Categoria: Politica


  • C’era una volta l’affluenza

    emilia-pd

    Nella Regione simbolo della Resistenza, della presenza storica della sinistra nel nostro Paese, lì dove nacque l’Università più antica d’Europa, laboratorio della cultura europea, lì dove il Partito Democratico ha voluto organizzare la Festa nazionale dell’Unità, lì, in Emilia-Romagna, dove gli iscritti al PD sono più di 70.000, le Primarie – aperte a tutti, iscritti e non iscritti – hanno registrato la partecipazione di 58.119 votanti, a fronte dei 155.000 delle parlamentarie del dicembre 2012 o dei 350.000 delle primarie tra Bersani e Renzi (sempre 2012) e quelle dell’8 dicembre scorso.

    Dovendo leggere i dati, a caldo direi che o c’è stata un’epidemia di virus intestinale, oppure i cittadini dell’Emilia-Romagna hanno pensato a quattro ipotetiche motivazioni per non andare a votare:

    1) Scontato vinca Bonaccini: non ha senso andare a votare e “pagare” per un risultato già scritto in partenza, contro l’ex-sindaco di Forlì, Roberto Balzani;

    2) Bonaccini prima era con Bersani e adesso sta con Renzi: può aver giocato il fattore “credibilità politica” del Segretario regionale, dopo il balzo da Piacenza a Firenze;

    3) O Richetti o morte: il ritiro della candidatura di Matteo Richetti – giustificata dalla presenza di indagini sulla sua persona, quando in realtà alcune sue dichiarazioni avevano lasciato trapelare forti pressioni da Roma – possono aver disperso l’attenzione sulla competizione, facendo sedere comodamente sul divano gli emiliani e i romagnoli per tutta la giornata di ieri.

    4) Il PD non mi stuzzica: tutto questo trambusto sull’art.18, tutti i complimenti di Brunetta e Berlusconi sull’operato del Governo (soprattutto nell’ultimo periodo) possono aver spostato l’immagine (e l’asse) del PD più a destra, allontanandosi dai sentimenti del “popolo delle primarie”, scoraggiandolo ad andare a votare, o incattivendolo, costringendolo a non votare pur di dare un segnale forte al partito.

    Quattro ipotesi a cui se ne aggiungeranno altre e probabilmente sarà così e nessuna di queste è quella giusta, fatto sta che da quel dato dobbiamo ripartire, comprendere cosa abbia potuto portare a questo flop e risolverlo, prima che sia troppo tardi.


  • “Amm scassat!”

    de magistris presepe napoletano

    Così diceva De Magistris, appena eletto sindaco di Napoli (dopo l’esperienza al Parlamento Europeo, nelle liste dell’IdV, sostenuto in campagna elettorale da Beppe Grillo e dal suo blog) e la notizia, di qualche giorno fa, della condanna  dell’ex magistrato per abuso d’ufficio durante il processo Why Not, che istruiva, ormai non mi stupisce affatto.
    Ma la cosa che mi stupisce è il grande balzo (in avanti? No, indietro) di De Magistris, sul rispetto verso le Istituzioni, verso la Magistratura.

    La Legge Severino parla chiaro: sei stato condannato e ricopri un incarico pubblico elettivo? Ti devi dimettere (o sospendere).
    Questa regola l’hanno vissuta moltissimi eletti, in tutta Italia, tra cui spicca il più illustre, Silvio Berlusconi, decaduto dal Senato dopo la condanna per frode, nel 2013.

    Perciò, De Magistris dimettiti. Fai una bella (ultima) figura, visto che Napoli non è stata amministrata affatto bene e l’unica cosa di cui dovresti preoccuparti, oggi, è di preservare un briciolo della tua dignità. Anche perché, come spiega il Presidente Pietro Grasso:

    «De Magistris valuterà al meglio la situazione. Sa benissimo che se non lo dovesse fare ci sarebbe comunque un provvedimento da parte del prefetto non appena si renderà esecutiva oppure si depositerà la motivazione»

    O anche Marco Travaglio, nel suo editoriale sul Fatto Quotidiano, che pur riconoscendo l’innocenza di De Magistris dice:

    «Dopo la condanna in primo grado per abuso d’ufficio a 1 anno e 3 mesi, Luigi De Magistris deve lasciare la carica di sindaco di Napoli. Perché è giusto così e perché la legge Severino stabilisce la sospensione senza possibilità di scappatoie (che sarebbe anche poco decoroso imboccare, magari in attesa che il prefetto lo iberni fino all’eventuale assoluzione d’appello). Sono decine i consiglieri regionali, provinciali e comunali sospesi o rimossi per una condanna in primo grado o per una misura cautelare. E la legge è uguale per tutti, come De Magistris ben sa, avendo fatto della Costituzione il faro della sua vita professionale, prima da pm e poi da sindaco»


  • L’avete ascoltato?

    Il discorso di Emma Watson all’ONU? Se non l’avete fatto, questa è la volta buona. Un discorso importante che dovrebbe farci riflettere, soprattutto coloro che si trovano agli estremi del sessismo, sia maschile che femminile.
    Essere maschilisti e femministe non fa la differenza. Chi crede che sbattendo i pugni sul tavolo e giudicando l’altro sesso come inferiore, pieno di errori e millantando una propria superiorità sia giusto, si sbaglia. Non ci sono altri termini per definire questo scempio umano, un’ulteriore scusa per dividerci.

    Oggi stiamo lanciando la campagna “HeForShe” [LuiPerLei].

    E sono qui a parlare con voi perché ho bisogno del vostro aiuto. Vogliamo far finire l’era della disparità di genere, e per farlo abbiamo bisogno che tutti siano coinvolti.

    Questa è la prima campagna di questo genere delle Nazioni Unite: vogliamo provare a convincere il maggior numero possibile di ragazzi e uomini a diventare sostenitori della parità di genere. E non vogliamo semplicemente parlarne, vogliamo essere sicuri di fare qualcosa di tangibile.

    Sono stata nominata [ambasciatrice] sei mesi fa e più ho parlato di femminismo, più ho capito che lottare per i diritti delle donne è troppo spesso diventato sinonimo di “odiare gli uomini”. Se c’è una cosa di cui sono sicura è che questa cosa deve finire.

    Per la cronaca, la definizione di femminismo è: «il credere che uomini e donne debbano avere uguali diritti e opportunità. È la teoria della parità dei sessi in politica, economia e nella società”.

    Ho iniziato a essere confusa dai preconcetti di genere quando avevo otto anni e venivo chiamata “prepotente” perché volevo dirigere la recita che stavamo preparando per i genitori, mentre ai maschi non veniva detto altrettanto.

    Quando a 14 anni ho iniziato a essere sessualizzata da alcune parti della stampa.

    Quando a 15 anni alcune delle mie amiche hanno iniziato a uscire dalle squadre sportive in cui erano per paura di apparire troppo muscolose.

    Quando a 18 anni i miei amici maschi erano incapaci di esprimere i loro sentimenti.

    Ho deciso che ero una femminista e la cosa non mi è sembrata complicata. Ma le mie recenti ricerche mi hanno fatto scoprire che femminismo è diventata una parola impopolare.

    A quanto pare, sono una di quelle donne i cui modi di fare sono visti come troppo forti, troppo aggressivi, isolanti, respingenti per gli uomini e non attraenti. Perché questa parola è così scomoda?

    Vengo dall’Inghilterra e penso che sia giusto che io, come donna, sia pagata lo stesso di quanto sono pagati i miei colleghi uomini. Penso che sia giusto che io possa prendere delle decisioni riguardo al mio corpo. Penso sia giusto che ci siano donne coinvolte per mio conto nel processo politico e decisionale del mio Paese. Penso che sia giusto che mi sia dato lo stesso rispetto che è riservato agli uomini. Ma purtroppo posso dire che non c’è un singolo Paese in tutto il mondo dove le donne possono aspettarsi di ricevere questi diritti. Nessun Paese del mondo può dire di aver raggiunto la parità di genere.

    Considero questi diritti, dei diritti dell’umanità ma io sono una delle fortunate. La mia vita è da privilegiata, perché i miei genitori non mi hanno voluto meno bene perché sono nata femmina. La mia scuola non mi ha limitata perché ero una ragazza. I miei mentori non hanno pensato che sarei andata meno lontano perché un giorno potrei avere un figlio. Queste persone erano gli ambasciatori della parità di genere che mi hanno resa ciò che sono oggi. Forse non lo sanno, ma sono dei femministi inconsci. E abbiamo bisogno di più persone come loro. E se ancora odiate la parola, sappiate che non è la parola ad essere importante ma l’idea che ci sta dietro. Perché non tutte le donne hanno avuto gli stessi diritti che ho avuto io. Anzi, statisticamente ben poche li hanno avuti.

    Nel 1997, Hillary Clinton ha tenuto un famoso discorso a Pechino sui diritti delle donne. Purtroppo, molte delle cose che voleva cambiare sono ancora oggi una realtà. Ma quello che mi ha colpito di più è che solo il 30% di chi la stava ascoltando quel giorno era maschio. Come possiamo cambiare il mondo quando soltanto metà di esso è invitato o si sente a suo agio a partecipare alla conversazione?

    Uomini, vorrei sfruttare questa opportunità per farvi un invito formale. La parità di genere è anche un vostro problema.

    Perché a oggi, ho visto il ruolo di genitore di mio padre essere svalutato società, nonostante io avessi bisogno della sua presenza tanto quanto quella di mia madre. Ho visto giovani uomini soffrire di malattie mentali incapaci di chiedere aiuto per paura che la cosa li facesse sembrare meno maschi — in Inghilterra, il suicidio è la più grande causa di mortalità per gli uomini tra i 20 e i 49 anni, superando gli incidenti stradali, il cancro e l’infarto. Ho visto uomini resi fragili e insicuri da un’idea distorta di quello che significa successo per un maschio. Nemmeno gli uomini hanno la parità di genere.

    Non parliamo spesso di uomini imprigionati dagli stereotipi di genere ma io vedo che lo sono, e che quando ne sono liberi, le cose cambiano di conseguenza anche per le donne.

    Se gli uomini non devono essere aggressivi per essere accettati, le donne non si sentiranno spinte a essere arrendevoli. Se gli uomini non devono avere il controllo, le donne non saranno controllate.

    Sia gli uomini sia le donne dovrebbero sentirsi liberi di essere sensibili. Sia gli uomini sia le donne dovrebbero sentirsi liberi di essere forti… è ora che iniziamo a pensare al genere come uno spettro, non come due insiemi opposti di ideali.

    Se smettiamo di definirci l’un l’altro con quello che non siamo, possiamo iniziare a definirci con quello che siamo — possiamo tutti essere più liberi, ed è a questo che è dedicata la campagna HeForShe. Alla libertà.

    Voglio che gli uomini si prendano questo compito. Perché le loro figlie, le loro sorelle e le loro madri siano libere dal pregiudizio, ma anche perché ai loro figli sia permesso di essere vulnerabili e umani — recuperando quelle parti di loro che hanno abbandonato e diventando così delle versioni più complete e vere di loro stessi.

    Potreste pensare, chi è questa ragazza da Harry Potter? E cosa sta facendo sul palco delle Nazioni Unite? È una buona domanda e, credetemi, me la sono posta anche io. Non so se sono qualificata per essere qui. L’unica cosa che mi importa è il problema. E voglio migliorare la situazione. E avendo visto quello che ho visto — e avendo ottenuto questa opportunità — sento che è mio dovere dire qualcosa. Il politico inglese Edmund Burke ha detto: «perché il male trionfi è sufficiente che gli uomini e le donne buoni rinuncino all’azione».

    Nei momenti di nervosismo e di dubbio per questo discorso mi sono detta fermamente: se non io, chi? Se non ora, quando? Se avete dubbi simili, quando l’opportunità si presenta, spero che queste parole possano esservi d’aiuto.

    Perché la realtà è che se non facciamo nulla, ci vorranno 75 anni, o per me di compierne 100, prima che una donna possa aspettarsi di essere pagata quanto un uomo. Nei prossimi 16 anni, ci saranno 15,5 milioni di spose bambine. E al ritmo attuale, ci vorrà fino al 2086 prima che le ragazze dell’Africa rurale possano avere accesso all’educazione secondaria.

    Se credete nella parità, potreste essere uno dei femministi inconsapevoli di cui parlavo prima. E per questo mi complimento.

    Stiamo faticando per trovare una parola che ci unisca, ma la buona notizia è che abbiamo un movimento che ci unisce. Si chiama “HeForShe”. Vi invito a fare un passo avanti, a farvi vedere, ad alzare la voce, a essere lui per lei. E a chiedervi: se non io, chi? Se non ora, quando?

    Grazie.


  • A Corte

    Siamo sicuri che la Corte costituzionale debba essere composta prevalentemente da anziani professori, avvocati e magistrati?

    L’esperienza è tutto, ce lo siamo detti tante volte, ma la Corte costituzionale ha anche un ruolo fondamentale per le nostre vite, per lo sviluppo del nostro Paese. Perché non immaginiamo una Corte che tenda verso l’innovazione, verso interpretazioni in chiave moderna, che impostino il treno legislativo sui binari giusti, del progresso? Perché non dei giudici costituzionali relativamente giovani, competenti, brillanti? Magari qualche donna in più (attualmente ce n’è solo una).

    Donato Bruno (66 anni) e Luciano Violante (73 anni) hanno un lungo trascorso in politica, l’uno per molti anni Presidente della I Commissione Affari Costituzionali della Camera, l’altro Presidente della Camera e, anche lui, della I Commissione. Oltre alle rispettive professioni di avvocato e docente universitario.

    Sinceramente, entrambi hanno degli scheletri nell’armadio da nascondere e su Donato Bruno (peraltro, indagato ad Isernia) nocese di nascita e quando vuole lui, più che storcere il naso, io mi girerei di spalle.

    Aspettiamo la prossima fumata (nera?).


  • E quindi?

    Sin da subito dopo le primarie, ho pensato che essere fautore di una linea politica costantemente in contrasto con la maggioranza (che non avevo votato), non era al caso mio, soprattutto perché – e qui lo dico a tutti coloro che si chiedono come mai – dentro di me c’è un attaccamento forte al Partito Democratico, dovuto proprio al suo spirito, alla sua struttura, al suo dinamismo (mente chi dice il contrario), oltre ovviamente perché mi riconosco a pieno nella Carta dei valori.

    Detto ciò, non riesco a capire come si possa strutturare una polemica nei confronti del Presidente del Consiglio, basandosi sulla vicenda che ha coinvolto il padre di Renzi, Tiziano, il quale è stato inserito nel registro degli indagati per una presunta bancarotta fraudolenta. E quindi? A parte che è segno di buon senso, non strumentalizzare, verso i figli, le colpe dei padri e delle madri, ma credo che sia arrivato il momento di incominciare una discussione un pochino più consistente e piena di contenuti. C’è chi lo sta facendo, soprattutto sul lavoro, e va benissimo così. Ma attenzione a non inciampare, soprattutto a chi è esterno al PD e cerca ogni cosa per confutare tesi a sostegno del partito e scelte varie. Criticate il partito, fatelo perché solo così potrà crescere e migliorare, ma fatelo basandovi sui contenuti, su situazioni di circostanza, su un’attenta analisi politica che possa aprire discussioni interessanti.

    Amo la politica fatta con buon senso ed elaborazione politica. Mi piace l’idea delle riviste politiche – anche online – dove il dibattito e forte e dinamico. Ve ne consiglio due: Left Wing e EUtopia.

    Del resto, occupiamoci in un secondo momento.


  • Scriviamo il programma insieme perché siamo il PD. Ed è bello così

    Ieri i Giovani Democratici della Puglia, in risposta a Michele Emiliano (vedi tweet), hanno annunciato la loro massima disponibilità a partecipare alla stesura del programma elettorale del Partito Democratico, in vista delle prossime Elezioni regionali.

    Fin qui, niente di strano, se non fosse per le polemiche nate a seguito dell’annuncio. Polemiche che, devo dirvi la verità, mi hanno lasciato un po’ perplesso e adesso vi spiego perché.

    Essenzialmente l’accusa verte sul presunto tatticismo utilizzato dai GD per “tenersi buoni entrambi i candidati” e per ottenere “qualche posto”.

    Cosa c’è di strano nel vedere l’organizzazione giovanile del Partito Democratico che collabora, con i dirigenti e la base del PD, alla stesura del programma elettorale del partito a cui appartiene? Veramente non capisco!

    L’organizzazione giovanile non può schierarsi con nessun candidato, non lo fa per rispetto delle persone che la compongono, per lo spirito democratico che tutti noi custodiamo. Come può qualcuno imporre ad un altro chi votare?

    Abbiamo risposto all’appello di Emiliano perché vogliamo metterci al servizio del nostro partito, del nostro territorio. Nessun tornaconto, nessun doppio gioco, nessuna poltrona da preservare. Sui territori, lì dove abbiamo eletto giovani amministratori, l’abbiamo fatto senza chiedere il permesso a nessuno, l’abbiamo fatto con le nostre forze, con le nostre capacità.

    Durante lo scorso congresso nazionale, i Giovani Democratici, in quanto organizzazione, si sono dimostrati neutrali, pur avendo, al loro interno, sostenitori di Renzi, Cuperlo e Civati. Noi utilizziamo una teoria molto semplice: ognuno pensa con la propria testa, si lavora insieme per il partito e la Puglia, ma scelte che riguardano il voto personale e l’individuazione della linea politica generale, non implicano “voti militari”, come è, purtroppo, solito fare in politica. Noi non siamo convinti di quel modo di operare.

    Anche per le Regionali del 2015, alcuni GD sono schierati con Emiliano, altri con Minervini. Ed è bello così, perché c’è discussione interna, perché c’è una visione a 360° della politica.

    Finite le primarie, il 30 novembre, il PD deve rimanere PD, cioè un partito plurale. Faccio un annuncio shock per chi crede di essere in un sistema politico bipolare: il Partito Democratico italiano, dalla sua ala destra a quella sinistra, dimostra avere diverse sfumature, ma una base ideologico-politica uguale. Non siamo mica come i Democrats americani. Per questo parlare di candidati con programmi “alternativi” mi fa sorridere, perché si può avere una visione differente sulle politiche ambientali, ma non penso a tal punto da non avere nulla in comune. Per questo, si discute e il programma va fatto tutti insieme, perché è di un partito che stiamo parlando, non di un movimento o comitato elettorale di un singolo candidato. Ciò che nascerà dalle primarie, da ogni aspirante candidato presidente, mi auguro possa essere l’uno complementare all’altro. Non dobbiamo disperdere la ricchezza politica che noi custodiamo.
    Potremo vincere solo se dopo le consultazioni di fine novembre, avremo la forza di ricompattarci e di lavorare su una linea politica comune, una visione della nostra Regione che ci consenta di far crescere, più di quanto già non sia stato fatto, la Puglia. Chi sarà il candidato guiderà tale linea, ma sarà il vero candidato presidente, solo se avrà la forza di non abbandonare le minoranze. Per questo, PD, SEL e liste civiche avranno la possibilità di dire la loro sul programma e di poterlo costruire insieme.

    E noi, insieme a loro. Perché siamo parte di loro.


  • 11 settembre 1973 – 2001

    Oggi ricorre l’anniversario del colpo di stato in Cile, con l’uccisione di Salvador Allende e l’ascesa al potere di Pinochet e l’instaurazione della dittatura militare. Era l’11 settembre 1973.

    Lo stesso giorno, di 28 anni dopo, l’11 settembre 2001, le Torri Gemelle furono abbattute da due aerei di linea, dirottati da terroristi di Al Qaeda.


  • Stordito

    È come mi sento riguardo le Regionali del 2015, qui in Puglia. A partire proprio dalle primarie del centrosinistra.

    Arrivisti e bellimbusti, litigi infantili e chiacchiere, lo spettro di un’alleanza con qualche refuso del centrodestra nel caso di una candidatura di Fitto.

    Tornerò su questo argomento e mi perdonerete se non sono così tanto presente. L’Università chiama.