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    Che sia in atto una nuova Costituente, è qualcosa che dovrebbe riempirci di orgoglio, perché quando nell’immaginario collettivo cresce la necessità di avere una Costituzione, significa che c’è il bisogno di affermare diritti fondamentali, fissare le regole della convivenza civile.

    Ed è un po’ quello che sta succedendo adesso: la Costituzione della Rete è stata redatta. La commissione voluta dalla Presidente della Camera, Laura Boldrini, presieduta dal Prof. Stefano Rodotà ha partorito 14 articoli – 14 principi a tutela della persona, dell’internauta.

    1. RICONOSCIMENTO E GARANZIA DEI DIRITTI
    Sono garantiti in Internet i diritti fondamentali di ogni persona riconosciuti dai documenti internazionali, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, dalle costituzioni e dalle leggi.
    Tali diritti devono essere interpretati in modo da assicurarne l’effettività nella dimensione della rete.
    Il riconoscimento dei diritti in Internet deve essere fondato sul pieno rispetto della dignità, della libertà, dell’eguaglianza e della diversità di ogni persona, che costituiscono i principi in base ai quali si effettua il bilanciamento con altri diritti.

    Articolo della migliore scuola: contemperare i diritti assumendo come principio guida l’universalità di leggi di ordine superiore riconosciute a livello europeo e internazionale.

    2. DIRITTO DI ACCESSO
    Ogni persona ha eguale diritto di accedere a Internet in condizioni di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e aggiornate che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale.
    Il diritto fondamentale di accesso a Internet deve essere assicurato nei suoi presupposti sostanziali e non solo come possibilità di collegamento alla Rete.
    L’accesso comprende la libertà di scelta per quanto riguarda sistemi operativi, software e applicazioni.
    L’effettiva tutela del diritto di accesso esige adeguati interventi pubblici per il superamento di ogni forma di divario digitale  –  culturale, infrastrutturale, economico  –  con particolare riferimento all’accessibilità delle persone con disabilità.

    L’intervento qui riguarda il ruolo delle istituzioni nel ridurre il divario tra gli “information rich” e gli “information poor” in maniera fattuale, a cominciare dalle dotazioni per connettersi in rete fino al superamento delle sperequazioni esistenti tra uomini e donne, normodotati e diversamente abili, ricchi e poveri, alfabetizzati e non alfabetizzati. L’accesso alla rete equivale all’accesso al sapere e quindi al lavoro ed è precondizione per l’esercizio di altri diritti come quello alla partecipazione democratica.

    3. NEUTRALITA’ DELLA RETE
    Ogni persona ha il diritto che i dati che trasmette e riceve in Internet non subiscano discriminazioni, restrizioni o interferenze in relazione al mittente, ricevente, tipo o contenuto dei dati, dispositivo utilizzato, applicazioni o, in generale, legittime scelte delle persone.
    La neutralità della Rete, fissa e mobile, e il diritto di accesso sono condizioni necessarie per l’effettività dei diritti fondamentali della persona. Garantiscono il mantenimento della capacità generativa di Internet anche in riferimento alla produzione di innovazione. Assicurano ai messaggi e alle loro applicazioni di viaggiare online senza discriminazioni per i loro contenuti e per le loro funzioni.

    La net neutrality è il vero campo di battaglia per una Internet paritaria e inclusiva che rispetti il principio secondo cui “tutti i bit sono nati uguali”. Essa è un freno al tentativo degli oligopoli delle telecomunicazioni di creare corsie preferenziali per chi paga di più e uno stop ai governi che potrebbero voler ispezionare i dati in rete per decidere chi passa, quando e con quale priorità. La negazione di questo principio è il cavallo di troia di ogni tipo di censura. Manca un riferimento ai diritti delle imprese che affrontano l’onere dell’innovazione delle infrastrutture di rete al contrario degli Over The Top (Google, FB, Amazon, etc.) che le sfruttano.

    4. TUTELA DEI DATI PERSONALI
    Ogni persona ha diritto alla protezione dei dati che la riguardano, per garantire il rispetto della sua dignità, identità e riservatezza.
    I dati personali sono quelli che consentono di risalire all’identità di una persona e comprendono anche i dati identificativi dei dispositivi e le loro ulteriori elaborazioni, come quelle legate alla produzione di profili.
    I dati devono essere trattati rispettando i principi di necessità, finalità, pertinenza, proporzionalità e, in ogni caso, prevale il diritto di ogni persona all’autodeterminazione informativa.
    I dati possono essere raccolti e trattati solo con il consenso effettivamente informato della persona interessata o in base a altro fondamento legittimo previsto dalla legge. Il consenso è in via di principio revocabile. Per il trattamento di dati sensibili la legge può prevedere che il consenso della persona interessata debba essere accompagnato da specifiche autorizzazioni.
    Il consenso non può costituire una base legale per il trattamento quando vi sia un significativo squilibrio di potere tra la persona interessata e il soggetto che effettua il trattamento.
    Sono vietati l’accesso e il trattamento dei dati personali con finalità anche indirettamente discriminatorie.

    Su questo i Garanti della Privacy italiani che si sono succeduti, hanno detto già tutto. Importante il tema dell’”opt-in” cioè del consenso, revocabile, precedentemente dato ad ogni forma di trattamento dei propri dati personali (telefoni, indirizzi, dati economici e professionali) e di quelli sensibili come le condizioni di salute e l’orientamento sessuale, filosofico, politico e religioso. Di importanza capitale il principio dell’autodeterminazione informativa, cioè la decisione di quali aspetti della propria vita rendere conoscibili a terzi. Nel caso di una asimmetria di potere il soggetto forte deve fare un passo indietro. Non è presente nessuna ipotesi sulla gradazione del livello di privacy o “intimacy” gestibile dall’individuo.

    5. DIRITTO ALL’AUTODETERMINAZIONE INFORMATIVA
    Ogni persona ha diritto di accedere ai propri dati, quale che sia il soggetto che li detiene e il luogo dove sono conservati, per chiederne l’integrazione, la rettifica, la cancellazione secondo le modalità previste dalla legge. Ogni persona ha diritto di conoscere le modalità tecniche di trattamento dei dati che la riguardano.
    Le raccolte di massa di dati personali possono essere effettuate solo nel rispetto dei principi e dei diritti fondamentali.
    La conservazione dei dati deve essere limitata al tempo necessario, tenendo conto del principio di finalità e del diritto all’autodeterminazione della persona interessata.

    La legge italiana sulla privacy già lo prevede, e tuttavia viene ribadita la “proprietà dei dati personali” e il divieto alle raccolta massiva di dati. Richiamo più che evidente allo scandalo Datagate svelato da Edward Snowden, e alla sorveglianza massiva da parte di agenzie governative e “imprenditori dei dati” – come le agenzie di direct marketing e perfino i social network e i motori di ricerca – che ne fanno commercio e/o li cedono ai governi ai fini di sorveglianza e controllo senza avvisarne i titolari.

    6. INVIOLABILITÀ DEI SISTEMI E DOMICILI INFORMATICI
    Senza l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, nei soli casi e modi previsti dalla legge, è vietato l’accesso ai dati della persona che si trovino su dispositivi personali, su elaboratori remoti accessibili tramite credenziali da qualsiasi elaboratore connesso a Internet o simultaneamente su dispositivi personali e, in copia, su elaboratori remoti, nonché l’intercettazione di qualsiasi forma di comunicazione elettronica.

    Richiamo chiaro e senza possibilità di fraintendimento alla necessità dell’autorizzazione della magistratura per ogni tipo di indagine effettuata sulla “vita dentro lo schermo”. Una tutela importante per chi esercita il diritto/dovere all’informazione, alla critica, alla satira, alla condivisione di dati, informazioni e conoscenze, che talvolta si è cercato di limitare a favore dei diritti di proprietà, per esempio considerando lecito da parte di soggetti privati violare la privacy dei cittadini per tutelare il diritto alla proprietà intellettuale.

    7. TRATTAMENTI AUTOMATIZZATI
    Nessun atto, provvedimento giudiziario o amministrativo, decisione comunque destinata ad incidere in maniera significativa nella sfera delle persone possono essere fondati unicamente su un trattamento automatizzato di dati personali volto a definire il profilo o la personalità dell’interessato.

    Il sè digitale non può precedere il sè reale. L’articolo rinvia al rischio di manipolazione, degrado e inattualità dei dati informatici che ci definiscono come buoni o cattivi cittadini, consumatori, lavoratori, vicini di casa, e da una loro collazione parziale e artificiosa che possa pregiudicare il diritto alla dignità e libertà della persona, all’accesso al welfare e alle cure, alla giusta difesa e a un equo processo.

    8. DIRITTO ALL’IDENTITÀ
    Ogni persona ha diritto alla rappresentazione integrale e aggiornata della propria identità.
    La sua definizione riguarda la libera costruzione della personalità e non può essere sottratta all’intervento e alla conoscenza dell’interessato.
    L’uso di algoritmi e di tecniche probabilistiche deve essere portato a conoscenza delle persone interessate, che in ogni caso possono opporsi alla costruzione e alla diffusione di profili che le riguardano.
    Ogni persona ha diritto di fornire solo i dati strettamente necessari per l’adempimento di obblighi previsti dalla legge, per la fornitura di beni e servizi, per l’accesso alle piattaforme che operano in Internet.
    La definizione di un’identità in Internet da parte dell’amministrazione pubblica deve essere accompagnata da adeguate garanzie.

    L’articolo potrebbe essere fuso coi precedenti visto che riguarda il diritto ad essere lasciati in pace, all’autodeterminazione informativa, al corretto trattamento automatizzato dei dati personali e all’inviolabilità di sistemi e domicili informatici, e ne costituisce uno dei presupposti.

    9. ANONIMATO
    Ogni persona può comunicare elettronicamente in forma anonima per esercitare le libertà civili e politiche senza subire discriminazioni o censure.
    Limitazioni possono essere previste solo quando siano giustificate dall’esigenza di tutelare un interesse pubblico e risultino necessarie, proporzionate, fondate sulla legge e nel rispetto dei caratteri propri di una società democratica.
    Nei casi previsti dalla legge e con provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria l’autore di una comunicazione può essere identificato quando sia necessario per garantire la dignità e i diritti di altre persone.

    Anche qui, considerato superiore l’interesse pubblico, viene enfatizzato il valore di una particolare declinazione della privacy. Per capirci: una donna che denuncia una violenza su un blog ha diritto a rimanere anonima se serve a evitare rappresaglie, lo stesso vale per chi denuncia i mafiosi o per i cooperanti in paesi autoritari. Potrebbe essere la base del riconoscimento alla protezione dei whistleblower, gli “spioni” che denunciano malaffare, corruzione, collusioni tra potere politico ed economico.

    10. DIRITTO ALL’OBLIO
    Ogni persona ha diritto di ottenere la cancellazione dagli indici dei motori di ricerca dei dati che, per il loro contenuto o per il tempo trascorso dal momento della loro raccolta, non abbiano più rilevanza.
    Il diritto all’oblio non può limitare la libertà di ricerca e il diritto dell’opinione pubblica a essere informata, che costituiscono condizioni necessarie per il funzionamento di una società democratica. Tale diritto può essere esercitato dalle persone note o alle quali sono affidate funzioni pubbliche solo se i dati che le riguardano non hanno alcun rilievo in relazione all’attività svolta o alle funzioni pubbliche esercitate.
    Se la richiesta di cancellazione dagli indici dei motori di ricerca dei dati è stata accolta, chiunque ha diritto di conoscere tali casi e di impugnare la decisione davanti all’autorità giudiziaria per garantire l’interesse pubblico all’informazione.

    Anche qui pare contemperato il diritto a essere dimenticati con il diritto alla storia e alla memoria. Con un’eccezione già esistente nelle leggi sulla privacy: non vale per i personaggi pubblici alla cui conoscibilità e coerenza i cittadini affidano il governo delle istituzioni collettive. Un’altra via praticabile è considerata quella della definizione di un”termine temporale” prima di poter esercitare il diritto all’oblio.

    11. DIRITTI E GARANZIE DELLE PERSONE SULLE PIATTAFORME
    I responsabili delle piattaforme digitali sono tenuti a comportarsi con lealtà e correttezza nei confronti di utenti, fornitori e concorrenti.
    Ogni persona ha il diritto di ricevere informazioni chiare e semplificate sul funzionamento della piattaforma, a non veder modificate in modo arbitrario le condizioni contrattuali, a non subire comportamenti che possono determinare difficoltà o discriminazioni nell’accesso. Ogni persona deve in ogni caso essere informata del mutamento delle condizioni contrattuali. In questo caso ha diritto di interrompere il rapporto, di avere copia dei dati che la riguardano in forma interoperabile, di ottenere la cancellazione dalla piattaforma dei dati che la riguardano.
    Le piattaforme che operano in Internet, qualora si presentino come servizi essenziali per la vita e l’attività delle persone, favoriscono, nel rispetto del principio di concorrenza, condizioni per una adeguata interoperabilità, in presenza di parità di condizioni contrattuali, delle loro principali tecnologie, funzioni e dati verso altre piattaforme.

    Pare evidente il riferimento ai social network e ai motori di ricerca che oggi fungono da provider delle identità digitali e le cui condizioni d’uso conservano – nonostante i cambiamenti intervenuti nelle privacy policies – una forte asimmetria di potere dei fornitori rispetto ai contraenti. Oggi è difficile per un cittadino rifiutarsi di accettare la licenza d’uso di Facebook, come già accade per certe clausole bancarie e datoriali. La soluzione caldeggiata da molti riguarda l’equiparazione dell’uso dei social a quello del telefono come diritto universale.

    12. SICUREZZA IN RETE
    La sicurezza in rete deve essere garantita come interesse pubblico, attraverso l’integrità delle infrastrutture e la loro tutela da attacchi esterni, e come interesse delle singole persone.
    Non sono ammesse limitazioni della libertà di manifestazione del pensiero; deve essere garantita la tutela della dignità delle persone da abusi connessi a comportamenti negativi, quali l’incitamento all’odio, alla discriminazione e alla violenza.

    Qui si riecheggia il triste fenomeno dell’hate speech e degli hate crimes. I siti dell’odio che inneggiano alla discriminazione sessuale, razziale, religiosa o che sono veicoli di pregiudizio anti-ebreo, anti-rom, anti-arabo, anti-africano. L’articolo sottende anche la piaga del cyberbullismo e dello stalking in rete. Contempera il diritto alla libertà d’espressione con la tutela da comportamenti diffamatori e violenti (minacce e linciaggio mediatico) che dalla rete possono tracimare nel mondo fisico.

    13. DIRITTO ALL’EDUCAZIONE
    Ogni persona ha diritto di acquisire le capacità necessarie per utilizzare Internet in modo consapevole e attivo. La dimensione culturale ed educativa di Internet costituisce infatti elemento essenziale per garantire l’effettività del diritto di accesso e della tutela delle persone.
    Le istituzioni pubbliche promuovono attività educative rivolte alle persone, al sistema scolastico e alle imprese, con specifico riferimento alla dimensione intergenerazionale.
    Il diritto all’uso consapevole di Internet è fondamentale perché possano essere concretamente garantiti lo sviluppo di uguali possibilità di crescita individuale e collettiva; il riequilibrio democratico delle differenze di potere sulla Rete tra attori economici, istituzioni e cittadini; la prevenzione delle discriminazioni e dei comportamenti a rischio e di quelli lesivi delle libertà altrui.

    Si potrebbe aggiungere: con l’obiettivo di favorire lo sviluppo del pensiero critico, la tutela e la promozione di valori, principi, codici e convenzioni minoritari nella società. Per un’educazione al rispetto delle diversità biologiche e culturali.

    14. CRITERI PER IL GOVERNO DELLA RETE
    Ogni persona ha diritto di vedere riconosciuti i propri diritti sia a livello nazionale che internazionale.
    Internet richiede regole conformi alla sua dimensione universale e sovranazionale, volte alla piena attuazione dei principi e diritti prima indicati, per garantire il suo carattere aperto e democratico, impedire ogni forma di discriminazione e evitare che la sua disciplina dipenda dal potere esercitato da soggetti dotati di maggiore forza economica.
    La costruzione di un sistema di regole deve tenere conto dei diversi livelli territoriali (sovranazionale, nazionale, regionale), delle opportunità offerte da forme di autoregolamentazione conformi ai principi indicati, della necessità di salvaguardare la capacità di innovazione, della molteplicità di soggetti che operano in Rete, promuovendone il coinvolgimento in forme che garantiscano la partecipazione diffusa di tutti gli interessati.
    Le istituzioni pubbliche adottano strumenti adeguati per garantire questa forma di partecipazione.
    In ogni caso, l’innovazione normativa in materia di Internet è sottoposta a valutazione di impatto sull’ecosistema digitale.
    La gestione della Rete deve assicurare il rispetto del principio di trasparenza, la responsabilità delle decisioni, l’accessibilità alle informazioni pubbliche, la rappresentanza dei soggetti interessati.
    L’accesso ed il riutilizzo dei dati generati e detenuti dal settore pubblico debbono essere garantiti e potenziati.
    La costituzione di autorità nazionali e sovranazionali è indispensabile per garantire effettivamente il rispetto dei criteri indicati, anche attraverso una valutazione di conformità delle nuove norme ai principi di questa Dichiarazione.

    L’articolo riassume quindici anni di dibattito in sede Onu sull’importanza di regole e principi condivisi per la governance “multiequal-stakeholder” della rete. Cioè, la necessità di un governo partecipato della gestione di Internet da parte di soggetti pubblici e privati, a ogni livello: infrastrutturale, tecnico, legale e contenutistico. Un approccio di cui l’Italia è pioniera, a dispetto della capacità dei suoi governi di riconoscerlo e sostenerlo.

    Fonte: La Repubblica

  • Quello che sta succedendo, in queste ore, è tragico, molto tragico.

    Corradino Mineo e Vannino Chiti, senatori del Partito Democratico, sono stati sostituiti in Commissione Affari Costituzionali del Senato, perché portatori di una differente visione della riforma del Senato, rispetto a quella Boschi-Renzi, e perché entrambi avevano intenzione di far pesare nella discussione in commissione i loro emendamenti, proiettati verso la salvaguardia dell’elettività dell’Aula.

    Bum! Un colpo di spugna e Mineo e Chiti non sono più membri della commissione, in alternativa verrà posto qualcuno più propenso all’idea di un Senato non elettivo e che, magari, non si ponga tante domande sulla questione. So per certo che in Commissione si rappresenta il gruppo, ma se da un lato c’è stata una forzatura, dall’altra è stata lanciata una bomba a grappolo.

    Quando ho appreso questa notizia, devo esservi sincero, ho avuto un sussulto di rabbia, ma dopo aver riflettuto con calma e attentamente, credo che il problema più che numerico o di posizionamento, sia politico (come spesso capita).

    La questione che dovremmo porci è se sia giusto considerare i parlamentari come delle pedine da spostare a proprio piacimento, senza dare un minimo valore alla persona, in quanto essere umano, in quanto essere pensante, con una propria dignità, con una propria intelligenza. Governare non è come giocare a Dama.

    Non sto facendo retorica, ma credo che questo non sia risolvibile con delle semplici parole. Cosa vogliamo raggiungere in questo modo? Qual è l’obiettivo? Se Renzi crede che una riforma costituzionale passata in questo modo sia utile al Paese, si sbaglia. Crede sia conforme ai principi della Costituzione? Crede che questa sia una legge come tutte le altre?

    L’Assemblea Costituente scelse un iter abbastanza complesso per la modifica della nostra Carta, probabilmente perché sua intenzione era di blindare la Costituzione nei confronti di partiti che, in modo unilaterale, avrebbero voluto modificare la Costituzione a proprio piacimento. Ma non mi fermerei qui: la Costituzione va rivista e modificata con una larghissima maggioranza, simbolo di una mediazione tra diversi punti di vista, simbolo di una collaborazione tra le forze politiche che, oggi, non vogliono collaborare e che quindi il Governo potrebbe finire schiantato contro un muro e portarsi con se anche il PD.

    Pensando con malizia, potrei immaginare un disegno di Renzi, un po’ alla House of Cards o, in chiave nostrana, un disegno paradalemiano, con l’intento di far “scoppiare” il gruppo parlamentare e il partito, facendo allontanare esponenti della minoranza (autonomamente, come è successo con l’autosospensione dei 13 senatori), ormai rimasta da sola (nel senso di una sola, visto che delle due iniziali, una di queste è in una fase di osmosi verso il renzismo dell’undicesima ora, lasciando pochi superstiti).

    Forse mi sbaglio, forse credo in un partito che sta svanendo, nella sua accezione più alta, nella sua natura di casa, di polis dove poter discutere, potersi confrontare e poter essere ognuno alla pari di tutti.

    Per l’ennesima volta voglio ribadire un concetto, mi sembra ridicolo farlo ma, a quanto pare, è una necessità: il PD ha preso il 40% alle Elezioni europee, 11 milioni di voti, 11 milioni di elettori che non hanno votato il PD “perché c’è Renzi”, ma perché c’è un progetto che riesce a convogliare la speranza degli italiani, un progetto in cui Renzi è parte integrante, ma non sostanza unica. L’arroganza con cui si afferma che è più importante il voto degli italiani a quello dei parlamentari mi rattrista molto, poiché la voce grossa non la facciamo con i nostri alleati di governo (di destra), ma contro quella parte a sinistra del PD che, con tutta franchezza, cerca di porre alternative alla discussione e che, a mio avviso, ha portato alla posizione di Mineo e Chiti, proprio perché manca qualcosa di fondamentale all’interno del PD, in questo momento: la calma.

    Sia ben chiaro, non la calma intesa come immobilismo, ma come strumento per instaurare una discussione equilibrata, composta, con le dovute riflessioni, senza rincorrere la lepre, ma cercando di lasciar perdere questa voglia matta di soddisfare la pancia della gente, vogliosa di “fatti”. I fatti arrivano comunque, se non in 2 giorni, ma in 3, arrivano comunque e magari migliori di quelli presentati, perché frutto di una discussione più strutturata.

    Credo che il Partito Democratico abbia grandi potenzialità, indipendentemente dalle persone, ma per la concezione stessa di partito che rappresenta. Proprio per questo credo che si debba confrontarsi nel merito, migliorare i momenti di discussione, non trasformarli in semplici passerelle, dove ognuno dice la sua e alla fine della fiera si fa come si era detto in partenza.
    Certe volte, credo che la Direzione Nazionale sia un po’ una giostra, dove molti salgono sul cavallo, fanno il loro giro (discorso), fino a quando il giostraio non decide di staccare la spina e spegnere tutto.

    Sono convinto che, se si fosse strutturata una discussione monotematica sul tema della riforma del Senato, focalizzandosi sui contrasti, sulle sfumature e sui diversi progetti sul tavolo, probabilmente non avremmo raggiunto questa crisi interna così forte.

    Se poi vogliamo essere proprio democratici e vogliamo valorizzare i nostri iscritti (non elettori, ma iscritti), lo strumento dei referendum interni al partito sono cosa buona e giusta. Su questo blog ne ho discusso abbastanza sull’argomento e credo sia sempre il miglior strumento per porre fine ai dissidi tra dirigenti e lasciare che la base dia il suo parere in merito. Poi, sono certo che anche i parlamentari (tutti) ne trarrebbero le dovute conseguenze.
    Un segretario dovrebbe comportarsi in questo modo. Dovrebbe.

  • E’ illegittima la norma che equipara le sostanze stupefacenti leggere a quelle pesanti. La questione era stata sollevata dalla Cassazione per infrazione dell’articolo 77 della Carta. Torna così a vivere la Iervolino-Vassalli come modificata dal referendum del 1993

    Leggi l’articolo qui.
  • Signor Presidente,
    dopo l’ultima vicenda che ha visto coinvolto il Sen. Silvio Berlusconi, a seguito della sentenza della Corte di Cassazione in merito al reato di frode fiscale sui diritti Mediaset, mi preme lanciarle questo mio umile messaggio, da cittadino, da ragazzo impegnato in politica per passione e non per interessi personali.

    Ho letto con molta attenzione la nota da Lei inoltrata per dare un quadro significativo alla vicenda politica (e non solo) in corso.

    Vorrei soffermarmi sul potere di grazia che Lei, in qualità di Presidente della Repubblica, a seguito della sentenza n.200/2006 della Corte Costituzionale ha ottenuto appieno nelle sue mani.

    Quella sentenza, al capo 6.2, riporta così:

    […] Ciò ha fatto sì, dunque, che l’istituto della grazia sia stato restituito – correggendo la prassi, per certi versi distorsiva, sviluppatasi nel corso dei primi decenni di applicazione della disposizione costituzionale di cui all’art. 87, undicesimo comma, Cost. – alla sua funzione di eccezionale strumento destinato a soddisfare straordinarie esigenze di natura umanitaria. […]

    Quindi, Signor Presidente, per senso dello Stato e lealtà verso i cittadini italiani, siamo chiari, il caso Berlusconi non ha nulla che si possa attribuire ad un mancato rispetto dei diritti umanitari, ne tantomeno alla violazione dell’art.2 della Costituzione. Stiamo parlando di un’azienda che ha frodato e lui ne è il diretto responsabile. La lotta all’evasione fiscale (e alla frode) deve rimanere al centro dell’azione di governo e non si può, per nessuna ragione, fare sconti ad un delinquente come tutti gli altri, per il semplice fatto che questi occupa un ruolo politico nazionale.

    Le chiedo di essere stabilmente ancorato ai principi costituzionali e mi auguro che si possa porre fine a questa vicenda, perchè all’Italia, in un momento così complesso, non interessano minimamente le vicende del pregiudicato Berlusconi. L’opinione pubblica non può e non deve essere soggetta a tali deviamenti.

    Dia l’esempio, Signor Presidente. Dia l’esempio di come in Italia si può realmente sperare in una uguaglianza dei diritti e un pari trattamento dinanzi alla Legge, nel rispetto dell’art. 3 della Costituzione Italiana, principio fondamentale su cui si erge l’intero ordinamento giuridico italiano, sinonimo di progresso e civismo, di garanzie vitali per i cittadini del nostro Paese.

    Dia l’esempio alle giovani generazioni e ad una intera nazione, piegata dalla disaffezione, più che giustificata, verso la politica ma che non si può più coltivare e che bisogna radere al suolo, per ridare ai cittadini speranza e presenza dello Stato.

    Presidente Napolitano, arbitro delle crisi di governo e, se mi permette, controllore della classe politica italiana, classe politica di cui Lei fa parte e da cui, in questo momento, se vuole conservare quella stima profonda che riceve ogni giorno dagli italiani, deve discostarsi, a partire dall’applicazione della Carta Fondamentale a cui noi tutti dobbiamo far riferimento ogni giorno della nostra vita.

    Dia l’esempio, Presidente, ai cittadini onesti, che ogni giorno svegliandosi presto la mattina vanno a lavoro e sorreggono questo Paese, spolpato da una indegna classe politica, oggi ancora presente nel pretendere il timone dell’Italia.

    Ricordo, Signor Presidente, quella lettera di un suo predecessore, Sandro Pertini che durante gli anni di prigionia politica, venuto a conoscenza della richiesta fatta dalla madre per ottenere la grazia, lui si rifiutò, perchè significava perdere l’onore e il senso che la fede politica aveva dato alla sua vita.

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    Penso oggi a quella lettera, a quelle parole ed immagino una situazione capovolta, dove a perdere l’onore e la fede politica che l’ha accompagnata, Signor Presidente, sarà Lei, nell’aprire alla grazia ad un cittadino condannato come molti altri e che giustamente ora, per aver evaso e frodato, stanno pagando con le dovute modalità.

    Cordiali saluti.

  • In Italia, la politica cerca un capro espiatorio per la sua inefficienza. Lo dico qui e oggi pensavo alla commissione dei saggi. Ma per quale assurdo motivo abbiamo bisogno di una commissione di saggi? Se abbiamo bisogno di persone esterne alla politica per fare riforme istituzionali, a cosa servono i politici?
    Immaginate che la Costituente trovandosi, dopo la sua elezione, dinanzi all’arduo compito di redarre la Costituzione e, per propria incapacità, chiami una commissione di saggi. Non ha senso. Questa legislatura sin dalle elezioni di Febbraio era proiettata verso un nuovo percorso di riforme, oggi questo intento non può essere portato avanti, perché? Incapacità? E allora perché sono li? Qual è il loro compito? Votare? Lo sanno fare tutti, quello.

  • Ok, faccio parte di quell’ala “anti-progressista” del Partito Democratico che non vuole assolutissimamente sentir parlare di presidenzialismo e di riforme costituzionali.

    Berlusconi non vede l’ora di poter mettere mani sull’elezione del Presidente della Repubblica, ma ancora di più sulla Costituzione, quel Documento laicamente sacro che più volte gli ha messo il bastone tra le ruote, quando era lì pronto a farsi leggi ad personam.

    Il presidenzialismo che tutti oggi sentiamo, non vuole essere come il vero presidenzialismo all’americana, dove il voto popolare è indirizzato ad eleggere i grandi elettori che poi a loro volta dovranno eleggere il Presidente degli Stati Uniti, ma è un semi-presidenzialismo alla francese, dove c’è l’elezione diretta del Capo dello Stato che ha poteri consueti a tale ordine istituzionale e con la nomina di un Presidente del Consiglio dei Ministri che sia responsabile dinanzi al Parlamento.

    Fin qui, cosa c’è di male? Nulla, nella teoria tutto è fattibile, peccato però che in Italia le cose siano un po’ diverse dagli altri paesi sopracitati: il Presidente della Repubblica Italiana, oltre ad essere capo supremo delle Forze Armate, presiede il Consiglio Superiore della Magistratura e nomina i giudici della Corte Costituzionale (per un massimo di 1/3 del totale), oltre che altre importanti funzioni, tra le quali, la più volte dimostrata posizione di arbitro delle crisi di governo (l’Italia, di questo, ne sa qualcosa). Organi istituzionali e funzioni di vitale importanza che tracciano un segno di garanzia fondamentale per il nostro Paese che distruggerlo sarebbe un errore mortale per la nostra Repubblica.

    Voglio lasciarvi un messaggio della Prof.ssa Lorenza Carlassare, docente emerita di Diritto Costituzionale presso l’Università di Padova, presente nella nuovissima, scintillante, commissione dei 35 saggi (e 7 relatori) che ha minacciato di dimettersi ancor prima del suo insediamento, in quanto perplessa, molto direi, sulle riforme costituzionali che il Governo Letta e il Parlamento intendono portare avanti in modo abbastanza celere (tempi scanditi dall’art. 138 Cost. a parte):

    Se vedo che questi argomenti trovano sordi gli altri io immediatamente mi dimetto.

    ma soprattutto

    Cambi alla forma di governo assolutamente no, perché non si possono scaricare sulla Costituzione le incapacità della classe politica, i partiti hanno perso la bussola e hanno dimenticato tutto quello che c’è nella Costituzione e che in qualche modo già segnava un programma. Io vorrei che la attuassero la Costituzione.

    Quale sarebbe la mia alternativa? Rafforzare il governo e i rapporti di questo con il Parlamento, ma non snaturare i principi costituzionali per il capriccio di qualcuno o per l’incapacità di molti, anzi, moltissimi.

    La sfida più grande: cambiare la politica e chi oggi detiene il potere e lasciare intatta la Costituzione. Anche perchè se uno è incapace, puoi anche cambiare la forma, ma sempre incapace rimane. Giusto per rimanere in tema con la Prof.ssa.

    Aspettiamo con ansia i risvolti del caso.

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    “Fate ciò che volete”. Una esclamazione alla base della libertà, se pur in termini poco pacifici. La voglio dedicare a tutti coloro che non vogliono andare a votare, a tutti coloro che per l’ennesima volta hanno deciso di tornare con lui, sempre il solito politico dal naso rosso, dai capelli tinti e dalle scarpe numero 50, tipica visione carnascialesca di un individuo al servizio di se stesso, più che della politica e del Paese.

    La voglio dedicare anche a coloro che voteranno Grillo e il suo movimento, pur non riconoscendosi nei loro principi e nei loro obiettivi, solo perchè vogliono protestare contro il sistema politico che ha fatto da padrona per ben vent’anni e ha visto i suoi antenati nella I Repubblica. Mi chiedo se la gente sappia che tra i punti del Movimento 5 Stelle c’è l’abolizione del valore legale del titolo di studio e uno scarno accenno a degli “investimenti alla ricerca universitaria” che può dire tutto e niente, uno spaventoso proposito in materia economica di volere indire un referendum sulla permanenza nell’Euro, proiettando l’Italia in uno scenario fuori dal mondo, fuori da ogni tipologia di cooperazione economico-sociale, di integrazione europea.

    La voglio dedicare a tutti coloro che non votano, come ho già accennato prima, perchè chi non vota non è furbo, chi non vota non è “ganzo”, chi non vota non è ribelle, ma solo l’ennesimo tassello di un muro di cinta chiamato “indifferenza” o peggio “lassismo”, quel lassismo che oggi circonda il partito dell’astensione, oggi vero problema di questo Paese, vera causa di un degrado della politica, che dobbiamo attenuare e poi definitivamente cancellare, con l’impegno di ognuno, creando una rete di collaborazione che pianta le proprie radici nella solidarietà e nella lungimiranza.

    I cittadini hanno il dovere di votare, perchè nella nostra Costituzione si parla di sovranità popolare, lo dice l’articolo 1 comma 2 “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.“, non lasciamo che questo diritto e dovere si trasformi in un miraggio di democrazia.

    Il voto è un dovere perchè migliaia di persone sono morte per ottenere questo sacrosanto diritto! Il voto è un dovere perchè ci sono fiumi di sangue che sgorgano dai paesi arabi che con la Primavera Araba pretendono la democrazia, il voto che noi oggi non apprezziamo. Da tipici ingrati.