Categoria: Politica

  • Si nasce per vivere. E si vive per essere liberi. Ma cosa è la libertà, nella sua definizione più ampia? La libertà è scegliere cosa farne della propria vita. Una dimensione introspettiva della libertà è l’essenziale elemento che contraddistingue un essere umano da un prigioniero dell’etica altrui, frutto di dottrine medievali e retrograde.

    Così come sono libero di scegliere che facoltà prendere all’università; libero di scegliere se fidanzarmi, sposarmi e avere un figlio; devo essere libero anche di scegliere se terminare la mia vita quando, a causa di una malattia incurabile, sono costretto a vivere immobile in un letto di ospedale, con tubi, respiratori ed un computer per poter parlare.

    Il Governo si faccia carico di questo importante problema e trovi, finalmente, una soluzione sul testamento biologico. Ma attenzione! Nessuna soluzione frutto di miscugli e attenuazioni. O c’è o non c’è una seria proposta che sblocchi, definitivamente, la situazione di tantissimi malati irreversibili.

    Ognuno di noi deve essere libero di scegliere il proprio destino. Giù le mani dei bigotti dalla libertà e dalla dignità dell’uomo!

    In vista del Congresso del Partito Democratico, mi auguro che se ne  discuta e che tutti e tre i candidati si facciano portavoce di questo assurdo “fossato di inciviltà” che ci separa dal resto d’Europa.

  • Italia, A.D. 2017 – Pezzi di carne ed ossa e poco più. Se provieni da un posto lontano, non sei nostrano, non aspettarti compassione, gentilezza, neanche comprensione. Non aspettarti che l’uomo si dimostri un essere superiore rispetto agli altri animali, o forse, aspettati che dimostri di esserne inferiore.
    È quello che è successo a Follonica, in provincia di Grosseto. Due dipendenti della Lidl – la grande catena di discount – hanno rinchiuso, in una specie di gabbia, due donne rom, schernendole e filmandole. Il video, chiaramente, è stato lanciato tra le fauci del pubblico di Facebook e di altri social network per distruggerne, ulteriormente, la dimensione umana. Una scena che rimanda a ben più antiche pratiche, come nell’Impero romano, dove nell’arena del Colosseo i cristiani venivano dati in pasto ai leoni, mentre il pubblico divertito urlava a favore delle belve.

    La Storia, si sa, è un eterno ritorno dell’uguale. Ma se gli accadimenti, pur trasformati nella loro forma, in sostanza tornano al cospetto dell’umanità, l’idiozia e la barbarie non hanno mai lasciato il loro posto.

    Il supermercato coinvolto, suo malgrado, nella vicenda, ha preso le distanze dai suoi due dipendenti, annunciando provvedimenti. Inutile dire che il licenziamento in tronco sia l’unica delle soluzioni che più danno giustizia, ma è necessario soffermarsi sull’aspetto del diritto e tendere verso la consumazione di un reato gravissimo, quale il sequestro di persona.

    Ma se di gravità parliamo, non può lasciarci indifferenti quanto sostenuto da Matteo Salvini, leader della Lega Nord. Conosciamo tutti l’istinto da cane di Salvini a fiutare il marcio dell’umanità ed a fiondarsi di testa, ma offrire assistenza legale ai due animali sequestratori (senza offendere gli animali) è un gesto gravissimo che travalica il confine della tollerabilità. Se si vuol portare la questione sul piano giuridico, siamo in presenza di una istigazione a delinquere, di concorso morale ad un sequestro di persona reso arma politica. Qui tornano in mente scene storiche ben più vicine a noi – gli Anni di piombo e le Brigate Rosse – che pensavamo di aver consegnato agli almanacchi ed invece, anche queste, bussano alla porta dei nostri giorni.

    Ma la Storia non è la sola a consegnarci eventi del genere. L’ISIS, in uno dei suoi tanti video di propaganda, rinchiuse in gabbia degli innocenti, appiccando loro fuoco e bruciandoli vivi.
    Per quanto possiamo sforzarci di giustificare o di considerare tutti questi episodi contraddistinti da livelli di gravità differenti, in realtà, la gravità è la stessa, declinata soltanto in modo diverso. Un uomo che distrugge un altro uomo commette un fatto gravissimo. E tutti sappiamo che l’uomo non lo si distrugge soltanto togliendogli la vita. L’essere umano lo si disintegra due volte abbattendogli la dignità che questo merita di custodire.

    “L’uomo è un animale politico” diceva Aristotele. Se di animali politici si tratta, Salvini è sicuramente un cane politico, mentre i due sequestratori potremmo paragonarli a due maiali che sguazzano nella poltiglia putrida del razzismo e dell’ignoranza.
    Quindi non meravigliamoci della solidarietà del primo nei confronti dei secondi perché, si sa, cani e porci vanno sempre d’accordo. Perché non avrebbero dovuto esserlo ora?

  • Io e Andrea Ciardo (Segretario dei GD del Salento) abbiamo creato questa petizione per chiedere  che il Congresso del PD non venga celebrato ad Aprile, affinché si garantisca una discussione seria tra i circoli.

  • Capisco la tensione di questi giorni, ma credo che i nervi saldi siano necessari. Lo so, forse dico cose senza avere la sensazione di cosa si provi, realmente, in questo momento, nell’affrontare questo clima da ruoli di responsabilità massima. Volevo, però, che qualcuno mi spiegasse dove si trovi, esattamente, quel passo in avanti verso il Partito, nel non offrire chiaramente un’assemblea programmatica per cercare di unire il partito sui temi, prima di celebrare un congresso, scongiurando quello che sto leggendo in questi minuti.

    Sia chiaro, il Congresso va fatto, per me è fondamentale ed è l’unico luogo in cui si può imprimere un segno di discontinuità o continuità politica – lo decideranno i militanti – nel nostro partito.

    Il dato più importante, per me, sta nel fatto che tale conferenza programmatica è stata chiesta da più di uno degli intervenuti e non proprio tutti erano della minoranza Dem. C’era pure qualcuno con un certo peso politico all’interno della maggioranza ad averla chiesta, il Ministro Orlando, riconoscendo in quella formula, con lucidità, una possibile soluzione al clima da Vietnam che si respira nel PD.

    Leggo agenzie che non vorrei leggere mai. Vi prego, cerchiamo tutti di salvare questo partito. Il nostro partito. Tutti.

  • L’anno scorso, esattamente in questi giorni, venivo eletto Segretario dei Giovani Democratici Terra di Bari, l’Organizzazione giovanile del Partito Democratico dell’Area metropolitana del capoluogo pugliese.

    Non credo di poter dimenticare facilmente quel periodo, per la grande stanchezza accumulata in ore di incontri, discussioni, anche molto accese. Non dimenticherò quei giorni anche per l’importante messaggio che provammo a lanciare al nostro Partito: il voler stare insieme e ripartire dagli errori del passato.

    Una fase congressuale a due candidati, sfociata in uno scontro durissimo, che si risolse con la scelta di convergere su un nome, su una storia personale che unisse e che appianasse le divergenze. A distanza di un anno, posso dire, che quelle divergenze sono diminuite, lasciando il posto ad una differente visione della politica e del partito, tutto naturalmente accettabile nella dialettica di un partito plurale come il nostro.

    In questo primo anno abbiamo affrontato molte battaglie: il Referendum sulle Trivelle – dove i GD Terra di Bari si schierarono compatti a favore del quesito referendario, in difesa del mare pugliese; il Referendum sulla Riforma costituzionale – dove abbiamo cercato di offrire alla nostra Comunità lo spirito di discussione e condivisione delle idee, portando la nostra Organizzazione a lavorare a sostegno della riforma, in linea con il Partito, ritenendo una ricchezza chi la pensava in modo opposto, senza accentuare scontri o divisioni sul tema, dimostrando maturità; la Scuola di Formazione regionale – durante la quale la nostra Federazione è stata ospitante, grazie al circolo di Santeramo in Colle, e dove abbiamo discusso di temi centrali, oggi in cima all’agenda politica del Paese e del nostro territorio.

    Permettetemi, però, di parlarvi del mio bagaglio personale d’esperienza, riempito costantemente, giorno dopo giorno, camminando per le strade delle città della provincia, confrontandomi con i circoli e i militanti, spesso delusi o smarriti davanti ad un partito altrettanto perso nei meandri dell’autoreferenzialità.

    In questo primo anno ho capito molte cose di cui prima non ero del tutto consapevole: l’elemento fondante di una comunità non è solo il sentimento comune, l’idea comune delle cose, ma anche e soprattutto il dialogo e l’ascolto. Il dialogo tra tutti coloro che si impegnano, quotidianamente, e decidono di dedicare parte del loro tempo e delle loro energie nel tenere aperti i circoli, nell’essere volto, orecchie e bocca del nostro partito sul territorio. L’ascolto da parte di chi, nelle responsabilità di dirigente e di guida, deve considerare l’opinione e le idee della base come fondamentali per la costruzione di una comunità forte e coesa, capace di andare tutta in un’unica direzione. Due elementi che qualcuno ritiene scontati nella loro definizione e nel loro essere parte costituente una comunità politica. Vi posso assicurare che non lo è ed abbiamo sotto i nostri occhi l’esempio di un partito dilaniato dalla mancanza di un dialogo costruttivo e privo di arroganza.

    Da militante voglio lanciare un grido di speranza: che si smetta di ragionare per compartimenti stagni. Basta appiopparsi cognomi di altre persone per darsi uno spessore politico. Basta dar per scontato che una persona abbia detto una cosa sbagliata, solo perché in opposizione al proprio leader/capetto/capobastone di turno. Basta.

    E basta anche col fottersene di chi la pensa diversamente, deridendo iniziative in cui al centro è la costruzione di una visione comune delle cose.
    Ho letto commenti di esponenti del PD sia nazionale che del territorio – la maggior parte con ruoli di responsabilità – in cui si scherniva la manifestazione in corso, oggi, al Teatro Vittoria a Roma. Schernire chi cerca di essere parte della Comunità provando a fare rete, con un’assemblea pacifica, è da schifosi. E non uso sinonimi, in questi casi, mi dispiace.
    Chi oggi rappresenta la maggioranza sappia riconoscere qual è il suo ruolo: tenere il volante in mano, decidere come guidare, ma non decidere la direzione da soli. E quel “come guidare” deve significare senso di responsabilità e, anche, capacità nel mettere in secondo piano le proprie convinzioni per cercare una via comune, un minimo comune denominatore capace di far sentire tutti a casa e rappresentati dall’azione del partito. Ecco cosa ho imparato in questo anno.

    Dall’inizio di questa nuova avventura, è troppo presto per dirsi addio, anzi, dobbiamo tutti lavorare affinché quel momento non arrivi mai. Ritroviamoci tutti nella voglia dello stare insieme, del fare sintesi e riporre, nel baule delle cose inutili, l’arroganza e la spavalderia, a favore della responsabilità e dell’umiltà.

    Buon cammino, a tutti noi. Possa anche essere irto e pieno di ostacoli da superare, ma che non lo si consideri mai impossibile da realizzare o che maturi, in noi, la voglia di abbandonarlo.

    Grazie a tutti coloro che mi hanno affiancato fino alla prima candelina. Grazie ai componenti della Segreteria metropolitana, a tutti i segretari di circolo, ai militanti, agli amici e compagni. E anche a chi mi sopporta ogni giorno, dalle interminabili telefonate agli incontri in orari e giorni indicibili.

    Ci accompagni l’orgoglio di essere una comunità di più di mille ragazze e ragazzi che, nella Terra di Bari, portano avanti la passione per la Politica.

  • Colgo l’occasione della discussione affrontata giovedì scorso a Monopoli, durante l’iniziativa organizzata dai GD monopolitani, per lasciare una riflessione sulla legge elettorale.

    Possiamo discutere di proporzionale o maggioritario, di legge alla tedesca o alla francese, all’americana o alla spagnola, il punto vero è capire cosa sia prioritario tra governabilità e rappresentatività.

    Troppa rappresentatività, si è detto, potrebbe portare ad una ingovernabilità, in quanto non si arriverebbe mai ad una decisione, d’altro canto, il maggioritario taglia fuori una fetta di popolazione che si riconosce e vota soggetti politici minoritari che, spesse volte, a causa delle soglie alte di sbarramento, non riescono ad ottenere rappresentanza in Parlamento.

    Ieri, ho definito il sistema elettorale come la chiave davanti ad uno spartito: chiave di violino o di basso, in base a quale apponiamo davanti, leggiamo lo spartito in modo diverso. Sta alla classe politica saper individuare quale di queste chiavi utilizzare.

    Chiudendo con una mia opinione personale, ritengo che il sistema oggi più funzionale e che rispecchi i tempi in cui ci troviamo sia quella del proporzionale con una soglia di sbarramento tale da non creare eccessiva frammentazione nell’emiciclo parlamentare e raggiungere l’esatto opposto di ciò che diceva Alexis de Tocqueville: dalla dittatura della maggioranza alla dittatura delle minoranze, che per una manciata di voti spostano il bilanciere da una parte o dall’altra.

    Serve funzionalità ma anche correttezza. La correttezza è sinonimo di riconoscimento delle minoranze e della frammentazione che c’è nel Paese. Ritenere le minoranze un valore e non una zavorra, saper porre al centro la responsabilità e non il proprio tornaconto politico è cosa imprescindibile.

    Crediamo davvero che il problema della governabilità si risolva con una legge elettorale di stampo maggioritario? forse si dovrebbe guardare alla mobilità libera dei parlamentari una volta eletti. Dovremmo, forse, emanare una legge che impedisce ai parlamentari di cambiare casacca? Potremmo ma, giustamente, verrebbe bocciata dalla Corte costituzionale come incostituzionale, poiché in contrasto con l’art.67 della Costituzione.

    Ecco, quindi, l’elemento costitutivo di una stabilità politica del nostro Paese: la responsabilità, oltre alla governabilità e alla rappresentatività.

    La responsabilità di non utilizzare il partito come un pullman; la responsabilità di non credersi moralmente e politicamente superiori e vergini, senza dire che gli altri puzzano e quindi lungi dall’allearsi con questi (mi riferisco, soprattutto, ai ragionamenti che certa sinistra fa nei confronti del PD); la responsabilità di unire e non di dividere; la responsabilità della sintesi e non delle forzature.

    Si parta da qui per trovare il giusto sistema elettorale, sapendo che, nei fatti, non esiste quello perfetto.

    Articolo pubblicato su GDBari.it

  • No, la marijuana o l’hashish non sono cose da Pablo Escobar o trafficanti di droga colombiani.

    No, la marijuana e l’hashish non uccidono, se non per vie indirette, come gettarsi dalla finestra della propria casa, dopo essere stato sorpreso con 10gr di fumo in tasca.

    A Lavagna è successo proprio questo. Una mamma decide di segnalare alla Guardia di Finanza il proprio figlio perchè “si stava perdendo con la droga” e ciò che ha ottenuto e averlo realmente perso, per sempre.

    Dice bene Saviano:

    Vi starete chiedendo cosa sarebbe cambiato se la cannabis fosse stata legale. La madre non avrebbe potuto chiamare la Guardia di finanza, non solo, non ne avrebbe forse nemmeno sentito la necessità. Perché se un sedicenne fuma un pacchetto di sigarette al giorno, la mamma gli toglie la paghetta, lo controlla maniacalmente perché smetta di farlo, ma non chiede l’aiuto delle forze dell’ordine. Eppure le sigarette uccidono, le canne no. Ma le sigarette sono legali, e allora vedere un ragazzo o una ragazza che fumano sigarette, magari molte, non provoca vergogna sociale, non provoca scandalo.

    E allora cosa aspettiamo a legalizzare l’uso della marijuana e dei suoi derivati? Sblocchiamo il DDL dell’Intergruppo sulla legalizzazione, il DDL con il più alto numero di sottoscrittori è fermo in un cassetto per la debolezza della politica, per l’inettitudine dell’attuale classe politica, incapace di fare un passo in avanti e risolvere un gravissimo problema che coinvolge il nostro Paese.

    Ve ne ho già parlato tempo fa, la legalizzazione incrocerebbe un altro serio problema del nostro Paese: le carceri e il loro sovraffollamento; la Giustizia e il sovraccarico di procedimenti giudiziari verso piccoli detentori di droghe leggere; il finanziamento diretto alle mafie, attraverso il mercato nero della droga.

    Qui la lettera scritta da Benedetto della Vedova ai Presidenti di Camera e Senato e ai capigruppo dei tre più grandi gruppi parlamentari, circa lo sblocco del DDL. Spingiamo tutti, affinché si superi questo ostacolo e si consegni al Paese una legge di civiltà e progresso. Lavoriamo sul piano legislativo, ma anche e soprattutto sul piano culturale, non solo tra i giovani, ma anche tra gli adulti, soggetti a retaggi culturali.

    Cari Presidenti, cari colleghi,
    il progetto di legge per la legalizzazione dei derivati della cannabis è pendente dalla fine di luglio del 2015 presso le commissioni riunite Giustizia e Affari sociali della Camera dei deputati, dove è ritornato dopo la discussione generale in Aula.
    In seguito alla fase, lunghissima, delle audizioni non è stato esaminato e discusso non dico un articolo, ma neppure un emendamento al testo. La sintesi è che quella che, con ogni probabilità, è la proposta di legge di iniziativa parlamentare con il maggior numero di sottoscrittori (221 deputati) è stata parcheggiata su di un binario morto. Io penso che questo sia discutibile in termini politici, ma insostenibile in termini istituzionali.
    Come coordinatore dell’intergruppo parlamentare che ha formulato la proposta oggi all’esame delle camere, vi chiedo dunque un incontro per capire non se, ma come sia possibile sbloccare una situazione che sta diventando obiettivamente inaccettabile. Penso che questa responsabilità spetti, in modo diverso, tanto ai Presidenti delle commissioni, quanto ai capigruppo dei partiti – PD, M5S, SI-SeL – che annoverano nelle proprie fila la gran parte dei firmatari del progetto di legge.
    Non chiedo a voi, come deve essere evidente, un orientamento o un voto favorevole al provvedimento, ma che, a questo punto, si avvii l’esame, si capisca se vi è la possibilità di concordare eventuali modifiche e poi si passi al voto. Così le responsabilità politiche saranno chiare e distinte tra chi voterà a favore e chi contro, tra chi vuole la legalizzazione dei derivati della cannabis e chi intende invece mantenere l’attuale regime proibizionista.

    Cordiali saluti,
    Sen. Benedetto Della Vedova

     

    CANNABIS LEGALE: LA PAZIENZA E’ FINITA

    Ieri ho scritto una lettera ai presidenti delle Commissioni Giustizia e Affari Sociali della Camera, Donatella Ferranti e Mario Marazziti, ai capigruppo di Pd, Si-Sel e M5S, Ettore Rosato, Arturo Scotto e Andrea Cecconi in cui chiedo formalmente un incontro per capire non se, ma come sbloccare il DDL dell’Intergruppo Cannabis legale. Perché è inaccettabile che la proposta di legge con il maggior numero di sottoscrittori sia su di un binario morto.

    Questa la mia lettera, di cui ho parlato oggi durante la presentazione del libro di Luca Marola Marijuana Rulez, insieme a Giuseppe Civati e Riccardo Magi.

    Cari Presidenti, cari colleghi,
    il progetto di legge per la legalizzazione dei derivati della cannabis è pendente dalla fine di luglio del 2015 presso le commissioni riunite Giustizia e Affari sociali della Camera dei deputati, dove è ritornato dopo la discussione generale in Aula.
    In seguito alla fase, lunghissima, delle audizioni non è stato esaminato e discusso non dico un articolo, ma neppure un emendamento al testo. La sintesi è che quella che, con ogni probabilità, è la proposta di legge di iniziativa parlamentare con il maggior numero di sottoscrittori (221 deputati) è stata parcheggiata su di un binario morto. Io penso che questo sia discutibile in termini politici, ma insostenibile in termini istituzionali.
    Come coordinatore dell’intergruppo parlamentare che ha formulato la proposta oggi all’esame delle camere, vi chiedo dunque un incontro per capire non se, ma come sia possibile sbloccare una situazione che sta diventando obiettivamente inaccettabile. Penso che questa responsabilità spetti, in modo diverso, tanto ai Presidenti delle commissioni, quanto ai capigruppo dei partiti – PD, M5S, SI-SeL – che annoverano nelle proprie fila la gran parte dei firmatari del progetto di legge.
    Non chiedo a voi, come deve essere evidente, un orientamento o un voto favorevole al provvedimento, ma che, a questo punto, si avvii l’esame, si capisca se vi è la possibilità di concordare eventuali modifiche e poi si passi al voto. Così le responsabilità politiche saranno chiare e distinte tra chi voterà a favore e chi contro, tra chi vuole la legalizzazione dei derivati della cannabis e chi intende invece mantenere l’attuale regime proibizionista.

    Cordiali saluti,
    Sen. Benedetto Della Vedova

    Pubblicato da Benedetto Della Vedova su Giovedì 16 febbraio 2017

  • La nostra Comunità si sta sfaldando. Lo sappiamo tutti, spero.
    Come si può credere che uno sguardo al proprio interno non sia fondamentale?

    Vedo compagne e compagni non rinnovare più la tessera. La loro scelta ha il mio rispetto, ma anche la mia completa disapprovazione.

    C’è chi continua a lottare, giorno dopo giorno, in un contesto in cui non si riconosce, ma se parliamo di lottare per le nostre idee, allora come si può decidere di andar via? Come?
    Spiegatemelo, perché io non riesco a comprenderlo.

    Fuori dal PD c’è chi ha difficoltà e va aiutato, ma solo una comunità politica ricca può farlo. Andar via significa agevolare il baratro.

    Fuori dal PD c’è l’atomo che si scinde nel nulla.

    Scusate lo sfogo.