Categoria: Politica


  • La logica del meno peggio

    La logica del meno peggio

    Non ricordo da quanto tempo, ormai, la politica si poggia sulla logica del meno peggio.

    Un quesito del genere non può non balzare alla mante se si guarda cosa sta succedendo nei vari congressi del Partito Democratico, ad ogni livello, sia chiaro.

    Mi dispiace veramente tanto per quello che sta accadendo a livello provinciale, qui in Terra di Bari, dove il congresso si è trasformato in una conta tra correnti, in alchimie da premio Nobel, tra capibastone che credono in un partito al proprio servizio e a loro uso e consumo.

    Candidarsi per conto di qualcuno è qualcosa che non ho mai compreso e mai accetterò, soprattutto quando si perde la propria personalità e si è semplicemente la manifestazione di una scelta di altri.

    Ieri ho partecipato all’Assemblea degli Iscritti del PD di Noci, la mia città: si è parlato di proposizione di una propria candidatura, di una sorta di presa di coscienza che porti alla scelta di mettersi in gioco e di poter contribuire nelle proprie forme e nelle proprie misure al partito. Tanto di cappello ad un ragionamento di questo livello, ma io credo che il problema sia più grande di quanto possiamo immaginarlo.
    Se è vero che è una presa di coscienza e che la settimana prossima si eleggerà il nuovo segretario di circolo, credo che il flusso di coscienza che porti ad una autocandidatura sia ormai più che avviato dentro ogni ipotetico candidato, per questo non capisco come si possa temporeggiare e accettare che una candidatura possa essere proposta a poche ore dal voto. Inaccettabile e assurdo.

    Sapete, sino a quando il Partito Democratico si ridurrà a scegliere il meno peggio credo che il PD sarà il peggiore di tutti i partiti. Nei circoli, nelle federazioni, non possono esserci interessi personali nella scelta del segretario, per rispetto dei militanti e di tutti coloro che ci mettono la faccia (e qualcos’altro). Chiedo troppo? Se così fosse allora non c’è motivo di continuare a far politica, o meglio, non c’è motivo di credere ancora nel PD.

    Io ci credo, molto, moltissimo, nel progetto che raffigura il PD. Proprio per questa ragione non posso accettare che i congressi si trasformino in rese dei conti o peggio degli uffici di collocamento “politico” di amici di amici. Basta. Ora o mai più.


  • Ma di che Congresso parliamo?

    Ma di che Congresso parliamo?

    La butto qui: dobbiamo riflettere su una cosa, secondo me, molto importante.

    Il Partito Democratico è ormai partito con la fase congressuale ma il coinvolgimento non è lo stesso delle primarie per la premiership.
    Direte che sia tutto normale, ma io non la voglio pensare così e vi spiego il perchè: questo momento importante, quale il Congresso nazionale, non può trasformarsi in un mero passaggio di consegne, con l’insignito Renzi che quasi con noia si appresta a svolgere una campagna elettorale ormai vinta ancor prima di iniziare (e lui questo lo sa, ma tiene a bada il lassismo dei suoi).

    Il Congresso del PD deve essere un momento di confronto, questo lo sappiamo tutti, ma se cominciassimo a riflettere di più su quale ruolo dovrà avere il partito nel Paese e di meno su come si prospetterà la resa dei conti interna, forse riconoscerò il vero congresso che sogno per il mio partito.

    Guardate, non voglio tornare su quanto penso delle dinamiche nate dal prossimo appuntamento per il PD, ma sono certo che lo schifo non si fermerà qui e che conosceremo il lato melmoso della politica e di quella classe dirigente che per anni ha saputo galleggiare e che ora ha iniziato ad aggrapparsi come un parassita. Ecco, sì, parassita: è il termine giusto per definire quanto i più svariati dirigenti del PD stanno facendo da qualche mese a questa parte.

    Chi doveva essere il pesticida si è trasformato nella linfa vitale.

    Poi se posso dirla tutta, quando un congresso si trasforma in un rimpasto delle formazioni ma con il 80% percento (e forse più, sì, sicuramente di più) di soliti noti, beh, tutto può essere tranne che un congresso sinonimo di “svolta”.

    Ma è ancora presto per poter avere un quadro chiaro del prossimo PD (ho detto prossimo, non nuovo).


  • Virus democratico

    Virus democratico

    Ogni giorno che passa, un giorno in meno al Congresso nazionale.Riflettevo tra me e me cosa possa raffigurare oggi questo evento, non solo per l’Italia, ma anche e soprattutto per il PD (e può sembrare abbastanza scontata come cosa, ma non lo è).

    Il Partito Democratico, sin da quando ha visto la luce, ha sempre dovuto fare i conti con lotte intestine tra le varie fazioni provenienti dai partiti “genitori” – exDS ed exMargherita (in via principale) – motivo per cui non ha mai avuto posizioni precise, nette, su questioni di importante rilevanza e strategiche, non solo per dare una chiara identità ad un simbolo, ma anche per garantire agli elettori di sapere chi si stava votando.

    Le cose, oggi, non sono per niente cambiate. Se i vecchi leader dei vecchi partiti si sono eclissati per fare spazio a nomi diversi (attenzione, non ho detto nuovi!) senza però dare un taglio a quello stato di appartenenza alle vecchie sigle, altro motivo per cui quando a capo c’è una sigla l’altra sembra faccia opposizione e/o abbia un ruolo marginale.

    Se il PD del 2013 debba essere un prototipo identico a quello antenato, una ragione deve pur esserci e il prossimo Congresso niente potrà fare se impostato esattamente come è.
    Mi spiego meglio: prima si chiamavano ex-qualcosa, oggi finiscono tutti con “iani” (Bersaniani, Dalemiani, Renziani, Cuperliani, Civatiani, Bindiani, Franceschiniani e chi più ne ha più ne metta), situazione che non migliora di certo le cose, anzi, ciò che mi rende perplesso sul prossimo Congresso è che, alla fine, niente è cambiato nella sostanza, ma ha solo subito una evoluzione nella forma.

    Il PD non sarà mai il vero PD sino a quando ci saranno logiche di divisione interna. Basta guardare la crisi del centrodestra, quel PdL che viene squarciato dalla divisione tra falchi, colombe, piccioni e pitonesse. Il senso è proprio questo: si combatte tra di noi, ma non contro gli altri.

    Il più grande dei danni inferti al partito, da questa suddivisione, come ho già accennato prima, è proprio la mancanza di chiarezza politica, ragion per cui di posizioni ufficiali del partito se ne vedono ben poche. Con questo non voglio dire che tutti debbano essere soldatini agli ordini del leader di turno (come lo sono stati e lo sono tutt’ora i parlamentari del PdL) ma quantomeno rispettare la scelta presa a maggioranza, nei luoghi opportuni.

    Io? Mi piace definirmi un nativo digitale, senza appartenere ad una corrente, se non ad una: quella del Partito Democratico.
    Per questo Congresso, sostengo fermamente Pippo Civati e ci sarà tempo per poter esplicare le mie ragioni, ma ora concentriamoci su quanto detto e impegniamoci ad essere più Democratici e meno fans di qualcuno.


  • Apoteosi del niente e del camaleontismo

    Apoteosi del niente e del camaleontismo

    Sono le ore 18:15 circa al centro congressi della Fiera del Levante di Bari, mentre salutavo degli amici, dall’altra uscita ecco sbucare una massa inferocita di giornalisti, tutti impegnati a circondare la nuova pop star, Matteo Renzi, che si dirige presso un altro padiglione, dove di lì a poco, tutti i vari “big” del partito si sarebbero intrufolati, forse per un colloquio privato, o forse per ballare la samba.

    Certo è che come sono arrivato a Bari, così ho preso la strada per il ritorno: senza niente di nuovo da raccontare, senza una visione delle cose, senza niente di niente.

    Prendetemi pure per uno di parte, ma io sono del Partito Democratico da più tempo di qualche astuto commentatore e forse, dico forse, ho a cuore più di qualcun altro le sorti del mio partito. Proprio per questo, mi sarei aspettato un discorso più corposo, più intenso, più carico di contenuti (forse basterebbe solo dire “carico” di contenuti) che cercasse di dare una visione delle cose ad un partito, il PD, che di posizioni nette non ne ha mai avute e che chi vuole soverchiare il sistema deve necessariamente colmare. Ma niente.

    Apro una piccolissima parentesi: tra quelle quasi duemila persone ho visto di tutto, ho visto delinquenti, gente che da quando si alza la mattina pensa agli affaracci propri e che della politica non fanno altro che approfittarsene. Ho visto il vomito di una classe dirigente che ha fallito, gli ho avuti accanto, di fronte, dietro. Mi sono sentito pieno di vergogna ad essere lì, in quel momento.
    Tra quelle duemila persone, ho visto gente schierata con Renzi solo per portare a casa un proprio risultato personale, chi si vuole candidare ad una carica e chi ad un’altra, chi vuole sentirsi più forte nel proprio partito per ottenere una fetta più grossa, chi dopo le primarie chiederà la testa di qualcun altro. Insomma, lo schifo più totale. Ho ancora la nausea.
    Se solo i riflettori fossero stati puntati sulla folla anziché sul palco, avremmo visto tutti cosa c’era e c’è realmente sotto il simbolo “Renzi”, almeno in Puglia (ma io credo in tutta Italia).

    Chiusa questa infelice parentesi, vorrei tornare su quanto ho ascoltato: parole che non mi hanno lasciato niente, se non semplici frasi fatte, da ripetere come un pappagallo, ad esempio, “sul carro non si sale, il carro si spinge” oppure “vorrei dare un nome ai sogni dell’Italia”, giusto per farvi qualche esempio.

    Cambiare il PD che cambia l’Italia, cambiare l’Italia che cambia l’Europa: ma come? Mi chiedo come?

    Vorrei da un candidato alla segreteria del principale partito del centrosinistra, delle idee chiare su ambiente, lavoro, tecnologia, sviluppo sociale, cultura, istruzione, università. Perchè Renzi non ha parlato delle 5 hub della ricerca che ha intenzione di creare? Perchè Renzi non ha parlato dell’abolizione del valore legale del titolo di studio che vuole attuare? Magari tutti quei ragazzi che erano lì, tra il pubblico con gli occhi luccicanti o che erano lì per fare volontariato, si sarebbero resi conto di chi stavano sostenendo. Forse non le dice perchè tanto sente la vittoria in tasca, quella stessa sensazione su cui lui stesso ha posto l’altolà, con immancabile ipocrisia.

    Non possiamo continuare a pensare che qualcuno che parla di “establishment che ha fallito” accetti che quello stesso establishment lo applauda e lo porti alla vittoria al prossimo Congresso. Come può costui essere credibile? Come possiamo consegnargli l’Italia, in nome di un tanto richiesto rinnovamento? È questo il rinnovamento? Se così fosse vorrà dire che l’Italia ormai non ha più speranze.

    Se oggi la novità deve celarsi dietro una disposizione del palco diversa dal solito, io mi sento di non appartenere a questa novità. Non ho nulla da perdere, se non la dignità e per quanto possa, per molti, essere un optional, io non ho alcuna intenzione di venderla pur di ottenere qualcosa di personale. Mai.


  • Made in Italy & banda larga, binomio vincente

    Made in Italy & banda larga, binomio vincente

    A dirlo è il CEO Google, Eric Schmidt in visita a Roma. “Google pronta ad investire se l’Italia sviluppa la banda larga”.

    Serviva Mr. Google per capire che l’Italia deve fare una scelta di fondo sul proprio piano di sviluppo, se vuole riemergere e non farsi superare da chiunque? Credo proprio di no. Tuttavia Eric Schmidt ha strigliato abbastanza il nostro Paese e, permettetemi, ha fatto bene.

    L’Executive Chairman della Google Inc., passeggiando per Roma ha immaginato cosa possa raffigurare come ricetta ideale per l’Italia per uscire dalla crisi e spiccare (nuovamente) il volo nella produzione, con il “Made in Italy” vittima, nell’ultimo periodo, di contraffazioni e di una concorrenza spietata, oltre che di uno scarso sostegno da parte delle Istituzioni.

    Schmidt parla di banda larga come dei nuovi binari dello sviluppo economico e sociale, come base da cui dar forza alle imprese e alle idee innovative. Di questo ne abbiamo già parlato. Ma ciò che dovrebbe rendere appetibile, più di qualsiasi altra sostanziale motivazione, è l’intenzione di Google di investire in Italia, ma solo se l’internet veloce sarà ormai presente in tutto il territorio nazionale.

    Ma la cosa che il CEO del colosso di Palo Alto afferma e che andrebbe discussa è la specializzazione della produzione: dice bene quando afferma che la California si è specializzata in quello che sa fare meglio – ovvero creazione di nuove tecnologie – ed ora è leader-place mondiale in quel settore (anche se, alla fine, la produzione è tutta in Cina).

    Noi possiamo fare di più: perchè non abbiamo bisogno di produrre su larga scala, perchè il nostro tessuto imprenditoriale si basa sulla piccola-media azienda, non abbiamo bisogno di esportare la produzione, ma possiamo produrre noi, dobbiamo produrre noi, perchè il brand del Made in Italy è imbattibile e deve restare tale. Quelle aziende che oggi producono nei paesi dell’Est-Europa e continuano ad avere il Made in Italy, a mio avviso, dovrebbero subire degli interventi da parte delle autorità europee.

    Bisogna dare energia all’artigianato, alle PMI e soprattutto a chi vuole aprire un’attività imprenditoriale, soprattutto se giovani che hanno preferito restare nel proprio Paese, anziché scappare oltre il confine.

    Le nuove tecnologie sono ormai fondamentali, non smetterò mai di dirlo. Immaginate cosa possa creare un artigiano se nella sua bottega avesse la connessione veloce: un sistema di prenotazione in tempo reale, direttamente sul luogo di lavoro, ad esempio, o un sistema di e-commerce che preveda la consegna organizzata su via digitale, in una rete di distribuzione territoriale e non solo. Oltre a questo, c’è la proposta di Schmidt di affidare ai nostri artigiani delle stampanti 3D e di unirle al nostro design.

    schmidt-lastampa-10-10-2013


  • Domani sarò da Renzi, per ascoltare

    Domani sarò da Renzi, per ascoltare

    Pur sostenendo un altro candidato alle Primarie del PD per la Segreteria, domani sarò alla Fiera del Levante, a Bari, a seguire “L’Italia Cambia verso” di Matteo Renzi. È importante ascoltare quali progetti ci sono per l’Italia e per il partito, pur divergendo da questi. Un particolare importante che non dobbiamo snobbare è proprio l’ascolto e la pluralità. Questo è il PD che sogno ed io non posso tirarmi indietro incoerentemente.


  • Formazione “Made in Italy”

    Formazione “Made in Italy”

    Gli ultimi dati OCSE segnano l’Italia in una posizione sotto la media europea (ennesima), se non proprio ultima, per formazione professionale dei cittadini adulti che cercano lavoro o sono allocati nei diversi settori.

    L’Italia è ultima per la capacità di comprensione dei testi e penultima (sotto c’è solo la Spagna) nelle competenze numeriche e nel rapporto con la matematica, in generale. Vediamo i grafici per avere un esempio visivo di quello che stiamo dicendo: il primo riguarda la percentuale di adulti, per livello di comprensione:

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    Se poi confrontiamo questa differenziazione con un riferimento alle fasce d’età, allora avremo un’enorme differenza tra generazioni, segno che la scolarizzazione ha fatto notevoli passi in avanti ma, purtroppo, ancora insufficiente, visto e considerato il fatto che ci ritroviamo, comunque nelle ultime posizioni.

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    Dopo aver snocciolato e sintetizzato al massimo quanto riportato dall’OCSE (i dati complessivi li trovate qui) è necessario fare un po’ un quadro generale rispetto alla situazione della formazione professionale in Italia, nelle sue sfaccettature, ma soprattutto, nelle sue differenze tra Nord e Sud.

    Questa scarsa professionalità e preparazione della popolazione – basti pensare agli indici della padronanza della lingua inglese nel settore pubblico (28,7%) e in quello privato (28,6%) – è il risultato di una mancanza di prospettiva del sistema formativo italiano. Un sistema formativo proiettato verso la specializzazione della popolazione dovrebbe coniugare meglio il rapporto tra enti formativi (scuole e università) e le aziende,  le attività produttive del territorio (di questo ne ho già parlato).

    Da dove incominciare – Lo vediamo tutti i giorni, non c’è spazio alla menzogna: le nostre Università meritano spazio, perchè hanno studenti capaci e meritevoli. Chi “governa” le nostre Università deve necessariamente sforzarsi per tessere rapporti con soggetti terzi che possono garantire formazione su campo e una prospettiva sul futuro dei giovani laureati. L’impegno, tuttavia, non deve essere unilaterale: le aziende devono spingere verso questa frontiera della formazione, utile a loro e soprattutto agli studenti, senza dimenticare i diritti di chi affronta uno stage presso un privato o un pubblico (affrontare la questione retribuzione sarebbe una gran cosa).


  • L’Agenda Digitale nel cassetto

    L’Agenda Digitale nel cassetto

    Che l’Italia fosse 100 passi indietro rispetto ad altri paesi europei era più che scontato, ma che si debba temporeggiare su aspetti vitali come l’Agenda Digitale, non è solo una questione di lungimiranza politica, ma di civiltà e di perdita di risorse per lo sviluppo. Di cosa parlo:

    L’Italia, rispetto alle ultime graduatorie europee, si attesta sotto la media europea rispetto agli obiettivi fissati dall’UE nell’Agenda Digitale europea che, nel biennio 20132014, prevede 7 punti da sviluppare:

    1) Creare un nuovo e stabile contesto normativo alla banda larga

    Sono necessari maggiori investimenti privati nelle reti a banda larga ad alta velocità fisse e mobili.Ma si deve lavorare a un nuovo e stabile quadro normativo. Un pacchetto di dieci azioni nel 2013 conterrà raccomandazioni per un accesso alla Rete più fortemente non discriminatorio, una nuova metodologia di determinazione dei costi per l’accesso all’ingrosso alle reti a banda larga, net nutrality e riduzione dei costi per il roll-out della banda larga. Questo programma si baserà su nuove linee guida su aiuti statali e prestiti europei tramite Connecting Europe Facility.

    2) Nuove infrastrutture pubbliche di servizi digitali

    Con il supporto del Consiglio, la Commissione accelererà la diffusione di servizi digitali (in particolare l’interoperabilità transfrontaliera) relativi a identità elettroniche e firme elettroniche, mobilità aziendale, giustizia elettronica, cartelle cliniche elettroniche e piattaforme culturali come Europeana. L’eProcurement potrebbe far risparmiare da solo 100 miliardi di euro l’anno, mentre l’eGovernment sarebbe in grado di ridurre i costi di amministrazione del 15-20%.

    3) Avviare una coalizione per le competenze digitali e per l’occupazione

    C’è bisogno di una coalizione per adottare misure concrete ed evitare milioni di posti di lavoro vacanti in ambito Ict entro il 2015 a causa della mancanza di personale qualificato. La Commissione coordinerà le azioni del settore pubblico e privato per: incrementare i tirocini di formazione, creare collegamenti più diretti tra università e mondo del lavoro, definire accordo profili professionali standard e promuovere la certificazione delle competenze per la mobilità lavorativa. La Commissione, inoltre, fornirà un piano d’azione a sostegno degli imprenditori Web e renderà l’Europa più startup friendly.

    4) Proporre una cyber-strategia di sicurezza

    Sicurezza e libertà online vanno di pari passo. L’Ue dovrebbe offrire gli ambienti online più sicuri del mondo, valorizzando la libertà e la privacy dell’utente. La Commissione fornirà una strategia e una proposta di direttiva per stabilire un livello minimo comune di preparazione a livello nazionale, tra cui una piattaforma online per prevenire e contrastare incidenti informatici, e l’obbligo di segnalazione degli incidenti. Questo stimolerà un più ampio mercato europeo per la sicurezza e la privacy-by-design dei prodotti.

    5) Aggiornare il copyright

    Modernizzare il diritto d’autore è la chiave per raggiungere il mercato unico digitale. La Commissione cercherà una soluzione dei problemi del diritto d’autore attraverso un dialogo con gli stakeholder nel 2013. Parallelamente, la Commissione rivederà e modernizzerà il quadro legislativo dell’Ue diritto d’autore, in vista di una decisione nel 2014 sulle proposte giunte finora.

    6) Accelerare il cloud computing attraverso il potere d’acquisto del settore pubblico

    La Commissione avvierà azioni pilota nel partenariato cloud europeo, che sfrutta il potere pubblico di acquisto per contribuire a creare il più grande mercato cloud del mondo, smantellando attuali barriere nazionali e percezioni negative dei consumatori.

    7) Lancio di una nuova strategia industriale elettronica

    La Commissione proporrà una strategia industriale per la micro-e nano-elettronica, per aumentare l’attrattiva dell’Europa per gli investimenti nella progettazione e produzione, nonché la sua crescente quota di mercato globale.

    Il punto cruciale che non tutti hanno ben compreso è esattamente il valore economico, oltre che sociale, dello sviluppo tecnologico e del proseguimento dell’Agenda Digitale.

    Un piano strategico nazionale che sviluppi i sette punti di cui sopra, aprirebbe a nuovi orizzonti nel panorama italiano: la mancanza di una copertura nazionale di fibra ottica azzoppa e fa scomparire quel punto e mezzo di PIL che garantirebbe, invece, se dalle parole e le programmazioni, si passasse ad agire e a ridurre il digital divide.

    Ma la questione non si conclude con una mera necessità di nuove infrastrutture e nuovi piani di sviluppo ed installazione, c’è di mezzo lo stile di vita e la cultura dei cittadini, una e-culture, se vogliamo essere pignoli: con una copertura della banda larga che raggiunge circa il 95% della popolazione italiana ci si dovrebbe aspettare un utilizzo di massa di questo strumento oramai fondamentale, invece, la popolazione che si connette sul web è pari al 55%. Un divario esorbitante.

    È ovvio che la divergenza si allenterà col passare del tempo (salvo casi difficili da immaginare), ma se tutti utilizzassimo e ponessimo al centro del sistema-paese l’Agenda Digitale e l’utilizzo delle nuove tecnologie, riusciremmo a creare nuovi posti di lavoro (qualcuno ne stima addirittura 700.000).

    Il Governo Letta sull’A.D. ha speso dei provvedimenti (nel pacchetto del Decreto del Fare) – dove, per l’appunto, si liberalizzava il wi-fi libero e gratuito, sconfinando totalmente nel libero accesso ad internet, superando di gran lunga varie ingerenze e possibili emendamenti che prevedevano sistemi di controllo simili al Decreto Pisanu, abolito dall’allora Ministro dell’Interno Maroni nel 2011.

    Il concetto dell’Agenda Digitale si espande anche nel concetto stesso di città e di come debba essere intesa oggi: abbiamo sentito tutti parlare, almeno una volta, di Smart City. Ecco il concetto è proprio questo e va sostenuto in ogni singolo aspetto, perchè vantaggio ne trarremmo tutti, non solo qualcuno.

    Tornando al problema di prima ed a quanto ribadito sul concetto di e-culture, mi pare ovvio che la cultura la si forma nel suo luogo per eccellenza: la scuola. Immaginate se cominciassimo a ridurre sempre di più i libri di carta, a fare spazio negli zaini (salvandoli, magari, da millemila kg di peso). L’e-book deve essere la frontiera della scuola del III Millennio – un passaggio mai ben percepito, mai ben strutturato – simbolo di una civiltà che avanza.
    Sono a conoscenza dei rischi che prendo dicendo questa cosa, ma credo che ai nostalgici e difensori del cartaceo non bisogna obiettare nulla, perchè loro ci sono cresciuti con la carta ed è proprio questo il concetto: far crescere una nuova generazione che interagisca in modo sano e strutturato con le nuove tecnologie.

    Sognare la California non ci aiuta a crescere. Sognando un’Italia con meno analogico e più digitale è la chiave per rendere il nostro Paese protagonista, ancora una volta, dell’Europa e competitiva con il mondo intero.