Leggevo, proprio qualche ora fa, un servizio de Linkiesta.it sul salario dei giovani laureati, con una differente prospettiva nel corso degli anni.
A quanto pare, meno ti laurei e più guadagni. Quanto di più coerente ci possa essere con il messaggio meritocratico che questo Paese cerca di inviare al mondo intero da anni (con scarsi risultati).
La riforma universitaria del “3+2”, varata nel 1999 nell’ambito del processo di Bologna, ha istituito due livelli di preparazione accademica, consentendo agli studenti di valutare, dopo tre anni di università, se proseguire gli studi. È importante domandarsi se questi due anni aggiuntivi di istruzione siano compensati, al termine degli studi, da un “premio salariale”, in altre parole se valga la pena, da un punto di vista di guadagno, “sacrificare” due anni di lavoro (e sostenere costi aggiuntivi) per investire sulla propria formazione.
Ecco il primo grafico in cui i dati sono a favore della tesi “meglio la zappa che la penna”
Per non parlare della differenziazione salariale tra i settori, nel primo anno di lavoro dopo la laurea, dove, salvo qualche caso sporadico, la specialistica offre pochissime possibilità di accedere ad un trend salariale migliore (visti i sacrifici nell’aver studiato per altri 2 anni). Altra cosa fondamentale, da non sottovalutare, è che l’età di chi si ferma alla triennale, nel momento della laurea, è più elevata rispetto a chi continua con gli studi.
Riportando dei dati apparsi sull’articolo
Inoltre, il 40% di loro trova un impiego di natura stabile contro il 33% dei laureati con specialistica. Ancora più importante è il fatto che il 37% dei laureati triennali sono impiegati in un lavoro che avevano cominciato precedentemente al conseguimento della laurea triennale (e questo può spiegare la maggiore durata negli studi) mentre nel caso dei laureati alla magistrale questa misura si riduce al 21%.
Queste differenze si ampliano ancora di più se consideriamo gruppi disciplinari con premium negativi. Per esempio, si osserva che sostanzialmente metà dei laureati triennali in discipline letterarie (filosofia, lettere e storia) prosegue un lavoro iniziato prima della laurea. Inoltre, il 57% di questi studenti dichiara che la laurea triennale ottenuta non è per nulla efficace nello svolgimento della attività lavorativa.
Sembrerebbe dunque che molti laureati di primo livello decidano di continuare un lavoro iniziato prima del conseguimento del titolo; lavoro che in alcuni casi non ha nulla a che vedere con il tipo di laurea conseguita (1). È possibile, tuttavia, che questi studenti non trovino posizioni lavorative che consentano un avanzamento professionale rilevante, data la mancanza di una successiva laurea specialistica. Di conseguenza si dovrebbe osservare nel tempo un processo di “recupero“ da parte degli studenti in possesso di conoscenze più avanzate in virtù del titolo magistrale.
Ma c’è un ma in tutto questo, se pur in modo abbastanza eterogeneo: nel corso degli anni chi ha ottenuto una laurea specialistica ha visto il proprio salario aumentare, a differenza dei suoi colleghi con il diploma di laurea e lo possiamo vedere in questo ultimo grafico
Inutile dirvi quale, secondo me, dovrà essere la priorità per il nostro Paese, se vogliamo realmente uscire da questo pantano sociale, invertendo la rotta e dando vita ad una spirale virtuosa salario-consumo non indifferente. È vero sì che la politica, molte volte, la si fa con i numeri e i tatticismi (purtroppo), ma il vero sostegno alle famiglie deve necessariamente partire dal salario, da una maggiore capacità d’acquisto delle famiglie, senza inondare di tasse i cittadini, ma rendendo tutto più semplice, garantendo quel principio di autonomia economica, oggi quanto mai vitale.
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