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  • Le vacanze, come ogni anno, offrono del tempo prezioso per ritrovare se stessi e per riflettere su quello che sarà e su quello che si è fatto fino ad ora. Uno strumento molto utile, a tal proposito, è senza dubbio il libro.

    Ho appena finito di leggere un libro tratto da una conferenza di Max Weber, tenuta all’Università di Monaco nel 1919: La politica come professione. È un testo che consiglio di leggere, non per una banale tendenza a leggere tutto ciò che ha nel titolo la parola “politica”, ma perché è illuminante e dire che mi sono ritrovato nelle parole utilizzate da Weber è dire poco.

    C’è sempre qualcosa che ti rimane più impressa, rispetto ad altri concetti e ad altri aspetti del pensiero weberiano di questa conferenza. A me ha colpito lo sdoppiamento dell’etica in due tipologie: l’etica dei principi e l’etica della responsabilità.

    Banalmente, l’etica dei principi è incarnata da chi lotta e agisce mosso dai soli principi che ritiene di custodire e voler concretizzare con le proprie azioni. Il soggetto che rispecchia tale descrizione è colui che, oltremodo, ritiene stupidi e ignoranti tutti coloro che la pensano diversamente da lui, che non hanno i suoi stessi principi e non sono mossi dallo stesso fervore. Oggi individuare tali soggetti non è per niente difficile, ma ci tornerò in un secondo momento.

    L’etica della responsabilità, invece, è l’opposto di quella dei principi, se presa isolatamente: agire secondo responsabilità significa burocratizzare l’azione, renderla risultato di effetti concatenati, sviluppati a tavolino, strettamente legati ai loro effetti nella realtà. Agire secondo l’etica della responsabilità, oggi, significa approntare una mera azione amministrativa: per raggiungere l’obiettivo x devo fare e z; per poter fare y devo ottenere ab c. Di questo modello di azione, a mio modo di vedere, ne è intrisa la classe politica attuale, classe di funzionari e burocrati della politica, ma non di politici di professione.

    Per Weber, il politico di professione – quello vero – è colui che agisce sia secondo l’etica dei principi e sia secondo l’etica della responsabilità. Un sistema a due che offre, non soltanto, una capacità di lettura del mondo completa, ma le stesse etiche offrono al politico di svincolarsi dal mero corso della Storia e farsi Storia.

    Oggi chi agisce secondo l’etica dei principi? E chi secondo quella della responsabilità? C’è qualcuno che rappresenta l’unione di entrambe? Chiaramente, al mondo, come in Italia, esistono tutti e tre gli esempi, ma dovendo individuare quale categoria oggi detenga il potere, la difficoltà nel farlo è pari a zero: oggi il potere è animato dall’etica della responsabilità. La classe politica è composta da funzionari e burocrati della politica, da quelli che Weber chiama anche imprenditori della politica, cioè coloro che credono di gestire un partito o una Nazione come un’azienda. L’agire della classe politica è assimilabile al concetto di semplice amministrazione, di mera gestione delle cose, ordinata o meno che sia. Questo metodo è sbagliato, come sbagliato è l’altro, basato sull’etica dei principi. Perché sono sbagliati entrambi? Perché una sola etica non porta da nessuna parte.

    Ma se abbiamo individuato coloro che agiscono secondo l’etica della responsabilità, chi agisce secondo l’etica dei principi? Tutti coloro che definiremmo tifosi della politica. Ovviamente Weber non parla di tifo, ma osserva come chi è mosso da tale etica è munito da paraocchi, da una taratura culturale fittizia che impedisce ogni tipo di confronto, ogni tipo di scambio di idee. Chi la pensa diversamente da lui è il responsabile del male del mondo ed è uno stupido che merita di soffrire nel male da lui stesso provocato.
    Fare due più due e subito l’associazione di idee giunge ad un risultato lampante: oggi chi agisce secondo l’etica dei principi (e basta) è colui che trova nomignoli offensivi a chi non è dalla sua stessa parte; è colui che al confronto sostituisce l’offesa personale e sociale; è colui che, trovandosi in una situazione che non rispecchia i suoi principi, preferisce scappare e non combattere per cambiarla.

    In tutto questo, chi, invece, rappresenta l’unione delle due etiche? Oggi chi incarna l’etica dei principi e l’etica della responsabilità, insieme, è colui che vive la politica come un servizio civile permamente, ponendo la prospettiva al centro del suo pensiero politico. Oggi agisce con tale metodo chi guarda oltre l’utilitarismo, chi offre una prospettiva lungimirante, frutto di un sogno moderno, di un sentirsi parte del mondo. Oggi essere “bi-etico”, per dirla con una metafora, significa immaginare il mattone ideale e come costruirci una casa, e non meramente immaginare il mattone perfetto né, tantomeno, immaginare solamente come prendere un mattone e unirlo ad un altro con del cemento. Probabilmente l’esempio è un po’ tortuoso, ma, dal mio punto di vista, rende l’idea.

    Oggi abbiamo paura a definirci politici di professione, perché la politica si è trasformata in un semplice insieme di privilegi e, quindi, il politico di professione viene visto come colui che di lavoro fa il “privilegiato”. Ma non confondiamo la politica come professione con i diversi ruoli che un politico può occupare. Il ruolo non fa il politico e viceversa. Si fa politica ogni giorno, indipendentemente dal ruolo ricoperto o dalla posizione nella società. Chiaramente, c’è chi sviluppa il proprio pensiero politico una volta all’anno (in media) – durante le elezioni, nella scelta del candidato da votare – e chi, invece, fa della politica la propria vita e del proprio pensiero politico il suo pane quotidiano e il perno su cui ruota il proprio agire. Non dobbiamo disprezzare né l’uno e né l’altro modo di intendere la politica – sono il risultato del libero arbitrio dell’uomo e del destino – chi di noi ha scelto la propria vocazione?. Il rispetto è cosa fondamentale per gettare le fondamenta di una società che spiani la strada al corso naturale delle cose e, magari, alla nascita di una classe politica “bi-etica” e non più “mono-etica”.

  • Ho avuto modo di parlare con una ragazza canadese, per quanto il mio inglese mi abbia permesso di farlo, e sono venuto a conoscenza degli argomenti che trattano nella loro scuola, di ciò che si discute in una scuola americana: in un Paese dove la democrazia è all’ordine del giorno, si studia un altro Paese dove la democrazia è un sogno e il buon gusto è precario quanto lo sono milioni di lavoratori. Prossimo compito in classe? “Confronta il Governo Canadese da quello Italiano e spiega, secondo te, perchè Berlusconi è libero di fare tutto quello che vuole”. Penso che le parole della traccia lasciano poco spazio ai commenti. Lo dicevano i padri della Filosofia Occidentale, come Aristotele: “l’uomo è un animale politico” e possiamo dire che l’uomo cerca di rinunciare alla sofferenza della solitudine, attraverso la creazione e lo sviluppo strutturale della società. Ma se la società perde il suo fine principale, che senso ha la sua esistenza? Ma l’ipocrisia, mista alla follia che sta portando il Premier ha lasciare dichiarazioni e a sbandierare sentimenti obliqui su un modo di essere, un punto di vista o nelle peggiori delle volte starnazzando attacchi contro gli omosessuali e la scuola pubblica del Paese di cui si è Presidente del Consiglio. Ma la domanda da un milione di dollari è proprio questa: è mai possibile che alla vista di un panorama completamente compatto contro provvedimenti e modi di riformulazione dell’ordinamento statale, marcate da un colore politico, quello della maggioranza, uno non pensi che di sbagliato c’è solo lui?

    In questi giorni pare che il PDL abbia ormai deciso la sua linea politica: bombardamento ad oltranza con provvedimenti scandalo e proposte schifo, pur di salvare B. dalla legge, quella legge che se vede un “comunista” come protagonista, diventa il pilastro centrale dello Stato di Diritto sognato dal centro-destra berlusconiano. Quanto continuerà ancora questa farsa? Quanto saremo ancora costretti a distogliere gli occhi dai problemi del Paese, tipo la disoccupazione giovanile che continua a crescere, e pensare alle parole di Berlusconi, del Presidente del Consiglio, del nostro rappresentante ufficiale (purtroppo) all’estero? Vorrei che nelle Università si parlasse di ricerca e di sviluppo, di progetti sulla crescita in campo tecnologico, sociale, politico, culturale, economico, giuridico e non dover vedere gli universitari, ogni giorno, tramortiti nel vedere il proprio futuro spazzato via e di essere considerati dei vasi vuoti in cui inculcare pensieri e nessi logici, frutto di un elaborato modo di comprendere la crescita inviduale da parte delle vecchie generazioni, vecchie e marcie generazioni.

    Puntiamo al cambiamento. Se è l’aria frizzante del Mediterraneo ad essere portatore di democrazia, allora respiriamola e nelle nostre menti avviamo la rivoluzione più piccola del mondo ma con un’importanza così grande, da essere l’artefice di un nuovo passo.

    W l’Italia.