Luigi Manconi scrive su Internazionale, oggi, su una questione che ci ha scossi, nelle ultime ore: la guerriglia fascista che ha visto Quinto di Treviso e Casale San Nicola al centro della cronaca delle ultime ore.
Tra le molte parole dette e scritte e urlate che accompagnano i piccoli tumulti di Quinto di Treviso e di Casale San Nicola, a Roma, due frasi si impongono e si inseguono in una apparente violenta contraddizione.
La prima: fuori gli immigrati. La seconda: non siamo razzisti. La prima affermazione è inequivocabile e autosufficiente. La seconda – scritta su muri e cartelli –, pur perentoria, va interpretata. E significa più cose. Il primo significato è – in qualche modo e nonostante tutto – positivo.
Mentre si oppongono con metodi non pacifici all’arrivo di un gruppo di richiedenti asilo quei cittadini italiani non vogliono essere considerati “razzisti”. Falsa coscienza, ipocrisia o qualcosa di diverso? Il fatto è che in Italia esiste ancora, malandato e lesionato, il tabù del razzismo. Ovvero, una residua interdizione morale nei confronti di parole e comportamenti di discriminazione verso chi appartiene ad altre etnie, culture e religioni.
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