Tag: germania

  • burki-schengen

    Dopo gli ultimi attentati di Parigi, alla sede di Charlie Hebdo e ad un supermercato nel quartiere ebraico della capitale francese, la politica europea si interroga su quali possano essere le misure da adottare per rafforzare la sicurezza nel Vecchio Continente e soprattutto nei paesi membri dell’Ue.

    Marine Le Pen, leader del Fronte Nazionale francese, assieme ad altri esponenti dei partiti nazionalisti d’Europa, puntano il dito contro l’accordo di Schengen, siglato nel 1985 a Schengen (Lussemburgo), per l’appunto, inizialmente solo da Francia, Belgio, Lussemburgo, Germania, Paesi Bassi e Principato di Monaco.
    Dopo un’evoluzione e assestamento dell’accordo e delle modalità di attuazione, che vede come punto di arrivo/partenza il 19 giugno 1990 (con la firma degli stessi Stati iniziali, più altri) e l’entrata in vigore nel 1995, ha visto nel corso del tempo l’adesione di tutti gli altri Paesi membri (l’Italia ha aderito nel 1990, con entrata in vigore nel 1995) con, tuttavia, due grandi assenti – il Regno Unito e l’Irlanda, che hanno mantenuto il controllo di frontiera.

    Quali sono gli obiettivi di tale accordo?

    • Abolizione dei controlli sistematici delle persone alle frontiere interne dello spazio Schengen.
    • Rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne dello spazio Schengen;
    • Collaborazione delle forze di polizia e possibilità per esse di intervenire in alcuni casi anche oltre i propri confini (per esempio durante gli inseguimenti di malavitosi);
    • Coordinamento degli stati nella lotta alla criminalità organizzata di rilevanza internazionale (per esempio mafia, traffico d’armi, droga, immigrazione clandestina);
    • Il rafforzamento della cooperazione giudiziaria mediante un sistema di estradizione più rapido e una migliore trasmissione dell’esecuzione delle sentenze penali;
    • Integrazione delle banche dati delle forze di polizia (il Sistema di informazione Schengen, detto anche SIS).

    Insomma, l’accordo di Schengen è simbolo dell’integrazione europea, abbattimento delle frontiere interne e sostegno alla libera circolazione dei cittadini in tutto il territorio dell’Unione europea. Eliminarlo o rivederlo significherebbe gettare nella spazzatura il progetto di una Europa unita e libera, lasciando in piedi solo l’economia comune che, a dirla tutta, è ben poca cosa rispetto a quello che immaginarono i Padri e le Madri fondatori. Come lo stesso Manifesto di Ventotene testimonia.

    Rivedere Schengen significa, per essere schietti, far vincere i fondamentalismi, quelle ideologie che vedono nel progetto europeo un muro invalicabile tra la pace e la guerra tra popoli tanto voluta.

  • Da che parte sta l’Italia? Il nostro Paese non ha un piano energetico ben definito e non lo si può biasimare, visto che neanche l’UE conosce una linea comune sulla produzione e consumo di energia. Il Regno Unito si accinge a ritornare al nucleare, per combattere il surriscaldamento globale (perchè lo ritengono il modo meno costoso per ridurre le emissioni) e dall’altro la svolta della Merkel che, tempo fa, annunciò l’abbandono definitivo del nucleare da parte della Germania.

    L’Italia ha preso una decisione chiara, dovuta all’ultimo referendum abrogativo che ha sancito il no degli italiani al nucleare, ma, come sempre, la classe politica non ha contatto con i cittadini ed è una mina vagante, anche sul piano energetico.

  • Mi dispiace molto per il dibattito che si sta instaurando a seguito della riconferma di Angela Merkel alla guida della Germania.

    Mi dispiace perchè quello che ne sta uscendo è un quadro europeo debole, molto lontano, lontanissimo, dal progetto di politica comune, di elezione diretta del Presidente del Consiglio Europeo e degli altri organi dirigenziali di Bruxelles. La Merkel dovrebbe essere ridimensionata al suo ruolo di Cancelliere tedesco e non di guida dell’Unione Europea.

    Ve lo ricordo ancora una volta: fino a quando immagineremo (o sopporteremo) un’Ue sotto l’influenza massima dell’asse franco-tedesco o, come accade tutt’ora, della decisione unilaterale della Germania, non andremo da nessuna parte.

    Sia ben chiaro anche che non è di certo un pensiero anti-germania il mio, contro l’egemonia tedesca, la stessa di cui tanto ha parlato Berlusconi. Più che altro perchè lui ne parlava per nascondere o addossare ad altri le sue colpe di incapace, io penso ad una Europa faro degli Stati membri, un Europa locomotiva e non mera carrozza trainata da interessi degli Stati più forti (economicamente).

    Sarà un’utopia? Di certo, senza questo orizzonte, l’Europa per me non ha senso. Gli scopi economici dovrebbero venire dopo quelli politici e sociali.

    Prost!

  • Giorgio Napolitano si è dimostrato un uomo all’altezza della situazione come, del resto, dal primo giorno del suo incarico, ma con l’ammonizione a Schaeuble (leader del SPD tedesco) ha lanciato un messaggio chiaro: rispetto del voto, della scelta popolare, specchio del disagio politico in cui riversa l’Italia ma che non può essere oggetto di critica da chi è al di fuori della politica nazionale e che agisce per soddisfare i propri interessi. Se pur la mia coscienza si appaga nel vedere Berlusconi e Grillo criticati per quello che sono, per quello che dimostrano con le loro parole, credo sia più che evidente la legittimità del voto.
    Un grazie a Giorgio Napolitano per quanto ha fatto fin’ora, per aver traghettato il Paese in uno dei momenti più difficili della nostra storia.

  • 5 Paesi europei bloccano, ancora una volta, i finanziamenti per coprire le spese dell’Erasmus (90 milioni fino alla fine del 2012). Il progetto nato nel 1987 è in fin di vita.

    Germania, Gran Bretagna, Svezia, Olanda e Finlandia hanno deciso di sputare sul piatto dove hanno mangiato. I “friends of better spending“, così vogliono essere chiamati, hanno compromesso, ancora una volta, le sorti del Progetto Erasmus.

    Merkel, Cameron e compagnia non hanno intenzione di rendere l’Europa degna di essere considerata una comunità culturale, ancor prima che economica, ma questo a loro poco importa, figli della seconda metà del ‘900, coccolati dalla pace e dallo stallo dell’opinione pubblica, assopita dall’informazione deviata, censurata e da uno scarso interesse alla Cosa Pubblica da parte dei molti, a favore dei pochi, sempre e comunque loro, i pochi. Pochi non solo nel numero ma anche nel modo di pensare, direi pochezza, che avvolge i leader dei Paesi sopra citati, oggi agli “onori” della cronaca per aver, prima, messo in pericolo i fondi europei destinati alla ricostruzione post-terremoto dell’Emilia e per poi aver, nuovamente, fatto  scattare l’allarme per l’Erasmus, progetto europeo che coinvolge ogni anno centinaia di migliaia di studenti universitari che puntano, con grande interesse e passione, a costruire una propria visione europea, base fondamentale per un progetto, quello dell’Europa che, vista con gli occhi dei suoi padri fondatori, Konrad Adenauer, Robert Shumann e Alcide De Gasperi, tutto doveva essere, tranne che un mero mezzo di gestione finanziaria.

    L’Europa non la farà questa generazione, l’Europa non la farà chi ha vissuto nella bambagia dei privilegi e del “tutto va bene”. Il putrido sentimento verso gli altri Paesi europei, che muove i capi di governo della Germania, Gran Bretagna, Svezia, Olanda e Finlandia è sinonimo di come la macchina sia pronta (l’Europa), ma i piloti siano demotivati e si siano trovati lì per caso. L’Europa sarà ultimata quando la generazione Erasmus prenderà il posto dell’attuale classe dirigente, ad ogni livello e in ogni stato membro.

    Solo chi cresce, vive e vuole mescolarsi con le culture europee può realmente comprendere quale possa essere l’importanza di un continente ormai unificato dagli intenti, dalla cultura e dal modo di intendere le politiche fondamentali.

    Europa non è sinonimo di BCE, Austerity e altri termini economico-finanziari, Europa è molto altro.

    Ovviamente da loro non si può pretendere tanto, sono pur sempre complici del decadimento politico e sociale dell’intero pianeta.

    [divider3 text=”Parlano di Erasmus anche su”] [column size=”1-4″]
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  • Sale lo spread a 520 punti e a sorbirne le conseguenze non sono solo i mercati. Ritornando su un tema già trattato in precedenza, il Governo Monti, governo di accademici, ha pensato “bene” di scuotere un pochettino le tasche delle università, ma ancora di più, quelle degli studenti.
    Il Professore (da non confondere con Prodi), europeista e reduce da incarichi di alto livello nell’UE, di internazionalizzare il sistema scolastico e universitario proprio non ne vuole sentir parlare. Per fare un esempio incisivo, mi viene da analizzare la situazione dei dottori di ricerca del nostro Paese: l’ex-ministro Gelmini, appena insediata, firmo un decreto che aumentò le borse per i ricercatori da 800€ a 1000€, non di certo per mano sua, ma grazie all’idea del precedente Ministro dell’Università e della ricerca Mussi, dell’ultimo Governo Prodi. Fu l’ultimo provvedimento positivo per la categoria, infatti subito dopo, con la Riforma Gelmini, una nube densa di tagli si abbattette su scuola, università e ricerca. L’Italia si allontanava sempre più dal resto d’Europa.
    Oggi, la Comunità Europea è sinonimo di spread, btp, bund e eurobond, ma nulla e nessuno dirige l’attenzione verso una equa trasformazione degli apparati dello Stato in dinamici e sempre più simili servizi alla cittadinanza.
    Non dobbiamo andare lontano, per avere esempi lungimiranti e molto attenti alle esigenze dei cittadini: la Francia è il paese dove si pagano tasse universitarie più basse – circa 300€ -, ma i dottorati di ricerca vengono salvaguardati con assegni che partono da 1600€ fino ad arrivare a 1900€ se accanto all’attività di ricercatore, vengono inserite attività didattiche comunque non superiori a 96 ore. MA ciò che rende effettivo questo sistema di distribuzione dei finanziamenti in base alle vere esigenze dei destinatari, sono i “comitè de pilotage“, veri e propri organi decisionali di dipartimento, con un rappresentante dei ricercatori con voce in capitolo per le spese inerenti il suo ambito, oltre che per la creazione di progetti. Isola irraggiungibile per l’Italia? Nulla è impossibile, pensando anche alla creazione di dipartimenti, grazie alla 240/2010, meglio nota come “Legge Gelmini”.
    Ma tornando sulle tasse universitarie, la liberalizzazione delle stesse ci viene insegnata dalla Germania che lascia ai Länder la possibilità di gestire tasse, ovviamente in cambio di servizi migliori.
    Qual’è la via migliore per internazionalizzare l’Università? Il post-laurea deve essere, ovviamente, il “cavillo” principale da sbrigare, ma la “formazione non tradizionale”, ovvero Erasmus, Progetti Leonardo, per citarne due, devono essere considerati come tasselli fondamentali per la nuova classe dirigente, con una maggiore visione del mondo e soprattutto capace di confrontarsi e di essere competitivi in Europa e nel resto del Pianeta.
    La sfida è dura, molto complesse, ma un’Università sempre più europea è necessaria, per il bene del nostro Paese, così come è necessaria una vera e ben strutturata cittadinanza studentesca, che garantisca diritti e servizi ai soggetti in formazione.