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  • La butto qui: dobbiamo riflettere su una cosa, secondo me, molto importante.

    Il Partito Democratico è ormai partito con la fase congressuale ma il coinvolgimento non è lo stesso delle primarie per la premiership.
    Direte che sia tutto normale, ma io non la voglio pensare così e vi spiego il perchè: questo momento importante, quale il Congresso nazionale, non può trasformarsi in un mero passaggio di consegne, con l’insignito Renzi che quasi con noia si appresta a svolgere una campagna elettorale ormai vinta ancor prima di iniziare (e lui questo lo sa, ma tiene a bada il lassismo dei suoi).

    Il Congresso del PD deve essere un momento di confronto, questo lo sappiamo tutti, ma se cominciassimo a riflettere di più su quale ruolo dovrà avere il partito nel Paese e di meno su come si prospetterà la resa dei conti interna, forse riconoscerò il vero congresso che sogno per il mio partito.

    Guardate, non voglio tornare su quanto penso delle dinamiche nate dal prossimo appuntamento per il PD, ma sono certo che lo schifo non si fermerà qui e che conosceremo il lato melmoso della politica e di quella classe dirigente che per anni ha saputo galleggiare e che ora ha iniziato ad aggrapparsi come un parassita. Ecco, sì, parassita: è il termine giusto per definire quanto i più svariati dirigenti del PD stanno facendo da qualche mese a questa parte.

    Chi doveva essere il pesticida si è trasformato nella linfa vitale.

    Poi se posso dirla tutta, quando un congresso si trasforma in un rimpasto delle formazioni ma con il 80% percento (e forse più, sì, sicuramente di più) di soliti noti, beh, tutto può essere tranne che un congresso sinonimo di “svolta”.

    Ma è ancora presto per poter avere un quadro chiaro del prossimo PD (ho detto prossimo, non nuovo).

  • Sono le ore 18:15 circa al centro congressi della Fiera del Levante di Bari, mentre salutavo degli amici, dall’altra uscita ecco sbucare una massa inferocita di giornalisti, tutti impegnati a circondare la nuova pop star, Matteo Renzi, che si dirige presso un altro padiglione, dove di lì a poco, tutti i vari “big” del partito si sarebbero intrufolati, forse per un colloquio privato, o forse per ballare la samba.

    Certo è che come sono arrivato a Bari, così ho preso la strada per il ritorno: senza niente di nuovo da raccontare, senza una visione delle cose, senza niente di niente.

    Prendetemi pure per uno di parte, ma io sono del Partito Democratico da più tempo di qualche astuto commentatore e forse, dico forse, ho a cuore più di qualcun altro le sorti del mio partito. Proprio per questo, mi sarei aspettato un discorso più corposo, più intenso, più carico di contenuti (forse basterebbe solo dire “carico” di contenuti) che cercasse di dare una visione delle cose ad un partito, il PD, che di posizioni nette non ne ha mai avute e che chi vuole soverchiare il sistema deve necessariamente colmare. Ma niente.

    Apro una piccolissima parentesi: tra quelle quasi duemila persone ho visto di tutto, ho visto delinquenti, gente che da quando si alza la mattina pensa agli affaracci propri e che della politica non fanno altro che approfittarsene. Ho visto il vomito di una classe dirigente che ha fallito, gli ho avuti accanto, di fronte, dietro. Mi sono sentito pieno di vergogna ad essere lì, in quel momento.
    Tra quelle duemila persone, ho visto gente schierata con Renzi solo per portare a casa un proprio risultato personale, chi si vuole candidare ad una carica e chi ad un’altra, chi vuole sentirsi più forte nel proprio partito per ottenere una fetta più grossa, chi dopo le primarie chiederà la testa di qualcun altro. Insomma, lo schifo più totale. Ho ancora la nausea.
    Se solo i riflettori fossero stati puntati sulla folla anziché sul palco, avremmo visto tutti cosa c’era e c’è realmente sotto il simbolo “Renzi”, almeno in Puglia (ma io credo in tutta Italia).

    Chiusa questa infelice parentesi, vorrei tornare su quanto ho ascoltato: parole che non mi hanno lasciato niente, se non semplici frasi fatte, da ripetere come un pappagallo, ad esempio, “sul carro non si sale, il carro si spinge” oppure “vorrei dare un nome ai sogni dell’Italia”, giusto per farvi qualche esempio.

    Cambiare il PD che cambia l’Italia, cambiare l’Italia che cambia l’Europa: ma come? Mi chiedo come?

    Vorrei da un candidato alla segreteria del principale partito del centrosinistra, delle idee chiare su ambiente, lavoro, tecnologia, sviluppo sociale, cultura, istruzione, università. Perchè Renzi non ha parlato delle 5 hub della ricerca che ha intenzione di creare? Perchè Renzi non ha parlato dell’abolizione del valore legale del titolo di studio che vuole attuare? Magari tutti quei ragazzi che erano lì, tra il pubblico con gli occhi luccicanti o che erano lì per fare volontariato, si sarebbero resi conto di chi stavano sostenendo. Forse non le dice perchè tanto sente la vittoria in tasca, quella stessa sensazione su cui lui stesso ha posto l’altolà, con immancabile ipocrisia.

    Non possiamo continuare a pensare che qualcuno che parla di “establishment che ha fallito” accetti che quello stesso establishment lo applauda e lo porti alla vittoria al prossimo Congresso. Come può costui essere credibile? Come possiamo consegnargli l’Italia, in nome di un tanto richiesto rinnovamento? È questo il rinnovamento? Se così fosse vorrà dire che l’Italia ormai non ha più speranze.

    Se oggi la novità deve celarsi dietro una disposizione del palco diversa dal solito, io mi sento di non appartenere a questa novità. Non ho nulla da perdere, se non la dignità e per quanto possa, per molti, essere un optional, io non ho alcuna intenzione di venderla pur di ottenere qualcosa di personale. Mai.

  • Vi consiglio di leggere questo interessante articolo uscito oggi su La Stampa, a cura di Elisabetta Gualmini.
    Come per dire: dopo la tempesta c’é sempre la quiete. Oppure è solo prima?

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  • Siamo di nuovo a Monopoli, oggi parliamo del famigerato Congresso nazionale. Lo facciamo con il Segretario Regionale dei GD Pierpaolo Treglia, il Segretario nazionale dei GD e onorevole Fausto Raciti, l’onorevole dei GD Liliana Ventricelli e l’onorevole PD Matteo Orfini. Ovviamente siamo tutti del PD con orgoglio, quell’orgoglio che ci spinge ad impegnarci ogni giorno per il partito e per il nostro territorio, oltre che per l’Italia.

    Ps: i panzerotti sono ottimi. Giusto per dire.

  • Cosa provano i renziani a sentirsi dire, dal loro mito, che hanno bisogno di un Tso (Trattamento sanitario)?

    Quale può essere il senso di tale affermazione? Lo fa forse con la speranza che i renziani non si offendano ma che allo stesso tempo questo spinga la sua figura oltre il recinto della sua corrente? (perché Renzi ce l’ha la sua corrente nel PD, non diciamo cazzate!).

    Da lui vorrei sincerità prima di qualsiasi disegno del futuro dell’Italia.

    A disegnare l’Italia che vogliamo sono bravi tutti – ne sono passati di artisti dalla guida di partiti di centrosinistra – il problema sta nel mezzo: essere sinceri con la gente e finirla di lanciare slogan ad ogni occasione.

    Su molte cose sono d’accordo con lui: sugli erroracci fatti in campagna elettorale dal PD, su delle prospettive di sviluppo sociale, ma sulla sincerità ci tengo profondamente. Proprio perché non è da tutti.

    Matteo, cominciamo dalle piccole cose: che magari la sincerità ti aiuterà anche a capire il tuo ruolo nel PD e per il Paese, più di quanto tu possa immaginare.

    Ti auguro buon lavoro.

  • Il Partito Democratico ne sbaglia una al giorno, ormai ho dimenticato l’ultima mossa azzeccata da parte dei dirigenti.
    Prima lo stop delle Camere, oggi il ddl che trasforma l’ineleggibilità in incompatibilità (chiaro riferimento a B.) presentato da Zanda (capogruppo dei democratici al Senato) e Mucchetti (presidente commissione Industria del Senato), la quale permette un margine di scelta, nell’arco di un anno, tra le due cariche incompatibili, in questo caso, riferito a Berlusconi, si tratta di scegliere tra fare l’imprenditore televisivo o fare il parlamentare.

    Questa è una chiara traslazione di quanto già accade per gli Enti Locali (basti pensare all’incompatibilità tra carica parlamentare e di sindaco di un comune di +20.ooo abitanti), ma come leggere tali atti parlamentari?

    Mi chiedo se i dirigenti del PD abbiano capito che, a dirla tutta, in questo momento, nella merda non c’è solo il Paese – che andrebbe aiutato nel migliore dei modi, soprattutto da chi siede in Parlamento – ma anche il PD che, dopo tutti i modi possibili per essere autoscreditato (riuscendoci alla grande), sta perdendo pezzi importanti, proprio quei pezzi che non dovrebbe assolutamente dimenticare: la base e i militanti, oltre che gli elettori.

    Mi chiedo cosa pensi il famosissimo e più volte citato “Popolo delle Primarie” ma mi chiedo, cosa più importante, se il “Popolo delle Primarie” ci sia ancora, dopo che tutto quello che era stato deciso e detto durante la campagna elettorale, oggi, è stato completamente ribaltato.

    Io aspetto la svolta al congresso, in autunno. E non è tutto scontato.

  • Romano Prodi scrive al Corriere della Sera, spiegando le sue ragioni del mancato tesseramento al PD e della sua posizione in merito al prossimo Congresso Nazionale.

    Caro direttore, 
    vorrei rispondere ai tanti riferimenti che, anche sul vostro giornale, sono apparsi riguardo a mie presunte posizioni relative alla vita interna del Partito Democratico e al mio possibile sostegno a questo o quel protagonista. Ribadisco che ho definitivamente lasciato la vita politica italiana. Ad essa riconosco di avermi concesso esperienze fondamentali e non poche soddisfazioni personali, che spero abbiano offerto un positivo contributo al Paese.

    Ho affrontato due sfide importanti, battendo un opponente politico che ritenevo e ritengo non idoneo al governo del Paese. Da parte mia ho cercato di portare avanti una cultura politica moderna e solidale di cui l’Italia ha molto bisogno. Una battaglia non solo politica, ma etica e culturale. Credo che questi stessi obiettivi abbiano oggi bisogno di nuovi interpreti anche se, nel corso dei due periodi del governo da me presieduto, ci si è a essi avvicinati senza danneggiare, ma anzi migliorando sensibilmente il prestigio internazionale e la situazione debitoria del Paese.

    Le aggiungo che riguardo al Pd conservo non solo un senso di gratitudine, ma anche numerose e salde amicizie. Tuttavia in politica, come nello sport e forse in ogni attività, è preferibile scegliere il momento in cui finire il proprio lavoro, prima che questo momento venga deciso da altri o da eventi esterni. Questi sono anche i motivi per cui senza polemiche ho tralasciato di ritirare la tessera del Pd, il cui rinnovamento e rafforzamento sono tuttavia essenziali al futuro della nostra democrazia. Al vostro cortese giornalista che mi chiedeva se parteggiassi per l’uno o per l’altro dei potenziali candidati al congresso ho risposto semplicemente «my game is over» che, tradotto in italiano, significa che la mia gara è finita. Una gara riguardo alla quale posso elencare tante sfide vittoriose, tra le quali non mi fa certo dispiacere ricordare le due elezioni politiche nazionali del 1996 e del 2006.

    Riflettendo su tutto ciò voglio infine augurarmi che, anche chi è stato sconfitto nei due confronti diretti, possa meditare sul fatto che non dovrebbe essere solo la mia gara a una fine. Ora la saluto, perché sto partendo per New York dove dovrò discutere di fronte al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Uniti i progetti per lo sviluppo del Sahel. Perché, come Lei sa, gli esami non finiscono mai.

  • Nicola Zingaretti è l’ennesimo che oggi riporto sul mio blog, per continuare il dibattito in merito alle correnti e alla composizione della nuova Segreteria Nazionale del PD.

    Il PD è come un arcipelago di gruppi senza identità che hanno solo l’ossessione di mettere qualcuno in un posto. Il problema del congresso non è cambiare correnti vecchie con correnti nuove, ma rifondare la cultura politica unitaria del partito. Le risorse ci sono: tanti nuovi parlamentari eletti dalle primarie e quindi più liberi, tanti amministratori e militanti che resistono all’ossessione di far parte di un gruppo per contare, ma che scommettono sul loro valore.