Tag: economia

  • Il quarto appuntamento con il podcast “5 Under35 Raccontano la Post-pandemia” è dedicato all’Europa e alla Solidarietà europea, alle risposte che le Istituzioni europee hanno posto al centro dell’azione politica ed economica dell’Unione per fronteggiare la crisi sanitaria provocata dal Covid-19 e le sue implicazioni economiche.

    Il vento anti-europeista ha ripreso a soffiare prepotentemente sul nostro continente, travolgendo il progetto europeo. Ma quali sono le reali risposte che l’Europa ha dato agli Stati membri? Come stanno reagendo a questa emergenza le Istituzioni europee? Stanno davvero dimostrando di non essere all’altezza? O è la solita retorica anti-europeista e sovranista che cerca di sfruttare le paure e la rabbia dei cittadini per raggiungere i propri scopi politici?

    Di questo e molto altro ne ho discusso con l’On. Brando Benifei, 34 anni, Eurodeputato e capo-delegazione del Partito Democratico al Parlamento Europeo, nel 2016 tra i 30 politici under30 più influenti d’Europa secondo Forbes.

    La puntata è disponibile anche su Spreaker, Spotify, Google Podcast e Apple Podcast.


    Per il 10° anniversario del mio blog, ho pensato di creare un nuovo progetto. Breve ma, spero, utile per chiunque vorrà approfondire alcuni temi cruciali, alla luce dell’emergenza sanitaria provocata dal Covid-19.

    Ho incontrato (virtualmente) cinque under35 e con loro ho dialogato sul prossimo futuro. Attraverso le loro esperienze e le loro competenze, abbiamo provato ad immaginare il mondo che ci attende fuori dalla nostra finestra. L’emergenza sanitaria, prima o poi, finirà. Ma le scelte che si stanno concretizzando in queste settimane incideranno sulle nostre vite anche quando del Covid-19 resterà solo un vecchio e brutto ricordo.

  • Il terzo appuntamento con il podcast “5 Under35 Raccontano la Post-pandemia” è dedicato all’Impresa e all’Innovazione, alle sfide che il tessuto produttivo del Paese dovrà affrontare dopo l’emergenza sanitaria.

    Una chiave di lettura differente, dove al centro c’è l’esigenza di porre un’accelerazione all’innovazione dell’imprenditoria. Siamo un’economia dinamica, fatta per di più di piccole e medie imprese che sfidano ogni giorno il mondo sempre più vicino e sempre più competitivo.

    Quali sono le principali questioni da affrontare? Siamo davvero un’economia “basata sui bonus” come qualcuno ha affermato nei giorni scorsi? Molte imprese sono in difficoltà a causa del lockdown o il problema proviene da più lontano?

    Ne parlo con Domenico Colucci, 30 anni, Co-fondatore e Marketing Leader di Nextome, Miglior Imprenditore dell’anno dalla Commissione Europea, Miglior Innovator under 35 per la rivista del MIT – Massachussets Institute of Technology, Forbes 30 Under 30.

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    Per il 10° anniversario del mio blog, ho pensato di creare un nuovo progetto. Breve ma, spero, utile per chiunque vorrà approfondire alcuni temi cruciali, alla luce dell’emergenza sanitaria provocata dal Covid-19.

    Ho incontrato (virtualmente) cinque under35 e con loro ho dialogato sul prossimo futuro. Attraverso le loro esperienze e le loro competenze, abbiamo provato ad immaginare il mondo che ci attende fuori dalla nostra finestra. L’emergenza sanitaria, prima o poi, finirà. Ma le scelte che si stanno concretizzando in queste settimane incideranno sulle nostre vite anche quando del Covid-19 resterà solo un vecchio e brutto ricordo.

  • C’è un problema che non vedo sollevato, in questi giorni, riguardo le politiche economiche del nostro Paese.

    Riguarda il Reddito di Cittadinanza ma come corollario: in un Paese in cui l’evasione fiscale è altissima, dove i nullatenenti sono molti e molti di questi solo sulla carta, si rischia di assegnare il reddito a persone che non ne avrebbero, di fatto, il diritto, a danno di chi davvero non ha nulla.

    Ecco perché credo che questo governo non possa essere la risposta giusta ai problemi del Paese e al futuro delle generazioni italiane: se non combatti strenuamente l’evasione, rischi di creare un sistema falsato che danneggia chi ha bisogno e avvantaggi chi fa il furbo.

    Nessuna parola da parte dei Ministri e del Presidente del Consiglio riguardo la lotta all’evasione, al versamento dell’IVA, alle imposte sul reddito e al costo del lavoro autonomo.

    Servono risposte serie. Io, al momento, non ne vedo neanche l’ombra.

    Forse parlare di evasione, per un governo sostenuto da un partito che deve restituire 49 milioni di euro allo Stato, non è comodo. Meglio parlare di immigrati. Senza contare le famosissime accise sulla benzina che Salvini aveva promesso di eliminare.
    Sale il prezzo del gasolio e della verde. Aumentano i costi di trasporto e, di rimando, il prezzo dei prodotti sugli scaffali. Aumenta il costo della vita e scende il potenziale economico delle famiglie, sempre più costrette a limitarsi piuttosto che investire lì dove serve: formazione dei figli, acquisto di una casa, libri, cultura, benessere.

    Continuiamo così e, soprattutto, continuiamo a dare la colpa agli altri.

    Chi scappa dalle proprie responsabilità è un codardo. Punto e basta.

  • È ovvio che l’ottimismo c’è, ma mi chiedo se, dopo tutto quello che abbiamo passato, si possa ancora andare avanti a suon di slogan.

    Dice bene Roberto Napoletano, su Il Sole 24 Ore: bisogna che si facciano le riforme, quelle economiche, quelle urgenti. La riforma costituzionale poteva essere un ottimo “punto 2” sull’agenda del Governo (e di conseguenza del Parlamento), come dico da un po’ di giorni.
    Job Act e Justice Act (per mantenere lo stile di Renzi), sono due piani importanti che andrebbero sviluppati subito, visto che siamo già in ritardo.

    Come afferma Napoletano (e non solo), senza un piano del lavoro e una riforma della giustizia civile e amministrativa, poco possiamo fare per far riprendere il PIL del nostro Paese.
    Gli investimenti non si faranno vivi se prima non diamo un chiaro e forte schiaffone alla burocrazia, alla lentezza dei processi (per non parlare di tutte le scartoffie che generano) e a tutto ciò che negativamente ha reso l’Italia diversa da altri Paesi europei. Ricordo a tutti che la corruzione in Italia esiste, più di quel che si possa pensare.

    Dobbiamo decidere che tipo di Italia dobbiamo essere. Un’Italia meno italiana e più europea (nello stile), oppure un’Italia più italiana, stile anni ’70.

    Perció, l’ottimismo non è una cosa negativa, anzi, ma dobbiamo ricordarci che, per camminare, i piedi devono essere piantati per terra.

  • Ancora una volta, il nostro Paese si è infilato in un tunnel, dopo aver guardato il cielo e sperato di poter toccare la Luna.

    Il nostro Prodotto Interno Lordo, secondo l’ISTAT, ha il segno meno, – 0,2%. Tradotto in denaro, 3 miliardi di euro mancano all’appello.

    Il PIL, in questo momento, ha svolto un ruolo fondamentale, negativo sotto diversi aspetti, positivo in altri, a mio avviso. All’Italia, negli ultimi due giorni, è come se qualcuno le abbia tirato un pizzicotto e ricordato di non essere in un mondo virtuale, dove priorità e problemi sono ben altri rispetto a quelli che hanno accerchiato i governi precedenti.

    Riforma costituzionale? Sì, d’accordo, ma proprio ora? Come lessi da qualche parte, credo che Renzi stia cercando di lasciare il segno del suo passaggio, costi quel che costi. Vuole far vedere che lui qualcosa l’abbia fatta, non importa se era prioritaria o meno, ma qualcosa che faccia ricordare agli italiani che Matteo Renzi sia passato di qui. Un po’ come quel ragazzo che nei bagni della stazione, penna alla mano, scrive sul muro “Big G è stato qui“, rovinando il muro. Una cosa del genere.

    Sarò ripetitivo, ma credo che la riforma costituzionale sia importante, non sono, invece, dell’idea che debba essere al primo posto nell’agenda del Governo e, soprattutto, del Parlamento. Importanti riforme strutturali andrebbero poste in cima alla Top 10 delle riforme. Il Job Act, per esempio, o le tasse. Ci siamo bloccati sugli 80 euro in entrata per qualche famiglia, ma non ci siamo impegnati più di tanto sulle uscite per tutte le famiglie. Ecco, probabilmente quanto abbia detto poc’anzi sia stato già inserito dal Governo nella sua agenda, ma non so fino a che punto convenga, a tutti, tenere in ostaggio il Senato a discutere di emendamenti su emendamenti alla riforma del Senato e del Titolo V. Non credo sia una priorità, anche perché come ho cercato di spiegare, non è che mi convinca molto questo Senato di nominati.

    Se determinati temi siano stati presi sottogamba da parte di qualcuno, non lo so, ma se la situazione italiana è come l’estate 2014, stando alle parole di Renzi, credo ci sia poco da sorridere.

    Io ad agosto mi sono raffreddato. Mai successo prima.

  • Avete presente quelle scene dei film in cui le secchiate d’acqua servono per svegliare le persone? Bene, immaginate che a dormire sia l’Italia e a buttare il secchio d’acqua sia l’Europa. Peccato per il sonno pesante del nostro Paese, perché a quanto pare non sia servito a nulla.

    Di cosa parlo? Dell’ennesimo schiaffone che noi italiani ci siamo presi in questo ultimo periodo. Uno schiaffone più che meritato, come sempre.

    L’Unione Europea tira le somme e rileva che la corruzione di tutti gli Stati membri costa, in tutto, 120miliardi € circa e a fare da capolista c’è proprio l’Italia, con i suoi 60miliardi (e pensare che abbiamo pagato l’IMU per racimolare due miseri miliardini).

    Bruno Manfellotto, su L’Espresso, riporta alcuni dati relativi alla percezione del fenomeno della corruzione da parte degli italiani: 97 su 100 sono convinti che la corruzione aumenti e si diffonda; 88 che senza raccomandazioni o spintarelle non sia possibile godere di alcun servizio pubblico; 64 che la politica sia lo strumento indispensabile per fare business (!!!).

    I dati sono drammatici, non c’è bisogno di analizzarli a fondo per capire quale sia la reale situazione del nostro Paese, certo è che sulla corruzione c’è stata e c’è molta retorica e non ho mai visto nessuno tentare il colpo grosso contro la corruzione e, poiché è strettamente legata a questa, l’evasione fiscale. Non saranno due blitz della Guardia di Finanza a Cortina a spaventare gli evasori o, peggio, due dichiarazioni in Parlamento per far abbassare la soglia del fenomeno da “dilagante” a “sporadico” o per di più il famigerato redditometro. C’è bisogno di un cambio di cultura, un cambio che passi dal piano politico, poi giuridico e successivamente si radichi nella quotidianità dei cittadini.

    Lunedì, durante Radio Locale, intervistando il Dott. Anastasia dell’Osservatorio “Antigone” di Roma, oltre a parlare della Fini-Giovanardi (peraltro dichiarata incostituzionale, poco fa), abbiamo approfondito la questione delle carceri e delle pene spropositate. Ecco, se c’è una cosa spropositata (al ribasso) è proprio il sistema punitivo per i corrotti, corruttori ed evasori. A dirlo non sono io, ma Stefano Livadiotti, giornalista de l’Espresso che, dal suo ultimo libro (che vi consiglio) “Ladri – gli evasori e i politici che li proteggono” (Bompiani, 2014) dice:

    In Italia un dato ufficiale sull’evasione neanche esiste. Ma secondo il britannico Richard Murphy, fondatore di Tax Justice Network e inserito da “International Tax Review” nell’elenco delle 50 persone più influenti al mondo in materia di fisco, i soldi sottratti ogni anno alle casse dello Stato sono 180,2 miliardi di euro. Una cifra al cui confronto il paio di miliardi necessari a far saltare l’Imu sulla casa, dei quali si è ossessivamente parlato per un anno, sono bruscolini. Ma in Italia la lotta all’evasione è solo una farsa Basta pensare che su quasi 5 milioni di contribuenti sospetti i controlli veri sono appena 200 mila, come ha rilevato la Corte dei Conti. Che i pochi colti con le mani nel sacco possono contare sul vantaggio di una giustizia tributaria ridotta a un colabrodo, dove per il primo grado di giudizio occorrono 903 giorni. Che anche chi viene riconosciuto colpevole alla fine la fa franca: solo l’1,7 per cento delle denunce per reati tributari porta a un arresto. Il risultato è che il fisco si è visto sottrarre in 12 anni 808 miliardi e di questi ne ha recuperati la miseria di 69. E la cifra forse è pure gonfiata.

    Perciò, quali sono i migliori strumenti per combattere e sconfiggere, veramente, la corruzione e l’evasione fiscale? Tutto ha un perno su cui poggia, tutto ha una colonna portante, l’evasione e la corruzione sono sorretti da una politica bigotta, pronta a minimizzare il dibattito sulla legge elettorale e a studiare, con la minuziosità degna di una squadra di statisti, a tutti gli escamotage possibili pur di farla franca su qualcosa, pur di ottenere un vantaggio rispetto al resto del Paese, con i privilegi e con l’ultimo scandaloso provvedimento che ha previsto l’abbassamento delle aliquote al 18,7% sugli stipendi parlamentari (un lavoratore, in media, si vede applicata una quota di 39,4%, praticamente più del doppio delle tasse!).

    Parlo così, come se fossi l’ultimo grillino o dissidente di non so quale linea politica, ma in realtà sono solo agguerrito. Crederete mica che la battaglia la si faccia a mani vuote! Io ho una sola arma a disposizione ed è la rabbia che porto con me e dentro di me, perché non accetterò mai di essere cittadino di uno Stato di corruttori e che cola a picco ogni giorno di più (checché ne dica Letta!). Ma la mia, è una rabbia positiva, lucida, piena di grandi propositi e intrisa di passione. Non andrò via dal mio Paese, ma se dovremo viverci, credo sia arrivata l’ora di sottrarre l’Italia da una caduta inevitabile verso la condanna a morte, con i suoi boia, i truffatori dello Stato e degli onesti cittadini. Non è retorica, ma realtà. Guardatevi le spalle (ed anche avanti).

    [GARD]
  • Dalle difficoltà attuali emergerà una nuova Europa in cui il ruolo degli stati nazione sarà ridimensionato a favore di un rapporto più diretto con i cittadini. La seconda parte dell’intervento di Geert Mak alla conferenza organizzata da Trouw. Estratti.

    L’11 marzo 1882, più di 130 anni fa, il filosofo e polemista francese Ernest Renan pronunciò un discorso alla Sorbona destinato ad avere un impatto molto duraturo. Si intitolava “Cos’è una nazione?”. “Una nazione è […] una grande solidarietà, costituita dal sentimento dei sacrifici compiuti e da quelli che si è ancora disposti a compiere insieme”.

    Ancora oggi esistono filosofi e politici europei, specialmente a Bruxelles, che preferirebbero spazzare via lo stato nazione, un mito antiquato e perfino pericoloso del XIX secolo. Costoro considerano la crisi un mezzo per compiere, finalmente, un grande balzo in avanti; sognano ancora una federazione europea.

    Se si applica la lucida definizione di Renan al nostro continente, tuttavia, allora – anche a distanza di mezzo secolo da quando si sono gettate le fondamenta dell’Ue – non resta granché di una simile nazione europea. Se c’è qualcosa che la crisi e la conseguente spinta estrema all’austerità hanno rovinato è proprio quella solidarietà, quella volontà di continuare a vivere insieme una stessa vita, come faceva notare Renan.

    Non è tutto. Il problema di quei grandiosi sogni europei è che nel respingere lo stato nazione, l’importanza del fattore “luogo” non è stata tenuta in debito conto, in linea generale. I formaggi non pastorizzati semi-illegali dei mercati di Dieppe, il caffè fumoso e privo di servizi igienici del paese di Vasarosbec in Ungheria, il cioccolato di Bruges, i pannelli solari di Neukirch, la costruzione della metropolitana di Amsterdam… Che cosa non è stato soffocato dalla grandinata di normative dalle buone intenzioni di Bruxelles?

    Tutti questi, presi singolarmente e insieme, sono sintomi di una federazione europea che negli ultimi decenni ha completamente perso il suo equilibrio. Fin troppe questioni che un normale rapporto federativo, come quello degli Stati Uniti d’America, lascia alla competenza di singoli stati membri – dal formaggio al cioccolato, per esempio – sono amministrati direttamente da Bruxelles.

    D’altra parte, in Europa troppi ambiti politici che in tutte le federazioni sono più o meno gestiti a livello centrale – il settore finanziario, per esempio, e naturalmente la politica estera e la difesa – continuano invece a essere amministrati dalle capitali nazionali. I cittadini europei ne hanno un’acuta consapevolezza. Se c’è qualcosa che mette davvero a repentaglio il supporto all’Unione europea, a parte la mancanza di democrazia, è sicuramente questo.

    Dovremmo riportare in vita lo stato nazione in tutto il suo splendore, come sostengono alcuni? In tal caso, in assenza dell’Ue ma in qualità di europei dovremmo forse occuparci insieme di migliaia di questioni disparate, dalle quote per la pesca agli accordi finanziari alla politica energetica? Per non parlare della questione del clima, che nel XXI secolo si è abbattuta su tutti noi. Il mondo stesso non si è espanso ben al di là dei confini nazionali?

    Che ci piaccia o meno, dobbiamo trovare forme adeguate e democraticamente controllate per questo onnipresente “spazio” europeo. Sarà difficile e problematico, ma non c’è modo di tornare indietro al 1956.

    Dove lo stato nazione potrebbe acquisire un nuovo spazio è nella democrazia europea. Pertanto, è legittimo auspicare l’istituzione di un senato europeo che, come avviene negli Usa, rafforzi la componente nazionale nell’ambito del parlamento europeo e della democrazia europea. Altrettanto importante è la trasformazione dell’ideale nazionale risalente al XIX secolo di “sangue, lingua e territorio” in un ideale più politico, come hanno gli americani. Ormai, questo processo è in corso anche in Europa.

    Questa crisi sarà seguita da un Rinascimento europeo, in un modo o nell’altro. Da questa Unione europea dolorosamente messa alla prova, dovremo ricreare uno spazio europeo nel quale ogni cittadino europeo si senta a casa propria. Meno motivato da sogni e idealismo, temo, e più dalla dura necessità. Non trionfale, ma realistico e modesto. In primis e in assoluto tenendo in maggiore considerazione i valori associati al concetto di “spazio” presenti nelle normative europee e nelle istituzioni. Rispettando, coltivando e quando possibile proteggendo tutto ciò che si associa a quei valori contro la già eccessiva aggressione europea e globale.

    Economie parallele

    Quello spazio deve essere creato anche nel dibattito politico, non liquidando semplicemente tutti coloro che non si sentono più a casa propria nel loro angolo di mondo come i populisti e i nazionalisti. Questi sono sentimenti che l’estrema destra sa sfruttare da sempre. Ma ciò dipende dal fatto che i movimenti progressisti e liberal-conservatori hanno regolarmente prestato troppo poca attenzione alla necessità umana di una casa, di un proprio spazio e di tutto quello che a ciò si associa.

    In secondo luogo, quell’equilibrio può essere ritrovato e ripristinato dedicando più attenzione a quali elementi possono dare un contributo all’Europa. Ovunque, ma soprattutto a sud, stiamo vedendo in che modo, spinte dalla necessità, spuntino ovunque economie parallele, che si basano su un sapere locale, su prodotti locali, su network locali– il che significa, senza alcun commercio e distribuzione – su estensioni locali del credito, su una fiducia locale.

    E infine, l’equilibrio si ripristinerà con l’espansione del concetto di “spazio” che è andato prendendo piede in particolare negli ultimi decenni. Sempre più spesso si vede come tale concetto travalichi gli ambiti nazionali. Talvolta è la regione – che spesso oltrepassa varie frontiere – tal altra è un paesino, sempre più spesso una città.

    Al momento, per esempio, sono per lo più le città i luoghi dove creatività e innovazione fioriscono e si sviluppano malgrado tutto il pessimismo, dove i migranti vanno e vengono, dove i municipi abbattono le barriere nazionali e si avvicinano gli uni agli altri in tutto il mondo. Fin da prima della crisi siamo entrati nel vortice di un processo lungo e difficile. Tra tentativi ed errori ci stiamo dirigendo poco alla volta verso un’Europa fatta di persone, invece che un’Europa fatta di stati.

    fonte: PressEurope.eu

  • Ho avuto il piacere di ricevere questa lettera, da un ragazzo spagnolo che, per tre mesi, ha vissuto nel nostro Paese. Credo che siano parole chiare, nette e penso anche di sconforto, per un giovane che vede il proprio Paese deriso e additato da tutta l’Europa. Ecco la lettera.

    10 miliardi di euro. Questo è ciò che hanno tagliato dall’istruzione pubblica e dalla sanità. E questo é anche ciò che è stato fatto per evitare che Bankia (la più importante banca spagnola) fallisse. I cittadini spagnoli vivono una menzogna. I nostri politici si sono arresi, non sanno cosa fare, loro guardano il loro paese andare a picco, cercando di nasconderlo.
    Mi sto rendendo conto che la Spagna è il peggior paese dell’Unione Europea. Infatti, molti politici stanno pensando di uscire (come nazione, ndr) dall’UE. Verremo cancellati dal mondo. Mi si diceva che su Facebook siamo liberi di esprimere quello che vogliamo, non dovrebbero dirmi niente se insulto i capi politici, il “cacciatore di elefanti” (Re Juan Carlos, ndr), il nuovo traditore (Rajoi, ndr) o tutti i corrotti di questo paese dove ci hanno cacato (senza farsi vedere) e del quale portano con orgoglio la bandiera. Non ce la faccio più. Mi dichiaro apertamente ANTI-SPAGNA, perchè non mi identifico con un paese di ladroni, corrotti, magnati, bugiardi e traditori al potere, e disoccupati e affamati nella strada dove si privatizza il pubblico (o direttamente si chiude).
    Dove gli uffici sono tutte menzogne e metà della gente non paga le tasse.
    Ritorniamo ai carri con cavalli, alla peseta, alle pecore, alle strade di terra, a piantare meloni per non morire di fame e sete cazzo!
    È questo il paese dove vengono gli immigrati? Bella merda gli abbiamo preparato. Se io fossi un immigrante, in Spagna non andrei manco morto. Però di questa merda non frega niente a nessuno, nessuno la leggerà anche se lo traduco in inglese, perchè l’interesse è rivolto solo a vecchi e politici. No, non lo scrivo per te, Davide, ma può essere utile se lo traducessi in italiano e lo pubblicassi sul tuo blog. Io non farò parte della fuga dei cervelli. Farò parte della loro espulsione. E ora traduco questa merda in inglese così che gli stranieri vedano come stiamo. Sempre che qualcuno lo legga.

    Un grande abbraccio,
    Alberto.