di stabilità, trovando copertura nel fondo per la compensazione degli effetti finanziari, rendendola così effettivamente erogabile. E il governo è stato battuto. Una battaglia vinta a favore delle famiglie e in particolare della rete delle scuole paritarie che fa risparmiare allo Stato ogni anno, solo in Veneto, 500 milioni di euro”.
    Nel frattempo a Roma continua l’occupazione dello studentato di via De Lollis, dato che nel Lazio come nel resto d’Italia mancano le risorse per le borse di studio e gli alloggi per chi ne ha bisogno”.

    Chi legge, ha la conferma definitiva: il Pd finanzia le scuole private. Ma è vero? Come si manipola l’informazione in rete? A volte basta poco, perché se è vero che il web-journalism è democratico e permette a tutti di essere partecipi del dibattito, di condurre un giornalismo d’inchiesta a volte molto più ficcante del giornalismo professionista, è anche vero che la manipolazione e la falsificazione dell’informazione è molto più facile. Controlli inesistenti, verifica delle fonti inesistente, conoscenza della deontologia professionale inesistente, e al tempo stesso sicurezza di farla franca qualsiasi notizia falsa o diffamante si scriva.

    Quel testo è un falso, perché omette consapevolmente di scrivere una frase che spiegherebbe tutto: “scuole 3-6 anni”. Eppure non scrive falsità, perché usa i giusti termini. Ad esempio scrive “scuole”, ma omette di spiegare che non sono le scuole 6-16 anni anni, ma scuole 3-6 anni. Scrive “paritarie”, ma omette di spiegare cosa si intenda per scuole paritarie. E alla fine l’informazione è fuorviante.

    Infatti, il finanziamento votato non riguarda il percorso dell’obbligo scolastico, bensì le scuole dell’infanzia 3-6 anni. Perché per la legge italiana sono ‘scuole’ anche quelle e sono definite ‘paritarie’ tutte le scuole non statali, e quindi anche le scuole comunali; ma questo l’assai poco onesto articolista non lo scrive, non lo spiega, generando così il dubbio, anzi la certezza che quei soldi saranno destinati alle scuole private.
    Invece, la realtà è che quel finanziamento consentirà ai Comuni italiani di tenere aperti servizi educativi indispensabili. Senza quell’emendamento, senza quella restituzioni di soldi agli enti locali, il 40% dei bambini dai 3 ai 6 anni il prossimo anno sarebbe rimasto a casa.

    Spiega Francesca Puglisi, responsabile Scuola della segreteria nazionale PD:“La legge di parità è stata votata da tutto il centrosinistra di governo, dai Comunisti italiani all’Udeur. E’ stata emanata perché in precedenza i fondi alle scuole private venivano erogati senza alcun criterio preordinato.

    Ora possono ricevere fondi dallo Stato solo le scuole che svolgono una funzione di pubblica utilità .
    La gran parte di quei 223 milioni di euro (quasi il 90%) sono utilizzati dal sistema integrato delle scuole dell’infanzia, per garantire a tutti i bambini e le bambine di età compresa tra 3 e 6 anni un posto a scuola. Per la legge di parità, sono paritarie anche le scuole comunali dell’infanzia. Senza quei fondi, dopo i drammatici tagli ai bilanci degli enti locali, dovremmo chiudere le scuole dell’infanzia, lasciando a casa migliaia di bambini e bambine
    ”.

    Del resto basta aprire il sito di Simoetta Rubinato per accorgersi che nel testo giornalistico manca la cosa fondamentale: la spiegazione che quei soldi serviranno ai Comuni per tenere aperti asili e scuole materne.

    Nei giorni scorsi – spiega Simonetta Rubinato sul suo sito- avevo denunciato con forza in Commissione che per come era scritto il comma 17 dell’art. 8 le somme stanziate non erano utilizzabili mettendo a rischio la continuità del servizio pubblico erogato dalle scuole paritarie. Supportata dal parere del Servizio Studi della Camera e dal sostegno bipartisan dei colleghi che si sono uniti alla mia battaglia, avevo ottenuto l’impegno del sottosegretario Gianfranco Polillo a trovare una soluzione alternativa”. 

    Ma la soluzione prospettata nella notte dal Governo non ha convinto l’on. Rubinato: “Iscrivere i 223 milioni nel capitolo del Miur coprendoli con un ulteriore inasprimento del patto di stabilità alle Regioni, che già subiscono nel 2013 un taglio di 2 miliardi di euro, era inaccettabile. Per questo i relatori hanno accolto il mio suggerimento di far escludere questa somma dal Patto di stabilità delle Regioni, trovando copertura nel Fondo per la compensazione degli effetti finanziari, rendendola così effettivamente erogabile. E il Governo è stato battuto“.

    fonte: 


  • La scuola e l’università nella Spending Review

    La scuola e l’università nella Spending Review

    Dalle pagelle scolastiche on line al taglio dei finanziamenti agli enti di ricerca, passando per le tasse universitarie. La Spending review “colpisce” anche scuole, università e ricerca, ma non com’era previsto nelle prime bozze del documento. L’azione “sotterranea” dei sindacati e di singoli gruppi ha addolcito l’amara pillola della revisione della spesa che mira a razionalizzare le risorse dello stato ed evitare il default. Alcune delle misure più dure sono state cancellate o modificate nelle ore successive alla conclusione del consiglio dei ministri di ieri mattina ed ora è possibile fare, con il decreto pubblicato in gazzetta, un primo resoconto di tutti i provvedimenti che riguardano scuola università e ricerca scientifica. Alla fine, il ministro dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca, Francesco Profumo, è riuscito a limitare i danni.

    Scuola. La novità più importante per alunni e famiglie riguarda la pagella e l’iscrizione all’anno scolastico 2013/2014. A decorrere dal prossimo anno scolastico “le iscrizioni alle istituzioni scolastiche statali di ogni ordine e grado per gli anni scolastici successivi avvengono esclusivamente in modalità on line” attraverso un apposito applicativo che il ministero metterà a disposizione delle scuole e delle famiglie. Sempre da settembre, “le istituzioni scolastiche ed educative redigono la pagella degli alunni in formato elettronico”. Addio per sempre, quindi, alla vecchia pagella cartacea. “La pagella elettronica – recita il decreto – ha la medesima validità legale del documento cartaceo ed è resa disponibile per le famiglie sul web o tramite posta elettronica o altra modalità digitale”.

    I genitori che volessero comunque una copia cartacea del documento dovrà farne specifica richiesta alla scuola. Ma il processo di dematerializzazione lanciato dal governo riguarderà anche i docenti e gli alunni. “A decorrere dall’anno scolastico 2012/2013 le istituzioni scolastiche e i docenti adottano registri on line e inviano le comunicazioni agli alunni e alle famiglie in formato elettronico”. Non sarà più possibile per gli alunni somari nascondere i brutti voti e le assenze ai genitori né contraffare la firma in pagella. Per attuare questa mezza rivoluzione, le scuole dovranno organizzarsi “con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. Insomma, niente soldi in più per le scuole per la “rivoluzione on line”.

    Docenti in esubero. Novità in vista anche per i docenti esubero, per quelli permanentemente inidonei per motivi di salute, per i cosiddetti insegnanti tecnico-pratici e per gli insegnanti italiani che insegnano all’estero. Per i docenti che a seguito della riforma Gelmini hanno perso la cattedra ( in esubero) si aprono le porte delle supplenze anche di qualche giorno. In questo modo il governo intende evitare che qualcuno dei 10 mila insegnanti in esubero possa rimenare “disoccupato” ma ugualmente pagato dallo stato. A settembre, i docenti senza cattedra verranno utilizzati, in ambito provinciale, sulle supplenze che sarebbero dovute andare ai precari. Coloro che sono in possesso del titolo di specializzazione su sostegno o che hanno iniziato il percorso di formazione potranno avere accesso anche alle supplenze di sostegno.

    I docenti che per motivi di salute non possono più insegnare saranno “declassati” d’ufficio ad Ata: amministrativi e tecnici di laboratorio. I docenti tecnico-pratici, la cui figura è stata abilita nel 1994, e coloro che sono transitati dagli enti locali allo stato con una qualifica diversa da quelle previste dall’ordinamento statale, “transita (anche questi ultimi d’ufficio) nei ruoli del personale non docente con la qualifica di assistente amministrativo, tecnico o collaboratore scolastico, in base al titolo di studio posseduto”. Inoltre, il contingente del personale docente comandato presso il ministero degli Affari esteri verrà ridotto da 100 a 70 unità e i 1.400 insegnanti italiani in forza nelle scuole italiane all’estero vengono più che dimezzati: passeranno a 624.

    Con queste tre manovre, la scuola italiana avrà più docenti, amministrativi, tecnici e bidelli e potrà evitare di pagare supplenti per la copertura dei corrispondenti posti. Ma non solo. I bilanci delle scuole verranno tenuti sottocchio attraverso una disposizione di cassa che costringerà le scuole a versare presso la Banca d’Italia i propri fondi e a non intrattenere più singoli rapporti con singole banche. E le supplenze brevi – da un giorno a qualche settimana, ma in casi eccezionali anche tutto l’anno – saranno soggette ad un monitoraggio per scovare le “istituzioni che sottoscrivono contratti in misura anormalmente alta in riferimento al numero di posti d’organico dell’istituzione scolastica”.

    Un intervento “pesante” soprattutto quello sui docenti che insegnano all’estero “da sempre importante fattore di presidio della cultura italiana nel mondo”, a parere di Francesco Scrima, leader della Cisl scuola, che “manterrà comunque alta la vigilanza e l’iniziativa nella fase di conversione in legge del decreto, convinta che la concertazione con le parti sociali e le sedi negoziali devono essere fortemente valorizzate se davvero si vuole un’efficace revisione della spesa, e non un’ottusa e ingiusta politica di tagli lineari”. Per la Flc Cgil il decreto sulla spendine review è la solita “mannaia sui servizi pubblici” a carico dei cittadini e del lavoratori.

    Stretta sui compensi ai “vicari”. Infine, stretta anche sui compensi ai vicari dei dirigenti scolastici. Fino a quest’anno, i vicepresidi o i vicari delle scuole elementari e media, per assenze del dirigente scolastico superiori a 15 giorni, percepivano la cosiddetta retribuzione per “mansioni superiori”. E siccome il preside va in ferie in estate per più di due settimane, il compenso scattava per tutti e 10 mila vicari in forza nelle scuole italiane. Ma l’anno prossimo cambia tutto. Al vicario non spetterà più questo compenso, potrà essere remunerato per le sue fatiche aggiuntive soltanto con i soldi del fondo d’istituto. E per le visite fiscali, il ministero ha stanziato 23 milioni di euro che ripartirà alle regioni che non dovranno più chiedere alle scuole il pagamento delle visite di controllo in caso di malattia.

    Università. Anche l’università entra nella Spending review e gli studenti sono sul piede di guerra. Al centro della contesa, quelle università che sforano il tetto massimo di tassazione universitaria a carico degli studenti. Come anticipato da Repubblica alcune settimane fa, le università che sfornano il 20 per cento previsto dalla legge – fra “contribuzione studentesca” e fondo di finanziamento ordinario – sono tantissime – il 59 per cento – e in alcuni casi, come è avvenuto a Pavia, il giudice ha condannato l’ateneo a restituire il maltolto agli studenti. Ma dal prossimo anno le cose cambieranno.

    In futuro, il conteggio della “contribuzione studentesca” sarà effettuato prendendo in considerazione soltanto quello che verseranno gli studenti italiani e comunitari iscritti entro la durata normale dei diversi corsi di studio. Non verranno conteggiate le tasse versate i fuori corso, che oltre ad ammontare al 40 per cento del totale degli iscritti sono quelli che sborsano di più. Ma non solo. Il denominatore del rapporto tasse versate dagli studenti/Fondo di finanziamento ordinario cambierà con il più favorevole “trasferimento statale”, che include altre somme. Per gli studenti si tratta di “una truffa”. Perché limitando il conteggio delle tasse versate ai soli studenti in corso e dilatando il finanziamento complessivo sarà difficile che le università continuino a sforare il 20 per cento. E tutto “ritorna a posto”.

    Le università che dovessero comunque sforare saranno tenute a trasformare gli introiti “non dovuti” in borse di studio. Circostanza che viene definita dagli studenti come una “beffa”. “Una sanzione – spiega Luca Spadon, portavoce nazionale Link – Coordinamento universitario – che sa di beffa e che risulta essere  un ulteriore assist ai rettori per continuare a far pagare agli studenti gli effetti dei tagli operati dalla legge Gelmini e mai ristorati da questo Governo”. Ma almeno il paventato taglio di 200 milioni sul Fondo di finanziamento ordinario è sparito. Ma la nuova norma, secondo gli studenti, “apre ad una pericolosissima liberalizzazione delle tasse e dei contributi universitari, come già in passato richiesto e sostenuto dalla Crui e da alcuni partiti italiani”.

    Per l’Unione degli studenti, che hanno patrocinato decine di ricorsi al Tar per costringere gli atenei a restituire le tasse pagate in più, quello del governo Monti è un “omicidio premeditato dell’università pubblica”. “Siamo il terzo paese per tasse universitarie in Europa – dichiara Michele Orezzi – e nonostante questo il Governo punta a cancellare il limite della tassazione e consentire aumenti sconsiderati dei contributi pagati dagli studenti. La verità è che se fino ad oggi gli studenti potevano fare ricorso per bloccare gli atenei con tassazioni eccessive, ora l’unico vincolo per le università fuori legge sarà quello di destinare dei fondi a qualche borsa di studio, neanche necessariamente per studenti capaci e meritevoli ma privi di mezzi”.

    Assunzioni. E all’università sarà possibile assumere ma con parsimonia. “Per il triennio 2012/2014 il sistema delle università statali, può procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato e di ricercatori a tempo determinato nel limite di un contingente corrispondente ad una spesa pari al venti per cento di quella relativa al corrispondente personale complessivamente cessato dal servizio nell’anno precedente”. Una quota che sale al 50 per cento nel 2015 e al cento per cento nel 2016. Del previsto taglio del trasferimento alle università private non sembra esserci traccia nel decreto, mentre spuntano 90 milioni per il diritto allo studio universitario falcidiato dal governo Berlusconi negli anni precedenti.

    Ricerca. A guardare il testo definitivo del decreto-legge sulla revisione della spesa pubblica c’è da tirare un respiro di sollievo. L’ipotesi di sopprimere una serie di istituti di ricerca è stata al momento scongiurata. L’unico istituto che verrà soppresso è l’Inran (l’Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione). Le sue finzioni saranno assorbite dall’Cra: il Centro per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura. L’Inran fino ad oggi ha svolto “attività di ricerca, informazione e promozione nel campo degli alimenti e della nutrizione ai fini della tutela del consumatore e del miglioramento qualitativo delle produzioni agro-alimentari”, si legge nel sito internet. Ma, se parecchi istituti di ricerca restano in piedi, arrivano tagli – relativi ai soli istituti dipendenti dal ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – per 19 milioni nel 2012 e 102 milioni per il biennio 2013/2014.

    Sarà l’Istituto nazionale di Fisica nucleare (meno 9,1 milioni nel 2012 e 24,4 nel 2013 e nel 2014) il più penalizzato. Segue, nella classifica degli istituti di che contribuiranno di più al risanamento del bilancio dello stato, il Cnr che complessivamente 38 milioni di euro in tre anni. E i tagli ai budget colpiranno tanti istituti: l’Agenzia spaziale italiana, l’Istituto nazionale di astrofisica, l’Ingv – l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia – quello di Oceanografia e geofisica sperimentale e e anche l’Invalsi: l’Istituto nazionale per la valutazione del sistema d’istruzione. In tutto, il taglio sui bilanci dei centri di ricerca – anche quelli dipendenti da altri ministeri – ammonterà a 210 milioni.

    [da Repubblica.it]


  • Il “merito” è sinonimo di tagli

    La riforma sul merito, del ministro Profumo, ha molti aspetti oscuri: nella scuola superiore si vuole premiare il merito attraverso “l’elezione dello ‘studente dell’anno’”, con 30% di sconto sulle tasse del primo anno universitario con, in più, una card per sconti di diverso tipo. Come se non bastasse, premi per i docenti e ricercatori universitari. Le risorse passano dagli studenti ai docenti, già stipendiati. Mi chiedo cosa abbia intenzione di fare il Ministro in merito alle borse di studio ancora non consegnate e alla scarsissima copertura delle stesse, in riferimento al numero di studenti con diritto di borsa di studio. Ognuno faccia il suo dovere. Gli studenti sono il fulcro delle scuole e delle università, le riforme devono toccare i loro interessi, devono migliorare la loro vita studentesca, colpendo gli agenti frenanti e degradanti della stessa – assenteismo, poca professionalità, servizi scadenti, assistenza zero, poca preparazione del personale amministrativo.
    Le domande che mi pongo, inoltre, riguardano casi particolari: come interviene il Ministero, su un ragazzo, con problemi economici – che non gli fanno vivere la vita da studente con armonia e tranquillità necessari per concentarsi sugli studi -, ma soprattutto con dei genitori che superano di pochissimo il reddito minimo per accedere alle borse di studio? Ma non basta: e se a tutto questo aggiungiamo un ragazzo meritevole, ma che non raggiunge di un punto, la media richiesta per accedere al merito? Una riforma deve prevedere tutto, non solo i casi “eccellenti”, considerando che qualcuno di questi potrebbe essere fittizio.


  • L’inutilità degli accorpamenti

    Articolo scritto per “The New Deal” per spiegare la mia opinione sugli accorpamenti, a mio parere INUTILI e CONTROPRODUCENTI.

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    Così come per un uomo, anche per un istituzione, perdere la propria autonomia, significa perdere metà della propria essenza. È quello che sta accadendo a decine e decine di scuole superiori della Regione Puglia, le quali, per ragioni puramente di stampo amministrativo e quantitativo, in merito alla popolazione studentesca dei singoli istituti, rischiano di perdere la cosiddetta “autonomia amministrativa”, che consiste nel garantire alla scuola la presenza di un dirigente scolastico e di una segreteria, funzionali solo per quell’istituto, e quindi un nucleo operativo di dipendenti che lavorano nell’istituto X per l’istituto X, con successive modalità di gestione autonome e la definizione di una istituzione scolastica distinta.

    Con l’accorpamento amministrativo, si ridimensionerà, attraverso un vero e proprio processo di sfoltimento, il settore delle segreterie e degli organi dirigenti, andando a penalizzare tutte le scuole che, per ragioni di numero di studenti, non riescono a mantenere il loro status.

    Obiettivo? Creare poli d’istruzione territoriali, con a capo un dirigente che gestisca diverse sedi contemporaneamente, con l’aiuto di vicari, responsabili, ma incentrando la gestione contabile in un unica direzione amministrativa. Così facendo però, per ragioni puramente burocratiche, si verrebbe a rallentare parecchio l’attività scolastica, creando problemi gestionali di non poca rilevanza.

    Dov’è l’errore? Nel momento della scelta della scuola a cui accorpare un altro istituto, si dovrebbe forse creare una scaletta di affinità tra istituzioni, in modo da garantire non solo una continuità nella qualità, ma anche la capacità, da parte della dirigenza, di essere a conoscenza dei fabbisogni dell’indirizzo acquisito, magari già presente nell’organizzazione precedente. Mi spiego meglio: se l’I.I.S.S. “Tizio e Caio” fagocita l’I.I.S.S. “Pinco Pallino” e il “Pinco Pallino” è un liceo scientifico e, allo stesso tempo, anche il “Tizio e Caio”, il dirigente di quest’ultimo non avrà problemi nel gestire più classi di un indirizzo già esistente e di cui conosce perfettamente le modalità organizzative. Se questo non dovesse accadere, e a prendere il Polo Liceale “Pinco Pallino” fosse l’ITIS “Epsilon”, il quale non ha mai avuto in gestione un indirizzo liceale, potrebbe trovarsi in difficoltà nell’adempiere ad ogni minima responsabilità o comunque non essere in grado di potenziare al massimo i servizi, rendendo quel percorso di studi sterile e privo di attività integrative importanti e soprattutto interessanti. Del tutto sbagliato non è il criterio di vicinanza territoriale, ma il fatto di tralasciare la questione delle affinità d’indirizzo.

    Possibile soluzione? Utilizzare tutti i criteri sopra elencati, ma come unica modalità di scelta. Vicinanza territoriale con, in più, efficienti servizi di collegamento e facendo riferimento inevitabilmente alla natura degli istituzioni scolastiche coinvolte.

    Cosa evitare? Un’altra falla del sistema “accorpamento” è quella di incentrare la segreteria in un’unica sede, magari quella in cui risiede la presidenza, causando spesse volte non poche difficoltà, soprattutto se ad averne bisogno sono istituti lontani o impossibili da raggiungere con facilità. È come se la segreteria lavorasse nella sede “A” del nuovo I.I.S.S. “Tizio e Pallino”, per la sede “A”, “B” e magari anche “C” del nuovo polo scolastico. Occorrerebbe aumentare il personale, ma a quel punto a cosa servirebbe un accorpamento di questo genere.

    Fatto sta che è importante garantire identità e libertà. Partendo dal proprio ambiente di formazione, per poi trasmetterlo ad ogni studente. Incominciando col preservare la storia di una cittadina, con i suoi ambienti e le sue scuole.


  • Quella facoltà di giurisprudenza…

    Ricevo e pubblico una lettera di sfogo di Oriana De Palma, studentessa della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Bari.

    “Sogno la laurea non tanto per raggiungere un obiettivo, quanto per uscire dall’inferno.”

     

    Sono iscritta alla facoltà di giurisprudenza di Bari da cinque anni e i miei ricordi positivi sono ben pochi, salvo quelle eccezioni che di solito confermano la regola.

     

    La mia denuncia è forte, la mia delusione ancora più forte: credo nella mia facoltà, l’ho scelta perché sono una ragazza che ama la giustizia e la legalità. Penso che se frequentata per bene possa dare tutti gli strumenti non solo per conoscere il mondo in cui viviamo, ma anche per migliorarlo. Ecco perché ogni giorno, da cinque anni, da pendolare, frequento assiduamente tutte le lezioni, sono in regola con gli esami e ho una media alta.  Ed ecco perché la mia rabbia tocca livelli altissimi quando proprio nella facoltà in cui questi valori dovrebbero trionfare, essi vengono del tutto affossati.

     

    Tanti, troppi sono gli episodi che ho vissuto in questi cinque anni, tante le ingiustizie che ho dovuto subire, tanta la maleducazione ed arroganza che ho dovuto sopportare.

     

    Citando solo alcuni di questi episodi, potrei raccontare dei professori che fumano in aula durante le lezioni, degli studenti derubati delle loro cose mentre sostengono gli esami senza che ci sia nessuno ad evitarlo, della prenotazione degli esami ancora in modo cartaceo, dei docenti fantasma che delegano interi corsi ad assistenti molto spesso incompetenti ma con cognomi rinomati. Per non parlare delle volte in cui bisogna sostenere esami avendo davanti esaminatori troppo concentrati a parlare al telefono per ascoltare il candidato, le volte in cui sbagliano a trascrivere il voto d’esame sul verbale (e alle volte dimenticando proprio di farlo, così da essere costretti a ripeterlo)e le volte in cui si è costretti ad andare nello studio legale del professore a cui si è chiesta la tesi per avere informazioni sulla stessa perché quest’ultimo non è mai presente agli orari di ricevimento.

     

    Il culmine poi quando, dopo estenuanti attese per sostenere un esame (che arrivano anche a 10 ore rigorosamente senza pausa pranzo) nell’attesa della professoressa esaminatrice, in un’aula senza aria condizionata in piena estate, ci si ritrova a sostenere l’esame con un altro docente, di cattedra diversa ma padre della professoressa fantasma, che esamina i candidati sfogliando i nostri stessi appunti perché ovviamente ignaro del programma del corso.

     

    Ma si può chiamare questa “università”? Solo meno della metà dei professori che ho avuto in questi cinque anni posso davvero reputarli tali, la maggior parte non hanno mai mostrato (quando si degnavano di presentarsi a lezione) un minimo di interesse nell’insegnamento; alle volte ho sentito il peso del sacrificio cui erano sottoposti nel venire a farci lezione, come se ci facessero un favore.

     

    Per non parlare poi dei dipendenti di dipartimento, delle segreterie e della presidenza: al di là di quei pochi che lavorano con grandissima serietà e competenza, non ho quasi mai trovato impiegati disponibili, che sapessero darmi le informazioni che cercavo, per non parlare della loro arroganza e assoluta maleducazione.

     

    Insomma, a parte le piacevolissime eccezioni, che come già detto prima, purtroppo non fanno altro che confermare la regola, nella facoltà della dea della giustizia, di “giusto” c’è ben poco.

     

    La mia indignazione e la mia rabbia poi crescono in maniera esponenziale vivendo questi episodi, quando ricordo a me stessa che ero tra quei tantissimi studenti che fortemente difendevano e difendono tutt’ora a spada tratta l’istruzione pubblica da quelle riforme che togliendo ossigeno pian piano alla scuola pubblica non fanno altro che incentivare le iscrizioni a quelle private.

     

    Quasi mi son pentita di essermi schierata per la scuola pubblica. Mi chiedo cosa ne sarebbe di tutte quelle persone che in quella facoltà non sanno/non vogliono lavorare se fossero state dipendenti di un’azienda privata. Mi chiedo se non sarebbero già state licenziate, o almeno se avrebbero ricevuto una sanzione disciplinare dal capo.

     

    Mi chiedo se tutte queste persone, professori e impiegati, si rendano conto che con il loro comportamento non fanno altro che prestare il fianco a chi vuole distruggere l’istruzione pubblica. Con i tagli a quest’ultima ovviamente i servizi che le scuole pubbliche potranno offrire saranno più scadenti di quelli delle private: chi ci lavora dovrebbe far di tutto, con le risorse a propria disposizione, per garantire servizi di livello il più possibile pari rispetto a quelli delle private, almeno dal punto di vista dell’efficienza e responsabilità, della serietà e dell’onestà e perché no, alle volte anche semplicemente lavorando con il sorriso sulle labbra e con la massima disponibilità, se le finanze non offrono di più.

     

    Io credo fortemente nell’istruzione pubblica, voglio credere fortemente nel diritto di tutti a vedersi garantita un’istruzione pubblica. Mi domando però, se la lotta che molti studenti e ricercatori, me compresa, stanno facendo da un anno a questa parte la condividono anche coloro che in quelle strutture ci lavorano. Mi domando se c’è troppo garantismo e se ci sono troppe poche sanzioni nel servizio pubblico. Mi chiedo anche però, se sia giusto che tutto debba ridursi alla paura della sanzione, o se si può ancora far appello al buon senso dei lavoratori. La mia è una speranza.

     

    Nel frattempo non vedo l’ora di laurearmi. Per lo meno per scappare dall’inferno dell’università, prima di cadere in quello del mondo del lavoro.