Sabato scorso, al Teatro Piccolo Eliseo, a Roma, un’assemblea autoconvocata di under35 ha accesso i riflettori sul Partito Democratico. Cento Fiori. Qui il Manifesto.
Eravamo diverse centinaia ad affollare la sala e sul palco si sono succeduti interventi di grande interesse e autenticità. La stessa autenticità che caratterizza l’impegno politico di chiunque sia intervenuto sul palco e non, di chiunque era lì a condividere quelle ore dal grande valore politico. Sabato, ho rivisto una comunità mettersi in discussione. E mi è piaciuto tantissimo.
Cento Fiori non è una piattaforma congressuale con l’obiettivo di proporre un’alternativa al congresso del PD, ormai alle porte. È un progetto intergenerazionale ad opera di una generazione, perché guarda agli interessi di tutti e non solo di chi vuole impegnarsi. Volendo usare le parole di Jacopo Scandella – consigliere regionale PD della Lombardia, 29 anni – senza un futuro per le giovani generazioni, non c’è futuro per nessuno.
Vogliamo che la nostra politica, quella del PD, sia incentrata sulle esigenze dei più deboli, riparta dagli iscritti e dia loro la dignità di chi milita con orgoglio nel partito, attraverso l’esercizio del voto per le scelte importanti con il referendum degli iscritti. Vogliamo che i territori siano il motore pulsante del PD, abbandonando ogni direzione centripeta dei processi decisionali. Vogliamo che si riparta da un concetto di Europa incentrato sulle persone, che sia giovane e che guardi al futuro, non basata esclusivamente sull’economia ma anche e soprattutto sulla politica.
Prima di andare oltre, vi comunico che su Radio Radicale c’è il video di tutta l’assemblea, intervento per intervento. Tra questi c’è anche il mio.
Nei miei 5 minuti, ho provato a lanciare un messaggio semplice, con l’obiettivo di porre un piccolo mattoncino ad una discussione che ero certo (e così è stato) avrebbe dato i suoi frutti, una volta tirate le somme.
Identità e coraggio. Queste sono le due parole che ho scelto per sintetizzare il mio messaggio.
Identità. A noi manca. Manca non solo come risultato di chiare posizioni assunte nel tempo, ma come processo. Non abbiamo chiaro il metodo per darcene una. Una che sia di sintesi ma che sia forte e abbia anche la forza di sbilanciarsi nelle scelte. Che sia capace di essere di parte e non nel mezzo.
Un’identità che non sia frutto di una frettolosa imitazione di altri. Non bisogna rincorrere modelli politici provenienti da altre parti del mondo, come fossero il Sacro Graal. Lo dico non perché non si debba essere parte di un processo globale, anzi, credo nella globalità della politica, sono uno strenuo sostenitore della parola d’ordine “pensare globale, agire locale”. Serve, tuttavia, darsi un volto proprio anziché provare ad indossare la maschera di qualcun’altro. In Italia si è cercato, dapprima, l’”Obama italiano”, il “Macron italiano”, poi il “Corbyn italiano”, il “Pablo Iglesias del Bel Paese”, il “Sanders dall’accento romagnolo” ed ora i “Beto O’Rourke e Ocasio-Cortez nostrani”. Un problema che affligge non solo il PD ma tutto il centrosinistra. Da anni.
Fermiamoci un attimo e ragioniamo. È davvero questo il modo con il quale vogliamo proseguire? Se così sarà, allora è giusto dirci che non andremo da nessuna parte. Sono i processi che vanno studiati, soprattutto le dinamiche che coinvolgono e sconvolgono gli altri Paesi del mondo. È questo che può aiutare il Partito Democratico a farsi attore protagonista della scena globale della politica progressista e socialista.
Più che trovare la nostra Ocasio-Cortez, proviamo a comprendere se il PD sia ancora un partito in grado di portare in Parlamento una giovane donna di 29 anni che ha lavorato come barista per pagarsi gli studi universitari. Capiamo se il nostro partito abbia ancora il coraggio di dare rappresentanza vera a una generazione che si spacca la schiena dalla mattina alla sera per darsi un futuro e per non gravare sulle spalle dei propri genitori. Di giovani così ce ne sono tanti e molti svolgono anche un ruolo attivo nel PD.
Se Beto O’Rourke fosse stato italiano e avesse avuto intenzione di candidarsi come senatore del PD, quante probabilità avrebbe avuto di essere ascoltato da chi compone le liste e di poter ricevere il sostegno del suo partito? Quanti avrebbero cercato di ostacolare la sua corsa perché troppo “fuori dagli schemi”? Sarà interessante scoprire quanta coerenza ci sarà con tale entusiasmo nella composizione delle liste per le Elezioni europee di maggio 2019.
Serve una genuina forma di impegno politico che guardi alla comunità del PD come mezzo e non come fine. Prima dell’interesse personale c’è quello della comunità politica a cui si appartiene e ancor prima c’è quello del Paese. Se vogliamo strappare la guida dell’Italia a chi diffonde paura, violenza e genera divisione, dovremmo noi, prima di chiunque altro, non avere paura di schierarci, non generare violenza e divisione sociale con le nostre parole.
Posso dire che schernire Di Maio per il suo passato da steward al San Paolo è uno schiaffo a quelle persone che lavorano nei bar (ecco che torna la Ocasio-Cortez) e nei call center, pur di difendere la propria dignità? Posso dire che le magliette dei senatori del PD con “DL Salvini. Meno sicurezza. Più clandestini.” sono state un pugno nello stomaco a chi lotta con ogni fibra del proprio essere contro il razzismo? Posso dirlo?
Ecco perché il lavoro è lungo e faticoso. Ma bisogna pur iniziare. Ecco perché credo che gli unici a potersene fare carico sono proprio gli under35. Non perché siamo meglio degli altri, ma semplicemente perché quello che sarà ci appartiene più che agli altri e siamo stanchi di avere sempre la testa al futuro, dimenticandoci del presente.
Cento Fiori sono sbocciati. Nessuno fermi la Primavera.