Categoria: Politica

  • Ed è giunto il momento di fare “sintesi”, di raccogliere le idee e cercare di dare una lettura personale di quanto accaduto durante queste Elezioni amministrative.

    Il dato è limpido: il Partito Democratico ha ricevuto uno schiaffone dietro al collo da parte degli elettori.

    Partiamo da quello che è successo a Roma. Sapevamo per certo che il primo turno avrebbe reso chiara la spaccatura nella Capitale, a fronte di ben 13 candidati sindaci, anche se quel 35% di Virginia Raggi era un chiaro segnale di attrazione dell’elettorato verso l’unica candidata che se pur espressione di un movimento nazionale, non aveva nulla a che vedere, personalmente, con dimensioni nazionali ma che sguazzava in un ritornello che ben conosciamo: “mandiamo a casa Renzi”. Gli altri candidati, Meloni, Fassina, Di Stefano, Adinolfi hanno utilizzato la Capitale come l’ennesimo trampolino del proprio movimento. Il “povero” Marchini, che se pur rispecchiava, anche solo in apparenza, il candidato slegato da dinamiche “estraraccordo anulare”, ha pagato il prezzo dell’incoerenza per il mutamento dal “liberi dai partiti” al “con i partiti, più di prima”.
    Roberto Giachetti – ex radicale, deputato PD e vice Presidente della Camera, già capo gabinetto al Comune di Roma con Francesco Rutelli – era una via di mezzo tra la traduzione nazionale del voto e le dinamiche locali ma, nella Capitale, una e l’altra sono tra loro intrecciate, per sfortuna dei romani.
    Il PD a Roma è stato una zavorra, l’ha detto lo stesso candidato sindaco e questo è un effetto chiaro e più che meritato, mi viene da dire, a seguito dell’irresponsabilità che il PD romano e quello nazionale hanno avuto sulla vicenda riguardante l’allora sindaco Ignazio Marino, con quel colpo di coda nel far cadere un’amministrazione che, forse, a questo punto, era meglio risollevare e proteggere, piuttosto che licenziare in quel modo (ricordiamo le dimissioni in massa dei consiglieri comunali).
    Giachetti ha fatto un ottimo lavoro, riuscendo ad arrivare al ballottaggio, contro ogni pronostico. Merito suo e di tutti coloro che l’hanno affiancato in questa competizione elettorale, ma dinanzi alla protesta dei cittadini incazzati dalle vicende pregresse, non c’è super candidato che tenga. Che sia ben chiaro a tutti e soprattutto a Renzi.
    Oggi, Virginia Raggi e il M5S hanno una responsabilità immensa: dovranno provare a risollevare la Capitale dallo stato in cui riversa, e per capire se ci riuscirà sarà indispensabile conoscere la squadra di assessori che l’affiancherà in Campidoglio. Tecnici? Politici? Competenti o amministratori alla prima esperienza?

    Per passare alla seconda città nella lista, qui il dato è da leggere in una chiave differente rispetto a quello della Capitale.
    A Milano, Beppe Sala vince le elezioni al ballottaggio. Una vittoria risicata: 20mila voti di scarto (51,70% contro 48,30%). Amministrazione uscente di centrosinistra, la quale ha portato ottimi risultati a casa nel primo mandato. Ma cosa paga, allora, il centrosinistra, nell’aver ricevuto uno scarto di vittoria così sottile?
    Giuliano Pisapia aveva, durante le Amministrative 2011, travolto la politica milanese. Dato come outsider alle primarie del centrosinistra, le vinse contro il candidato Stefano Boeri del PD (poi diventato suo assessore per poco tempo) ed altri candidati. Quel momento di confronto/scontro aveva acceso gli animi dei cittadini milanesi, riuscendo a trainare una nuova politica nella Capitale morale del nostro Paese, portando quella coalizione a vincere le elezioni contro ogni previsione. Risultato? Le primarie avevano fatto il loro dovere. Perché dico questo: se penso alle Primarie, la prima cosa che mi viene in mente è “lo strumento per eccellenza per rendere possibile l’impossibile”.
    Mi spiego meglio: le Primarie funzionano quando non sono scontate e non sono un mero atto notarile. Perché questo sono diventate, oggi: uno strumento per rendere ufficiale ciò che sapevamo da tempo essere ufficioso. Un “facciamo le primarie per legittimare ciò che abbiamo già deciso”. Questo è successo a Milano e, per inciso, anche a Roma.
    Sì, perché sia a Roma che a Milano le primarie sono state questo: da una parte Giachetti, candidato a delle primarie grigie, senza un vero competitor all’altezza della sfida; dall’altra Sala, nominato commissario straordinario per l’EXPO e diventato, magicamente, il candidato migliore per la coalizione di centrosinistra a Palazzo Marino. Il nuovo sindaco di Milano partecipa alle primarie sapendo già di aver vinto e il periodo di campagna elettorale fino al giorno dei gazebo diventa una semplice attesa per l’inaugurazione della campagna ufficiale del candidato sindaco e della sua coalizione.
    L’unico che ha cercato di rappresentare una discontinua continuità (gioco di parole voluto) rispetto all’Amministrazione Pisapia è stato Pierfrancesco Majorino, una candidatura vista con interesse ma che aveva il sapore della testimonianza, sin dagli albori.
    Ma il centrosinistra milanese paga la non ricandidatura di Pisapia. L’ex sindaco avrebbe dovuto ricandidarsi. Non l’ha fatto per ragioni personali e nessuno può sindacarne la legittimità, ma che non abbia avuto i suoi effetti sul voto mi pare una cosa poco probabile.

    Un fil rouge, quello delle primarie, che ci porta dal Centro al Nord, per poi tornare al Sud, nella Città partenopea, dove il PD non è neanche arrivato al ballottaggio, lasciando il posto al sindaco uscente, Luigi De Magistris, e al candidato del centrodestra, Gianni Lettieri. Il primo ha doppiato il secondo, al ballottaggio, dimostrando come ancora una volta i sentimenti e i mal di pancia non si percepiscono dai giornali o da dichiarazioni sporadiche di passanti al mercato rionale, ma nelle urne. De Magistris ai napoletani piace e quel 66,5% lo rende evidente e inciso col fuoco.
    Ma tornando al nostro filo rosso, a Napoli il PD ha celebrato le primarie tra l’evergreen Antonio Bassolino e la soldatessa Valeria Valente, inviata da Roma per vincere le elezioni? Certo che no. Per contrastare il possibile ritorno di Bassolino? Certo che sì. Quindi primarie dal sapore di congresso di partito, dove nella tracotante narrazione di una “Napoli che guarda al futuro”, l’unico vero obiettivo era una lotta all’homo politicus del già sindaco di Napoli, senza una reale proposta per la Città e senza il minimo carisma e polso necessari per competere con un sindaco uscente con, checché ne dicano alcuni, carisma e abilità, non pervenuti alla candidata democratica. Pensate che i cittadini non se ne rendano conto? Suvvia.

    Punito il partito a Napoli, così come a Roma, risalendo la Penisola ci imbattiamo nella rossa Bologna, da oggi più sul rosé. Virginio Merola, sindaco uscente, la spunta al ballottaggio, contro la candidata Lucia Borgonzoni, della Lega Nord. Merola, 5 anni fa, vinse al primo turno con il 50,5%. Il 5 giugno scorso si è fermato al 39,48% con, a seguire, la Borgonzoni al 22,27% e il candidato 5 Stelle, Massimo Bugani, al 16,54%. Bisognerebbe capire attentamente i flussi dell’elettorato, per capire cosa è realmente successo nel capoluogo dell’Emilia-Romagna, anche se il dato dell’affluenza è allarmante: dal 71,4% del 2011 al 59,65% del 1° turno del 5 giugno (al ballottaggio il dato è sceso ulteriormente al 53,17%).
    Qui il punto è uno: se la rossa Bologna sfancula il centrosinistra e il PD è perché la spia che segnala come su molte questioni ci siamo spostati al centro è accesa e lampeggia insieme a noi. Elettorato con paraocchi? No, grazie. E meno male che è così, in modo da aiutarci a capire che c’è qualcosa che non va e a fermarci per guardarci i piedi e riflettere. Inevitabilmente ha influenzato anche l’attività amministrativa della Giunta uscente, quindi il dato è ibrido e si intreccia tra dimensione nazionale e locale, come Roma, se pur in un’ottica differente.

    Ciò che lascia perplessi è il risultato a Torino. Lì qualcosa è andato storto, eppure la città piemontese, rispetto a qualche anno fa, oggi si presenta più all’avanguardia, migliorata in diversi aspetti. Dai trasporti ai servizi ai cittadini, passando per il sistema rifiuti e il decoro urbano. Qui è inevitabile l’influenza del sentimento politico nazionale. Piero Fassino ha pagato il prezzo di essersi avvicinato troppo al Presidente del Consiglio e di rappresentare “il vecchio”, tanto da rimanerne folgorato e vedersi sfilare la seggiola di primo cittadino, da parte di Chiara Appendino, senza particolari demeriti. Si poteva fare di più? Certo, ma non vedersi riconfermato il ruolo di sindaco è un segnale forte e, accostandolo al dato dell’affluenza, comparandolo con quello di 5 anni fa, è ancora peggio: dal 66,53% (1° turno 2011) al 57,17% (1° turno 2016). Ma se vogliamo proprio farci male, possiamo dire che Fassino, alle scorse Elezioni, vinse al 1° turno con il 56,7%. Lo stravolgimento politico è ormai in fase avanzata e la direzione centrifuga dei flussi di voti dal PD e centrosinistra è palese: il M5S si rafforza, nutrendosi dell’elettorato di centrodestra ormai senza una bussola e un elettorato di centrosinistra che da un senso complessivo al suo voto, infilandoci dentro anche il dissenso verso il Governo. Inutile prendersi in giro.

    Questo è uno spaccato del Paese. È vero, le Amministrative riguardano le città, il voto serve per eleggere i sindaci e i consigli comunali, non per dare un giudizio al Governo di turno. Ma questo solo sulla carta o, quantomeno, nei piccoli centri, dove la dimensione locale è molto più forte delle dinamiche nazionali e dove il voto è più personale che politico.
    Nelle competizioni delle grandi città, di cui ho provato a dare una mia lettura, il voto politico c’è e più è grande la dimensione delle Elezioni più quel particolare si fa intenso. Un esempio tra tutti Roma, dove se il voto fosse stato sulla persona del candidato sindaco, non riuscirei a trovare elementi di comparazione tra Giachetti e Raggi, se non il semplice fatto che sono entrambi di Roma. Una persona di specchiata onestà e, soprattutto, competenza dimostrata negli anni, contro una consigliera comunale con 3 anni appena di esperienza all’opposizione e qualche click sul web. È chiaro che non si è votata la persona del candidato sindaco, ma cosa e chi quel candidato rappresentava.

    La domanda sorge spontanea: siamo sicuri che l’Italicum vada ancora bene a Renzi? Forse si è reso conto che il ballottaggio (anche a livello nazionale) porta a polarizzare l’elettorato tra elettori del PD e i “tutti contro il PD”, rappresentato dal M5S che riesce a catalizzare i voti anche del disperato centrodestra – che non riesce a trovare candidati in grado di contrastare quelli del PD, tranne sporadici casi – pronto a sostenere l’unico baluardo opposto al PD che ce la fa. Basta guardare i flussi di voti nella Capitale, dove Meloni, Salvini, Fassina e Marchini hanno votato per la Raggi, non per qualità della candidata e del programma elettorale, ma per una mera logica di contrapposizione al Governo e al Partito Democratico.

    Fatte tutte le analisi, ora arriviamo alla diagnosi: il Partito Democratico è diventato un comitato elettorale pro-Governo e senza più un’anima. C’è chi lo dice da tempo, ma mai è stato realmente ascoltato, anzi, addirittura tacciato per gufo e rosicone.

    Matteo Renzi non è in grado di essere, allo stesso tempo, Segretario del partito e Presidente del Consiglio. La coincidenza tra le due cariche, di cultura anglosassone, è un sogno politico che coltivo, ma riconosco nelle capacità di chi ricopre questi incarichi la possibilità di realizzarlo a pieno e nel migliore dei modi. Non è il caso nostro. Almeno attualmente.

    Un partito consegnato nelle mani di due vice segretari non ha senso. Intendere l’essere segretario di partito come io intendo il calcetto del sabato pomeriggio (pur non toccando un pallone dai tempi di D’Alema Presidente del Consiglio) è deteriorante per il PD e i militanti. Fare il Segretario non può essere un hobby. Il partito ha bisogno di qualcuno che se ne prenda cura a tempo pieno.

    Renzi faccia attenzione nell’addossare le responsabilità ai soli dirigenti locali. In parte è vero, l’establishment locale è gerontocratico in molte parti del nostro Paese, i circoli sono in mano ai detentori dei pacchetti di tessere e il tesseramento online ha accentuato e reso più facile il controllo delle terminazioni nervose del PD. Quindi c’è bisogno di un cambiamento radicale del modo di intendere il partito.

    Un soggetto politico schiacciato sulla figura del leader carismatico l’abbiamo vissuta già. Era dall’altra parte della staccionata, l’abbiamo sempre criticata e abbiamo visto la fine che ha fatto. Il Partito Democratico ha una particolarità che lo ha sempre reso diverso dagli altri soggetti politici: sopravvivere ai suoi leader. E così deve essere sempre.
    Detto questo, è fondamentale non legare il partito alla figura di Renzi o del suo Giglio magico. Ho letto alcune dichiarazioni di esponenti di spicco del Partito Democratico che ritiene il momento di eleggere un segretario a tempo pieno (bene), un segretario che sia un riflesso di chi detiene la premiership (male) e vede nella Boschi tale soggetto (malissimo).
    Vi spiego le parentesi: Un segretario a tempo pieno è fondamentale, soprattutto per un partito come il nostro – strutturato, con militanti veri e una complessità invidiabile; Un segretario scelto perché compatibile con il Presidente del Consiglio è  avvilente, tanto vale tenersi i due vice segretari e ci risparmiamo la farsa di eleggere una “guida” per la nostra Comunità politica; se questa persona, poi, debba essere la Boschi, non c’è elemento che non mi porti a pensare che chi asserisca ciò abbia una considerazione del ruolo del segretario come un semplice funzionario di partito o, peggio, un mero volto con cui presentarsi in pubblico. Per carità, il Ministro Boschi ha sue competenze, è una figura politica di rilievo che ha lavorato per dare alla luce una riforma costituzionale incisiva, sotto molti aspetti, ma il segretario di un partito deve avere una cultura politica altissima, più alta, addirittura, di quella di chi ricopre il ruolo di Premier. Lungimiranza, visione d’insieme, metodo di condivisione e, al tempo stesso, di rispetto della storia politica della Comunità che rappresenta, sono tutti elementi imprescindibili che il Ministro per le Riforme costituzionali non detiene a pieno.

    La scelta del segretario sarà un passaggio fondamentale per la rigenerazione del PD, ma se vogliamo che questa abbia gli effetti sperati è necessario un congresso aperto all’interno, ma chiuso all’esterno. Basta primarie aperte per la scelta del segretario nazionale. Modifichiamo lo Statuto e leviamo di mezzo quell’articolo che ritiene il segretario il candidato naturale del PD alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Sostituiamola con l’obbligo di procedere, lì sì, a primarie aperte e regolamentate, per la scelta del candidato premier, alla quale potranno partecipare tutti coloro che si riconoscano nei principi fondanti della Carta dei Valori e nel progetto del centrosinistra.
    Basta primarie aperte per questioni che riguardano il partito: un metodo che ha svilito il significato della tessera e del sentirsi militante. Poniamo fine alla possibilità di far scegliere il leader politico del partito a chi dello stesso si dimentica per 364 giorni all’anno, e si interessa a questo solo durante tali consultazioni.
    Diamo, inoltre, finalmente, ai militanti la possibilità di esprimersi sui temi rilevanti sulle quali il partito deve interrogare la sua base. Lo possiamo fare attraverso i referendum interni – online o nei circoli – dove e come riteniamo più opportuno.

    È forse giunto il momento di affrontare tali problemi una volta per tutte, anche perché non possiamo permetterci il lusso di voltare lo sguardo dall’altra parte, in vista, oltretutto, dell’appuntamento del Referendum costituzionale di ottobre prossimo.

    Riposta la lente d’ingrandimento, è giunto il momento di rimboccarsi le maniche.
    Scusate se ho scritto molto. Avrei voluto dirvi ancora di più.

  • È stato presentato il nuovo progetto di sostegno all’imprenditoria giovanile che mira all’innovazione nell’ambito culturale, sociale e tecnologico. Simile al suo antenato, Bollenti Spiriti, ma con novità importanti, che rendono PIN 10 passi avanti al passato. Un grande passo in avanti da parte della Regione Puglia in tema di Politiche giovanili.

    L’avviso pubblico è a sportello con una dotazione finanziaria pari a 10 milioni di euro, di cui 8 dedicati al finanziamento a fondo perduto di progetti e 2 milioni ai servizi di affiancamento e rafforzamento delle competenze dei partecipanti. Un programma rivolto a gruppi informali di almeno 2 giovani pugliesi (residenti in Puglia) di età compresa tra i 18 e i 35 anni.

    Un finanziamento con un range tra 10mila euro e i 30mila euro di finanziamento a fondo perduto, per la copertura delle spese di gestione e degli investimenti per il primo anno di attività.

    Vi consiglio vivamente di informarvi sul progetto e di leggere la scheda informativa che trovate sul sito ufficiale dell’iniziativa » pingiovani.regione.puglia.it

  • Ieri è stata presentata la nuova Segreteria regionale del Partito Democratico pugliese.
    Rinnovo i miei più sentiti auguri di buon lavoro a Marco Lacarra, nostro Segretario regionale e validissimo amministratore, al Presidente regionale Assuntela Messina e alle due vice segretarie Sandra Antonica e Elisa Mariano.
    Voglio, tuttavia, abbracciare e fare loro gli auguri a chi con me ha condiviso e condivide tutt’ora un percorso, politico e/o territoriale che sia.
    Un augurio di buon lavoro a Lucia Parchitelli, bravissima assessora del Comune di Noci. Sono felice che possa rappresentare la nostra Federazione e, soprattutto, Noci nell’organo politico per eccellenza del nostro partito pugliese. Sono molto orgoglioso di lei e le auguro di dare il massimo.
    Un abbraccio a Pierpaolo Treglia, con il quale ho condiviso un percorso lungo 6 anni all’interno dell’Organizzazione giovanile e che oggi vedo essere riconosciuto il suo importante impegno politico per il nostro partito e la nostra Organizzazione giovanile.
    Auguri a Giacomo Polignano, Portavoce della segreteria, una forza della natura. Non credo serva altro per descrivere le ragioni della grande stima che ho nei suoi confronti, per l’immensa energia e impegno che mette quotidianamente al servizio della sua comunità, il suo è un riconoscimento di quanto guadagnato sul campo.
    Auguri a Paola Romano, giovane e competente assessore del Comune di Bari, che sta dimostrando di essere molto attenta alle esigenze della Città e dei più deboli.
    Auguri a Domenico De Santis, da sempre impegnato per la nostra causa comune, da buon dirigente di partito quale è.
    Un augurio di cuore a Michela Mastroluca, mia vittima costante di stalkeraggio quando eravamo insieme in Segreteria regionale per le innumerevoli chiamate ed sms per organizzare il nostro lavoro. Di lei ho una grandissima stima e sono certo che darà il massimo anche in questa nuova sfida.
    Auguri anche a Gianfranco Palmisano, assessore in gamba che ha rivoluzionato e migliorato, col suo impegno, Martina Franca. Sono sicuro che saprà farsi valere anche in Segreteria.
    Auguri ad Elvira Tarsitano, già Presidente regionale del partito e stimatissima biologa, molto attenta alle problematiche ambientali della nostra Regione. Sono certo che il partito si vanterà del suo grandissimo lavoro.
    Auguri a Vito Antonacci, già Sindaco ad Adelfia e ottimo amministratore. Sono sicuro che occupandosi di Enti Locali, all’interno della Segreteria, porterà le sue competenze al servizio degli amministratori dem pugliesi.
    E per ultimo, ma non di certo per importanza, un augurio ed un abbraccio al mio fraterno amico Francesco Di Noia, mio Segretario regionale dei Giovani Democratici. Di lui non ho dubbi: rappresenterà al massimo la nostra Organizzazione anche in Segreteria PD, così come lo sta facendo in ogni occasione.


    Ecco la composizione integrale della Segreteria regionale del PD Puglia

    Segretario Regionale – Marco Lacarra
    Vice Segretaria – Sandra Antonica
    Vice Segretaria – Elisa Mariano
    Responsabile Organizzazione – Giovanni Epifani
    Tesoriere Regionale – Alessandro De Benedictis
    Enti Locali – Vito Antonacci
    Responsabile Circoli – Mino Carriero
    Responsabile Tesseramento – Ruggiero Mennea
    Coordinatore della Segreteria – Antonio Maniglio
    Responsabile Dipartimenti – Michelangelo Superbo
    Portavoce Segreteria – Giacomo Polignano
    Rapporto con Europa e Progetti Europei – Tommaso Sgarro

    Altri componenti:
    Lucia Parchitelli
    Roberto Carbone
    Pietro Pugliese
    Pierpaolo Treglia
    Gianluca Ruotolo
    Antonella De Marco
    Alessandro De Matteis
    Antonella Vincenti (presidente Conferenza Donne Democratiche)
    Paola Romano
    Angela Rizzi
    Elvira Tarsitano
    Angelo Sirsi
    Ludovico Vico
    Nicola Centrone
    Domenico De Santis
    Gianfranco Palmisano
    Michela Mastroluca
    Gianni Sportelli
    Costanzo Carrieri
    Alessandra Giammaruso
    Francesco Di Noia (segretario GD)
    Erika Cormio
    Cinzia Dicorato
    Luigi Nestola

  • Ieri è stato fatto un ulteriore passo verso la civiltà. Il nostro Paese si è munito di una legge che prevede sostegno a tutti i disabili che rimangono senza il sostegno famigliare, attraverso una serie di interventi a supporto delle diverse esigenze che ogni portatore di disabilità ha.
    Ma non finisce qui. Infatti, la legge sul “Dopo di Noi” prevede interventi anche “durante il Noi”, come spiegato puntualmente nel video.
    L’ultima legge di Stabilità prevede già uno stanziamento di 90 milioni per ogni anno, a partire proprio dal 2016, dimostrando, ancora una volta, che questa legge non è solo un elenco di cosa si vuol fare, ma di cosa effettivamente si farà, con voci di spesa definite e già pronte per realizzare quanto previsto dalla normativa.
    Orgoglioso dei parlamentari che hanno approvato una legge nata dalle tantissime richieste delle famiglie con persone disabili. Una legge nata dal basso, mi vien da dire, che dimostra come la politica, quando sa essere se stessa, riesce a tradurre in concretezza quanto chiesto dai cittadini.
    Peccato che non ci sia stato il voto unanime di tutto il Parlamento e che il ‪‎M5S abbia votato contro. Sono davvero molto dispiaciuto, ma noi continuiamo ad andare avanti.
    Grazie al PD e, in particolare, ad Elena Carnevali per il grandissimo impegno.

    Le principali novità

    • l’introduzione dell’istituto giuridico del trust, per salvaguardare il patrimonio da utilizzare per il figlio;
    • la cancellazione dell’imposta di successione e donazione per i genitori, ad esempio per la casa di proprietà;
    • la riduzione di aliquote e franchigie e le esenzioni per l’imposta municipale sugli immobili; l’innalzamento dei parametri sulla deducibilità per le erogazioni liberali e le donazioni;
    • la detraibilità delle spese per le polizze assicurative, con l’incremento da 530 a 750 euro della detraibilità dei premi per le assicurazioni sul rischio morte.
    • l’istituzione presso il  ministero del Lavoro del Fondo per l’assistenza alle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare, con una dotazione di 90 milioni di euro per quest’anno, 38,3 milioni per il 2017 e 56,1 milioni annui dal 2018 in poi.
  • Mi ritrovo, dopo tempo, a scrivere nuovamente sul mio blog. Lo faccio, però,  per lasciare un messaggio, a ridosso delle Amministrative del 5 giugno.

    Si vota in diversi comuni della Città metropolitana di Bari, e nella maggior parte di questi, i Giovani Democratici sono presenti, nelle liste del Partito Democratico, come candidati al consiglio comunale. Non votateli. Non votate i nostri candidati perché giovani. Non votateli perché simpatici. Non votateli perché sono vostri parenti.

    Votate i candidati dei Giovani Democratici per quello che rappresentano: la voglia di fare politica per una causa comune, per il bene comune delle loro città. Votateli per la grande passione che sprigionano ogni volta che parlano della loro terra, dei loro concittadini e delle esigenze di questi.

    Le grandi sfide portano grandi paure ed ansie. Le ho provate anche io quando, 3 anni fa, a 19 anni mi candidai al consiglio comunale del mio paese. Che grande emozione, che esperienza magnifica sapere di concorrere per il bene della propria Comunità e di farlo in prima persona, presentando un progetto ai propri concittadini, chiedendo fiducia e, soprattutto, consapevolezza.

    Sì, quella consapevolezza che spesso manca e che noi chiediamo a gran voce: non votateci per aver sentito dire che siamo in gamba; che siamo giovani e quindi meritevoli di avere una possibilità. Votateci perché rappresentiamo un’alternativa valida alla politica statica, a quella ormai assopita, senza lungimiranza.
    Votateci perché per noi un problema non è un ostacolo ma una sfida.

    Faccio il mio personale in bocca al lupo a tutti i Giovani Democratici Terra di Bari candidati nei diversi consigli comunali, e a chi questa sfida la sta vivendo da protagonista assoluto, come Giovanni Oliva, candidato sindaco a Locorotondo.

    Un abbraccio immenso oltrepassa i confini della Città metropolitana e va ad un grande amico, Stefano Minerva, che, in questa tornata elettorale, ha raccolto una sfida gigantesca: candidarsi a sindaco della Città di Gallipoli. Una forza della natura al servizio della propria comunità. I cittadini di Gallipoli sono fortunati a poter scegliere un candidato così valido e pieno di energia come Stefano. A lui e a tutta la sua squadra un augurio speciale.

    Buon voto a tutte e a tutti.
    E andate a votare.

  • Non veniteci a parlare del solito divario Nord-Sud e che tutto va male e che le classifiche ad orologeria de Il Sole 24 Ore sono Bibbia e che chi decide di rimanere nel Mezzogiorno a studiare è destinato ad occupare la serie B.
    Una narrazione in controtendenza con la realtà che cozza con il merito che invece c’è e va valorizzato e sottolineato.
    Oggi dobbiamo essere orgogliosi di quello che riusciamo a dimostrare in Italia e nel mondo.
    Oggi, quell’orgoglio è rappresentato dal Politecnico di Bari.

  • Sull’8xmille da destinare alla costruzione delle moschee, ha ragione Massimo D’Alema. L’intervento pubblico nella costruzione di luoghi di culto è sinonimo di laicità, qualora lo Stato intervenga in modo paritario per le diverse religioni presenti sul suo territorio.

    La religione cattolica è la prima religione in Italia (circa 51 milioni di fedeli), la religione islamica è la terza (1,2 milioni circa). Secondi sono gli ortodossi, con quasi 1,3 milioni di credenti.

    I cattolici sono ben sostenuti dai sistemi di contribuzione, vedi l’8xmille alla Chiesa cattolica, che tutti quanti noi conosciamo. Per non parlare delle enormi agevolazioni fiscali su tasse e immobili.

    Siamo sul filo del rasoio e lo spiega bene questo articolo su Linkiesta che vi prego di leggere, perché su questo è incentrato il mio post di oggi.
    Il Belgio è il luogo cardine degli attacchi terroristici per errori commessi tempo addietro, circa il rapporto tra la Comunità islamica belga e lo Stato.

    È così che il wahabismo e la sua visione dell’Islam allergica alle innovazioni e a tutto ciò che non è musulmano e propensa invece alla lotta armata contro i miscredenti e gli infedeli si sono affermati in Belgio, formando imam che sono poi andati a predicare nelle centinaia di moschee del Paese, facendo proseliti e trovando consenso in quartieri come Molenbeek, che è solo il più tristemente famoso ghetto del Paese, non certo l’unico: «Una scelta, quella fatta dal Belgio quarant’anni fa, criticata oggi anche dal ministro francofono belga Rachid Madrane, musulmano, – continua Meotti – che al giornale La Libre ha detto: “Il peccato originale del Belgio consiste nell’aver consegnato le chiavi dell’islam nel 1973 all’Arabia Saudita per assicurarci l’approvvigionamento energetico”».

    Non penso serva altro da aggiungere, se non l’ennesima esortazione a leggere quell’articolo.

  • Sono imbarazzanti le esternazioni di alcuni esponenti delle destre che, in piena modalità “sciacallaggio”, attaccano duramente l’Alto Rappresentante per la Politica Estera e la Sicurezza Comune, Federica Mogherini, a seguito delle sue lacrime durante la conferenza stampa successiva agli attacchi di Bruxelles.

    Davvero strazianti le parole di soggetti che poco hanno a che fare con la cultura europea, la cultura del rispetto e della misura. Strumentalizzare le emozioni di una persona sono sinonimo di barbarie disumana, quasi alla stregue della barbarie che causa morti e feriti.

    Poracci, mi viene da pensare e, in realtà, poracci lo sono davvero. Bertolaso, Meloni e Salvini. Giusto per citarne tre. Giusto per citare coloro che leggo in queste ore. Rappresentanti della destra al completo. Due candidati sindaco della Capitale e uno che si candida ovunque ci sia un posto sicuro da cui attingere fondi per farsi foto in giro e per essere onnipresente negli studi tv.

    Davvero vogliamo prendere sul serio le parole di questi giullari della politica? Ma dai! Guardiamo le destre europee. Guardiamo l’Europa vera, in questi momenti e riflettiamo, meglio, riflettete cari sostenitori delle destre, da chi siete rappresentati e chi votate nelle Città e in Parlamento.

    Le lacrime di Federica Mogherini sono le lacrime di tutti coloro che si sono sentiti feriti da quanto successo e lei, per il suo ruolo e per il senso di responsabilità che sta dimostrando col suo lavoro, quella ferita l’ha sentita esponenzialmente più forte.

    Perciò, cara Federica, lascia perdere gli sciacalli e non vergognarti della tua umanità. Servono più politici umani che maschere di potenza e insensibilità dinanzi alle sofferenze del mondo.
    In fin dei conti, come possono ferire le parole di fascisti e sfascisti finiti in scandali e spa erotiche?

    Forza Europa! Forza Federica!

    Buon lavoro, sempre con la stessa umanità.