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  • “Questa casa non è un ‘porto di mare’!”. Quante volte abbiamo sentito questa frase, pronunciata dalle nostre madri, magari durante una situazione di “via vai” frenetico.
    Ecco, nell’immaginario collettivo la figura del porto è associata a quella dell’apertura totale e del cammino di tante persone, di nomi e di vite.

    Pensare, oggi, che di fronte alle difficoltà della Storia, un Paese possa negare il proprio porto a gente disperata che fugge da guerre, morte e da assassini, mi fa riflettere sul senso di solidarietà che molti di noi hanno e che hanno sviluppato in momenti tragici come questi.
    Dichiararsi “Paese non sicuro” per impedire che vi possano essere sbarchi di immigrati, provenienti dall’altra parte del Mediterraneo, getta una coltre sulla dignità del nostro Paese.

    L’Italia è più di quanto viene raccontata e di quanto qualcuno vorrebbe rappresentare.

    Mentre molti di noi soffrono, perdono i propri cari e si disperano per la propria libertà messa in quarantena, dobbiamo avere il tempo di pensare a quelle vite oggi sospese sulla superficie dell’acqua, in barche di fortuna, con gli occhi pieni di salsedine e il volto scalfito dalla sofferenza, una sofferenza non meno importante e insopportabile della nostra.

    Da martedì riaprono le librerie, riaprono alcune attività. Il Paese prova a rimettersi in moto. Ma oltre a questo, dovremmo aprire i nostri cuori più di quanto non abbiamo fatto sino ad ora, per accogliere chi sa che l’alternativa alla terra ferma è il fondo del mare o una prigione intrisa dell’odore acre della morte.

  • Caro Davide,

    Sono te in un momento abbastanza complicato. Probabilmente, quando rileggerai queste parole, tra qualche mese, penserai che è tutto così strano. Sappi che è strano anche per me, adesso.

    Ti scrivo dalla cucina della mia (nostra) casa di Roma. Sono le 00.51 di un giovedì sera che non assomiglia per niente ad altri giovedì sera. Non è stata una giornata come le altre. È inutile dirtelo. Però ti scrivo perché voglio che non dimentichi mai quello che hai vissuto e hai pensato in un momento come questo.

    Il nostro Paese sta vivendo una delle situazioni più difficili dal secondo dopoguerra. Un virus aggressivo ci tiene rinchiusi nelle nostre case, rintanati tra quattro mura. Le strade deserte. Negozi e luoghi di aggregazione sbarrati. Si ha la sensazione che tra un momento e l’altro una bomba possa esplodere sulle nostre teste. C’è la nostra vita in gioco. E non parlo di “vita” come si fa nella retorica spicciola di tutti i giorni – quelli normali – no. Qui si lotta tra il vivere e il morire. E ci sono persone che stanno morendo, Davide, tra le braccia di angeli con il camice.

    Ho paura. Ho paura di morire. Lo so, forse sono uno sciocco a pensarlo, ma è la verità. E nascondere a te le mie sensazioni sarebbe un controsenso. Oltretutto, non ho alcuna intenzione di “fare il forte”. Non serve. Non vi è ragione di nascondere le proprie emozioni e queste sono le mie.

    In questi giorni, osservo il cielo dalla mia finestra, esco solo per fare la spesa e quando varco la porta di casa, mi guardo intorno furtivamente, come se qualcuno stesse per tendermi una trappola. Guanti, mascherina di fortuna (una sciarpa legata stretta al viso, perché qui le mascherine sono tutte finite) e si corre a comprare il necessario.

    La tecnologia mi è venuta in soccorso, in questi giorni di solitudine. Riesco a sentire e vedere le persone a cui voglio bene. Non ti nascondo che il desiderio di tornare da loro è forte. Forse avrei potuto farlo, fino a qualche giorno fa. E forse potrei farlo anche ora. Alla fine, sono residente in Puglia. Chi può mai impedirmi di tornare dove ho “ufficialmente” la mia casa? Eppure non l’ho fatto né prima e né l’ho fatto ora. Perché? Beh…perché non riesco più a pensare a mamma, papà, mio fratello, le mie nonne, i miei familiari, i miei amici e le persone a me care come ho fatto fino a qualche giorno fa. Non sono più solo la loro voce, i loro sguardi, il loro affetto e le loro storie. Sono vite umane da salvare. E per me questa cosa è più importante di qualsiasi altro desiderio. Non voglio mettere a rischio nessuno. Per nessuna ragione al mondo. Non voglio pensarci neanche lontanamente. Non sono un assassino e né, tantomeno, un incosciente.

    Devi sapere, caro Davide, che in questi giorni, tra le mille preoccupazioni, ho preso coscienza di una cosa, più di quanto già non ne avessi: la gente è pazza! Non tutta, per fortuna. Ma c’è qualcuno che ha dimostrato che, per loro, la vita delle altre persone non è così importante. Per quanto mi riguarda, se decidi di fregartene delle regole e di non proteggere con le tue azioni la vita degli altri, non sei né il più furbo e né il più figo. Sei solo un misero stronzo.
    Mi chiedo come potrai rivolgere loro la parola, d’ora in avanti? Non farlo. Te ne prego.
    Ci siamo dati delle regole e queste andavano rispettate. Cosa c’era di così difficile? Come è possibile che qualcuno metta al primo posto i propri interessi, senza curarsi di quello che può accadere a chi si ha accanto? Anche quando si tratta dei propri nonni e dei propri genitori?

    Dalla mia stanza osservo, leggo e ascolto quello che succede. Mi ribolle il sangue nell’apprendere ciò che sta accadendo attorno alle persone che, loro malgrado, questo virus lo hanno preso. Abitazioni segnate con la vernice, come accadeva con la peste. Nomi e cognomi finiti tra messaggi fatti girare a destra e a manca, invitando tutti coloro che fossero stati a contatto con questi di segnalarlo alle autorità e di mettersi in quarantena fiduciaria.
    Ogni volta che vi è anche solo una voce messa in circolazione, scatta la caccia alle streghe. Cosa devo sopportare. Cosa hai dovuto sopportare! Come si può trattare il prossimo in questo modo? Come si può, a maggior ragione, quando quella persona sul patibolo è un tuo conoscente o, peggio, il tuo vicino di casa?

    Anche in questo momento in cui ti scrivo, chiudo gli occhi e immagino di essere tra le persone che amo. In questo momento sono lontane, ma non come lo sono da ormai 2 anni e mezzo a questa parte, da quando vivo (vivi) a Roma. Sembrano essere sulla Luna. Perché raggiungerle non mi è possibile. Eppure vorrei tanto abbracciarle.

    Ecco, una cosa che devi ricordare è che ci è stato vietato di abbracciarci e di baciarci. Che strano vero? Gli abbracci e i baci, simboli di affetto e amore verso gli altri, non possiamo né darli e né riceverli per lo stesso affetto e lo stesso amore che loro
    rappresentano . Perché dobbiamo proteggerci gli uni con gli altri.

    Davide, promettimi una cosa: quando tutto questo sarà finito, torna tra le tue persone. Abbracciale e baciale come non hai mai fatto sino ad ora. Stringile a te, sentendo il peso di ogni singolo istante. Perché vorrei farlo io, in questo momento, ma non mi è possibile. E ricorda che niente è scontato. Anche quei gesti che compiamo ogni giorno possono essere messi a repentaglio da pericoli più grandi di noi, anche da quelli che non si vedono ad occhio nudo.

    Un’ultima cosa: apprezza tutto. Vivi le tue libertà come fossero conquiste quotidiane. Lavora, studia, fai cose. Ma falle con una consapevolezza in più, cioè che siamo deboli nelle nostre certezze. Ed ama. Ama più che puoi. Ma Ama. Perché l’amore e la voglia di rivedersi sono le uniche cose che ti danno la forza di sognare la luce, quando intorno a te tutto sembra così buio.

    Ti saluto, caro Davide.
    Domani inizia un altro giorno di quarantena e dovrò segnare un “-1” a ciò che mi separa dall’essere te.