Categoria: Politica


  • La rendita renziana

    La rendita renziana

    Ieri, su La Stampa, Federico Geremicca ha scritto un articolo interessante che vi propongo e che, spero, possa suscitare in voi una serie di domande e/o considerazioni, augurandomi di vederle postate sui social network o su questo blog, come sempre a vostra disposizione.

    Che la migliore notizia ricevuta nelle ultime settimane sia l’assoluzione in appello di Silvio Berlusconi – cioè del leader della coalizione che tenterà di batterlo alle prossime elezioni – la dice lunga su quanto si sia fatto agitato il mare intorno a Matteo Renzi.

    Lo sgradevole stop alla nomina di Federica Mogherini, gli ammonimenti del neo Commissario agli Affari economici Katainen, la drastica riduzione al ribasso della crescita del Pil ipotizzata da Bankitalia e il faticoso cammino in Parlamento della riforma del Senato, sono lì a confermare il momento di evidente difficoltà.

    In un quadro a tinte così fosche, altri premier e altri governi si sarebbero forse ritrovati a un passo dalla crisi: e invece nulla, per ora, sembra intaccare la popolarità e il consenso che circondano l’ex sindaco di Firenze, visto l’alto gradimento di cui continua a godere secondo ogni sondaggio. E’ come se accanto al mondo reale – quello segnato appunto dalle difficoltà di cui si diceva – Matteo Renzi fosse riuscito a costruirne, almeno in Italia, un altro virtuale: un pianeta fatto di ottimismo, di forza della volontà, di promesse di cambiamento, di fiducia nel futuro.

    Nella creazione di questa sorta di «pianeta parallelo», molto ha contato e conta l’abilità comunicativa del giovane premier. Ma c’è, naturalmente, dell’altro: e fingere di non vederlo potrebbe costituire il secondo errore capitale (il primo è stato la sottovalutazione del fenomeno-Renzi) degli stati maggiori dei partiti avversi al premier e degli stessi «malpancisti» all’interno del Pd. Se una fetta assai ampia di italiani – a dispetto delle difficoltà crescenti – continua ad aver fiducia e ad esprimere sostegno all’azione del Presidente del Consiglio, è perché ancora troppo vivo è il ricordo di quella che per comodità qui definiamo «la vecchia politica».

    La memoria del passato, anche recente, non stimola certo un desiderio di ritorno all’antico e la rapida archiviazione di una leadership che comunque – assieme a tante promesse – segnali di cambiamento effettivo li ha lanciati: dal governo meno affollato degli ultimi decenni alla nomina di donne alla guida di aziende di Stato, dal tetto agli stipendi dei manager pubblici alla rivoluzione nella pubblica amministrazione, fino alle fermissime prese di posizione a fronte di fenomeni corruttivi, da qualunque parte provenissero. Molti italiani, dunque, pensano: la situazione è difficile, ma almeno ora c’è qualcuno che si è rimboccato le maniche e ci sta provando davvero.

    Matteo Renzi, insomma, ha vinto e governa con ancora largo consenso grazie alla promessa e poi alla realizzazione (parziale, certo) di un radicale cambiamento: è evidente, allora, che chi intenda sconfiggerlo non potrà che farlo sfidandolo su questo stesso terreno. Cominciando, ovviamente, a cambiare esso stesso: partito, leader o approccio a una «nuova politica», che dir si voglia. Per ora, onestamente, segnali in questo senso non se ne scorgono: né a destra, né al centro e nemmeno a sinistra…

    E’ questa, in fondo, la maggiore e più importante «rendita di posizione» su cui può contare Matteo Renzi: l’estrema difficoltà degli altri – intendiamo le classi dirigenti nel senso più ampio del termine – ad imboccare la via di un visibile e credibile cambiamento. Per altro, finché in campo ci sono «quelli di prima» con gli argomenti di prima, è fin troppo facile per il premier rispondere alle critiche che gli vengono mosse: avete governato per decenni senza fare nulla di quel che ora imputate a me di non fare o di fare male… Argomento, oggettivamente, difficile da liquidare.

    Ma anche le rendite di posizione, perfino le più cospicue, sono destinate ad esaurirsi: ed è per questo che, al di là della debolezza dei suoi avversari (interni ed esterni) Matteo Renzi ha un disperato bisogno di centrare risultati: a cominciare – almeno sul piano dell’immagine – dalle «riforme politiche» (bicameralismo e legge elettorale) enfatizzate fino al punto da legare alla loro realizzazione addirittura il suo futuro in politica. «Settimana decisiva» ha infatti annunciato ieri il premier, riferendosi alla riforma del Senato. E’ da augurarsi che sia così e che le cose vadano nel verso giusto, perché un rinvio all’autunno dell’approvazione almeno in prima lettura, sarebbe uno smacco assai forte. Certo non compensabile col pur apprezzabile avvio del così decantato piano «scuolebelle»…


  • Tutti Nobel per la Pace

    Tutti Nobel per la Pace

    Facebook trasforma le persone in possibili candidati al premio Pulitzer o, addirittura, al premio Nobel per la Pace.

    Video e foto di donne, bambini e uomini morti ammazzati sull’asfalto, sui marciapiedi e ovunque sia immaginabile. Ma pubblicati i video, le foto e quant’altro, cosa rimane? Rimane la sciocca convinzione, da parte di chiunque pubblichi qualcosa di simile, di stare informando, di essere contro i combattimenti.

    Ho visto video in cui qualcuna delle vittime era ancora in vita, ma si preferiva riprenderla, anziché soccorrerla.

    Voi tutti, che benedite il giorno in cui un sito vi abbia dato, finalmente, la voce che prima non avevate nella realtà, sappiate che potete essere un giorno allenatori, un giorno ministri dell’economia, un giorno pacifisti, ma non sarete la soluzione e neanche un canale d’informazione.

    La guerra è distruzione, è morte, non c’è bisogno di un video per farcelo capire. Ma la dignità di quelle persone – riprese mentre, agonizzanti, giacciono sul ciglio della strada in una pozza di sangue, il loro stesso sangue – va salvaguardata, per quel poco che ne resta.

    Prima si svolgevano studi sociali sui conflitti nel mondo, oggi il primo obiettivo è un like.

    Cosa rimane della parola “umanità” in tutto questo? Assolutamente nulla.


  • Gioca a Dama, Presidente?

    Gioca a Dama, Presidente?

    Quello che sta succedendo, in queste ore, è tragico, molto tragico.

    Corradino Mineo e Vannino Chiti, senatori del Partito Democratico, sono stati sostituiti in Commissione Affari Costituzionali del Senato, perché portatori di una differente visione della riforma del Senato, rispetto a quella Boschi-Renzi, e perché entrambi avevano intenzione di far pesare nella discussione in commissione i loro emendamenti, proiettati verso la salvaguardia dell’elettività dell’Aula.

    Bum! Un colpo di spugna e Mineo e Chiti non sono più membri della commissione, in alternativa verrà posto qualcuno più propenso all’idea di un Senato non elettivo e che, magari, non si ponga tante domande sulla questione. So per certo che in Commissione si rappresenta il gruppo, ma se da un lato c’è stata una forzatura, dall’altra è stata lanciata una bomba a grappolo.

    Quando ho appreso questa notizia, devo esservi sincero, ho avuto un sussulto di rabbia, ma dopo aver riflettuto con calma e attentamente, credo che il problema più che numerico o di posizionamento, sia politico (come spesso capita).

    La questione che dovremmo porci è se sia giusto considerare i parlamentari come delle pedine da spostare a proprio piacimento, senza dare un minimo valore alla persona, in quanto essere umano, in quanto essere pensante, con una propria dignità, con una propria intelligenza. Governare non è come giocare a Dama.

    Non sto facendo retorica, ma credo che questo non sia risolvibile con delle semplici parole. Cosa vogliamo raggiungere in questo modo? Qual è l’obiettivo? Se Renzi crede che una riforma costituzionale passata in questo modo sia utile al Paese, si sbaglia. Crede sia conforme ai principi della Costituzione? Crede che questa sia una legge come tutte le altre?

    L’Assemblea Costituente scelse un iter abbastanza complesso per la modifica della nostra Carta, probabilmente perché sua intenzione era di blindare la Costituzione nei confronti di partiti che, in modo unilaterale, avrebbero voluto modificare la Costituzione a proprio piacimento. Ma non mi fermerei qui: la Costituzione va rivista e modificata con una larghissima maggioranza, simbolo di una mediazione tra diversi punti di vista, simbolo di una collaborazione tra le forze politiche che, oggi, non vogliono collaborare e che quindi il Governo potrebbe finire schiantato contro un muro e portarsi con se anche il PD.

    Pensando con malizia, potrei immaginare un disegno di Renzi, un po’ alla House of Cards o, in chiave nostrana, un disegno paradalemiano, con l’intento di far “scoppiare” il gruppo parlamentare e il partito, facendo allontanare esponenti della minoranza (autonomamente, come è successo con l’autosospensione dei 13 senatori), ormai rimasta da sola (nel senso di una sola, visto che delle due iniziali, una di queste è in una fase di osmosi verso il renzismo dell’undicesima ora, lasciando pochi superstiti).

    Forse mi sbaglio, forse credo in un partito che sta svanendo, nella sua accezione più alta, nella sua natura di casa, di polis dove poter discutere, potersi confrontare e poter essere ognuno alla pari di tutti.

    Per l’ennesima volta voglio ribadire un concetto, mi sembra ridicolo farlo ma, a quanto pare, è una necessità: il PD ha preso il 40% alle Elezioni europee, 11 milioni di voti, 11 milioni di elettori che non hanno votato il PD “perché c’è Renzi”, ma perché c’è un progetto che riesce a convogliare la speranza degli italiani, un progetto in cui Renzi è parte integrante, ma non sostanza unica. L’arroganza con cui si afferma che è più importante il voto degli italiani a quello dei parlamentari mi rattrista molto, poiché la voce grossa non la facciamo con i nostri alleati di governo (di destra), ma contro quella parte a sinistra del PD che, con tutta franchezza, cerca di porre alternative alla discussione e che, a mio avviso, ha portato alla posizione di Mineo e Chiti, proprio perché manca qualcosa di fondamentale all’interno del PD, in questo momento: la calma.

    Sia ben chiaro, non la calma intesa come immobilismo, ma come strumento per instaurare una discussione equilibrata, composta, con le dovute riflessioni, senza rincorrere la lepre, ma cercando di lasciar perdere questa voglia matta di soddisfare la pancia della gente, vogliosa di “fatti”. I fatti arrivano comunque, se non in 2 giorni, ma in 3, arrivano comunque e magari migliori di quelli presentati, perché frutto di una discussione più strutturata.

    Credo che il Partito Democratico abbia grandi potenzialità, indipendentemente dalle persone, ma per la concezione stessa di partito che rappresenta. Proprio per questo credo che si debba confrontarsi nel merito, migliorare i momenti di discussione, non trasformarli in semplici passerelle, dove ognuno dice la sua e alla fine della fiera si fa come si era detto in partenza.
    Certe volte, credo che la Direzione Nazionale sia un po’ una giostra, dove molti salgono sul cavallo, fanno il loro giro (discorso), fino a quando il giostraio non decide di staccare la spina e spegnere tutto.

    Sono convinto che, se si fosse strutturata una discussione monotematica sul tema della riforma del Senato, focalizzandosi sui contrasti, sulle sfumature e sui diversi progetti sul tavolo, probabilmente non avremmo raggiunto questa crisi interna così forte.

    Se poi vogliamo essere proprio democratici e vogliamo valorizzare i nostri iscritti (non elettori, ma iscritti), lo strumento dei referendum interni al partito sono cosa buona e giusta. Su questo blog ne ho discusso abbastanza sull’argomento e credo sia sempre il miglior strumento per porre fine ai dissidi tra dirigenti e lasciare che la base dia il suo parere in merito. Poi, sono certo che anche i parlamentari (tutti) ne trarrebbero le dovute conseguenze.
    Un segretario dovrebbe comportarsi in questo modo. Dovrebbe.


  • Bamboccioni si nasce o si diventa?

    Bamboccioni si nasce o si diventa?

    Marco Bracconi, su Repubblica, scrive che i bamboccioni esistono veramente e ne da una piccola descrizione, un ritratto sociologico.

    Io non so quanto possa essere giusto utilizzare queste etichette, ma di certo c’è un problema di fondo che va analizzato in ogni sua parte.

    L’ISTAT ha pubblicato il dato sulla disoccupazione in Italia: 13,6% in tutto il Paese, per poi vedere che tra i giovani arriva al 46%, per non parlare del 61% di giovani meridionali che sono alla ricerca (o meno) di un lavoro.

    Lo ripeto qui, ma su questo blog ne ho discusso parecchio: il problema va oltre un semplice ritratto sociologico dell’individuo, c’è un virus letale che circola nel nostro Paese da molto, moltissimo tempo. Questo virus è il lavoro nero che strappa chiunque da qualsiasi controllo dello Stato, nascondendo, dallo sguardo degli uffici di collocamento, dell’ispettorato del lavoro, persone costrette a vivere in situazioni quasi da schiavitù, con paghe infime, nessun diritto e l’umiliazione di non potersi costruire una vita.

    Che ci siano ragazzi abbandonati a loro stessi e che abbiano gettato la spugna ancor prima di incominciare, è scontato, ma è quanto più urgente cambiare rotta e per farlo bisogna strappare tantissimi lavoratori dal mondo del nero, punire chi non regolarizza il lavoro, chi ne approfitta. Magari, non con una lotta armata (anche se lo Stato ha tutte le armi a disposizione per monitorare e sconfiggere il fenomeno, vedi Agenzia delle Entrate), ma con una serie di provvedimenti utili a suscitare nei datori di lavoro (e nei prestatori di lavoro) l’interesse verso la convenienza della regola.

    Ma sarà questa la risposta giusta? O forse in questo Paese l’unica via possibile alla sopravvivenza è quella di abbassare la testa e accettare tutto ciò che ci troviamo davanti?

    Se è così, bisogna correre, più veloci che mai, verso un nuovo sistema di sostegno alle imprese, lavorando con una filosofia ben precisa: se migliora la vita dei cittadini, lo Stato non può che trarne beneficio, anche nel grigiore dei conti economici. È così, dobbiamo capirlo. Punto e basta.


  • Beppe Grillo Presidente (a loro insaputa)

    Beppe Grillo Presidente (a loro insaputa)

    Quello che si è detto, in questi giorni, ha raggiunto quantità infinite. Sul Partito Democratico, su Matteo Renzi, su Silvio Berlusconi, soprattutto su Beppe Grillo e sul Movimento 5 Stelle. “È stato un flop”, “si deve dimettere”, “ma da cosa? Non ricopre nessun ruolo!”, “forse si dimetterà dall’anagrafe”. Ecco perché, invece, Grillo può dimettersi e da cosa.

    Risale ad un po’ di tempo fa, il video in cui Grillo dichiarava che, in caso di fallimento, si sarebbe ritirato dal Movimento. Alcuni giornali lo riportano in relazione alle Europee, alcuni lo collegano alle scorse elezioni politiche. Ma il punto non è questo, o meglio, non del tutto, perché, tralasciando le sue dichiarazioni, molti si aspettavano una reazione da parte di Grillo, coerentemente con quanto dovrebbe fare un vero leader, il quale, dopo aver fallito elettoralmente, prendendone atto, si dimette dall’incarico ricoperto. Un possibile scenario, immaginato non solo dagli esterni.

    Subito dopo la batosta elettorale, per il M5S, si è aperta una fase nuova, sintetizzata magistralmente da Marco Travaglio, che la definisce, al momento, disastrosa (il che stupisce, vista la tendenza di Travaglio verso il M5S, anche da parte del suo giornale), per il suo altalenarsi tra negazionedisperazione, oltre al documento dell’ufficio comunicazione del movimento, che indica il cappotto nero e i capelli alla cocker spaniel di Casaleggio, come possibile fattore di perdita di voti (sarà pure vero, chi lo sa!), certo è che il guru che citava Guerre Stellari dal palco di Roma, pare essersi rinchiuso nel suo armadio in difesa del suo guardaroba.

    Tralasciando una nota ironica dovuta, navigando per la rete, mi sono imbattuto in due documenti ufficiali riguardanti il Movimento 5 Stelle. Non sono documenti qualsiasi, ma atti notarili, riportanti uno lo statuto (quello vero, che non c’entra nulla dal non-statuto dove, per esempio, si indica la sede del M5S coincidente con il blog di Grillo, ma in realtà, c’è una via e un numero civico – Via Roccatagliata Ceccardi, n. 1/14, Genova) e l’atto costitutivo, un documento molto interessante, al centro del mio post di oggi (troverete i documenti originali alla fine della pagina).

    Tralasciando il fatto che, nello Statuto, Grillo ha inserito un principio fondante per la sua “associazione non riconosciuta”, quale il M5S: gli eletti eserciteranno le loro funzioni senza vincolo di mandato. “Alla faccia del senza vincolo di mandato“, direbbe qualcuno. Come dargli torto.

    Nell’atto costitutivo, il notaio Dott. Filippo D’Amore ha trascritto gli incarichi ufficiali del Movimento 5 Stelle, legalmente validi: Giuseppe Piero Grillo detto Beppe ricopre l’incarico di Presidente del Movimento 5 Stelle, Enrico Grillo, invece, riveste il ruolo di vice Presidente, mentre il commercialista di Grillo, Enrico Maria Nadasi, il ruolo di Segretario.

    Oltre al ruolo di Presidente, Grillo è il proprietario esclusivo del logo ufficiale del Movimento 5 Stelle (nell’allegato “A” dell’atto) e del blog, in quanto canale ufficiale del movimento.

    Peccato per l’On. Luigi Di Maio, il quale oltre ad essere quasi entusiasta di un Farage futuro Primo Ministro britannico, descrivendolo come un “leader lungimirante” (su Farage consiglio di leggere qui o qui), dichiara “Riguardo la leadership, Beppe Grillo al massimo può dimettersi dall’anagrafe come Beppe Grillo, non so da cosa si dovrebbe dimettere”.

    Documenti alla mano, “pare” che Grillo un posticino all’interno del M5S lo occupi, lo dice un atto notarile, siglato da Grillo e registrato il 18/12/2012, sempre a Genova.

    Per il povero Casaleggio nessun ruolo, probabilmente mentre i tre di cui sopra erano al notaio, lui era intento a giocare ad Age of Empires o a comprare un nuovo cappellino, possibilmente nero con visiera. Chi lo sa.


  • Non si è di sinistra senza coraggio

    Non si è di sinistra senza coraggio

    Per l’ennesima volta, la sinistra italiana ha deciso di mordersi la coda.

    Barbara Spinelli, candidata (eletta) di spicco della Lista Tsipras, in una conferenza stampa ha dichiarato che il PD è sempre meno di sinistra e che la vera, unica, originale sinistra sono loro e quel progetto nato per le Europee.

    Ancora con questa storia dei casti e puri! E basta!

    La sinistra è tale se ha il coraggio di non relegarsi in partitini, ma di fondersi in un progetto ambizioso e di imprimere maggiore forza alla parte più a sinistra del Partito Democratico.
    Il PD è il PD perché al suo interno c’è eterogeneità, la quale prima o poi muterà, esattamente quando non ci saranno più ex-qualcosa e la maggioranza sarà di nativi del PD (di tutte le età). Ma eterogeneo lo sarà sempre.
    Se si vuole costruire qualcosa di serio, lo si faccia all’interno del Partito Democratico, altrimenti il resto è inutile. La Spinelli deve capire che la gara a chi si aggiudica la bandierina della sinistra ormai non interessa più a nessuno. Ieri ho pubblicato delle slide di uno studio, nel quale si rende chiaro il flusso di voti che ha permesso al PD di raggiungere il 40% di consenso.

    La sinistra è tale se ha il coraggio di dare una svolta a se stessa, prima che al Paese. Le formazioni politiche presenti oggi sul panorama politico, mi lasciano pensare una cosa: da una parte c’è il PD che è il risultato di un’evoluzione politica del centrosinistra – che parte dal PCI e dalla sinistra della DC – e dall’altra c’è una sinistra (radicale) che prova in tutti i modi a salvarsi ad ogni elezione. Le alchimie politiche sono sotto gli occhi di tutti, la necessità di costruire un nuovo soggetto in vista delle Europee rende chiara l’idea di come pur di farcela, sia stato necessario levare, prima di tutto, simboli o nomi che conosciamo bene, e poi quello di unirsi in un solo gruppo.

    Il progetto della Lista Tsipras è interessante, sia ben chiaro, ma ciò che non funziona è proprio la tendenza all’isolamento, al non volersi “mischiare“, a puntare il dito contro chi la pensa diversamente ed a etichettarla come “destra”. Questo è l’errore solito che si è sempre fatto ed è la ragione per cui i cittadini elettori di sinistra (radicale) un po’ si sono stancati e hanno preferito votare il PD, come progetto credibile.

    Bisogna cambiare la sinistra se si vuole farla rinascere. Bisogna cambiare il linguaggio, bisogna saper interpretare il mondo che ci circonda. Fino a quando la sinistra italiana (non tutta, per fortuna) avrà l’arroganza di sbeffeggiare chi è al di fuori, non si andrà da nessuna parte.

    Durante la scorsa campagna congressuale del Partito Democratico, quella che ha incoronato Matteo Renzi segretario, Pippo Civati, il quale era definito “il più a sinistra di tutti”, come se fosse una colpa, aveva lanciato l’appello ad entrare nel PD a chi si riteneva di sinistra. La cosa assurda, il bersaglio mancato, è stato proprio il non aver accettato l’invito che Civati e molti altri indirizzarono a quella parte di sinistra che voleva impegnarsi, che voleva rendersi partecipe di un progetto collettivo, non più relegato ma con grandi potenzialità. L’invito non è stato accettato, infatti se pur l’elettorato di sinistra voti il Partito Democratico (le Europee lo hanno confermato), di militanti di quella sinistra “radicale” ce ne sono ancora pochi. Se fosse il contrario, sarebbe un tesoro per tutti.

    Mi auguro, quindi, che si avvii un progetto federalista, non tra partitini della sinistra radicale, ma tra la sinistra e il centrosinistra, cioè tra la Lista Tsipras e il Partito Democratico. Me lo auguro davvero, perché sarebbe una svolta nella politica italiana. A mio avviso, una svolta positiva. Per tutti.


  • Grillo ti amo e ti spiego perché

    Grillo ti amo e ti spiego perché

    Devo esservi sincero, mi aspettavo che il PD vincesse queste elezioni europee, ma non con il 40%. Credo che questo abbia interessato moltissimi italiani, non solo addetti ai lavori.

    Ho provato a spiegarmi quali possano essere state le ragioni di questo boom di consensi.

    Il Governo e Renzi. Inevitabilmente, ciò che il Governo sta facendo in queste ultime settimana ha dato prova di se, attraverso un consenso che non si ferma solo agli 80€ in più in busta paga (come hanno voluto far credere i 5 Stelle e qualche berlusconiano attaccato alla dentiera) che, per altro, non hanno toccato tutte le famiglie italiane, ma che, nella totalità, hanno diffuso tra i cittadini quel senso di una politica che inizia a muoversi, contrapposta ad anni di immobilismo e di tecnicismi altisonanti e poco percettibili. Berlusconi dice che il Governo Renzi è un governo “troppo di sinistra” e quelli di sinistra dicono che il Governo Renzi è “troppo di destra”. Nel frattempo che si decidano a dare un indirizzo politico all’operato dell’Esecutivo, quando la politica si muove da i suoi frutti. E si vede.

    La campagna elettoraleI ragazzi di Proforma sono dei grandi esperti di comunicazione, lo hanno dimostrato sul campo in ogni occasione. Ciò che però ha caratterizzato questa campagna elettorale è stata la modalità con cui il PD ha interagito con gli elettori. Il ritorno alla Piazza è stato importante e le parole usate nei comizi e per le strade ha centrato l’interesse generale. Unica nota dolente, a mio avviso, la gara sterile a chi ce l’aveva più grosso (il pubblico) tra Grillo e Renzi. Da oggi sappiamo che ciò che Nenni disse, molti anni fa, è ancora attuale e che a piazze piene possono corrispondere urne vuote. Se lo ricordino quelli del Movimento 5 Stelle (Grillo e Casaleggio in primis).

    La forza dei militantiSbagliano coloro che credono in un PD trainato da una sola figura e che questo risultato sia essenzialmente “personale”. Io vorrei invece ringraziare tutti i militanti che si sono spesi, come sempre, sui territori, casa per casa, azienda per azienda, strada per strada alla ricerca del consenso, spiegando attentamente quelli che erano e saranno i nostri progetti per l’Europa. I militanti sono la vera forza del Partito Democratico, sono coloro che danno un volto al partito sui territori e sono anche coloro che, spesse volte, per colpe attribuibili a qualche stratega di Roma, si prendono schiaffoni dai cittadini, con la consapevolezza che il loro compito è anche quello, oltre che spiegare gli eventi e raccogliere informazioni dagli elettori.

    Ma ora arrivo al dunque.

    GrilloTralasciando quel mitomane di Casaleggio, il quale immagina di essere in Guerre Stellari, il coautore di questo importantissimo risultato del PD è proprio lui.
    Crederete sia pura retorica la mia ma, per le mie conoscenze base nella comunicazione politica, Grillo ha sbagliato tutto ed è stato un errore che non ha dato i suoi frutti immediatamente, ma ha richiesto la concreta realizzazione del vuoto politico in Parlamento, dove il M5S più che forza politica sembrava forza “animatrice” dei dibattiti, con cartelli, magliette e bende.
    Ecco perché (ironicamente) amo Grillo. È riuscito a risvegliare nella gente quel senso di allerta a favore della Democrazia, delle Istituzioni; quel ricordo dolente degli anni difficili, in cui la violenza di piazza dilagava, dove il “circondare il Quirinale” significa assaltare il Paese, dove sventrare cani e urlare in piazza ha voluto significare tutto e niente.
    Caro Beppe, grazie per averci aiutato in questa campagna elettorale. Visti i risultati, faresti bene a lasciare il Movimento, per il bene dello stesso, per il bene delle persone (ne conosco molte) che credono in quel progetto e che si sono trovate prigioniere di un modo di far propaganda becero, antidemocratico, senza nessun principio di dignità e umiltà.
    Vedere persone con delle ottime qualità personali parlare usando i nomignoli che Grillo ha assegnato a tutti i suoi avversari (vedi Renzie, ad esempio), credere ai complotti mediatici, dire che chi fa parte dei partiti politici sono tutti uguali, è stato il dolore più grande che ho provato in questa campagna elettorale.
    Grazie ancora Beppe, senza di te, l’Italia non avrebbe riscoperto il valore della libertà, della democrazia e del rispetto verso le Istituzioni.


    Ps: vedo sui social network e su qualche sito di informazione titoli “I renziani serrano i ranghi. Molti convertiti alla ricerca di un nuovo posizionamento”.
    Sarò schietto: io renziano non lo sono mai stato e non ho alcuna intenzione di esserlo oggi. Riconosco il valore della democrazia e delle primarie, le quali mi hanno consegnato un nuovo segretario che rispetto per il ruolo che ha assunto e, responsabilmente, supporto, con lavoro di squadra, non per il bene di Renzi, ma per il bene del Partito Democratico e del Paese. Amo quell’idea di politica che ha un nome. Il suo nome è Partito Democratico. Sono un democratico, in tutto e per tutto. Il nome del blog ne da conferma.


  • SCHIFO! SCHIFO! SCHIFO!

    SCHIFO! SCHIFO! SCHIFO!

    A.D. 2014, in Italia si prospetta una catastrofe culturale. Lo sento sulla mia pelle, lo sento ogni volta che mi guardo intorno.

    Che vergogna mi fa questa società, che vergogna mi fa, vedere certe persone prendersela con chi non ha mai fatto nulla di male, con chi tenta di porre un rimedio ai danni che si sono susseguiti nel corso del tempo.

    Che schifo. Non ho altro da aggiungere. Che schifo.

    La disperazione di cittadini è tanta, molte delle cose che si rivendicano sono giuste, sono esattamente il frutto di anni di assenza della politica, ma mi chiedo dove si voglia arrivare. Crediamo davvero che possa essere un simbolo a certificare l’onestà di una persona? Crediamo davvero che si possa dar seguito ad un modo di intendere il confronto come una contrapposizione senza se e senza ma, rappresentato da quel “o noi o loro“? Noi chi? Loro chi? Se io e la mia generazione che fa politica all’interno di un partito, siamo parte dei “loro”, vuol dire che questo Paese sta cadendo nell’oblio più totale.

    Come vi permettete? Chi siete voi per giudicare cosa io sia, cosa la mia generazione rappresenta? Mi rivolgo alle generazioni passate, perché questo Paese è stato frutto delle loro scelte. Aristotele diceva che ogni popolo ha il governo che si merita ed è stato sempre così. Badate bene, quando si fa riferimento al governo, si intende la classe dirigente, una classe politica incapace di assumersi le proprie responsabilità che ha avuto la possibilità di sedere in posizioni di potere solo perché l’Italia, rappresentata dai suoi elettori, ha permesso ciò. Sottolineo questo, poiché qualche costituzionalista dell’ultim’ora voleva (e vuole tuttora) farci credere che il governo è eletto direttamente dai cittadini (non siamo una repubblica presidenziale o semi-presidenziale).

    Se, nei decenni passati, avessimo avuto l’accortezza di ragionare prima di dare un voto, probabilmente oggi saremmo un Paese all’altezza dell’Europa, della Germania, dell’Olanda, della Svezia. La corruzione non solo economica ma anche culturale italiana è sempre stata il cemento con cui si è costruito di tutto. Oggi venite a farci la morale? I veri responsabili sono coloro che per decenni hanno permesso a determinati personaggi di sperperare denaro, dignità e credibilità del nostro Paese ed oggi siamo tutti infuriati, come se fossimo un popolo innocente trapiantato in un mondo di corrotti.

    Perciò non permettetevi mai più di puntare il dito contro una generazione che non solo vuole assumersi le proprie responsabilità davanti al futuro, ma ha la forza di addossarsi tutti gli errori che le generazioni passate hanno commesso. Lo faremo senza chiedere il permesso a nessuno. Lo faremo guardando in faccia la gente, con la consapevolezza che quando troveremo qualcuno che ci definirà dei corrotti, puttanieri e delinquenti, senza averci mai sentito parlare, senza conoscere i nostri percorsi personali e collettivi, noi non volteremo le spalle dall’altra parte, ma ci impegneremo a stravolgere un modo di vedere le cose sbagliato, senza futuro, che cade sempre nell’errore del “sono tutti uguali“.

    Saremo la generazione che risolleverà questo Paese se e solo se saremo capaci di non assorbire come delle spugne la melma culturale che ci circonda, se e solo se saremo capaci di costruire una nuova cultura del rispetto, della dignità, del particolare e non del generico, delle emozioni senza perdere, però, la razionalità.

    Possiamo combattere questa decrescita culturale non con la rabbia e le urla, ma con tutta la passione che possiamo esprimere e mettere in pratica.

    Un’ultima cosa: andate sempre a votare. Chi non sceglie lascia il potere alla folla e la folla sceglie sempre Barabba. (cit.)

    Buon voto per domani! E ricordate che si vota solo domani, dalle 07.00 alle 23.00!