In bici. Magari con una di quelle che il Comune mette a disposizione dei cittadini, attraverso il bike sharing. Peccato che qualcuno continui a dimostrarsi un cancro per la Città.
Antonio Decaro non è una persona che si arrende facilmente e, per questo, non ho motivo di dubitare che le bici targate “Città di Bari” torneranno presto a girare per le vie del capoluogo e magari trovarne a decine presso le diverse stazioni. Chi, però, deve cambiare sono i cittadini. Quella cerchia ristretta di cittadini che crede di poter avere sempre la meglio su tutto e su tutti.
Quello che racconta Repubblica non è una situazione scandalosa, neanche ridicola. È triste. Punto e basta.
È triste non poter sviluppare un progetto così ambizioso, solo perché a qualcuno prudono le mani.
Ma chi si arrende è un perdente e la bella Bari non molla.
Ringrazio il mio amico Dario Mancino – che ho avuto il piacere di conoscere durante il mio anno di Presidente del Parlamento regionale dei Giovani pugliesi – per avermi nominato nel suo #IceBucketChallenge.
Tuttavia, non parteciperò con la consueta secchiata d’acqua gelata, per diverse ragioni. Sono triste? Pazienza.
Conosco personalmente dei malati di SLA e credo che questa malattia porti via tutte le energie dell’intera famiglia del malato e credo che una secchiata non basti e soprattutto non serve millantare donazioni, fare video in cui criticare chi si butta un secchio d’acqua in testa, sventolando un assegno. Non esistono cavalieri in questo campo, non esistono scusanti. Non esiste un modo giusto e un modo sbagliato di interessarsi ad un problema. Se questa catena porterà dei suoi frutti, ben venga una rua replica, ma ognuno partecipa come meglio crede.
Quando sento parlare di SLA, di tumori, leucemie, sento un groppo in gola, perché ho perso persone a me molto care a causa di un tumore, ma il groppo in gola si fa sempre più persistente quando vedo il mio Paese che pullula di showman con un secchio in testa, ma senza un briciolo di programmazione sulla ricerca, di investimento di nuove risorse nel campo scientifico. L’Italia è un paese che investe pochissimo nella ricerca e nell’istruzione. Quando sentiamo parlare di scuola e università, pensiamo sempre e solo al lavoro dei docenti, agli stipendi, senza mai accorgerci che la barca affonda e che, senza ricerca, l’istruzione finirà in un vicolo cieco.
Ecco l’ Ice Bucket Challenge fatto a modo mio. Non dirò quando e quanto donerò, perché non devo farmi bello davanti a nessuno.
Io nomino tutti i ricercatori italiani che sono all’estero e che mi piacerebbe vedere tornare in Italia.
Negli ultimi due mesi, mi sono affezionato ad una serie tv americana, ormai non più in produzione. Parlo di “The West Wing“.
Nella sesta stagione, va in scena la campagna elettorale per le primarie per i candidati alla presidenza, sia per i repubblicani, che per i democratici. Vi starete chiedendo cosa ci sia di così tanto clamoroso in tutto questo. Bene, niente. Proprio niente, perché negli Stati Uniti le primarie sono un passaggio fondamentale per i partiti, perché sono lo strumento principale per misurarsi e confrontarsi con la propria base. Un dono immenso.
Ieri, Matteo Richettiha annunciato la sua candidatura a Presidente dell’Emilia-Romagna, sbaragliando ogni possibile accordo che avrebbe avuto come risultato una possibile candidatura unica. Richetti dice una cosa sacrosanta: i candidati li scelgono i cittadini e non le segreterie di partito (per inciso, la stessa logica varrebbe per i parlamentari).
Da non-renziano, io sono completamente d’accordo con lui. Sono a favore di primarie sempre e comunque, dove i candidati si possano fronteggiare a viso aperto, senza l’ombra dei burattinai romani, senza doppi giochi, senza nessun tipo di pressione e nessun braccio sulla spalla di qualcuno.
Non ho mai sopportato l’idea di veder catalogate le persone come “renziani”, “dalemiani”, “bersaniani”, “civatiani”, ecc., ma la cosa mi fa imbestialire quando a farne le spese è il dibattito interno, quando non c’è un briciolo di spessore politico nell’idea che abbiamo del Partito Democratico e del Paese.
Basta pressioni dall’alto, i leader nazionali di ogni corrente, a partire da Matteo Renzi, lascino che le primarie siano uno scontro alla pari tra tutti i candidati, senza apporre il marchio di quella o questa corrente. Facile vincere se si è sul carro del più forte, magari quando non hai le capacità personali per potertela giocare fino in fondo, costruendo una campagna elettorale basata sui contenuti, su un’idea di governo del territorio.
Ma diciamocela tutta: il carro cammina e presto comincerà a fermarsi, per presentare il candidato “spumeggiante” a questo o quel ruolo, facendo cadere la maschera dell’ipocrisia che ci ha accompagnato per molto tempo, permettendoci di vedere quello che ha combinato la guerra di posizionamento all’interno del PD, dalle ultime primarie fino ad oggi.
Ma in tutto questo, un episodio di The West Wing mi ha fatto riflettere: l’importanza del non inquinare il voto, l’importanza dell’imparzialità del Presidente degli Stati Uniti (capo del Partito Democratico americano) dinanzi alla competizione elettorale. Un’imparzialità morbosa, a volte, ma importante, per il bene della democrazia, per il bene del nostro partito e per il bene dei territori che vogliamo, dobbiamo governare.
Viva le Primarie!
Ps. sulle primarie pugliesi tornerò a parlarne su questo blog, a breve.
1945/1946 • da sinistra NENNI, RUINI, VERNOCCHI, DE GASPERI e TOGLIATTI
19 agosto 1954, muore Alcide De Gasperi. 21 agosto 1964, muore Palmiro Togliatti. Due grandi personaggi della storia politica del nostro Paese. Nella ricorrenza del 60° anniversario dalla morte dell’uno, e del 50° dell’altro, si scatena un dibattito pietoso, scatenato dalle dichiarazioni dell’amiconeGiuseppe Fioroni, il quale, in barba ad ogni tipo di rispetto nei confronti della cultura politica della sinistra italiana, del Partito Democratico e del nostro Paese, ha proposto di dedicare la Festa dell’Unità nazionale proprio ad Alcide De Gasperi. Poiché è palese a tutti la simpatia che provo nei confronti di Fioroni, evito di mandarlo a quel paese, per l’ennesima volta, da questo blog.
Tuttavia, proprio per lo spirito nuovo che deve coinvolgere la politica italiana, e il Partito Democratico soprattutto, ho scelto questa lettera di Togliatti, indirizzata proprio a De Gasperi, sulla “nobiltà della politica”. Ho inserito un piccolo cappello introduttivo, per localizzare temporalmente la lettera, nel suo contesto storico di riferimento.
Durante la campagna elettorale per le amministrative del 7 aprile 1946, Togliatti, prendendo spunto da un discorso di De Gasperi, negava che esistesse un «problema religioso» nei rapporti fra i partiti di massa e nella società italiana, appellandosi a un’adeguata considerazione delle posizioni ufficiali del Pci, ribadite di recente nel suo V Congresso. Chiedeva quindi a De Gasperi il mantenimento di un reciproco rapporto di rispetto, che facesse da argine allo scatenamento delle passioni elettorali. De Gasperi, nella sua risposta, riconosceva i passi avanti compiuti dai vertici del Pci sulle questioni religiose, ma non li riteneva sufficienti »per ottenere che i credenti, per quanto riguarda soprattutto i problemi fondamentali dello spirito, della famiglia e della scuola, che dovranno essere risolti nella Costituzione, si affidino tranquillamente a loro». Lanciava quindi la sfida della Costituente, che sarebbe stata il banco di prova su cui gli italiani avrebbero potuto giudicare se determinate aperture dei comunisti erano frutto di una »tattica esteriore per conquistare un Paese cattolico o mutamento interiore di propositi e di convinzioni». Inoltre affermava che non si potesse comunque pensare che di colpo fossero sparite le differenze tra cristiani e marxisti, e dunque citare in campagna elettorale questioni legate alla dimensione religiosa appariva pienamente legittimo.
On. Alcide De Gasperi Presidente del Consiglio dei Ministri Roma
Caro De Gasperi,
leggo sul «Popolo» che parlando a Viterbo ieri sera avresti detto che «di fronte al problema religioso i comunisti hanno promesso la tolleranza, cioè la non punizione di chi manifesta e professa idee religiose» e proseguito affermando che questo è «troppo poco».
Sono d’accordo con te che sarebbe «troppo poco», e per questo è bene metter le cose a posto. Naturalmente tengo il dovuto conto della difficoltà in cui tutti ci troviamo di veder pubblicati rendiconti esatti dei discorsi che pronunciamo; non posso credere, infatti, che siano da te ignorate le posizioni del mio Partito a proposito di quello che tu chiamo il «problema religioso».
Nella risoluzione del nostro V Congresso, che contiene l’essenziale del nostro programma per la Costituente, è detto che noi rivendiamo libertà di coscienza, di stampa, di culto, di associazione e propaganda politica, sindacale e religiosa.
Nel mio discorso allo stesso V Congresso è stato detto inoltre che noi accettiamo l’attuale regime concordatario né credo ti risulti, in tutta la mia attività di governo, un atto qualsivoglia in contrasto con questa dichiarazione. Da parte mia, non mi risulta di aver avuto con te il minimo contrasto a proposito di una questione che riguardasse anche lontanamente la religione.
Qualora la tua affermazione si riferisse al mio partito, per quanto, trattandosi di associazione privata, non sarebbe qui applicabile la nozione di «punizione», nel nostro Statuto è detto semplicemente che possono entrare nel partito i cittadini italiani di ambo i sessi che abbiano raggiunto una determinata età, indipendentemente dalla razza, dalla convinzione religiosa e dalle convinzioni filosofiche. Nulla a che vedere, quindi, nemmeno per questo aspetto, con ciò che tu avresti detto.
Mi scuserai il fastidio di queste citazioni e di questi richiami; e ti dico subito perché ho voluto infliggertelo.
So che nella lotta elettorale certe esagerazioni sono quasi inevitabili, e non mi impressiona per nulla il fatto che agitatori inesperti e di scarsa buona fede, credendo di ledere la mia troppo solida reputazione di buon italiano, accusino alle volte [te] di tollerare nel Ministero che tu presiedi un Guardasigilli di nazionalità [non] italiana. Credo però che almeno i dirigenti dei grandi partiti nazionali contribuiranno alla chiarezza e lealtà della vita politica e renderanno quindi un grande servizio al paese se, nel discutere tra di loro davanti al popolo, esamineranno, discuteranno, confuteranno le posizioni dei loro avversari riproducendole esattamente, senza contraffazione alcuna. Il mio Partito, che è fiero di aver aperto con la sua iniziativa, per il bene di tutto il paese, l’attuale periodo di collaborazione governativa tra i partiti diversi, si sforza di attenersi sempre a questa regola. Io poi ritengo che se tutti si attenessero ad essa la lotta politica comincerebbe realmente a svolgersi su un piano elevato, del che tutti trarrebbero vantaggio. Ma tu già hai capito che io sono un impenitente idealista, e quindi troppo spesso inascoltato. Spero almeno di riuscire a qualcosa questa volta.
f.to Palmiro Togliatti Roma, 8 aprile 1946
[Tratto da "La guerra di posizione in Italia - Epistolario 1944-1964" di Palmiro Togliatti. A cura di Gianluca Fiocco e Maria Luisa Righi, con la collaborazione della Fondazione Istituto Gramsci. Pubblicato da Einaudi. 1ª edizione - 2014]
È ovvio che l’ottimismo c’è, ma mi chiedo se, dopo tutto quello che abbiamo passato, si possa ancora andare avanti a suon di slogan.
Dice bene Roberto Napoletano, su Il Sole 24 Ore: bisogna che si facciano le riforme, quelle economiche, quelle urgenti. La riforma costituzionale poteva essere un ottimo “punto 2” sull’agenda del Governo (e di conseguenza del Parlamento), come dico da un po’ di giorni.
Job Act e Justice Act (per mantenere lo stile di Renzi), sono due piani importanti che andrebbero sviluppati subito, visto che siamo già in ritardo.
Come afferma Napoletano (e non solo), senza un piano del lavoro e una riforma della giustizia civile e amministrativa, poco possiamo fare per far riprendere il PIL del nostro Paese.
Gli investimenti non si faranno vivi se prima non diamo un chiaro e forte schiaffone alla burocrazia, alla lentezza dei processi (per non parlare di tutte le scartoffie che generano) e a tutto ciò che negativamente ha reso l’Italia diversa da altri Paesi europei. Ricordo a tutti che la corruzione in Italia esiste, più di quel che si possa pensare.
Dobbiamo decidere che tipo di Italia dobbiamo essere. Un’Italia meno italiana e più europea (nello stile), oppure un’Italia più italiana, stile anni ’70.
Perció, l’ottimismo non è una cosa negativa, anzi, ma dobbiamo ricordarci che, per camminare, i piedi devono essere piantati per terra.
Lello Ciampolillo, Senatore pugliese del Movimento 5 Stelle, come un cane da tartufo, ha scovato una magagna ad opera di un senatore di Forza Italia, il quale assente (probabilmente bloccato in bagno, dovrei supporre con ottimismo) aveva dato facoltà di voto ad una pallina di carta, messa a contrasto nella fessura del banco – che ospita i tre pulsanti di voto – in modo da poter risultare non solo presente (con tessera inserita) ma votante, un pianista di ultima generazione, per intenderci.
Se guardate bene il video, dall’alto del suo scranno, assiste con divertimento Scilipoti, il senatore più responsabile degli ultimi 150 anni.
In tutto questo, il Sen. Ciampolillo ha egregiamente bloccato un abuso da voltastomaco. Speriamo non si ripeta, soprattutto con le riforme attualmente al vaglio del Senato.
Ancora una volta, il nostro Paese si è infilato in un tunnel, dopo aver guardato il cielo e sperato di poter toccare la Luna.
Il nostro Prodotto Interno Lordo, secondo l’ISTAT, ha il segno meno, – 0,2%. Tradotto in denaro, 3 miliardi di euro mancano all’appello.
Il PIL, in questo momento, ha svolto un ruolo fondamentale, negativo sotto diversi aspetti, positivo in altri, a mio avviso. All’Italia, negli ultimi due giorni, è come se qualcuno le abbia tirato un pizzicotto e ricordato di non essere in un mondo virtuale, dove priorità e problemi sono ben altri rispetto a quelli che hanno accerchiato i governi precedenti.
Riforma costituzionale? Sì, d’accordo, ma proprio ora? Come lessi da qualche parte, credo che Renzi stia cercando di lasciare il segno del suo passaggio, costi quel che costi. Vuole far vedere che lui qualcosa l’abbia fatta, non importa se era prioritaria o meno, ma qualcosa che faccia ricordare agli italiani che Matteo Renzi sia passato di qui. Un po’ come quel ragazzo che nei bagni della stazione, penna alla mano, scrive sul muro “Big G è stato qui“, rovinando il muro. Una cosa del genere.
Sarò ripetitivo, ma credo che la riforma costituzionale sia importante, non sono, invece, dell’idea che debba essere al primo posto nell’agenda del Governo e, soprattutto, del Parlamento. Importanti riforme strutturali andrebbero poste in cima alla Top 10 delle riforme. Il Job Act, per esempio, o le tasse. Ci siamo bloccati sugli 80 euro in entrata per qualche famiglia, ma non ci siamo impegnati più di tanto sulle uscite per tutte le famiglie. Ecco, probabilmente quanto abbia detto poc’anzi sia stato già inserito dal Governo nella sua agenda, ma non so fino a che punto convenga, a tutti, tenere in ostaggio il Senato a discutere di emendamenti su emendamenti alla riforma del Senato e del Titolo V. Non credo sia una priorità, anche perché come ho cercato di spiegare, non è che mi convinca molto questo Senato di nominati.
Se determinati temi siano stati presi sottogamba da parte di qualcuno, non lo so, ma se la situazione italiana è come l’estate 2014, stando alle parole di Renzi, credo ci sia poco da sorridere.
Io ad agosto mi sono raffreddato. Mai successo prima.