71 anni fa, i nazifascisti in preda al panico e allo stesso tempo presi da una furia disumana, a causa della fuga verso il nord causata dagli alleati e dai partigiani, arrivarono a Marzabotto, in Emilia. Dovevano essere di passaggio ma distrussero tutto ciò che incontrarono e decisero, quindi, di radere al suolo quel paesello. Raffiche di mitra. Caddero anziani, bambini e donne. Un totale di 800 esseri umani. Molti uomini (adulti) erano distanti, per combattere e resistere, trovarono al ritorno solo carcasse e sangue.
Ricordo con amarezza un racconto, letto non molto tempo fa, in cui si descriva l’orrore ritrovato tra le quattro viuzze di quel centro abitato. Corpi trivellati, altri impiccati agli alberi e trattati come bersagli di tiro. Un’immagine terribile non riesco a cancellare dalla mente: una donna, incinta, uccisa e appesa ad un albero. Come se non bastasse, per l’aver spezzato due vite in una, i nazifascisti sventrarono quella donna, facendo fuoriuscire il feto e macchiando di sangue, indelebilmente, la dignità di quella donna.
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