Categoria: Politica


  • Lacrime di umanità, contro ogni sciacallaggio

    Lacrime di umanità, contro ogni sciacallaggio

    Sono imbarazzanti le esternazioni di alcuni esponenti delle destre che, in piena modalità “sciacallaggio”, attaccano duramente l’Alto Rappresentante per la Politica Estera e la Sicurezza Comune, Federica Mogherini, a seguito delle sue lacrime durante la conferenza stampa successiva agli attacchi di Bruxelles.

    Davvero strazianti le parole di soggetti che poco hanno a che fare con la cultura europea, la cultura del rispetto e della misura. Strumentalizzare le emozioni di una persona sono sinonimo di barbarie disumana, quasi alla stregue della barbarie che causa morti e feriti.

    Poracci, mi viene da pensare e, in realtà, poracci lo sono davvero. Bertolaso, Meloni e Salvini. Giusto per citarne tre. Giusto per citare coloro che leggo in queste ore. Rappresentanti della destra al completo. Due candidati sindaco della Capitale e uno che si candida ovunque ci sia un posto sicuro da cui attingere fondi per farsi foto in giro e per essere onnipresente negli studi tv.

    Davvero vogliamo prendere sul serio le parole di questi giullari della politica? Ma dai! Guardiamo le destre europee. Guardiamo l’Europa vera, in questi momenti e riflettiamo, meglio, riflettete cari sostenitori delle destre, da chi siete rappresentati e chi votate nelle Città e in Parlamento.

    Le lacrime di Federica Mogherini sono le lacrime di tutti coloro che si sono sentiti feriti da quanto successo e lei, per il suo ruolo e per il senso di responsabilità che sta dimostrando col suo lavoro, quella ferita l’ha sentita esponenzialmente più forte.

    Perciò, cara Federica, lascia perdere gli sciacalli e non vergognarti della tua umanità. Servono più politici umani che maschere di potenza e insensibilità dinanzi alle sofferenze del mondo.
    In fin dei conti, come possono ferire le parole di fascisti e sfascisti finiti in scandali e spa erotiche?

    Forza Europa! Forza Federica!

    Buon lavoro, sempre con la stessa umanità.


  • Meglio tardi che mai

    Meglio tardi che mai

    Guardando quello che sta succedendo alle Ferrovie Sud Est, ai commenti da parte della classe politica nazionale e locale, mi viene in mente una sola frase: meglio tardi che mai.
    Spero che ora, che si sono puntati i riflettori sul caso, si possa trovare una soluzione adatta alle esigenze dei pendolari.
    Il diritto alla mobilità non può avere differenziazioni a seconda di dove si trovi il tuo comune di residenza.
    Lo sviluppo di un territorio parte da quanto sia ben strutturato il sistema dei trasporti.
    Le Ferrovie Sud Est sono elemento di disagio per una grande parte, non solo dell’Area metropolitana di Bari, ma dell’intera Regione Puglia.
    Non si faccia più l’errore del passato: si rendano le FSE una compagnia che sia strettamente legata alle necessità del territorio in cui esse operano, dove privati ed ente regionale svolgano la loro funzione.
    Ma una cosa deve essere fondamentale: chi ha sbagliato deve pagare. Non mi interessa, in questo momento, se debba pagare con la libertà personale o con il denaro. Ma è importante che chi si sia reso responsabile di tale scempio venga punito, a dimostrazione che il nostro Paese non rimane indifferente dinanzi ad uno scandalo preannunciato come questo, dove si è scoperto che fondi pubblici venivano gettati in un calderone di sprechi e ruberie.
    Impegniamoci tutti per garantire la dignità ad un territorio che non è secondo a nessuno.


  • Le mie parole per il II Congresso nazionale dei GD

    Le mie parole per il II Congresso nazionale dei GD

    Non sono a Roma. Sono rimasto a Bari. Ma col cuore sono tra i Giovani Democratici che in queste ore stanno celebrando la fase finale del Congresso nazionale. Anche se non presente, voglio lasciare delle mie parole alla nostra Comunità. Fate finta che le abbia lette dal palco.


    Care giovani democratiche, cari giovani democratici,
    oggi, ci troviamo tutti, chi fisicamente, chi tramite la diretta streaming, a vivere la conclusione di una fase che ci ha visti tutti impegnati: il nostro Congresso.

    Ho sempre creduto che la fase congressuale fosse un momento di crescita collettiva e, a differenza di quel che si possa pensare – leggendo quello che hanno scritto di noi i giornali – così è stato.

    Abbiamo vissuto momenti di tensione altissima, fortemente destabilizzante, in alcuni casi, ma non lo riterrei, questo, un aspetto negativo, anzi, credo che sia servito. Molto. Credo sia servito a scoprire i nervi sensibili di un’organizzazione che oggi si trova a vivere una fase della politica diversa da quella di qualche anno fa, di quella che abbiamo vissuto durante la precedente fase di rinnovamento della nostra classe dirigente, nel 2012.

    In quattro anni, la politica è cambiata, così come è cambiato il nostro Paese. È cambiato il modo di intendere l’impegno politico, è cambiata la sinergia che muove il nostro fare e il nostro essere militanti. Il Partito Democratico, oggi, governa l’Italia e lo fa ponendosi come soggetto determinante nel panorama politico e questo ha portato, inevitabilmente, a trasformare la vita interna dello stesso. I Giovani Democratici, proprio perché parte integrante del PD, questa “nuova vita” l’hanno vissuta sulla loro pelle, soprattutto durante la fase che oggi volge al termine.

    Sappiamo quante difficoltà abbiamo riscontrato sui territori. Sappiamo come il partito si sia inserito all’interno delle nostre dinamiche, come abbia contaminato il nostro procedere. Ma dobbiamo anche dire che quello che abbiamo passato è anche frutto dei nostri errori, nell’aver inteso l’Organizzazione giovanile come una macchina semplice, lineare, quando in realtà non lo è affatto, perché è composta da persone e le persone sono, per loro natura, complesse e la complessità volge il suo sguardo all’interno dei soggetti intermedi, quale noi siamo.
    Dobbiamo esserne consapevoli, se vogliamo davvero trarre insegnamento da quanto successo.

    Proprio perché da qui dobbiamo ripartire, rivolgo il mio messaggio soprattutto a tutti coloro che si sentono delusi, scontenti, sdegnati da quello che hanno vissuto direttamente.

    Cari amici e compagni, è vero, la politica non è giocare; la politica non è scherzare; la politica non è solo sognare. La politica è combattere, scontrarsi, vincere o perdere. La politica è vita.

    Proprio perché la politica è vita, in tal modo dobbiamo considerarla e in modo coerente, con questo modo di intenderla, dobbiamo viverla, giorno per giorno, lotta su lotta, scontro dopo scontro. Si perde e si vince, ma si deve continuare ad avere la testa alta e il cuore aperto al mondo.
    Proprio per questo, a voi dico di non fermarvi, di riprendere il cammino che avete iniziato tempo fa. Innamoratevi nuovamente dei nostri colori, della nostra bandiera, del nostro simbolo e del nostro nome. Si torni ad essere comunità pensante, rivoluzionaria. Una comunità d’avanguardia. Avanguardia sui temi, avanguardia nell’essere militanti, nel fare politica.

    Prima di dirlo a voi, lo dico a me stesso, che ho sempre ritenuto i Giovani Democratici la vera ragione per la quale mai, e dico mai, abbia tentennato sull’essere un militante del Partito Democratico. Lo sono da ormai 6 anni e mai ho avuto un dubbio, un ripensamento su quale sia la mia casa. Ho ritenuto, sin da subito, che la mia fosse il PD perché nel PD ci siamo noi GD e, viste le tante difficoltà degli ultimi tempi, qualcuno può aver avuto un crollo di fiducia nella nostra Comunità. Torniamo a fidarci della nostra Storia, del nostro essere e della nostra cittadinanza all’interno del partito. Torniamo a farlo con passione, grinta e tenacia.

    Care giovani democratiche e cari giovani democratici, da oggi riparte la nostra Organizzazione. Riparte dopo un periodo burrascoso, ma una nave che vien fuori dalla tempesta, può avere qualche ammaccatura, qualcosa di rotto, ma solo se tutti i marinai si impegnano nell’aggiustarla, quella nave tornerà a salpare tutti i mari del mondo, più forte e solida di prima.

    Buon viaggio a noi! Da oggi si torna a navigare nel mare della Politica, al servizio della nostra generazione e del Paese intero.

    Viva il Partito Democratico! Viva i Giovani Democratici!


  • Caro Matteo, disubbidisco e ti dico perché

    Caro Matteo, disubbidisco e ti dico perché

    Apprendo, dal sito dell’AGCOM, che il Partito Democratico stia invitando i suoi sostenitori ad astenersi dal votare al Referendum del 17 aprile prossimo, circa le concessioni per l’estrazione di petrolio dal sottosuolo marino.

    Ritengo tale posizione non conforme con lo spirito del PD. Un partito che ha nel suo nome l’aggettivo “Democratico” non può chiedere ai suoi militanti e sostenitori di non andare a votare.

    Lo ritengo un’incredibile caduta di  stile. La nostra Costituzione offre lo strumento del Referendum come unico mezzo, coadiuvato dalla proposta di legge d’iniziativa popolare, attraverso il quale i cittadini, in modo diretto, possono incidere sul sistema legislativo del nostro Paese.

    Il Segretario Renzi dovrebbe rendersene conto e agire di consenguenza. Detto questo, mi rivolgo proprio a te, caro Matteo, che sei il mio Segretario e a te dico che no, mi dispiace, ma declino l’invito.

    Voterò al prossimo referendum del 17 aprile, così come voterò al referendum di ottobre, sulla riforma costituzionale. Voterò sì, perché voglio dire la mia sulla politica energetica del nostro Paese, perché credo che si possa fare altro, nel 2016, anziché trivellare il nostro mare, fonte, oltre che di bellezza, di ricchezza, una ricchezza che non ha il colore del greggio, ma ha il colore del mare, quel blu acceso che fa da sfondo alle nostre belle città.

    Perciò, caro Matteo, posizionare il partito sull’astensione non è una bella cosa. Lo dico, perché lo penso davvero e perché credo che nessun partito debba mai permettersi di invitare i cittadini al non voto. È un ossimoro. Così come è un ossimoro che il Governo, lo Stato se vogliamo generalizzare, non abbia messo in moto la campagna informativa sul referendum di aprile. Sarà così anche per quello di ottobre? O forse, proprio perché lì si gioca la credibilità del Governo, sin da agosto, ci ritroveremo inondati di spot pubblicitari in cui si spiega la riforma e il perché votare a favore di questa.

    È un trattamento impari che non possiamo più permetterci, soprattutto quando, proprio oggi, è fondamentale invitare i cittadini a riprendere (perché è di questo che si tratta) ad interessarsi della Cosa Pubblica, attraverso la partecipazione e l’informazione. E il referendum è partecipazione ed informazione. Cos’altro potrebbe essere? Uno strumento di delegittimazione politica? Ma anche no.

    Dici bene, caro Matteo, che il governo da te presieduto è legittimo. La Costituzione non è un optional e questa parla chiaro sul chi ha il compito di proporre il Governo. Ma proprio perché la nostra Carta costituzionale non è un optional, dovresti conoscere bene l’art.1 comma 2 che dice “La sovranità appartiene al Popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” e che tra queste forme c’è proprio il referendum, regolato dall’art.75 della stessa. E forse, non per ultimo, dovremmo ricordarci che l’istituto del referendum è stata una conquista di cittadinanza e di libertà e va difesa a spada tratta sempre e comunque.

    Spero, e concludo, caro Matteo, che la comunicazione istituzionale porti le informazioni sul referendum nelle case degli italiani, molti dei quali non sanno, probabilmente, che sia stato indetto e su cosa riguardi.


  • La legalizzazione è nociva per la criminalità? Ma davvero?

    La legalizzazione è nociva per la criminalità? Ma davvero?

    Dati recenti forniti dalla Border Patrol, la polizia di frontiera statunitense, hanno fotografato una situazione differente, negli USA, in termini di illegalità collegata allo spaccio di droga, rispetto agli ultimi dieci anni.

    Come sappiamo, negli Stati Uniti la cannabis è stata legalizzata, a suon di referendum, e da quel momento chi ha subito danni è stata la criminalità organizzata.

    L’abbiamo sempre sostenuto: legalizzare la cannabis è un ottimo metodo per contrastare le organizzazioni criminali. Eliminare una fonte cospicua di sostentamento di questi significa indebolirli notevolmente.
    Certo, legalizzazione non significa solo lotta alla criminalità, ma anche controllo della qualità, visto che è lo Stato stesso ad occuparsi dei controlli e del commercio della marijuana. Una garanzia di non poco conto, se pensiamo ai tanti rischi che si corrono acquistando dal mercato nero.

    Dobbiamo continuare la nostra battaglia per la legalizzazione. Una battaglia che parla anche di giustizia, che deve essere messa a sistema con un’altra battaglia, importantissima, quale quella contro il sovraffollamento delle carceri.

    Dobbiamo lottare per dare un senso ad una società che deve riscoprire il suo essere civile in ogni parametro umano. Il proibizionismo sulle droghe leggere è sinonimo di arretratezza, è il contrario di progresso e civiltà.


  • Amore. Punto.

    Amore. Punto.

    “L’amor che move il sole e l’altre stelle” diceva Dante, nel XXXIII Canto del Paradiso. L’amore è il motore di ogni cosa, fa cambiare radicalmente il nostro modo di rapportarci con le persone, di guardare il mondo, di vivere la nostra vita.

    Si ama in tanti modi, si ama incondizionatamente. Non esiste un amore unico. Non esiste un amore ortodosso. Non esiste un amore tradizionale. L’amore è amore, proprio perché è fuori da ogni schema logico; perché fa deragliare la nostra vita, facendoci conoscere quello che mai avremmo immaginato di incontrare, di scoprire.

    Ma nel 2016, in una società composta da schemi, imposti a loro volta da chi, proprio quegli schemi, non li ha mai seguiti, l’amore è diventato merce, un articolo di legge, oggetto di accordi politici.

    Le barricate in Parlamento sulla stepchild adoption ne sono l’esempio più attuale. Per non parlare dell’ennesimo intervento a gamba tesa da parte della Chiesa, che crede di essere ancora in possesso del potere temporale.

    Sono stanco. Stanco di questa arretratezza; stanco delle tante incoerenze che vedo intorno a me. Sono stanco dell’ennesimo Family Day, dell’ennesima sfilata di bigotti in giacca e cravatta che in pubblico sono etero e in privato sono omosessuali. A che gioco stanno giocando? Con chi, soprattutto, stanno giocando?

    La vita è una. Ogni persona merita di vivere la propria come ritiene opportuno. Leggevo, qualche tempo fa, una citazione di Rousseau che diceva: “la Democrazia esiste dove non c’è nessuno così ricco da comprare un altro e nessuno così povero da vendersi”.
    Io aggiungerei che, in una vera Democrazia, non esiste un amore di serie A e un amore di serie B. Non esistono coppie più accettabili di altre. Non esiste un diritto a scegliere per gli altri o ad impedire la libertà degli altri. Non esiste un criterio che a prescindere dica se una persona sia o meno un buon genitore. Conosco famiglie etero che distruggono psicologicamente, ogni giorno, bambine e bambini, a causa di atteggiamenti assurdi, a causa di violenze fisiche e psicologiche. Perché una famiglia omosessuale non può essere una bellissima famiglia? Ma non era basata sull’amore, quella famiglia tanto difesa dalla Chiesa e dal Family Day?

    Nel Paese dalle mille contraddizioni, ne viviamo un’altra, l’ennesima e ripetitiva. Il mondo corre verso l’equiparazione dei sentimenti, noi abbiamo sbagliato direzione. Certe volte siamo molto simili a quei fondamentalismi che diciamo di combattere persino con le armi.

    Nietzsche aveva proprio ragione: è tutto un eterno ritorno dell’uguale.


  • Travi o pagliuzze? È il qualunquismo, bellezza!

    Travi o pagliuzze? È il qualunquismo, bellezza!

    Quello che sto vedendo in questi giorni è a dir poco estenuante, ridicolo sotto certi aspetti.

    C’è un caso grave, come lo sono stati molti altri, che sta interessando il Comune di Quarto e, quindi, il Movimento 5 Stelle, maggioranza in quel comune.
    Un consigliere comunale dei 5 Stelle, Giovanni De Robbio, tesseva rapporti con clan della Camorra, portando voti al Movimento durante le elezioni amministrative. Un caso preoccupante, come, torno a ripetermi, lo sono stati molti altri, in cui esponenti di altre forze politiche – vedi Forza Italia, NCD e lo stesso mio partito, il Partito Democratico – hanno fatto lo stesso. Lo dicono i fatti di cronaca.

    E quindi? Mal comune mezzo gaudio? Assolutamente no. Mai. Ma una piccola riflessione voglio farla, rivolgendomi soprattutto agli attivisti del Movimento 5 Stelle.

    Dunque. Inizierei col dirvi che quello che sta succedendo, dalla campagna mediatica contro il Movimento ai continui battibecchi sui social, è semplicemente il concretizzarsi del detto “chi di spada ferisce, di spada ferisce” o “di chi la fa, l’aspetti”. A cosa mi riferisco? Semplice: quando il 99% della comunicazione di un movimento politico è basato sull’andare contro gli altri, questi altri, alla prima occasione, vi chiederanno il conto e così è quello che sta succedendo. Ben vi sta. Magari cominceremo tutti a capire che fare politica non è tifo o scontro perenne, ma è ben altro. Questo però lo dico anche al mio partito, al quale chiedo di alzare il confronto sui temi importanti, in discussione in questi giorni, come le unioni civili, ad esempio.

    Sono davvero stupito, cari attivisti a 5 Stelle, di come abbiate maturato la capacità di fare distinguo da un giorno all’altro. Quando qualcuno parla di Quarto subito la risposta è “la persona responsabile è stata allontanata dal Movimento”. Bene. Quindi ora comincerete a fare i distinguo anche per gli altri, spero. Perché fino ad ora, ad ogni scandalo o scandalicchio che sia, mi sono giunte sempre le stesse parole “il PD è il Partito dei Detenuti” o “il PD è colluso con la mafia”. Generalizzare è sempre stato a sfavore di chi generalizza, come è ben possibile comprendere, ma se dovessi utilizzare lo stesso schema logico, dovrei dire “il M5S è colluso con la mafia”. No, mi dispiace. Non lo dico e mai lo dirò. Perché se c’è una cosa che difendo è la ragione e questa non può essere associata al qualunquismo. Mai.

    Cosa imparare da tutto questo? Che il marcio si nasconde ovunque e nessuno, con tutte le regole del mondo, può scongiurarne la presenza al 100%. Reagiamo al marcio con la lucidità di chi crede che le persone oneste (termine che non è di proprietà di nessuno) siano ovunque e che per individuare i farabutti basti puntare il faro sulla faccia del colpevole, non illuminando la stanza senza criterio. Non so se ho reso l’idea.


  • Divieto di commentare atti amministrativi sui social? Il Comune di Bari ha fatto benissimo

    Divieto di commentare atti amministrativi sui social? Il Comune di Bari ha fatto benissimo

    Su Repubblica Bari, oggi, esce una notizia rimbalzata anche su giornali nazionali, nel quale si ritiene che il Comune di Bari abbia messo il bavaglio ai dipendenti pubblici dell’ente, grazie al nuovo Codice di comportamento approvato nei giorni scorsi. Un nuovo regolamento che prevede il divieto assoluto di timbrare e andar via dall’ente anche con la scusa di “parcheggiare” l’auto, o di ricevere doni che ammontino ad un valore superiore ai 100 euro.

    Ma la norma incriminata riporta quanto segue:

    “Il dipendente si astiene dall’esprimere, anche nell’ambito dei social network, giudizi sull’operato dell’ente, derivanti da informazioni assunte nell’esercizio delle proprie funzioni, che possano recare danno o nocumento allo stesso”

    Qualcuno dice che è scandalosa, altri che è inutile – perché riporta già qualcosa che la legge regola, quale il segreto d’ufficio – ma in realtà è l’ennesima polemica basata sul nulla.

    Il Codice del comportamento dei dipendenti pubblici è un ottimo strumento di tutela del cittadino, prima che dell’ente. Infatti, il Codice deve essere esposto in ogni luogo dove il pubblico ha accesso e, quest’ultimo, può invocarne le norme ogni volta un dipendente pubblico non si attenga alle stesse.

    Vietare ad un dipendente comunale di commentare un provvedimento amministrativo sui social network è sinonimo di buon senso, oltre che di tutela del buon costume. Quindi questa polemica va rispedita al mittente, perché non si parla né di bavaglio né di diktat.