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  • Salviamo il miracolo europeo

    Salviamo il miracolo europeo

    La crisi dell’euro non deve farci dimenticare gli straordinari risultati ottenuti dall’Ue, come la pacificazione e lo sviluppo dell’Europa centro-orientale. Un esempio che dovrebbe ridarci fiducia nei cittadini e nella democrazia. Estratti.

    L’estate scorsa abbiamo attraversato le regioni orientali dell’Ue, da Vilnius a Bialystok, per poi seguire la frontiera in direzione di Bielorussia e Ucraina, ammirando le splendide piazze delle piccole città della Slovacchia orientale,  e dirigerci infine verso la Romania.

    È stato meraviglioso. Avevo già visitato in passato molte di quelle città e di quelle regioni, ma l’avevo fatto subito dopo la caduta del comunismo, avvenuta quasi venti anni fa. Davanti ai miei occhi, invece,  si è palesato  un autentico  miracolo sociale, economico e politico. I cambiamenti intercorsi sono equiparabili soltanto a quelli vissuti dall’Europa occidentale negli  anni compresi tra il 1945 e il 1970. Ma se la ripresa nell’Europa dell’ovest dipese dagli Usa, quella dell’Europa dell’est si deve soltanto alle forze dell’Ue.

    Mentre eravamo in viaggio continuavano ad arrivare notizie da Parigi, Bruxelles e Berlino di ulteriori meeting d’emergenza per salvare l’euro. Ma nelle calde serate trascorse nella piazza di Prešov, la crisi ci pareva lontana, parte di tutt’altro contesto. Per comprendere appieno quanto stava accadendo, avevo bisogno di spostarmi con la mente fino agli estremi confini geografici dell’Unione.

    L’oscurità europea si è fatta paralizzante. Chi capisce più in che direzione si sta orientando la politica, o dove sta andando l’Ue? Tutte le decisioni politiche più importanti ormai si prendono a porte chiuse. La crisi dell’euro sta portando inevitabilmente alla questione dell’Europa e della democrazia.

    C’è qualcuno che riesca ancora a non andare col pensiero al periodo antecedente allo scoppio della guerra del 1914? Nessuno capì il perché di una guerra, nessuno la volle, ma nessuno fece in modo da mettere in disparte il prestigio nazionale per scongiurarla.

    Adesso pare che si stia ripetendo uno schema assai simile nella partita sull’euro. Tutte le volte che il Parlamento europeo e la Commissione europea propongono una politica improntata alla responsabilità comune – gli eurobond, tanto per fare un esempio – i capi di governo le bocciano. I paesi più fortunati come Germania, Finlandia e Svezia badano ai propri interessi con un atteggiamento di auto-illusione conservatrice. Così facendo, però, spingono il continente e loro stessi verso l’abisso.

    Il nostro viaggio estivo si è trasformato in un pellegrinaggio europeo. Abbiamo visitato le zone periferiche delle grandi regioni che lo storico Timothy Snyder ha definito i “killing field” europei, il cuore geografico dei genocidi nazisti e comunisti dove tra il 1933 e il 1944 furono sterminati dodici milioni di esseri umani.

    È stato un viaggio che ci è servito a ricordare che il progetto europeo non è nato da un ingenuo ottimismo, bensì dalla paura di quello che il continente era diventato. Osservando i turisti gremire le sinagoghe vuote di Praga, Cracovia e altre città, ci si rende conto che l’autoconsapevolezza europea – che ha le sue premesse nella drammaticità degli eventi storici – sta iniziando ad assumere una sua forma più definita. Visitando Auschwitz si diventa europei.

    Per vent’anni l’Ue è stata tormentata da un’evidente crisi di legittimità. Da quando la Danimarca ha respinto il trattato di Maastricht nel 1992, la semplice  idea di un cambiamento ha ispirato richieste di nuovi referendum.  E il “non” e il “nee” dati rispettivamente da Francia e Paesi Bassi al referendum del 2005 sulla Costituzione europea sono stati quanto mai preoccupanti.

    Le élite politiche hanno sempre considerato le richieste di referendum come una maledizione. Invece farebbero bene a vederli come svolte significative per il progetto europeo. In definitiva,  la popolazione europea vuole poter dire la sua sulle questioni importanti che la riguardano. L’impegno profuso ha dimostrato che il dibattito politico in Europa è finalmente diventato europeo.

    Perché mai sembra che i politici considerino i principi di base della democrazia scontati sul piano nazionale, ma pericolosi a livello europeo? La tesi che adducono più di frequente è che il popolo europeo –  il cosiddetto demos – non si è ancora fatto vedere nella sfera politica e pubblica comune. E senza demos, la democrazia è solo una chimera.

    L’estate scorsa il socialdemocratico svedese Carl Tham ha espresso in un articolo la sua tesi in questi termini: “Un’unione politica vitale e democratica potrà venirsi a creare soltanto nel caso in cui  i popoli europei provino un forte senso di appartenenza e di solidarietà tra di loro, quando si riterranno parte di un unico popolo europeo e avranno fiducia nelle istituzioni politiche”.

    Non sarà che questa conclusione si regge su un malinteso? È molto opinabile che quando all’inizio del XX secolo si operò la maggior parte delle svolte democratiche nei vari stati-nazione esistesse tale “senso di appartenenza e solidarietà”. Di sicuro, a quel tempo “la fiducia nelle istituzioni politiche” non esisteva, e non c’era neppure una sfera politica e pubblica così sviluppata.

    Continuiamo a pedalare

    Un anno fa è iniziato un dibattito sugli intellettuali: dov’erano quando il progetto europeo era sul punto di implodere? Molti contributi a questo dibattito sono stati pubblicati sull’influente sito Eurozine. Ma la mancanza di un dibattito aperto e di esplicite opinioni da parte dei politici europei in realtà è ancora più preoccupante.

    È stato quindi rincuorante leggere la primavera scorsa un intervento di Gerhard Schröder sul New York Times. Uomo politico autorevole, che ha individuato un rapporto diretto tra la crisi dell’euro e la questione della democrazia, Schröder ha sintetizzato la propria opinione in tre punti: la Commissione europea deve evolversi in un governo eletto dal Parlamento europeo; il Consiglio europeo – formato dai capi di stato – deve cedere i propri poteri;  successivamente esso deve essere trasformato in una camera alta, con un ruolo analogo a quello del Bundesrat tedesco.

    Non è necessario essere d’accordo con tutte le proposte avanzate da Schröder, ma questa è la direzione da imboccare verso una possibile democrazia europea. Naturalmente, il suo intervento può essere criticato come un tentativo di imporre la democrazia “dall’alto”, ma potrebbe legittimamente  essere considerato un prendere atto della sfida posta dai cittadini europei negli ultimi vent’anni.

    La piazza di Cracovia è una delle più splendide del continente europeo. Sul campanile della cattedrale il passare del tempo è segnato da un uomo con la tromba. La storia getta ombre lunghe. Questo è un posto ideale per osservare l’Europa. Qui si può riflettere sul miracolo politico, il nuovo benessere e la democrazia civile.

    Molti europei in occidente temevano il caos quando caddero le dittature dell’est. Ma si sbagliavano. La gente si dimostrò giudiziosa, e questo dovrebbe darci speranza e fiducia. Ma a soli 30 minuti di auto dalla piazza si arriva in quello che è il più terribile ricordo del terrore delle tenebre  europee, quelle dalle quali nacque il progetto europeo: il campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau.

    È indispensabile espandere la democrazia di continuo, perché non appena ci si rilassa essa si ritrae. Nell’autunno del 1940, quando la situazione in Europa raggiunse il punto più oscuro della propria storia, la femminista svedese Elin Wägner paragonò gli ideali ai fari di una bicicletta: se non si pedala e non si va avanti non fanno luce.

    La missione socialdemocratica in Europa nell’autunno del 2012 può dunque essere sintetizzata dalla metafora della Wägner e da due sole parole: democratizzatevi  e politicizzatevi.

    Per Wirtén da Dagens ArenaStoccolma

    fonte: 


  • Se l’Istruzione cade a pezzi

    Se l’Istruzione cade a pezzi

    Borse di studio ridotte all’osso e ridotti all’osso anche gli studenti che si ritrovano tasse raddoppiate all’università e servizi dimezzati. L’Europa in tutto questo latita, anzi fomenta, perdendo la sua vera natura.

    L’Europa mi appassiona, sicuramente l’avrò detto più volte in qualche post del mio blog, ma la passione è direttamente proporzionale allo dispiacere, alla tristezza e alla preoccupazione, che provo quando la scuola pubblica, le università e l’intero sistema d’istruzione pubblica, cadono a pezzi.

    Se l’Istruzione cade a pezzi, cade a pezzi la Cultura. Se cade a pezzi la Cultura, cade a pezzi la Nazione. Se cade a pezzi la Nazione, cade a pezzi l’Europa. Un effetto domino incontrastabile, privo di qualsiasi modo alternativo di risoluzione, se non, quella di evitare che il primo step si concluda.

    Ma non sono solo parole, perchè queste hanno un riscontro, terribile per molti punti di vista e, per citarne solo due, basti guardare la bassissima copertura delle borse di studio, meno del 50% è la media nazionale, con esempi altrettanto peggiori: A.Di.S.U. Puglia, quest’anno, ha coperto economicamente solo il 30% delle borse di studio assegnate per l’anno 2012/2013, dopo che la tassa regionale è stata aumentata del 100% e dei fondi messi a disposizione dalla Regione.

    I L.L.P. (Lifelong Learning Programme, programma d’azione comunitaria nel campo dell’apprendimento permanente, che ha competenze su Comenius, Erasmus, Leonardo e Socrates) non bastano più. I Fondi Sociali Europei ormai sono diventati vitali per portare avanti attività fondamentali all’interno delle scuole. I corsi PON, laboratori e attrezzature sono ormai frutto di fondi europei, tanto desiderati e tanto richiesti dalle scuole, soprattutto, nel particolare, quelle italiane.

    Ovvio dirvi che io non ci sto e che dobbiamo essere uniti, negli intenti di ricostruzione e non nel lanciare le pietre e prendersi a bastonate con i poliziotti. Quello è vandalismo, non Rivoluzione.

    Rise UP!


  • I malanni dell’Europa

    I malanni dell’Europa

    Sappiamo che l’Europa è stata quasi sempre in crisi. La differenza fra una consapevolezza permanente della crisi così com’era vissuta nel passato e la situazione attuale è che prima l’Europa conservava una capacità di riflessione e autocritica che le permetteva di superare le crisi successive. Oggi questa facoltà non è più alla sua portata. L’Europa di un tempo non esiste più.

    Ci è difficile immaginare il futuro del mondo senza Europa, probabilmente non un’Europa leader, ma quel continente portatore di norme di base e di principi per noi e per le generazioni future. L’Europa è la nostra forma di esistenza, l’unica che abbiamo. E quando l’Europa fugge, scompare e si indebolisce, la guardiamo senza sapere che fare.

    Di solito vengono dati tre tipi di risposte a questa situazione. Il primo fa appello a un ritorno a soluzioni già sperimentate, sotto le diverse forme dello stato assistenziale o socialdemocratico. Il secondo tipo di risposta consiste nel dire che la crisi non è solo ed esclusivamente di natura economica, ma richiede anche un cambiamento politico. Fra le visioni politiche più significative vi è quella di un’Europa federale, basata su forti legami interni.

    Tuttavia questa visione è vecchia quanto l’Europa e si è sempre rivelata sbagliata. Il suo principale difetto è che non c’è una società europea che desidera un’Europa federale, per la semplice ragione che questa nuova Europa – anche se si riuscisse a crearla – sarebbe completamente diversa da quella che consideriamo la nostra forma di esistenza. Infine il terzo tipo di risposta è basato sulla convinzione che la ripresa economica migliorerà automaticamente tutti i settori della vita europea.

    Tutte queste risposte hanno un punto in comune: cercano la soluzione nel presente. Vogliamo risolvere i problemi qui e ora, utilizzando possibilmente mezzi già noti. Facciamo appello alle solite misure, non per mancanza di immaginazione o di coraggio, ma perché non sappiamo come fare altrimenti. Quello che caratterizza oggi l’Europa è soprattutto la paura. Non il timore di un possibile crollo della moneta, ma soprattutto una paura intellettuale e spirituale.

    L’attuale stato di impotenza dell’Europa è stato provocato dalle quattro grandi divisioni della spiritualità dei tempi moderni. La prima contrapposizione è quella fra la religione e il mistero come chiave di comprensione del mondo e l’affermazione che la religione è una superstizione.

    La seconda è il nazionalismo e lo stato nazione contro i valori e le pratiche dell’universalismo. Il confronto fra l’utilitarismo o l’edonismo e la propensione degli individui a limitarsi a degli obiettivi misurati e circoscritti è la terza contrapposizione. Seguita da quella che divide la democrazia, cioè la comunità, dal liberismo come motore della libertà individuale.

    Sulla crisi attuale sapevamo già quasi tutto. Molti brillanti economisti sapevano perfettamente che era impossibile sopportare debiti pubblici così elevati, che la Grecia aveva da tempo oltrepassato i limiti, e che lasciare la speculazione finanziaria al di fuori di ogni controllo dei governi avrebbe portato alla catastrofe.

    Non si ignorava il declino demografico e i disastri imminenti nei settori delle pensioni, della sanità e dell’istruzione […]. Tutto questo era noto da tempo, ma i politici non volevano vederlo, o non erano in grado di cogliere intellettualmente questi problemi.

    Qualunque reazione seria richiede decisioni impopolari, temute dai responsabili politici delle democrazie attuali. La riforma delle pensioni, per esempio, introdotta di recente in quasi tutti i paesi europei, avrebbe dovuto essere adottata dieci anni prima per sperare di ottenere dei risultati. Gli specialisti dell’istruzione dell’Ue vogliono sostituire le università con delle scuole professionali, ma questo dimostra la mancata comprensione del fatto che le scienze umane si basano sulla filosofia e le materie scientifiche sulla matematica. Due discipline che oggi sono tra le meno sovvenzionate.

    Spiegare l’interesse comune

    Tutto questo lo sapevamo. Il nostro problema non deriva quindi dalla nostra incapacità ad anticipare, ma dalla nostra reticenza ad agire. Inoltre i metodi per uscire dalla crisi raccomandati da numerosi economisti si sono tutti dimostrati inefficaci economicamente e del tutto inadatti a eliminare le ragioni spirituali e intellettuali di questa crisi.

    La democrazia in quanto idea di comunità deve naturalmente riferirsi a tutti i cittadini. Una società democratica deve escludere qualsiasi carattere elitario e allo stesso tempo deve tenere conto dell’irrazionalità, tanto individuale che collettiva. Per unire questi due elementi bisogna spiegare alla comunità democratica che cosa è esattamente il suo interesse comune o produrre uno stato di emozione collettiva quando questo interesse è chiaramente visibile (quello che in passato si chiamava patriottismo). Più del bene comune è l’interesse comune a tenere insieme i cittadini, nonostante le divergenze di convinzione su numerose questioni.

    Ma per determinare qual è l’interesse comune abbiamo bisogno di comprendere quali sono i nostri interessi particolari o di gruppo. Abbiamo anche bisogno di individuare delle priorità e di dare un carattere gerarchico ai nostri interessi. Solo un consenso su questa gerarchia permetterà di fare progressi, ben oltre la semplice correzione della situazione attuale. Ma per ora sembra impossibile.


  • Friends of better spending, avete rotto!

    Friends of better spending, avete rotto!

    5 Paesi europei bloccano, ancora una volta, i finanziamenti per coprire le spese dell’Erasmus (90 milioni fino alla fine del 2012). Il progetto nato nel 1987 è in fin di vita.

    Germania, Gran Bretagna, Svezia, Olanda e Finlandia hanno deciso di sputare sul piatto dove hanno mangiato. I “friends of better spending“, così vogliono essere chiamati, hanno compromesso, ancora una volta, le sorti del Progetto Erasmus.

    Merkel, Cameron e compagnia non hanno intenzione di rendere l’Europa degna di essere considerata una comunità culturale, ancor prima che economica, ma questo a loro poco importa, figli della seconda metà del ‘900, coccolati dalla pace e dallo stallo dell’opinione pubblica, assopita dall’informazione deviata, censurata e da uno scarso interesse alla Cosa Pubblica da parte dei molti, a favore dei pochi, sempre e comunque loro, i pochi. Pochi non solo nel numero ma anche nel modo di pensare, direi pochezza, che avvolge i leader dei Paesi sopra citati, oggi agli “onori” della cronaca per aver, prima, messo in pericolo i fondi europei destinati alla ricostruzione post-terremoto dell’Emilia e per poi aver, nuovamente, fatto  scattare l’allarme per l’Erasmus, progetto europeo che coinvolge ogni anno centinaia di migliaia di studenti universitari che puntano, con grande interesse e passione, a costruire una propria visione europea, base fondamentale per un progetto, quello dell’Europa che, vista con gli occhi dei suoi padri fondatori, Konrad Adenauer, Robert Shumann e Alcide De Gasperi, tutto doveva essere, tranne che un mero mezzo di gestione finanziaria.

    L’Europa non la farà questa generazione, l’Europa non la farà chi ha vissuto nella bambagia dei privilegi e del “tutto va bene”. Il putrido sentimento verso gli altri Paesi europei, che muove i capi di governo della Germania, Gran Bretagna, Svezia, Olanda e Finlandia è sinonimo di come la macchina sia pronta (l’Europa), ma i piloti siano demotivati e si siano trovati lì per caso. L’Europa sarà ultimata quando la generazione Erasmus prenderà il posto dell’attuale classe dirigente, ad ogni livello e in ogni stato membro.

    Solo chi cresce, vive e vuole mescolarsi con le culture europee può realmente comprendere quale possa essere l’importanza di un continente ormai unificato dagli intenti, dalla cultura e dal modo di intendere le politiche fondamentali.

    Europa non è sinonimo di BCE, Austerity e altri termini economico-finanziari, Europa è molto altro.

    Ovviamente da loro non si può pretendere tanto, sono pur sempre complici del decadimento politico e sociale dell’intero pianeta.

    [divider3 text=”Parlano di Erasmus anche su”]

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  • Intervista al Vicepresidente dell’Europarlamento Gianni Pittella

    Intervista al Vicepresidente dell’Europarlamento Gianni Pittella

    Il Vicepresidente dell’Europarlamento risponde alle domande della Rete Universitaria Nazionale sulle sorti dell’Erasmus e delle prospettive europee alla luce delle politiche di austerità volute da alcuni paesi.

    Con il Vicepresidente del Parlamento Europeo, l’On. Gianni Pittella, abbiamo parlato della questione dei fondi per il progetto Erasmus, di rischi e prospettive per l’integrazione europea.

    1.Quando il capo della commissione bilancio del Parlamento europeo Alain Lamassoure dichiara “L’European Social Fund è in bancarotta e non è in grado di rimborsare gli stati; la prossima settimana toccherà al programma studentesco Erasmus” fa all’allarmismo o dice il vero? Quali sono i motivi di questa “bancarotta”?

    Il rischio c’e’, anche se va inquadrato dentro una più generale difficoltà di bilancio dell’Unione. Tra l’altro il Programma Erasmus non e’ direttamente finanziato dal FSE, e il 23 ottobre la Commissione dovrebbe presentare al Parlamento una proposta di parziale “assestamento” che dovrebbe consentire di rinvenire le coperture sia per Erasmus sia per le azioni legate alla Ricerca e all’Innovazione. Ovviamente poi la palla passera al Consiglio e ai Governi.

    2.Quali sono i reali rischi per gli studenti che hanno già vinto il bando di concorso Erasmus per l’anno accademico appena iniziato? Quali le prospettive per il prossimo?

    Chi ha gia’ un contratto dovrebbe poter partire tranquillo. Almeno questo e’ ciò che ci comunicano gli uffici che coordinano e gestiscono il Programma Erasmus. Tra l’altro, se cosi’ non fosse, occorrerebbe una qualche comunicazione ufficiale da parte della Commissione, ad oggi ancora non pervenuta. Certo non possiamo, con tutto il rispetto, dare risposte tecniche di merito sulla scorta di una intervista o di una dichiarazione, come quella resa da Lamassure.

    3.Soffoca, tra austerity, fiscal compact e ritrosie degli Stati nazionali, lo spirito di cittadinanza europea. Noi vediamo una volontà politica alla base di queste scelte, non un destino di declino inevitabile. Dov’è vive oggi l’alternativa, dov’è finito lo spirito dell’Europa di Delors e del Processo di Bologna?

    Il momento non e’ affatto semplice per gli europeisti e i federalisti. Già da tempo, in verità’, il processo di integrazione sta vivendo una fase di grande difficoltà anzitutto a causa dell’assenza di una leadership forte ed europeista nei principali Stati membri. Certo, oggi con Monti e Hollande va molto meglio, da questo punto di vista. Tuttavia, come conferma la gestione del dossier Grecia o le intempestive e deboli risposte alla crisi economico – finanziaria mondiale, siamo assai lontani da una Unione vero soggetto politico, incisivo ed efficace. Questo e’ un momento in cui occorre in modo particolare la spinta dei cittadini per una ripresa vigorosa del processo di integrazione. Oltre ogni miope e bieco piccolo interesse nazionale di corto respiro.

    [Fonte: Runonline.it]

  • [LaStampa] Erasmus, il buco non c’è più

    [LaStampa] Erasmus, il buco non c’è più

    Arriva la variazione di bilancio. Ma la frittata è fatta. Rischia di pagare l’Europa, non i governi nazionali che sono veri responsabili..

    La Commissione Ue corre ripari per chiudere il buco di Erasmus. Come prevedibile e previsto, il responsabile per il Bilancio Janusz Lewandoski ha confermato a Straneuropa che il 23 ottobre presenterà una bozza di variazione sul budget comunitario in modo da consentire al programma più amato dai giovani di proseguire come se niente fosse. La variazione dovrà essere approvata dal Consiglio, cioè dai governi, e si immagina che questo avverrà. Il conto maledetto sarà chiuso. I corsi di formazione andranno avanti senza problemi.

    Pericolo scampato, dunque, almeno per quest’anno. Ma la frittata è in qualche modo fatta lo stesso. E questo perché l’effetto dei titoli “L’Europa non paga Erasmus” resterà primario e dirompente. Come vuole la tradizione l’impatto della correzione avrà minor peso. L’Europa (e non i governi) resterà colpevole del misfatto non avvenuto. La polemica è stata montata, comprensibilmente, da alcuni parlamentari che hanno cercato di usarla per far leva contro gli stati che non vogliono aumentare il bilancio Ue. L’effetto è stato ottenuto solo in minima parte. Ed è assai inferiore al discredito generato nei confronti dell’Europa intesa come club di stati.

    Piccolo riassunto, per capire meglio.

    Qualche settimana fa, come suo dovere, la Commissione Ue ha informato Europarlamento e Consiglio che una dozzina di programmi comunitari aveva utilizzato il 95-100 per cento della dotazione annuale. Erano programmi per la Ricerca (spazio e tecnologie avanzate), per crescita e occupazione (Fondo sociale e fondo regionale), per l’istruzione (Erasmus), per la salute, gli aiuti umanitari e alimentari.

    Nel caso di Erasmus – che è grave ma forse non come l’assenza di denaro per dare da mangiare alle vittime di siccità e catastrofi -, Lewandoski precisa che il 70 per cento degli studenti ha ottenuto l’assegno europeo. E che la maggior parte del rimanente 30 per cento non sarebbe stato comunque penalizzato perché le agenzie nazionali, che amministrano le risorse, hanno ancora soldi in cassa. Solo una piccola fetta di ragazzi rischia veramente di rimanere con le tasche vuote. Per questi, sarà corretto il bilancio. “Non posso crede che i governi nazionali rifiutino di investire nei nostri giovani”, confessa il polacco.

    Il buco non doveva comunque cogliere di sorpresa. Nel 2011 è successa la stessa cosa. Quando le autorità competenti – il Parlamento europeo e il Consiglio (cioè i governi) – rifiutarono di riconoscere che i fondi annuali era insufficienti. In quella circostanza, la Commissione ha trasferito la competenza di 5 miliardi del 2011 all’anno in corso. Il bilancio, sottolinea Lewandoski, “era amputato sin dall’inizio”.

    Sempre a fine 2011, il bilancio 2012 è stato adottato da parlamentari europei e ministri nazionali ad un livello inferiore a quello ritenuto necessario dalla Commissione. Il buco si è ulteriormente allargato. Gli effetti li abbiamo visti. E potrebbero ripordursi per l’sercizio 2013 se non si metterà un poco di lungimiranza nel porgrammare spese e entrate. Le quali, essendo in percentuale di gettitto e pil, sono ulteriormente ridotte dalla congiuntura.

    La morale è che non si può fare l’Europa davvero senza metterci i soldi. E’ una ipocrisia priva di senso. E’ come voler restare con un piede sul treno e l’altro sotto la pensilina. L’anno prossimo succederà di nuovo, probabilmente. Arriveremo alla fine col buco nella pancia, se non ci sarà un po’ di illuminazione nelle teste dei governi. “Tanto sono solo soldi per migliorare la qualità dei nostri giovani, possiamo farlo in casa” , penserà qualche idiota nelle capitali. Come se non ce ne fosse bisogno per far crescere meglio questo continente della crisi. Sono gli investimenti che valgono doppio. E che, una volta bloccati, ammazzano due volte la crescita.

    Qualora andasse male – ma non ci credo, alla fine – potremmo lanciare un concorso per tradurre “Nozze coi fichi secchi” nelle 23 lingue ufficiali dell’Ue. Almeno qualche posto, per qualche settimana, lo salviamo.

    [Fonte: LaStampa.it]

  • L’Erasmus è in bancarotta

    L’Erasmus è in bancarotta

    “L’Ue ha finito i soldi per le borse di studio Erasmus”, scrive La Vanguardia. Secondo il quotidiano di Barcelona Bruxelles ha chiesto un contributo agli stati per salvare il famoso programma di interscambio studentesco, insieme ad altri progetti e programmi di ricerca i cui rimborsi sono previsti per gli ultimi mesi dell’anno. La Vanguardia sottolinea che Bruxelles

    ha difeso la causa simbolica dell’Erasmus nella sua battaglia con le capitali Ue e gli europarlamentari, evidenziando i problemi derivati dai tagli passati e futuri specialmente nei paesi in crisi come la Spagna, le cui università sono in cima alla lista per l’accoglienza di studenti da altri paesi Ue e per le borse di studio assegnate.

    Citato da EUbusiness.com, il capo della commissione bilancio del Parlamento europeo Alain Lamassoure ha avvertito che

    l’European Social Fund è in bancarotta e non è in grado di rimborsare gli stati. La prossima settimana toccherà al programma studentesco Erasmus, e alla fine del mese sarà il turno del Research and Innovation Fund.

    Secondo Lamassoure il deficit ammonta a 10 miliardi, e dunque nelle prossime settimane è probabile che il commissario al bilancio Janusz Lewandowski chiederà agli stati Ue di versare “diversi miliardi di euro” per appianare il buco, riferisce Dziennik Gazeta Prawna.

    Nonostante la Commissione europea non abbia confermato i dati forniti da Lamassoure, La Vanguardia annuncia che il 23 ottobre verrà approvata una “sostanziale” modifica del budget per evitare la “cessazione dei pagamenti”. Nel frattempo la Commissione ha già versato 420 milioni di euro per pagare i conti più urgenti. Secondo Dziennik Gazeta Prawna è altamente improbabile che gli stati assegnino fondi extra, perché i problemi sono dovuti al rigore adottato dai contribuenti netti al budget Ue, che per quest’anno ammontano a 4 miliardi di euro.

    [Fonte: PressEurop.eu]

  • Addio Erasmus, addio Europa

    Addio Erasmus, addio Europa

    Drammatico. È l’aggettivo più adatto per descrivere quanto sta accadendo agli studenti europei in questi ultimi giorni.

    Fallito. Il progetto “Europa” come visione di unione culturale e sociale sta scomparendo, il segnale più forte ci viene dato dalle notizie che ci giungono da Bruxelles in queste ore.

    I fondi per le mobilità studentesche sono agli sgoccioli, autrice: l’austerity dell’Europa vittima della crisi economica.

    A lanciare l’allarme è il presidente della commissione Bilancio del parlamento europeo, il francese Alain Lamassoure (Ump-Ppe) che denuncia quanto poco lungimirante e distruttiva sia stata la decisione del Consiglio Ue che, l’anno scorso, con in prima linea Gran Bretagna, Olanda, Danimarca, Svezia, Finlandia, la Germania della Merkel e la Francia dell’allora presidente Sarkozy, con il supporto dell’Europarlamento, ha tagliato 3 miliardi di euro dal bilancio dell’UE per il 2012 e come se non bastasse, ha bocciato, sempre lo scorso anno, un bilancio correttivo per il 2011, costringendo l’Esecutivo UE a pagare diverse fatture con i fondi destinati al bilancio del 2012.

    Pochi finanziamenti che rischiano di ridursi ancora, infatti la nuova richiesta da parte del Consiglio è di un taglio pari a 5 miliardi€, di più rispetto a quella disastrosa decisione che ora getta nel baratro l’Erasmus. Il bilancio correttivo sarà presentato dalla Commissione UE il 23 ottobre 2012, ma se questo verrà bocciato e modificate ulteriormente le prospettive di finanziamento per il 2013, da parte del Consiglio e del Parlamento Europeo, allora difficile sarà la situazione per gli Stati Membri dell’UE che usufruiscono dei fondi, ormai diventati di vitale importanza per la salvaguardia di servizi come la mobilità per studenti, ricercatori e lavoratori, formazione professionale, innovazione e ricerca.

    La disoccupazione giovanile dilaga in Europa (22,5%) e in Spagna più di un ragazzo su due è senza un lavoro. Il progetto Erasmus, forte strumento di contrasto all’impoverimento culturale e sociale dell’Europa conservatrice non potrà essere sostenuto neanche fino alla fine del 2012, poichè mancano all’appello 400 milioni di euro, indispensabili per garantire la mobilità agli studenti europei.

    Lanciamo un appello all’UE e alle forze progressiste europee, affichè ci sia un netto cambio di rotta che porti al centro della discussione europea la sorte delle giovani generazioni in formazione nelle scuole e nelle università, considerandole colonne portanti del progetto europeo, da sostenere e rafforzare sempre e di più.