Tag: diritto

  • Perché Giurisprudenza? Ti facevo più da Scienze Politiche.

    Questa è stata la domanda che, in 5 anni, mi ha inseguito.
    La mia risposta, però, è sempre la stessa.

    Perché amo il Diritto e tutto ciò che ne scaturisce. Pensare che proprio la Legge ci contraddistingue dagli altri animali è qualcosa di affascinante. Parlo del Diritto positivo, frutto di scelte e non di semplice riconoscimento di qualcosa che già esiste, come potrebbe essere il Diritto naturale.
    E tra tutte le branche del Diritto, amo proprio quella da cui tutto nasce: il Diritto costituzionale. Perché la Costituzione è la chiave di volta che consente ad una società di stare in piedi.
    La Costituzione protegge l’individuo dalle insidie dell’arbitrio, limitando questo con argini solidi, tra tutti, l’argine dei Diritti fondamentali. Ci pensi ad una vita vissuta senza una Costituzione che proteggesse la vita stessa e tutto ciò che porta con se? Come potremmo definire il nostro diritto alla libertà di parola, movimento e tutte le libertà positive che noi conosciamo, senza una Carta fondamentale che dica “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’Uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”?
    Ed è affascinante vedere come gli uomini, consapevoli del valore della Costituzione, cerchino sempre di far combaciare la Costituzione formale (quella scritta e approvata con il legittimo procedimento) a quella sostanziale, quella cioè insita nel sottopelle della Comunità che protegge.
    Il Diritto è l’argine alla barbarie e lo strumento più forte per proteggere i più deboli.
    Che diventi un avvocato, un professore o un semplice giurista, sarà sempre questo a darmi la forza per andare avanti e dare sempre più.

  • A dirlo è la Corte Costituzionale, con la sentenza 236/2015 di ieri, mettendo un punto chiaro ed inibendo ulteriori interpretazioni fuorvianti che hanno visto, oltretutto, alcuni ricorsi alla Consulta sulla legittimità costituzionale della norma.

    Nella sentenza trovate tutte le motivazioni che hanno portato la Corte ad esprimersi favorevolmente alla legittimità costituzionale della L. 190/12 recante “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione“, meglio nota come Legge Severino. Una chiave di lettura della sentenza la trovate qui.

  • Ieri è stata depositata la sentenza n. 24431/15 della Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione, a mio avviso, molto importante.

    L’offesa sui social network (in questo caso Facebook) è equiparabile all’offesa a mezzo stampa (che si chiami ingiuria o diffamazione, sta al caso di specie). Una sentenza in controtendenza rispetto all’obiettivo che il Parlamento si è posto, cioè di depenalizzare il reato di diffamazione a mezzo stampa (oggi punibile con una pena detentiva fino ai 3 anni).

    Questa sentenza è importante perché immette nel sistema di internet i diritti della personalità che non hanno una tutela solida sulla rete e che hanno spinto (e spingono tutt’ora) molti giuristi ad immaginare una Costituzione della Rete che offra tali strumenti – la cosiddetta Internet Bill of Rights – di cui ne ho già parlato su questo blog.

    I diritti della personalità, nel nostro ordinamento, sono tutelati dalla nostra Costituzione (art.3), dal Codice Civile e Penale e dalle leggi dello Stato. Rimanendo in tema costituzionale, per offrire un ulteriore riferimento giuridico, l’art.21 comma VI riporta:

    Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.

    Ma l’ordinamento non esaurisce qui i riferimenti normativi in tema di salvaguardia dei diritti della personalità. In caso di diffamazione, il diritto leso è quello all’integrità morale, declinato anche nel diritto all’onore e alla reputazione, lesione che viene tutelata dall’art. 594 c.p. e ss. Vediamo nel dettaglio cosa dicono.

    [toggle title=”Art. 594 c.p. (Ingiuria)“]Chiunque offende l’onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 516.
    Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa.
    La pena è della reclusione fino a un anno o della multa fino a euro 1.032 se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato.
    Le pene sono aumentate qualora l’offesa sia commessa in presenza di più persone.[/toggle]

    Su questo articolo, vorrei focalizzarmi sui commi II e IV.

    Art. 594 comma II c.p.
    Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa.

    Il comma II puntualizza i mezzi utilizzabili per commettere il reato in oggetto, ampliando il raggio d’azione della norma. Per estensione, con comunicazione telegrafica o telefonica o, se vogliamo, con il generico “con scritti”, possiamo far rientrare la diffamazione per mezzo di un sito internet, quale un social network.

    Il comma IV, tuttavia, ci permette di collegarci all’art.595 c.p. e dice:

    Art. 594 comma IV c.p.
    Le pene sono aumentate qualora l’offesa sia commessa in presenza di più persone.

    Qui è importante sottolineare la situazione in cui ci si può trovare mentre commettiamo il reato: in presenza di più persone. Ed è questa l’ipotesi avvallata dalla Cassazione, come riportata nella sentenza di cui parliamo.

    Arrivando ora ad analizzare l’art.595 del Codice Penale, che istituisce il reato di diffamazione, riporta:

    [toggle title=”Art. 595 c.p. (Diffamazione)“]Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032.
    Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2.065.
    Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516.
    Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza o ad una autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.[/toggle]

    Al comma III, l’art. 595 c.p. esplicita l’ipotesi in cui la diffamazione avvenga o col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità. La Cassazione ha quindi sostenuto, prendendo in esame tale comma, che un social network possa rientrare nella definizione di altro mezzo di pubblicità, portando tale ipotesi ad essere punita con un periodo di reclusione fino ai 3 anni e una multa di minimo 516 euro. Pare scontato, ma è giusto sottolinearlo.

    In conclusione, la Cassazione ha attribuito, in senso figurativo, la qualifica di “giornalisti” a tutti coloro che pubblicano, quotidianamente, i loro post sui social network. Un’estensione della responsabilità attribuita ai giornalisti che pone serie problematiche e che dovrebbe far riflettere i legislatori, portando ad una regolamentazione dei diritti e dei doveri sulla rete, magari dando vita alla tanto acclamata Internet Bill of Rights.

    Facciamo attenzione, quindi, a quello che scriviamo su Facebook, Twitter, Google Plus, e chi più ne ha più ne metta. Ricordiamoci che internet non è un mondo a parte e ogni singolo utente è destinatario di diritti e doveri; stessi diritti e doveri che il nostro Ordinamento ci garantisce e ci impone nella vita di tutti i giorni. Il mondo reale e il World Wide Web non sono due cose diverse. Il secondo appartiene al primo; e il primo è regolato dal diritto e tale deve essere anche il secondo.

    Cittadini sempre, cittadini ovunque.

    [button-red url=”https://www.davidemontanaro.it/wp-content/uploads/2015/06/cass-pen-24431-15.pdf” target=”_blank” position=”left”]Scarica la sentenza della Cassazione n.24431/15 (.pdf)[/button-red][clear]
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    Che sia in atto una nuova Costituente, è qualcosa che dovrebbe riempirci di orgoglio, perché quando nell’immaginario collettivo cresce la necessità di avere una Costituzione, significa che c’è il bisogno di affermare diritti fondamentali, fissare le regole della convivenza civile.

    Ed è un po’ quello che sta succedendo adesso: la Costituzione della Rete è stata redatta. La commissione voluta dalla Presidente della Camera, Laura Boldrini, presieduta dal Prof. Stefano Rodotà ha partorito 14 articoli – 14 principi a tutela della persona, dell’internauta.

    1. RICONOSCIMENTO E GARANZIA DEI DIRITTI
    Sono garantiti in Internet i diritti fondamentali di ogni persona riconosciuti dai documenti internazionali, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, dalle costituzioni e dalle leggi.
    Tali diritti devono essere interpretati in modo da assicurarne l’effettività nella dimensione della rete.
    Il riconoscimento dei diritti in Internet deve essere fondato sul pieno rispetto della dignità, della libertà, dell’eguaglianza e della diversità di ogni persona, che costituiscono i principi in base ai quali si effettua il bilanciamento con altri diritti.

    Articolo della migliore scuola: contemperare i diritti assumendo come principio guida l’universalità di leggi di ordine superiore riconosciute a livello europeo e internazionale.

    2. DIRITTO DI ACCESSO
    Ogni persona ha eguale diritto di accedere a Internet in condizioni di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e aggiornate che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale.
    Il diritto fondamentale di accesso a Internet deve essere assicurato nei suoi presupposti sostanziali e non solo come possibilità di collegamento alla Rete.
    L’accesso comprende la libertà di scelta per quanto riguarda sistemi operativi, software e applicazioni.
    L’effettiva tutela del diritto di accesso esige adeguati interventi pubblici per il superamento di ogni forma di divario digitale  –  culturale, infrastrutturale, economico  –  con particolare riferimento all’accessibilità delle persone con disabilità.

    L’intervento qui riguarda il ruolo delle istituzioni nel ridurre il divario tra gli “information rich” e gli “information poor” in maniera fattuale, a cominciare dalle dotazioni per connettersi in rete fino al superamento delle sperequazioni esistenti tra uomini e donne, normodotati e diversamente abili, ricchi e poveri, alfabetizzati e non alfabetizzati. L’accesso alla rete equivale all’accesso al sapere e quindi al lavoro ed è precondizione per l’esercizio di altri diritti come quello alla partecipazione democratica.

    3. NEUTRALITA’ DELLA RETE
    Ogni persona ha il diritto che i dati che trasmette e riceve in Internet non subiscano discriminazioni, restrizioni o interferenze in relazione al mittente, ricevente, tipo o contenuto dei dati, dispositivo utilizzato, applicazioni o, in generale, legittime scelte delle persone.
    La neutralità della Rete, fissa e mobile, e il diritto di accesso sono condizioni necessarie per l’effettività dei diritti fondamentali della persona. Garantiscono il mantenimento della capacità generativa di Internet anche in riferimento alla produzione di innovazione. Assicurano ai messaggi e alle loro applicazioni di viaggiare online senza discriminazioni per i loro contenuti e per le loro funzioni.

    La net neutrality è il vero campo di battaglia per una Internet paritaria e inclusiva che rispetti il principio secondo cui “tutti i bit sono nati uguali”. Essa è un freno al tentativo degli oligopoli delle telecomunicazioni di creare corsie preferenziali per chi paga di più e uno stop ai governi che potrebbero voler ispezionare i dati in rete per decidere chi passa, quando e con quale priorità. La negazione di questo principio è il cavallo di troia di ogni tipo di censura. Manca un riferimento ai diritti delle imprese che affrontano l’onere dell’innovazione delle infrastrutture di rete al contrario degli Over The Top (Google, FB, Amazon, etc.) che le sfruttano.

    4. TUTELA DEI DATI PERSONALI
    Ogni persona ha diritto alla protezione dei dati che la riguardano, per garantire il rispetto della sua dignità, identità e riservatezza.
    I dati personali sono quelli che consentono di risalire all’identità di una persona e comprendono anche i dati identificativi dei dispositivi e le loro ulteriori elaborazioni, come quelle legate alla produzione di profili.
    I dati devono essere trattati rispettando i principi di necessità, finalità, pertinenza, proporzionalità e, in ogni caso, prevale il diritto di ogni persona all’autodeterminazione informativa.
    I dati possono essere raccolti e trattati solo con il consenso effettivamente informato della persona interessata o in base a altro fondamento legittimo previsto dalla legge. Il consenso è in via di principio revocabile. Per il trattamento di dati sensibili la legge può prevedere che il consenso della persona interessata debba essere accompagnato da specifiche autorizzazioni.
    Il consenso non può costituire una base legale per il trattamento quando vi sia un significativo squilibrio di potere tra la persona interessata e il soggetto che effettua il trattamento.
    Sono vietati l’accesso e il trattamento dei dati personali con finalità anche indirettamente discriminatorie.

    Su questo i Garanti della Privacy italiani che si sono succeduti, hanno detto già tutto. Importante il tema dell’”opt-in” cioè del consenso, revocabile, precedentemente dato ad ogni forma di trattamento dei propri dati personali (telefoni, indirizzi, dati economici e professionali) e di quelli sensibili come le condizioni di salute e l’orientamento sessuale, filosofico, politico e religioso. Di importanza capitale il principio dell’autodeterminazione informativa, cioè la decisione di quali aspetti della propria vita rendere conoscibili a terzi. Nel caso di una asimmetria di potere il soggetto forte deve fare un passo indietro. Non è presente nessuna ipotesi sulla gradazione del livello di privacy o “intimacy” gestibile dall’individuo.

    5. DIRITTO ALL’AUTODETERMINAZIONE INFORMATIVA
    Ogni persona ha diritto di accedere ai propri dati, quale che sia il soggetto che li detiene e il luogo dove sono conservati, per chiederne l’integrazione, la rettifica, la cancellazione secondo le modalità previste dalla legge. Ogni persona ha diritto di conoscere le modalità tecniche di trattamento dei dati che la riguardano.
    Le raccolte di massa di dati personali possono essere effettuate solo nel rispetto dei principi e dei diritti fondamentali.
    La conservazione dei dati deve essere limitata al tempo necessario, tenendo conto del principio di finalità e del diritto all’autodeterminazione della persona interessata.

    La legge italiana sulla privacy già lo prevede, e tuttavia viene ribadita la “proprietà dei dati personali” e il divieto alle raccolta massiva di dati. Richiamo più che evidente allo scandalo Datagate svelato da Edward Snowden, e alla sorveglianza massiva da parte di agenzie governative e “imprenditori dei dati” – come le agenzie di direct marketing e perfino i social network e i motori di ricerca – che ne fanno commercio e/o li cedono ai governi ai fini di sorveglianza e controllo senza avvisarne i titolari.

    6. INVIOLABILITÀ DEI SISTEMI E DOMICILI INFORMATICI
    Senza l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, nei soli casi e modi previsti dalla legge, è vietato l’accesso ai dati della persona che si trovino su dispositivi personali, su elaboratori remoti accessibili tramite credenziali da qualsiasi elaboratore connesso a Internet o simultaneamente su dispositivi personali e, in copia, su elaboratori remoti, nonché l’intercettazione di qualsiasi forma di comunicazione elettronica.

    Richiamo chiaro e senza possibilità di fraintendimento alla necessità dell’autorizzazione della magistratura per ogni tipo di indagine effettuata sulla “vita dentro lo schermo”. Una tutela importante per chi esercita il diritto/dovere all’informazione, alla critica, alla satira, alla condivisione di dati, informazioni e conoscenze, che talvolta si è cercato di limitare a favore dei diritti di proprietà, per esempio considerando lecito da parte di soggetti privati violare la privacy dei cittadini per tutelare il diritto alla proprietà intellettuale.

    7. TRATTAMENTI AUTOMATIZZATI
    Nessun atto, provvedimento giudiziario o amministrativo, decisione comunque destinata ad incidere in maniera significativa nella sfera delle persone possono essere fondati unicamente su un trattamento automatizzato di dati personali volto a definire il profilo o la personalità dell’interessato.

    Il sè digitale non può precedere il sè reale. L’articolo rinvia al rischio di manipolazione, degrado e inattualità dei dati informatici che ci definiscono come buoni o cattivi cittadini, consumatori, lavoratori, vicini di casa, e da una loro collazione parziale e artificiosa che possa pregiudicare il diritto alla dignità e libertà della persona, all’accesso al welfare e alle cure, alla giusta difesa e a un equo processo.

    8. DIRITTO ALL’IDENTITÀ
    Ogni persona ha diritto alla rappresentazione integrale e aggiornata della propria identità.
    La sua definizione riguarda la libera costruzione della personalità e non può essere sottratta all’intervento e alla conoscenza dell’interessato.
    L’uso di algoritmi e di tecniche probabilistiche deve essere portato a conoscenza delle persone interessate, che in ogni caso possono opporsi alla costruzione e alla diffusione di profili che le riguardano.
    Ogni persona ha diritto di fornire solo i dati strettamente necessari per l’adempimento di obblighi previsti dalla legge, per la fornitura di beni e servizi, per l’accesso alle piattaforme che operano in Internet.
    La definizione di un’identità in Internet da parte dell’amministrazione pubblica deve essere accompagnata da adeguate garanzie.

    L’articolo potrebbe essere fuso coi precedenti visto che riguarda il diritto ad essere lasciati in pace, all’autodeterminazione informativa, al corretto trattamento automatizzato dei dati personali e all’inviolabilità di sistemi e domicili informatici, e ne costituisce uno dei presupposti.

    9. ANONIMATO
    Ogni persona può comunicare elettronicamente in forma anonima per esercitare le libertà civili e politiche senza subire discriminazioni o censure.
    Limitazioni possono essere previste solo quando siano giustificate dall’esigenza di tutelare un interesse pubblico e risultino necessarie, proporzionate, fondate sulla legge e nel rispetto dei caratteri propri di una società democratica.
    Nei casi previsti dalla legge e con provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria l’autore di una comunicazione può essere identificato quando sia necessario per garantire la dignità e i diritti di altre persone.

    Anche qui, considerato superiore l’interesse pubblico, viene enfatizzato il valore di una particolare declinazione della privacy. Per capirci: una donna che denuncia una violenza su un blog ha diritto a rimanere anonima se serve a evitare rappresaglie, lo stesso vale per chi denuncia i mafiosi o per i cooperanti in paesi autoritari. Potrebbe essere la base del riconoscimento alla protezione dei whistleblower, gli “spioni” che denunciano malaffare, corruzione, collusioni tra potere politico ed economico.

    10. DIRITTO ALL’OBLIO
    Ogni persona ha diritto di ottenere la cancellazione dagli indici dei motori di ricerca dei dati che, per il loro contenuto o per il tempo trascorso dal momento della loro raccolta, non abbiano più rilevanza.
    Il diritto all’oblio non può limitare la libertà di ricerca e il diritto dell’opinione pubblica a essere informata, che costituiscono condizioni necessarie per il funzionamento di una società democratica. Tale diritto può essere esercitato dalle persone note o alle quali sono affidate funzioni pubbliche solo se i dati che le riguardano non hanno alcun rilievo in relazione all’attività svolta o alle funzioni pubbliche esercitate.
    Se la richiesta di cancellazione dagli indici dei motori di ricerca dei dati è stata accolta, chiunque ha diritto di conoscere tali casi e di impugnare la decisione davanti all’autorità giudiziaria per garantire l’interesse pubblico all’informazione.

    Anche qui pare contemperato il diritto a essere dimenticati con il diritto alla storia e alla memoria. Con un’eccezione già esistente nelle leggi sulla privacy: non vale per i personaggi pubblici alla cui conoscibilità e coerenza i cittadini affidano il governo delle istituzioni collettive. Un’altra via praticabile è considerata quella della definizione di un”termine temporale” prima di poter esercitare il diritto all’oblio.

    11. DIRITTI E GARANZIE DELLE PERSONE SULLE PIATTAFORME
    I responsabili delle piattaforme digitali sono tenuti a comportarsi con lealtà e correttezza nei confronti di utenti, fornitori e concorrenti.
    Ogni persona ha il diritto di ricevere informazioni chiare e semplificate sul funzionamento della piattaforma, a non veder modificate in modo arbitrario le condizioni contrattuali, a non subire comportamenti che possono determinare difficoltà o discriminazioni nell’accesso. Ogni persona deve in ogni caso essere informata del mutamento delle condizioni contrattuali. In questo caso ha diritto di interrompere il rapporto, di avere copia dei dati che la riguardano in forma interoperabile, di ottenere la cancellazione dalla piattaforma dei dati che la riguardano.
    Le piattaforme che operano in Internet, qualora si presentino come servizi essenziali per la vita e l’attività delle persone, favoriscono, nel rispetto del principio di concorrenza, condizioni per una adeguata interoperabilità, in presenza di parità di condizioni contrattuali, delle loro principali tecnologie, funzioni e dati verso altre piattaforme.

    Pare evidente il riferimento ai social network e ai motori di ricerca che oggi fungono da provider delle identità digitali e le cui condizioni d’uso conservano – nonostante i cambiamenti intervenuti nelle privacy policies – una forte asimmetria di potere dei fornitori rispetto ai contraenti. Oggi è difficile per un cittadino rifiutarsi di accettare la licenza d’uso di Facebook, come già accade per certe clausole bancarie e datoriali. La soluzione caldeggiata da molti riguarda l’equiparazione dell’uso dei social a quello del telefono come diritto universale.

    12. SICUREZZA IN RETE
    La sicurezza in rete deve essere garantita come interesse pubblico, attraverso l’integrità delle infrastrutture e la loro tutela da attacchi esterni, e come interesse delle singole persone.
    Non sono ammesse limitazioni della libertà di manifestazione del pensiero; deve essere garantita la tutela della dignità delle persone da abusi connessi a comportamenti negativi, quali l’incitamento all’odio, alla discriminazione e alla violenza.

    Qui si riecheggia il triste fenomeno dell’hate speech e degli hate crimes. I siti dell’odio che inneggiano alla discriminazione sessuale, razziale, religiosa o che sono veicoli di pregiudizio anti-ebreo, anti-rom, anti-arabo, anti-africano. L’articolo sottende anche la piaga del cyberbullismo e dello stalking in rete. Contempera il diritto alla libertà d’espressione con la tutela da comportamenti diffamatori e violenti (minacce e linciaggio mediatico) che dalla rete possono tracimare nel mondo fisico.

    13. DIRITTO ALL’EDUCAZIONE
    Ogni persona ha diritto di acquisire le capacità necessarie per utilizzare Internet in modo consapevole e attivo. La dimensione culturale ed educativa di Internet costituisce infatti elemento essenziale per garantire l’effettività del diritto di accesso e della tutela delle persone.
    Le istituzioni pubbliche promuovono attività educative rivolte alle persone, al sistema scolastico e alle imprese, con specifico riferimento alla dimensione intergenerazionale.
    Il diritto all’uso consapevole di Internet è fondamentale perché possano essere concretamente garantiti lo sviluppo di uguali possibilità di crescita individuale e collettiva; il riequilibrio democratico delle differenze di potere sulla Rete tra attori economici, istituzioni e cittadini; la prevenzione delle discriminazioni e dei comportamenti a rischio e di quelli lesivi delle libertà altrui.

    Si potrebbe aggiungere: con l’obiettivo di favorire lo sviluppo del pensiero critico, la tutela e la promozione di valori, principi, codici e convenzioni minoritari nella società. Per un’educazione al rispetto delle diversità biologiche e culturali.

    14. CRITERI PER IL GOVERNO DELLA RETE
    Ogni persona ha diritto di vedere riconosciuti i propri diritti sia a livello nazionale che internazionale.
    Internet richiede regole conformi alla sua dimensione universale e sovranazionale, volte alla piena attuazione dei principi e diritti prima indicati, per garantire il suo carattere aperto e democratico, impedire ogni forma di discriminazione e evitare che la sua disciplina dipenda dal potere esercitato da soggetti dotati di maggiore forza economica.
    La costruzione di un sistema di regole deve tenere conto dei diversi livelli territoriali (sovranazionale, nazionale, regionale), delle opportunità offerte da forme di autoregolamentazione conformi ai principi indicati, della necessità di salvaguardare la capacità di innovazione, della molteplicità di soggetti che operano in Rete, promuovendone il coinvolgimento in forme che garantiscano la partecipazione diffusa di tutti gli interessati.
    Le istituzioni pubbliche adottano strumenti adeguati per garantire questa forma di partecipazione.
    In ogni caso, l’innovazione normativa in materia di Internet è sottoposta a valutazione di impatto sull’ecosistema digitale.
    La gestione della Rete deve assicurare il rispetto del principio di trasparenza, la responsabilità delle decisioni, l’accessibilità alle informazioni pubbliche, la rappresentanza dei soggetti interessati.
    L’accesso ed il riutilizzo dei dati generati e detenuti dal settore pubblico debbono essere garantiti e potenziati.
    La costituzione di autorità nazionali e sovranazionali è indispensabile per garantire effettivamente il rispetto dei criteri indicati, anche attraverso una valutazione di conformità delle nuove norme ai principi di questa Dichiarazione.

    L’articolo riassume quindici anni di dibattito in sede Onu sull’importanza di regole e principi condivisi per la governance “multiequal-stakeholder” della rete. Cioè, la necessità di un governo partecipato della gestione di Internet da parte di soggetti pubblici e privati, a ogni livello: infrastrutturale, tecnico, legale e contenutistico. Un approccio di cui l’Italia è pioniera, a dispetto della capacità dei suoi governi di riconoscerlo e sostenerlo.

    Fonte: La Repubblica

  • E’ proprio vero, il nostro Paese non è libero. Cosa intendiamo per libertà? Anzi, Libertà, con la L maiuscola, quella di cui parla la Costituzione Italiana? Pensiamo che la Libertà sia solo poter costruire un palazzo? Poter votare? Poter decidere cosa fare nella vita? Poter decidere cosa indossare? Poter scrivere quello che si vuole? Poter giudicare tutto e senza vincoli? Poter stampare qualsiasi cosa e distribuirla in giro? Poter conoscere chiunque senza problemi? Poter entrare in tutti i luoghi comuni? Poter creare luoghi comuni? E cos’altro? Tutto, tranne una cosa, forse la più importante di tutte, la famiglia.

    La famiglia pare essere una cosa naturale, un tassello della nostra vita che nessuno può negarci, peccato che tutti siamo avari, o almeno la gran parte di noi non viene minimamente toccato da ciò che, ogni giorno, una coppia omosessuale prova. Forse dovremmo incominciare a capire quanto sia importante garantire la libertà a 360°, certo regolamentata dalle leggi, ma queste leggi possono garantire il diritto di famiglia anche a chi non risulta rientrare nel contesto, per modo di dire, della famiglia tradizionale.

    Quanti sono gli omosessuali? Tanti e molti non sono dichiarati. Questo significa che moltissime famiglie omosessuali, per lo Stato non sono famiglie. Nuclei di persone con le stesse caratteristiche di quelli tradizionali: lavoratori (in questo periodo è un po’ difficile però…), contribuenti, insomma, numeri per le casse dello Stato, ma non per l’elenco delle famiglie ufficializzate, per quale motivo?

    La laicità in Italia è sempre stata una questione irrisolta, la cultura che è stata tramandata, fino ad oggi, ha trasportato un senso di incompiutezza e di incomprensione su ciò che realmente è la laicità, vivere ed agire da laici.

    La laicità è sinonimo di rispetto, la laicità non la si estende solo nel campo religioso, ma anche sul piano strutturale della società, una società è laica quando accetta e rispetta ogni singola decisione e fa leggi che regolino i diritti e la libertà di scelta del singolo individuo.

    La laicità nella religione significa che lo Stato rispetta tutte le religioni e non avvantaggia nessuna di esse, in Italia pensate sia così? Io non credo.

    La laicità nel lavoro significa che lo Stato rispetta ogni lavoro ed ogni lavoratore, senza creare un vantaggio per uno anzichè per l’altro.

    La laicità nella famiglia significa che lo Stato rispetta ogni famiglia e ogni tipo di famiglia, da quella tra uomo e donna a quella tra persone dello stesso sesso, mi pare che in Italia ci sia una leggera controtendenza in merito.

    Insomma, la laicità è tutto, peccato però che l’Italia di laicità non ne vuol sentir parlare, perchè se ci fosse un senso di rispetto del diverso, saremmo un paese in cui si rispettano tutte le famiglie, tutti i cittadini, si rispetterebbe la minoranza in Parlamento (dagli atteggiamenti di alcuni parlamentari di centro-destra, la cosa pare essere un tantino diversa), significa rispettare chi la pensa diversamente e garantire che quella persona possa realizzare il suo progetto, un progetto che può essere di vita, di lavoro e qualsiasi altra decisione.

    Viva la Laicità. Quella vera però.