Aprite

“Questa casa non è un ‘porto di mare’!”. Quante volte abbiamo sentito questa frase, pronunciata dalle nostre madri, magari durante una situazione di “via vai” frenetico.
Ecco, nell’immaginario collettivo la figura del porto è associata a quella dell’apertura totale e del cammino di tante persone, di nomi e di vite.

Pensare, oggi, che di fronte alle difficoltà della Storia, un Paese possa negare il proprio porto a gente disperata che fugge da guerre, morte e da assassini, mi fa riflettere sul senso di solidarietà che molti di noi hanno e che hanno sviluppato in momenti tragici come questi.
Dichiararsi “Paese non sicuro” per impedire che vi possano essere sbarchi di immigrati, provenienti dall’altra parte del Mediterraneo, getta una coltre sulla dignità del nostro Paese.

L’Italia è più di quanto viene raccontata e di quanto qualcuno vorrebbe rappresentare.

Mentre molti di noi soffrono, perdono i propri cari e si disperano per la propria libertà messa in quarantena, dobbiamo avere il tempo di pensare a quelle vite oggi sospese sulla superficie dell’acqua, in barche di fortuna, con gli occhi pieni di salsedine e il volto scalfito dalla sofferenza, una sofferenza non meno importante e insopportabile della nostra.

Da martedì riaprono le librerie, riaprono alcune attività. Il Paese prova a rimettersi in moto. Ma oltre a questo, dovremmo aprire i nostri cuori più di quanto non abbiamo fatto sino ad ora, per accogliere chi sa che l’alternativa alla terra ferma è il fondo del mare o una prigione intrisa dell’odore acre della morte.

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