• Coraggio PD – Intervento di Davide Montanaro (29/10/2022)

    Coraggio PD – Intervento di Davide Montanaro (29/10/2022)

    Sabato scorso, a Roma, abbiamo ridato dignità alla Politica. Eravamo più di 600 persone, tutti con le nostre esperienze e le nostre passioni sulle spalle. Ho avuto il grande onore di contribuire alla sua riuscita, prima con l’organizzazione e poi con il mio intervento sul tema di cui mi occupo da più tempo: la comunicazione politica.

    Il Partito Democratico ha sempre avuto una relazione difficile con la comunicazione, ma cospargersi il capo di cenere non ci porterà da nessuna parte. Bisogna ricostruire tutto, anche il modo con cui decidiamo di pensare e comunicare. Serve approfondire i problemi, studiarli a fondo.

    Bisogna ponderare ogni parola perché le parole sono lo strumento fondamentale per raccontare l’idea di Paese che immaginiamo e per la cui realizzazione ci candidiamo ad ogni livello.

    Nelle mie parole troverete un po’ di emozione. Quell’emozione che mi ha portato a commettere – beffardamente – due errori di comunicazione: l’esempio non era “dinamico” ma “virtuoso” (vai a sapere la mia mente come li ha associati tra loro) e l’uso del termine “patologie” al posto di “disturbi” in relazione alla salute mentale. È giusto chiamarli disturbi e non altro, perché le patologie sono altra cosa e le parole servono anche a riconoscere la vera natura delle cose.

    Grazie a tutti. Mi sono sentito a casa mia. #CoraggioPD


  • Il tempo è vita

    Il tempo è vita

    Io l’ho fatto il cameriere. Una stagione estiva di molti anni fa. Andavo ancora al liceo.

    Iniziavo il turno alle 18 in punto e terminavo alle 6 del mattino. Qualche volta anche più tardi.
    12 ore della mia giornata le passavo a lucidare bicchieri, portare piatti a tavola e poi, sul finire, lavare tutto il locale insieme ad altri ragazzi, mentre fuori il sole ritornava.Il tutto, per qualche banconota e la magra soddisfazione di aver guadagnato qualcosa per potermi pagare, senza chiedere aiuto a nessuno, una cena fuori o potermi togliere qualche sfizio.

    Ma al netto di quanto guadagnassi, ciò che rimane evidente è il tempo che quel mestiere sottrasse al mio unico periodo di libertà, lontano dagli impegni scolastici e dalla frenesia che riprendeva ogni inizio settembre. Eppure l’ho fatto per mia scelta, perché è così che dovevano andare le cose quella volta.

    Provo grande stima verso chi fa questo lavoro ma io, oggi, non l’avrei più fatto.

    E non perché ci si attacca al denaro o si è “choosy”, come qualcuno ci apostrofò qualche tempo fa, ma perché è vero quel che dice, suo malgrado, lo chef La Mantia: il covid ha cambiato le priorità delle giovani generazioni.

    Ed è giusto così.

    Il Covid ha messo in evidenza come il tempo passato a fare le cose che ci rendono felici e ci gratificano sia preziosissimo. Per tale ragione, il lavoro non deve esserci a prescindere ma deve essere di qualità e deve avere rispetto della vita del lavoratore.

    Un lavoro alienante, che assorbe tutte le energie e il tempo del lavoratore, non è vero lavoro. È un supplizio e 1400€ di paga non valgono quanto il desiderio di essere davvero felici.

    La concezione del lavoro e del tempo è cambiato, perché è cambiato il mondo. E chi non se ne rende conto è destinato a scontrarsi con la realtà e, presto o tardi, le sue convinzioni andranno in frantumi. Come una macchina durante un crash test.

    A tutti i tycoon, gli imprenditori e gli chef che riempiono pagine di siti e giornali con le loro dichiarazioni contrariate, una chiave di lettura e un consiglio: le condizioni esterne non sono modellabili a piacimento di chi le subisce, ma sono frutto di un cambiamento collettivo, spinto da fenomeni sociali anche di grande portata. La pandemia è tra questi.
    O il modo di fare impresa cambia e si adatta alle nuove esigenze, oppure sarà presto soppiantato da un nuovo paradigma sociale che terrà fuori tutti coloro che sono stati ciechi e cinici davanti all’evidenza.


  • Quello che gli altri non vedono (o fanno finta di non vedere)

    Quello che gli altri non vedono (o fanno finta di non vedere)

    Quello che gli altri non vedono (o fanno finta di non vedere)

    Simone Biles, campionessa olimpica statunitense, la più forte ginnasta (in attività) al mondo, ha deciso di non partecipare ad alcune delle attese gare olimpiche in programma a Tokyo 2020.

    Ha ritenuto giusto ritirarsi, perché aveva bisogno di fare quadrato su sé stessa, potersi prendere cura della propria salute mentale. Un gesto che ha lasciato di sasso moltissimi. “Salute mentale?” sarà stata la domanda che ha riecheggiato nelle menti dei più. “Ma come, salute mentale? In che senso?”. Ecco, “in che senso”?

    Spesso gli atleti sono presi come esempio di tenacia, equilibrio e impegno nel raggiungere i propri obiettivi fisici e, dunque, sportivi. Eppure, nessuno, almeno fino ad ora, si è posto il problema di cosa ci sia dietro il fisico scolpito e quella tenacia che contraddistingue i vincenti. Qualcosa che nessuno può vedere, eccetto l’atleta stesso: l’orgoglio ferito, l’ansia, lo stress, il desiderio di ritrovarsi in un altro posto, di voler tornare indietro per fare scelte diverse. Qualsiasi cosa che vi venga in mente e che meriti tutte le attenzioni del mondo, perché la salute mentale è fondamentale quanto e forse più di quella fisica.
    Perché con una gamba o un braccio fuori uso, con impegno e voglia di riscatto, puoi riuscire a vivere serenamente e senza alcun ostacolo alla tua realizzazione. Ciò non può dirsi quando c’è qualcosa che non vada nella nostra testa: i limiti mentali sono difficili da superare con la sola volontà. Serve impegno e delicatezza, voglia di aprirsi agli altri e la fortuna di avere accanto persone in grado di ascoltarci e aiutarci.

    Più di quanto possa ritenersi per quella fisica, la nostra salute mentale ha un estremo bisogno dell’altro. Non è una battaglia che possiamo vincere da soli, in un epico 1 contro 1. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci prenda per mano e ci faccia sentire amati, accettati e compresi. Ecco perché la scelta di Biles è una scelta coraggiosa: perché, nella nostra società moderna, il tema della salute mentale è relegato agli ultimi posti, privato di qualsiasi rilevanza dinanzi agli sviluppi quotidiani della nostra vita. Eppure, è la cosa più rilevante tra tutte.

    La stigmatizzazione è dietro l’angolo, la tendenza a chiudere nel guscio duro del tabù la salute mentale è elevatissima. Sono moltissime le persone incapaci di comprendere davvero quale sia il problema, eppure da qualche parte dobbiamo cominciare.

    Titolo apparso su un quotidiano nazionale italiano

    Qualche giornale italiano ha ritenuto corretto apostrofare il tutto con “Ho a che fare con i demoni”. Seppur ritengo questa trascrizione come un mal riuscito tentativo di tradurre in italiano le dichiarazioni di Biles (“demons” in inglese può significare anche “cattivi pensieri“), è probabile che non ci sia posti neanche il problema se tale traduzione fosse consona oppure no. In effetti, nei romanzi come nelle nostre narrazioni quotidiane, chi ha un problema mentale è un “pazzo”, uno “squilibrato”, un “folle”, uno da cui stare alla larga. Appunto, un “demone”.

    Titolo del Times

    La Biles, dunque, ha aperto uno squarcio su una fitta tenda di ipocrisia. Un gesto che trova la sua ispirazione anche in Naomi Osaka e nel suo ritiro dal Roland Garros, come ha avuto modo di ribadire la stessa ginnasta americana, in conferenza stampa.

    Di salute mentale se ne deve parlare e bisogna affrontare il tema con assoluta maturità e lucidità, provando a dare risposte e soluzioni concrete, sostenendo chi ne ha bisogno e, soprattutto, chi non sa ancora di averne.

    Per questo, a Simone Biles bisogna dire grazie. Grazie per aver avuto il coraggio di trattare un tema così delicato quanto importante.


    Chi segue il blog o il sottoscritto da diverso tempo sa che del tema della salute mentale ne parlo da diverso tempo. Da ultimo, era stato oggetto della prima puntata del mio podcast, Ithaka. La trovate sulle principali piattaforme di streaming.


  • Vaccinare. Vaccinare. Vaccinare.

    Vaccinare. Vaccinare. Vaccinare.

    Non bisogna allentare la presa sui vaccini.

    Questo piano B del Viminale, di cui conosciamo gli stralci, per il quale il green pass obbligatorio verrebbe sostituito dalle sanzioni amministrative dissuasive verso i NoVax, non mi convince.

    Ci saranno davvero i controlli? Si faranno sanzioni a ogni singolo non vaccinato che non rispetti le norme?

    Io avrei adottato la linea dura: green pass obbligatorio per entrare in qualsiasi luogo aperto al pubblico e nei luoghi di lavoro, con sanzioni a chi non rispetta le regole.

    Non vuoi vaccinarti? No problem. Però non vai a lavorare, non vai in palestra, al supermercato (ci mandi un vaccinato), dal parrucchiere e in nessun’altra parte.


  • Rieccoci, finalmente!

    Rieccoci, finalmente!

    Oggi sono a Napoli, per il primo incontro nazionale dei Giovani Democratici.
    Che bello ritrovarsi dopo tutto questo tempo. Il COVID ci ha impedito di rivederci di persona. Oggi, quella condizione è definitivamente caduta.
    La nave dei GD ha navigato in acque agitate, negli ultimi 2 anni ed oggi siamo arrivati in un porto che non può dirsi sicuro se non in presenza dell’impegno di tutti.
    Da oggi, quell’impegno conta e ognuno di noi sarà fondamentale.

    Da ultimo, ma non certo per importanza, un grazie di cuore a chi ci sta ospitando: i Giovani Democratici. A loro e ad Ilaria Esposito e Francesco Yuri Forte il nostro grazie. A Caterina Cerroni e Raffaele Marras l’augurio di buon lavoro.


  • E la prima è andata!

    E la prima è andata!

    Foto di me con il cerotto non ne ho. Avrei voluto tanto scattare una foto a chi mi ha somministrato il vaccino, per immortalare il volto di chi mi ha permesso di uscire dall’incubo del COVID. Non l’ho fatto, ovviamente, per motivi che potete immaginare.
    Ma voglio ringraziare di cuore il personale dello Spallanzani: di una professionalità e gentilezza che avevo dimenticato esistessero.

    La prima dose è stata un’emozione forte.
    Lo è stata ancora di più, per me, perché l’ho ricevuta nel luogo dove l’incubo ebbe inizio – con il ricovero dei primi due pazienti a fine 2019 – e dove iniziò la sua fine – grazie al grande lavoro delle ricercatrici e ricercatori.

    Grazie ai medici e infermieri dello Spallanzani e grazie alla Regione Lazio per l’impeccabile organizzazione.

    Alla seconda dose! ?


  • FAUNA Vol. 2

    FAUNA Vol. 2

    Ho iniziato a collaborare con un nuovo progetto editoriale. Si chiama FAUNA ed è una creatura di RAW festival, un incubatore culturale.

    Qui lo potete sfogliare, accarezzare con gli occhi e, se volete, potete anche leggere il mio contributo (pag. 62 del magazine).

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  • Più vaccini e più selfie

    Più vaccini e più selfie

    Li capisco quelli che si fanno i selfie dopo aver fatto il vaccino. Ancor di più, li capisco dopo oggi, giorno in cui – dopo alcune necessarie procedure burocratiche – sono riuscito a prenotare il vaccino anche io (lo farò a Roma, allo Spallanzani, luogo simbolo della lotta al Covid-19, dove la battaglia contro questo virus ebbe inizio, grazie ai suoi valorosi ricercatori e medici).

    Da quando ormai avere uno smartphone in tasca è cosa di tutti (o quasi), il selfie è un’azione tanto quotidiana quanto spontanea, soprattutto nei momenti di felicità, in cui siamo con persone a cui vogliamo bene o quando stiamo bene noi, a prescindere da chi ci circonda. Ecco, allora perché non farci un selfie mentre ci somministrano il vaccino, momento così importante per riprendere in mano la nostra vita? E, soprattutto, perché non possiamo immortalare un momento che ci rende davvero felici?

    Scettici e brontoloni a parte, per tutti coloro che hanno deciso di vaccinarsi – soprattutto per le ragazze e i ragazzi che hanno affollato gli HUB – ricevere una dosa di vaccino anti-Covid significa dare un calcio in culo al ricordo terribile dell’ultimo anno e mezzo. Ma allora, perché non immortalarlo?

    Ecco, forse per la prima volta, i social network ci permettono di amplificare un nostro grido di felicità: finalmente ci siamo! Ce l’abbiamo fatta! L’incubo sta finendo! Viva la scienza, il progresso tecnico-scientifico e tutti coloro che hanno permesso, in così breve tempo, di ottenere dei vaccini efficaci contro un nemico che non dimenticheremo mai!

    Senza dimenticare, infine, che viviamo in un Paese libero, dove ognuno può fare quel che vuole: farsi un selfie dopo il vaccino; non farselo; o scriverne a riguardo un post sul blog.

    In ogni caso, vacciniamoci e siamo felici per questo.