Formazione “Made in Italy”

Gli ultimi dati OCSE segnano l’Italia in una posizione sotto la media europea (ennesima), se non proprio ultima, per formazione professionale dei cittadini adulti che cercano lavoro o sono allocati nei diversi settori.

L’Italia è ultima per la capacità di comprensione dei testi e penultima (sotto c’è solo la Spagna) nelle competenze numeriche e nel rapporto con la matematica, in generale. Vediamo i grafici per avere un esempio visivo di quello che stiamo dicendo: il primo riguarda la percentuale di adulti, per livello di comprensione:

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Se poi confrontiamo questa differenziazione con un riferimento alle fasce d’età, allora avremo un’enorme differenza tra generazioni, segno che la scolarizzazione ha fatto notevoli passi in avanti ma, purtroppo, ancora insufficiente, visto e considerato il fatto che ci ritroviamo, comunque nelle ultime posizioni.

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Dopo aver snocciolato e sintetizzato al massimo quanto riportato dall’OCSE (i dati complessivi li trovate qui) è necessario fare un po’ un quadro generale rispetto alla situazione della formazione professionale in Italia, nelle sue sfaccettature, ma soprattutto, nelle sue differenze tra Nord e Sud.

Questa scarsa professionalità e preparazione della popolazione – basti pensare agli indici della padronanza della lingua inglese nel settore pubblico (28,7%) e in quello privato (28,6%) – è il risultato di una mancanza di prospettiva del sistema formativo italiano. Un sistema formativo proiettato verso la specializzazione della popolazione dovrebbe coniugare meglio il rapporto tra enti formativi (scuole e università) e le aziende,  le attività produttive del territorio (di questo ne ho già parlato).

Da dove incominciare – Lo vediamo tutti i giorni, non c’è spazio alla menzogna: le nostre Università meritano spazio, perchè hanno studenti capaci e meritevoli. Chi “governa” le nostre Università deve necessariamente sforzarsi per tessere rapporti con soggetti terzi che possono garantire formazione su campo e una prospettiva sul futuro dei giovani laureati. L’impegno, tuttavia, non deve essere unilaterale: le aziende devono spingere verso questa frontiera della formazione, utile a loro e soprattutto agli studenti, senza dimenticare i diritti di chi affronta uno stage presso un privato o un pubblico (affrontare la questione retribuzione sarebbe una gran cosa).

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