Categoria: In evidenza

  • Se il vostro desiderio è di leggere un saggio che vi spieghi e faccia luce sulle dinamiche statunitensi in modo freddo, distante (direi da osservatore di terza fila), quasi asettico, beh…lasciate perdere “Questa è l’America“. In questo libro, Francesco Costa, giornalista e vice direttore de Il Post, fa molto altro: vi porta nell’America più profonda, lontana dai mass media e dai racconti che spesso vediamo rimbalzare sui social. E lo fa egregiamente.

    Seguo Francesco da molto tempo e ho anche avuto l’onore di intervistarlo (insieme al mio socio William, al secolo Gugliemo Currao) nel mio programma radiofonico, il “Dave & William Show” su Radio Kaos Italy, qualche giorno dopo l’Election Day delle Elezioni americane. La sensazione che ho avuto, nel leggere il suo libro, è stata un po’ la stessa che ho provato (e provo tutt’ora) quando leggo la sua newsletter o ascolto il suo podcast “Da Costa a Costa“: è come essere seduto ad un tavolino di un bar, con una persona interessante che ti dona una conoscenza che va ben oltre il mainstream. E così, come succede dopo aver letto o ascoltato i suoi ultimi aggiornamenti sugli Stati Uniti nell’era (ormai quasi terminata, grazie al cielo!) di Trump, allo stesso modo, dopo aver divorato “Questa è l’America” mi sono sentito più ricco. E, personalmente, non è una cosa scontata, soprattutto in fatto di libri.

    La sensazione di trovarsi davanti ad un narratore diverso dal solito emerge sin dalla prima pagina. Quanti avranno cominciato a leggerlo pensando di vedere, tra le prime righe, il nome di Trump, di Biden, o forse di Obama o di qualche altro politico o personaggio blasonato? Invece parte da una ferita enorme, nascosta agli occhi di noi, donne e uomini distanti da quel mondo così complesso quale sono gli Stati Uniti d’America: la dipendenza da oppiacei e il terribile impatto sociale che l’abuso di antidolorifici ha sulla popolazione americana.

    Un anno e mezzo prima di morire nel bagno di un aeroporto, la ventiduenne Saige Earley era andata dal dentista per un’incombenza tanto banale quanto fastidiosa: l’estrazione dei denti del giudizio.

    Inizia così l’avvenutura nell’America raccontata da Francesco Costa e il seguito è caratterizzato da un climax ascendente che tocca le corde dei lettori più sensibili. Un’America piegata in due dalla frenesia capitalista e dalle sempre più ampie divergenze sociali, ampie quasi quanto le strade che dividono i quartieri periferici da quelli del centro, le classi più agiate da quelle meno abbienti. È un’America diversa da quella che siamo abituati a vedere nei film di Hollywood. Ad esempio, sapevate che il paradigma periferie-centro è diverso da quello che siamo abituati a vivere nelle nostre città? Nelle città statunitensi, chi vive in centro, generalmente, non se la passa tanto bene quanto coloro che vivono nelle periferie, magari in villette a schiera (come quelle di Edward mani di forbice, di Ritorno al Futuro 2 o di Mamma ho perso l’aereo, per intenderci. Eh sì, lo so che vi ho citato dei film, ma esempi migliori non c’erano).

    Francesco Costa il suo viaggio lo porta anche tra i meandri del fanatismo religioso americano: la storia della setta dei “davidiani” di Waco (Texas) e del suo leader David Koresh. Esperienza finita con quello che fu un vero e proprio massacro, con 76 morti, durante l’assedio dell’FBI, durato 50 giorni.

    Ma la Storia degli USA e le sue radici nella guerra civile non restano fuori dal quadro realizzato dall’autore. Il discorso di Gettysburg di Abraham Lyncoln – 16° presidente degli Stati Uniti e personaggio ormai asceso nella mitologia americana – portano il lettore ad analizzare l’altro tema così profondo e complesso dell’America moderna: il razzismo e lo scontro sociale, ancora forte, tra i vari gruppi sociali che compongono la popolazione statunitense. I bianchi sono destinati a diventare una fetta minoritaria dei cittadini americani, mentre gli afro-americani, gli ispanico-americani e gli altri gruppi comporranno la maggioranza di un Paese tanto grande quanto sottopopolato. Eppure gli squilibri sono ancora forti e i bianchi (quelli razzisti, non tutti eh!) reagiscono come possono. Anche eleggendo un presidente fortemente divisivo e che non lesina uscite offensive nei confronti di diversi gruppi di cittadini statunitensi.

    Insomma, il libro di Francesco Costa va letto se volete viaggiare, comodamente seduti sul vostro divano, negli Stati Uniti del XXI Secolo. Perché è davvero un viaggio: l’autore ha raccontato ciò che ha visto con i propri occhi e ascoltato con le proprie orecchie. E l’invito è di leggerlo con la stessa calma e chiarezza con cui lo stesso Francesco racconta l’America nel suo “Da Costa a Costa”.

    Una volta terminato, il background acquisito vi porterà a porvi qualche domanda in più, davanti ad una notizia proveniente dall’America che da Obama è passata a Trump ed ora a Biden.

  • Non è la prima volta che parlo, sul blog, del Congresso dei Giovani Democratici, l’organizzazione giovanile del Partito Democratico. Chi segue quello che scrivo sa che ad inizio anno avevamo avviato il III Congresso nazionale che avrebbe portato, di lì alla prima metà del 2020, al rinnovamento di tutte le cariche politiche, dai circoli al nazionale. Poco dopo, la catastrofe del Covid-19 e il tanto obbligato quanto necessario arresto delle operazioni congressuali, in linea con le disposizioni delle Autorità competenti.

    Passata la tempesta della pandemia – che di certo non ha risparmiato nessuno in termini di tensione, fatica e difficoltà di ogni tipo – eccoci con il desiderato tentativo di recuperare la normalità che avevamo lasciato fuori dalle nostre case, durante la quarantena. Qualcuno, però, ha pensato bene che la normalità dovesse coincidere con l’ansante tentativo di tutelare gli interessi di una piccola parte e che le esigenze di un’intera comunità politica fossero meno importanti di quella di assicurare un posto al sole a chi, in questi anni, ha sempre riflesso di luce non propria. Parlo di coloro che sono seduti comodamente negli uffici di partito, nelle segreterie di qualche istituzione locale o nelle stanze dello staff di presidenti, onorevoli, assessori e ministri. Parlo di coloro che in questi anni hanno dimostrato di non sapere assolutamente cosa significasse guidare una comunità politica. Gli stessi che hanno preso in faccia la porta girevole della Storia, incapaci di conoscerne il meccanismo anche dopo anni da uscieri. Insomma, la solita vecchia trama che tanto ci indigna quando ha come protagonisti gli altri, ma che diventa parte del nostro agire quotidiano quando fa il pari con qualche interesse da dover tutelare. Soprattutto se il nostro.

    Sia inteso, “nostro” è un plurale utilizzato ai fini del racconto. Ripudio tale metodo e di certo non ne ho mai accarezzato neanche l’idea di servirmene.

    Per rendere più chiara e definita la vicenda di cui vi parlo, tenete presente questo piccolo particolare: l’emergenza non è ancora finita e alcuni territori sono ancora circondati da grandi incertezze e necessità che vanno ben oltre quelle di un congresso politico. Ovviamente, queste rientrerebbero in quelle “esigenze di un’intera comunità” di cui parlavo poc’anzi e che di certo non sono state prese in considerazione dall’attuale dirigenza del Partito Democratico che, invadendo il campo come uno scellerato durante una partita di calcio con la maglia “guarda mamma sono in TV”, sguinzagliando qualche segugio ha pensato bene di rendere il III Congresso nazionale dei Giovani Democratici una mera formalità, svilendo non solo l’essenza politica dello stesso, ma contraddicendo le teorie che la medesima dirigenza del Partito Democratico ha utilizzato come testa d’ariete fino a qualche tempo fa, volendo puntare tutto sulle idee e sui programmi. Ve lo ricordate il “Congresso delle idee” tanto voluto da Zingaretti? Ecco, il segretario qualche mese fa, nel lanciare ufficialmente l’iniziativa del congresso straordinario, esordiva con queste parole:

    Ci serve un partito plurale, ricco di aree di pensiero, solidale, che dia valore e dignità agli iscritti, che li renda protagonisti dei processi decisionali. È un processo che deve fare dei passi avanti. Anche questo nuovo partito non può bastare. Il Pd deve avere una vocazione maggioritaria e indicare una direzione, senza avere una tendenza onnivora, cannibalizzando gli altri.

    Che dia valore e dignità agli iscritti. Valore. Dignità. Agli iscritti. Per non parlare del tanto teorizzato obiettivo di renderli “protagonisti dei processi decisionali“. Ecco, io sono d’accordo con Nicola Zingaretti. Ecco perché l’ho sostenuto fermamente durante l’ultimo congresso del PD ed ecco perché sono convinto che lo stesso ascolterà quello che io oggi qui riporto ma che è la sintesi della sintesi della voce di tutti coloro che, invece, nei Giovani Democratici ci credono e che nel Congresso in corso puntano per ridare dignità e valore alla propria Comunità, tanto da riportare i GD ad essere protagonisti dei processi decisionali.

    Ma come possono i Giovani Democratici tornare protagonisti se costretti a celebrare i propri congressi in due settimane (entro la prima settimana di agosto), senza discussioni, con l’affanno di finire tutto in tempo e pregando che qualcuno sia ancora in città e che non sia – legittimamente – andato in vacanza, dopo un anno così duro? Come è possibile che, ancora oggi, circolino telefonate e missive che abbiano il solo obiettivo di vituperare i Giovani Democratici, impedendone il regolare processo democratico di selezione del proprio gruppo dirigente? Come è possibile che, nel 2020, una donna come Caterina Cerroni, che è storia umana nella storia della nostra comunità politica, debba fronteggiare ostacoli di questo tipo che le impediscano di raccogliere il consenso grandissimo che proviene da tutti i territori del Paese? Perché, ancora oggi, ciò accade? Perché nella nostra Comunità? Perché nei GD? Perché nel PD?

    Ecco, caro Segretario, faccia solo una cosa: chiami chi deve chiamare e fermi chi ha deciso di occuparsi dei GD piuttosto che dei problemi del Paese, della propria regione o, molto più semplicemente, che ha smesso di occuparsi di ciò per cui viene pagato per intromettersi nella vita della più grande giovanile politica del Paese con il solo obiettivo di distruggerla, impedendo che si autodetermini e che scelga liberamente chi dovrà guidarla per i prossimi anni.

    Lo faccia, caro Segretario, altrimenti non potremo osteggiare il diffondersi dell’idea che, in un momento delicato ed importante per la Storia del PD e del Paese, qualcuno abbia deciso di distruggere un patrimonio inestimabile: la propria organizzazione giovanile.
    Sono convinto che, sul considerarla un patrimonio inestimabile, saranno d’accordo anche i Ministri, i Sottosegretari, gli Onorevoli e Senatori, gli Assessori e i Sindaci del Partito Democratico che dall’organizzazione giovanile hanno iniziato il loro percorso politico. Senza dimenticare che lei stesso proviene da questo mondo, avendo militato e guidato la Sinistra Giovanile. Sono certo che il Nicola Zingaretti dell’epoca avrebbe protetto, da qualche burocrate di partito, la comunità di cui faceva parte e a cui ha dedicato una parte importante della propria vita.

    Caro Segretario, sono convinto che la sua sensibilità è tale da riconoscere come vere le mie parole e come giusto il mio ragionamento. Sono convinto che saprà proteggere i Giovani Democratici da quella piccolissima parte del Partito Democratico che scambia la politica per una partita di Risiko!

  • Ultimo appuntamento con il podcast “5 Under35 Raccontano la Post-pandemia“. La chiusura di questa (a mio avviso) bellissima esperienza è dedicata a noi stessi. Al centro della chiacchierata, l’impatto psicologico che la pandemia ha avuto (e avrà) sulle nostre relazioni interpersonali, su come adatteremo (o cercheremo di farlo) la nostra vita sociale.

    Ho avuto il grande piacere di parlarne con Ilaria Bracuti Monaco, 28 anni, psicologa psicoterapeuta sistemico-relazionale. Grazie alla sua esperienza e alla sua chiave di lettura, abbiamo parlato di un tema tanto rilevante quanto sottovalutato: gli impatti che questa emergenza sanitaria ha avuto, con la quarantena, il lockdown e il distanziamento sociale, sugli stati emotivi di ognuno di noi.

    Un tema che ci riguarda tutti, sia direttamente che indirettamente, sia in modo consapevole che inconsapevole. Insomma, abbiamo chiuso in bellezza e ci tengo a ringraziare tutti coloro che hanno sostenuto questo progetto. Grazie al vostro supporto abbiamo ottenuto ottimi risultati negli ascolti, nei download su tutte le piattaforme di streaming.

    Grazie. Grazie. Grazie. Restiamo in contatto qui e lì, sul blog e nel mondo reale. Ora rimbocchiamoci le mani e diamoci da fare per riprenderci i nostri spazi e le nostre vite, in questo mondo nuovo che la pandemia ha creato.

    La puntata è disponibile anche su Spreaker, Spotify, Google Podcast e Apple Podcast.


    Per il 10° anniversario del mio blog, ho pensato di creare un nuovo progetto. Breve ma, spero, utile per chiunque vorrà approfondire alcuni temi cruciali, alla luce dell’emergenza sanitaria provocata dal Covid-19.

    Ho incontrato (virtualmente) cinque under35 e con loro ho dialogato sul prossimo futuro. Attraverso le loro esperienze e le loro competenze, abbiamo provato ad immaginare il mondo che ci attende fuori dalla nostra finestra. L’emergenza sanitaria, prima o poi, finirà. Ma le scelte che si stanno concretizzando in queste settimane incideranno sulle nostre vite anche quando del Covid-19 resterà solo un vecchio e brutto ricordo.

  • Il quarto appuntamento con il podcast “5 Under35 Raccontano la Post-pandemia” è dedicato all’Europa e alla Solidarietà europea, alle risposte che le Istituzioni europee hanno posto al centro dell’azione politica ed economica dell’Unione per fronteggiare la crisi sanitaria provocata dal Covid-19 e le sue implicazioni economiche.

    Il vento anti-europeista ha ripreso a soffiare prepotentemente sul nostro continente, travolgendo il progetto europeo. Ma quali sono le reali risposte che l’Europa ha dato agli Stati membri? Come stanno reagendo a questa emergenza le Istituzioni europee? Stanno davvero dimostrando di non essere all’altezza? O è la solita retorica anti-europeista e sovranista che cerca di sfruttare le paure e la rabbia dei cittadini per raggiungere i propri scopi politici?

    Di questo e molto altro ne ho discusso con l’On. Brando Benifei, 34 anni, Eurodeputato e capo-delegazione del Partito Democratico al Parlamento Europeo, nel 2016 tra i 30 politici under30 più influenti d’Europa secondo Forbes.

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    Per il 10° anniversario del mio blog, ho pensato di creare un nuovo progetto. Breve ma, spero, utile per chiunque vorrà approfondire alcuni temi cruciali, alla luce dell’emergenza sanitaria provocata dal Covid-19.

    Ho incontrato (virtualmente) cinque under35 e con loro ho dialogato sul prossimo futuro. Attraverso le loro esperienze e le loro competenze, abbiamo provato ad immaginare il mondo che ci attende fuori dalla nostra finestra. L’emergenza sanitaria, prima o poi, finirà. Ma le scelte che si stanno concretizzando in queste settimane incideranno sulle nostre vite anche quando del Covid-19 resterà solo un vecchio e brutto ricordo.

  • Il terzo appuntamento con il podcast “5 Under35 Raccontano la Post-pandemia” è dedicato all’Impresa e all’Innovazione, alle sfide che il tessuto produttivo del Paese dovrà affrontare dopo l’emergenza sanitaria.

    Una chiave di lettura differente, dove al centro c’è l’esigenza di porre un’accelerazione all’innovazione dell’imprenditoria. Siamo un’economia dinamica, fatta per di più di piccole e medie imprese che sfidano ogni giorno il mondo sempre più vicino e sempre più competitivo.

    Quali sono le principali questioni da affrontare? Siamo davvero un’economia “basata sui bonus” come qualcuno ha affermato nei giorni scorsi? Molte imprese sono in difficoltà a causa del lockdown o il problema proviene da più lontano?

    Ne parlo con Domenico Colucci, 30 anni, Co-fondatore e Marketing Leader di Nextome, Miglior Imprenditore dell’anno dalla Commissione Europea, Miglior Innovator under 35 per la rivista del MIT – Massachussets Institute of Technology, Forbes 30 Under 30.

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    Per il 10° anniversario del mio blog, ho pensato di creare un nuovo progetto. Breve ma, spero, utile per chiunque vorrà approfondire alcuni temi cruciali, alla luce dell’emergenza sanitaria provocata dal Covid-19.

    Ho incontrato (virtualmente) cinque under35 e con loro ho dialogato sul prossimo futuro. Attraverso le loro esperienze e le loro competenze, abbiamo provato ad immaginare il mondo che ci attende fuori dalla nostra finestra. L’emergenza sanitaria, prima o poi, finirà. Ma le scelte che si stanno concretizzando in queste settimane incideranno sulle nostre vite anche quando del Covid-19 resterà solo un vecchio e brutto ricordo.

  • Il secondo appuntamento con il podcast “5 Under35 Raccontano la Post-pandemia” è dedicato alla Costituzione, alla sua grande abilità senza tempo di adattarsi alle esigenze del tempo che passa.

    L’emergenza sanitaria ha posto un grande tema divisione e gestione delle competenze tra Stato e Regioni, soprattutto dopo le diverse polemiche innescate da alcuni presidenti di regione che hanno intrapreso vie diverse da quelle indicate, in linea generale, dal Governo centrale.

    Competenze esclusive e concorrenti tra il Centro e la Periferia del Paese. Quali saranno gli impatti sul Titolo V della Costituzione, già oggetto di mire da parte della classe politica che ha provato a cambiarla più volte. Reggerà allo stress test? Se sì, perché? Se no, cosa potrebbe succedere?

    Ne parlo con Luca Dell’Atti, avvocato di 29 anni, dottore di ricerca in Diritto Costituzionale e membro dell’Esecutivo nazionale dell’ADI – Associazione Dottorandi e Dottori di Ricerca in Italia.

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    Per il 10° anniversario del mio blog, ho pensato di creare un nuovo progetto. Breve ma, spero, utile per chiunque vorrà approfondire alcuni temi cruciali, alla luce dell’emergenza sanitaria provocata dal Covid-19.

    Ho incontrato (virtualmente) cinque under35 e con loro ho dialogato sul prossimo futuro. Attraverso le loro esperienze e le loro competenze, abbiamo provato ad immaginare il mondo che ci attende fuori dalla nostra finestra. L’emergenza sanitaria, prima o poi, finirà. Ma le scelte che si stanno concretizzando in queste settimane incideranno sulle nostre vite anche quando del Covid-19 resterà solo un vecchio e brutto ricordo.

  • Per il 10° anniversario del mio blog, ho pensato di creare un nuovo progetto. Breve ma, spero, utile per chiunque vorrà approfondire alcuni temi cruciali, alla luce dell’emergenza sanitaria provocata dal Covid-19.

    Ho incontrato (virtualmente) cinque under35 e con loro ho dialogato sul prossimo futuro. Attraverso le loro esperienze e le loro competenze, abbiamo provato ad immaginare il mondo che ci attende fuori dalla nostra finestra. L’emergenza sanitaria, prima o poi, finirà. Ma le scelte che si stanno concretizzando in queste settimane incideranno sulle nostre vite anche quando del Covid-19 resterà solo un vecchio e brutto ricordo.

    Il primo podcast è dedicato alla Privacy, a quello che succederà con la nuova app Immuni, scelta dal Governo per permettere alle autorità di tracciare i contatti tra cittadini, al fine di contrastare la diffusione del virus tra la popolazione.

    Quali sono i rischi nell’immediato ma, soprattutto, cosa significa per il nostro futuro questa scelta? È un pericoloso precedente che spalanca le porte a un tracciamento sistematico e diffuso dei cittadini? Quali sono le implicazioni per i nostri dati personali derivanti da questo uso delle tecnologie?

    Ne parlo con Federico Sartore, 29 anni, avvocato esperto in Privacy e Protezione dei Dati Personali.

    La puntata è disponibile anche su Spreaker, Spotify, Google Podcast e Apple Podcast.

    Nel corso dei prossimi giorni, saranno online tutti gli appuntamenti con il podcast. Iscriviti al Podcast sulla tua piattaforma preferita.

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    Inventare il Futuro – Per un mondo senza lavoro” di Nick Srnicek e Alex Williams non è un libro scontato. Scritto nel 2015, tradotto in italiano solo nel 2018 (e pubblicato da Nero), è più di un saggio: è un dialogo aperto tra il lettore e gli autori.

    Il percorso teorico sviluppato tra le sue pagine offre la possibilità di riflettere sull’evoluzione del nostro mondo attuale, sul perché ci troviamo circondati da una retorica che sembra aver raso al suolo ogni differenza di visione politica della realtà.

    È interessante come l’analisi del neoliberismo – egemonico e in netto contrasto con la teoria sostenuta dai due autori (quella del post-lavoro) – ci trascini verso un’autoanalisi che riesce a porci davanti ad uno specchio. Infatti, leggendolo è stato molto strano comprendere, quasi per la prima volta, quanto il nostro pensiero (e il mio, ovviamente) risulti “inquinato” da luoghi comuni e da teorie ormai così generalizzate da essere diventati veri e propri dogmi. Dogmi che appartengono ad una concezione fortemente neoliberista del mondo.

    Al centro dello studio c’è l’idea che il lavoro sia divenuto un elemento imprescindibile con il quale garantire non solo la sopravvivenza del sistema sociale odierno, ma anche la dignità di ogni essere umano. Oggi, infatti, tutto ruota intorno alla creazione di ricchezza che può tradursi, nella sfera privata di ogni singolo cittadino, nel proprio reddito. Tale reddito, sempre su spinta egemonica del neoliberismo, è legato a doppio filo con il lavoro salariato: non può esserci reddito senza lavoro.

    Questa affermazione echeggia nella mente di chi subito percepisce una certa affinità anche con la struttura ideologica della Costituzione del nostro Paese, non foss’altro perché destra e sinistra (soprattutto quest’ultima) ha spesso issato la bandiera dell’Articolo 1 della Costituzione dove, per l’appunto, si dichiara che “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro“. Sembra dunque che non vi possa essere altro mondo dove il sostentamento derivi da canali differenti rispetto a quelli del proprio lavoro.

    Da qui, Srnicek e Williams provano a teorizzare una nuova via per la sinistra mondiale: quella del post-capitalismo e del post-lavoro. Sembra fantascienza eppure tutto parte dallo sviluppo (quanto mai reale) della tecnologia moderna, capace di sostituirsi all’uomo nelle catene di produzione in serie (mettendo in crisi la concezione antropocentrica del fordismo) aumentandone la produttività. La graduale sostituzione dell’uomo con la tecnologia nelle più variegate attività lavorative potrebbe, secondo gli autori, consentire alle donne e agli uomini di occuparsi di ciò che davvero amano: dalla politica ad altri interessi personali e di comunità.
    Ma qualcosa blocca questo processo: il capitalismo riconosce nell’utilizzo di queste tecnologie una fonte di spesa eccessiva se paragonata alla possibilità di sfruttare il lavoro sottopagato. Ed ecco l’intreccio con una delle più grandi problematiche del mondo odierno: la disoccupazione e l’abbasamento del potere contrattuale delle masse lavoratrici con il capitale.
    Tutto questo frena la concretizzazione del post-lavoro, dove vi è un reddito universale per tutti i cittadini, distribuito orizzontalmente e, dunque, senza alcun criterio di esclusione (dal ricco al povero, dal giovane all’anziano, dall’imprenditore al disoccupato). Interessante la teorizzazione degli effetti che questo reddito potrebbe comportare: dall’incremento della partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, passando per la riduzione dell’abbandono scolastico e dei crimini.

    Leggendo questo libro, si è accompagnati nel percorrere un sentiero interdisciplinare che va dalla filosofia, all’economia, passando per le teorie politiche più vaste. È consigliato concentrarsi (ma gli autori su questo ve ne daranno una grande possibilità) sul concetto di folk politics, dove la dimensione locale è preferita a quella globale, dove è considerato estremamente più utile e necessario occuparsi di ciò che è più prossimo, rispetto a fenomeni o dimensioni così vaste quanto variegate.

    Non si tratta semplicemente di un falso universale; la contaminazione infatti è reciproca: l’universale si incarna nel particolare, mentre il particolare perde alcune specificità nel suo ruolo di universale. Un universalismo perfettamente compiuto non esisterà mai: per questo gli universali saranno sempre oggetti di critica da parte di altri universali.”

    Ed ecco dunque una possibile agenda per la Sinistra mondiale del prossimo futuro: la costruzione di un mondo post-capitalista e post-lavoro, dove gli uomini tornino liberi e slegati dalla spasmodica ricerca di un impiego utile a garantire loro un reddito e quindi la sopravvivenza. Un programma che necessita di una leadership trasversale – capace di incidere nel locale come nel globale – ma ancor di più che sappia guidare tale processo evitando storture e aborti, coniugando la necessità di un abbattimento del capitalismo con l’altra grande crisi mondiale, quella ambientale e la necessità di uno sviluppo fortemente ecologico.